APPELLO (III, p. 729)
Appello civile. - Il codice italiano di procedura civile 1942 ha introdotto nella disciplina dell'appello notevoli innovazioni (articoli 323-338 Delle impugnazioni in generale, e articoli 339-359 Dell'Appello; disp. att. e trans., articoli 128-132 e articoli 206-214; relaz. minist. § 30) che, pur senza alterarne la tradizionale funzione, ne hanno ristretto i limiti, seguendo la tendenza ad accelerare l'andamento del processo e a restituire importanza al giudizio di primo grado ostacolando l'abuso delle impugnazioni, per giungere più speditamente alla formazione della cosa giudicata. Il decr. legge 5 maggio 1948, n. 483, contenente modificazioni ed aggiunte al codice di procedura civile, segna però un parziale ritorno al passato (articoli 24-29).
Abolita la distinzione, accolta dall'art. 465 del vecchio codice, tra mezzi di impugnazione ordinarî e straordinarî (la quale tuttavia non ha perso, sotto certi aspetti teorici, la sua giustificazione razionale), il codice 1942 ha implicitamente accolto (art. 324) un criterio pratico ed esterno, distinguendo i mezzi di impugnazione proponibili entro un breve termine decorrente dalla notificazione della sentenza, i quali impediscono - fino a quando non siano esauriti - il passaggio di questa in cosa giudicata formale, dai mezzi d'impugnazione proponibili successivamente contro il giudicato. L'appello appartiene al primo gruppo, insieme col ricorso in cassazione e con la revocazione fondata sui motivi di cui ai nn. 4 e 5 dell'art. 395 (e col regolamento di competenza nei casi in cui funziona come mezzo di impugnazione).
L'appello continua ad essere un rimedio generale, che può portare ad un riesame pieno della controversia, in iure e in facto, per errores in iudicando e per errores in procedendo (in funzione di querela di nullità: art. 354). Ma mentre sotto la vecchia dottrina si poteva dire senza riserve che l'appello dava sempre luogo a un novum iudicium, con implicita ed automatica riproposizione di tutte le domande ed eccezioni già proposte dalle parti in primo grado (effetto devolutivo), ed altresì con possibilità lasciata alle parti di introdurre in appello, con nuove deduzioni e nuove prove, questioni di diritto ed elementi di fatto non conosciuti dal giudice di primo grado (ius novorum, art. 490 vecchio cod. proc. civ.), il codice 1942 ha modificato questa figura tradizionale col prescrivere che l'atto di appello debba enunciare i motivi specifici dell'impugnazione (art. 342), con l'abolire l'effetto devolutivo implicito (art. 346) e, soprattutto, con l'abolire lo ius novorum, vietando alle parti - ove non esistano gravi motivi accertati dal giudice - di proporre in appello nuove eccezioni, produrre documenti o chiedere l'ammissione di mezzi di prova (art. 345; può tuttavia deferirsi sempre, anche in appello, il giuramento decisorio). Quest'ultima disposizione è stata però abolita dall'art. 25 del decr. legge 5 maggio 1948, che ha ristabilito in appello l'ius novorum, con la sola limitazione che la tardività delle deduzioni può aver conseguenze sulle spese del giudizio.
L'abolizione dell'ius novorum, introdotta nel codice 1942 contro l'unanime parere della dottrina e dei pratici, doveva essere messa in relazione con quel sistema di rigide preclusioni (art. 183, 184, 189, 190) col quale il nuovo processo aveva cercato di rivalutare il giudizio di primo grado, abituando le parti a scoprire fin da principio tutti gli elementi defensionali di cui dispongono e a non tenere in riserva le ragioni più decisive per il giudizio d'appello.
Ma, nonostante queste modificazioni, anche sotto il codice del 1942 l'appello non aveva perduto del tutto il suo carattere, corrispondente alla tradizione romana, di rinnovazione del giudizio (novum iudicium) per trasformarsi, com'era detto nella relazione ministeriale, in un semplice mezzo di critica e di controllo della sentenza di primo grado (revisio prioris instantiae). La specifica indicazione dei motivi di impugnazione prescritta dall'art. 342 non aveva al giudizio di appello il valore di un iudicium rescindens (come quello di cassazione o di revocazione), in cui oggetto di indagine fosse solo la sentenza impugnata, per vedere se essa fosse viziata dagli errori denunciati. In appello, oggetto del giudizio era sempre, immediatamente e direttamente, il merito della controversia, non la sentenza appellata e l'indicazione dei motivi - prescritta nell'atto di appello in armonia con la maggior precisione e compiutezza che il codice 1942 esige in ogni atto di citazione (art. 163) - serviva unicamente a determinare entro quali limiti il giudice di appello era invitato a rinnovare l'esame del merito della controversia. D'altra parte, poiché c'era sempre la possibilità che il giudice d'appello riconoscesse l'esistenza di gravi motivi giustificanti nuove deduzioni o nuove prove, non si può dire neanche che il divieto dell'ius novorum avesse profondamente alterato la figura tradizionale di questa impugnazione, che in ogni modo è stata in pieno restituita dal decr. legge del 1948.
Numerose sono nel nuovo codice le disposizioni innovatrici di carattere particolare: ne ricordiamo solo alcune che maggiormente si allontanano dalle norme del vecchio codice (alcune delle quali abolite o modificate dal decr. legge del 1948).
a) Sentenze appellabili (art. 339). - Sparite dal nuovo processo le sentenze interlocutorie (per tutti i provvedimenti istruttorî è stata adottata la forma dell'ordinanza: articoli 134, 179), immediatamente appellabili erano, per il codice del 1942, soltanto le sentenze definitive; quelle parziali (art. 279) potevano essere impugnate soltanto insieme con la definitiva (art. 339) purché la parte ne avesse fatta espressa riserva (art. 340); era evitato in questo modo l'inconveniente della ramificazione degli appelli scaturenti tutti dallo stesso ceppo, che si verificava sotto il vecchio codice a causa della appellabilità separata delle interlocutorie. Il decr. legge del 1948 ha ristabilito la separata appellabilità delle sentenze parziali; ma quelle che decidono questioni relative all'istruzione della causa sono appellabili, di regola, soltanto insieme con la definitiva (art. 24 del suddetto decr. legge). La sentenza che pronuncia sulla competenza senza decidere il merito può essere impugnata soltanto con istanza di regolamento di competenza (art. 42); se pronuncia anche sul merito, la parte interessata può scegliere tra il regolamento di competenza e l'appello (art. 43). È inappellabile la sentenza che il giudice di primo grado ha pronunciato secondo equità (art. 114). La sentenza appellabile del tribunale può essere impugnata direttamente per cassazione se le parti sono d'accordo per saltare l'appello (art. 360, penultimo comma; art. 336, ultimo comma).
b) Termine per appellare (art. 325, cfr. art. 358). - È di dieci giorni contro le sentenze dei conciliatori, di trenta contro quelle dei pretori e tribunali con decorrenza dalla notificazione (art.326); ma - notevole innovazione - indipendentemente dalla notificazione, il diritto di appellare, si estingue per decadenza, decorso un anno dalla notificazione della sentenza (art. 327).
c) Pluralità di parti nel giudizio d'appello (articoli 331-335). - Allo scopo di evitare che il processo unico svoltosi tra più parti nella fase di primo grado si divida in appello in più diramazioni separate, un rigoroso sistema basato sulla distinzione tra cause inscindibili (art. 331) e cause scindibili (art. 332; cfr. ultimo comma art. 326), porta in ogni caso a riunire in un solo processo, a pena di inammissibilità o di decadenza, tutte le impugnazioni, principali o incidentali, proposte o proponibili contro la stessa sentenza (la terminologia del nuovo codice non fa distinzione tra appello adesivo e appello incidentale).
d) Procedimento di appello (articoli 347-357). - Il giudizio di appello, in conformità di quello di primo grado (art. 359), si distingue in due fasi: quella ordinatoria e istruttoria dinanzi all'istruttore (articoli 349-350) e quella decisoria dinanzi al collegio (art. 352); le ordinanze dell'istruttore (art. 350) sono reclamabili dinanzi al collegio (art. 357; cfr. articoli 27, 28, 29 del decr. legge 1948).
Bibl.: T. Carnacini, Il litisconsorzio nelle fasi di gravame, Padova 1937; P. D'Onofrio, Commento al nuovo codice di procedura civile, I, Padova 1941, p. 305 segg.; F. Carnelutti, Istituzioni del nuovo processo civile italiano, II, 3ª ed., Roma 1942, p. 550 segg.; R. Provinciali, Sistema delle impugnazioni civili secondo la nuova legislazione, parte gen., Padova 1943; V. Andrioli, Commento al codice di procedura civile, 2ª ed., Napoli 1945, p. 310 segg.; M. T. Zanzucchi, Diritto processuale civile, II, 4ª ed., Milano 1946, p. 193 segg.; S. Satta, Diritto processuale civile, Padova 1948, p. 285 segg.