DIGERENTE, APPARATO (fr. appareil digestif; sp. apareio digestivo; ted. Verdauungsapparat; ingl. digestive apparatus)
Consta d'un complesso d'organi destinati alle funzioni di nutrizione dell'individuo; a sottoporre gli alimenti a modificazioni chimiche e fisiche tali, che una parte di essi possa essere assorbita e utilizzata dall'organismo, mentre i residui non assimilati si raccolgono in un segmento determinato dell'apparecchio digerente e sono eliminati.
Morfologia generale.
Sebbene in alcuni Protozoi vi siano strutture in relazione a tali funzioni (propaggini tentacoliformi del citoplasma [pseudopodî] destinate ad afferrare gli alimenti, aperture transitorie o permanenti, che ne permettono l'entrata, cavità scavate nel citoplasma [vacuoli], nelle quali gli alimenti sono digeriti) un vero apparato digerente esiste soltanto negli animali pluricellulari (Metazoi); il componente fondamentale è il canale alimentare, che percorre il corpo, e nel quale, per l'azione esercitata da sostanze specifiche prodotte da ghiandole che riversano il loro secreto nella sua cavità, gli alimenti sono resi assimilabili. Con l'intestino sono in connessione altri organi accessorî di prensione e di masticazione, variabilissimi per forma e per struttura nei varî Metazoi.
Nei Poriferi (spugne) non esiste un canale intestinale unitario; tutto il corpo è percorso da un sistema di canali ramificati (fig. 1) che fanno capo a un ampio spazio interno centrale (cavità gastrale); i canali s'aprono all'esterno per numerosi pori, nei quali penetra l'acqua, e questa viene emessa da un'apertura più cospicua (osculum) della cavità gastrale. Nelle Idromeduse, negli Ctenofori il sistema ramificato è più regolare: v'è un'apertura boccale, destinata a introdurre gli alimenti e ad eliminare i rifiuti; la parete della cavità digerente produce succhi destinati a trasformare i primi.
Nei Bilaterî la forma del canale alimentare s'adatta alla simmetria bilaterale. Nei Platelminti (vermi inferiori) percorre il corpo in tutta la sua lunghezza ed emette diverticoli secondarî (fig. 2) talora ramificati; l'apertura boccale s'apre ventralmente, all'estremo anteriore del corpo, o posteriormente. Nei Vermi superiori l'intestino sbocca al polo del corpo opposto alla bocca con una speciale apertura (ano). In questi animali, come pure negli Artropodi, l'intestino è suddiviso in tre segmenti: anteriore, medio e posteriore (fig. 3). L'intestino anteriore possiede parti chitinizzate più resistenti e ispessimenti cuticolari, che triturano gli alimenti, mentre l'intestino medio ha essenzialmente funzioni digestive e d'assorbimento; nella sua parete sono contenute cellule ghiandolari produttrici di fermenti; l'intestino terminale è destinato soltanto alla eliminazione delle parti inutilizzabili. Negli Artropodi l'intestino medio è provvisto di tubuli ghiandolari, i quali in alcune specie possono avere grande volume e costituire un vero organo: il cosiddetto fegato. È caratteristica dei Molluschi, eccettuati i Lamellibranchi, la grande complicazione dell'intestino anteriore, provvisto di robusta parete muscolare, di complesse disposizioni atte a triturare alimenti molto resistenti e di ghiandole chiamate salivari. L'intestino medio possiede numerosi diverticoli ghiandolari e vi si apprezzano varî segmenti a costituzione diversa, denominati stomaco e intestino tenue; queste parti non vanno però considerate come omologhe a quelle dello stesso nome dei Vertebrati. Nei Tunicati si manifesta una trasformazione importante, la separazione del canale intestinale in due segmenti di valore funzionale diverso: la cavità branchiale, destinata alla funzione respiratoria, e il canale intestinale vero e proprio, o intestino digestivo.
In tutti i Vertebrati, compreso l'uomo, l'apparato digerente è costituito secondo un piano d'organizzazione comune (fig. 4). Il canale alimentare nell'uomo adulto raggiunge i 10-12 metri di lunghezza, corrispondente a 6-7 volte la lunghezza totale del corpo. Comunica col mondo esterno per due aperture: una anteriore, la rima boccale, l'altra posteriore, l'apertura anale; esso è percorso in tutta la sua estensione dalle sostanze alimentari. La costituzione della parete del canale alimentare dei Vertebrati si modifica nelle sue varie parti a seconda della funzione alla quale queste sono destinate; fondamentalmente consta però di tre strati sovrapposti: l'interno, tonaca mucosa; il medio, tonaca sottomucosa; e l'esterno, tonaca muscolare.
La struttura della mucosa offre differenze proprie ai varî tratti. Alla sua superficie libera s'aprono ghiandole in numero vario e di volume differente a seconda delle regioni. In una gran parte del canale alimentare alla faccia profonda della mucosa, al limite con la sottomucosa esiste un sottile strato muscolare a cellule lisce (muscolaris mucosae). In molti punti il corion della tonaca mucosa è infiltrata di linfociti; questi possono essere numerosissimi e invadere l'epitelio, dimodoché il suo limite col tessuto sottostante diviene indistinto. Quando i noduli linfoidi sono molto grandi, si spingono sin nello spessore della sottomucosa. Sembra certo che negli organi linfoidi di tutto il canale alimentare (tonsilla palatina, faringea, linguale, noduli dell'intestino) avvenga attraverso l'epitelio un attivo passaggio di linfociti nella cavità e che per questa via molti linfociti siano eliminati dall'organismo. La tonaca muscolare consta di tessuto muscolare liscio, nel suo strato interno le cellule sono disposte a fasci circolari, nel suo strato esterno a strati longitudinali; però nel primo e nell'ultimo tratto il tessuto muscolare liscio in totalità o in parte sostituito da fasci striati. Nella più gran parte del tratto contenuto nella cavità addominale a questi tre strati è sovrapposta la tonaca sierosa, fornita dal peritoneo. A seconda del grado di sporgenza del canale alimentare nella cavità addominale, esso ne rimane fasciato in modo più o meno completo.
Il canale alimentare nei Vertebrati è destinato per la sua più gran parte in modo esclusivo alla funzione digerente; solamente il suo segmento anteriore partecipa per varia estensione e con modalità diverse nei varî gruppi di Vertebrati alla respirazione. In tutti i Vertebrati si formano nella regione cefalica, a spese della parete laterale dell'intestino, delle evaginazioni disposte in serie (tasche entodermiche branchiali), verso le quali s'approfondano depressioni ectodermiche, i solchi branchiali; le une e gli altri delimitano gli archi branchiali, formazioni mesodermiche rivestite dall'ectoderma e dall'entoderma, nelle quali si differenzieranno elementi scheletrici cartilaginei e ossei (fig. 5) Nel punto ove tasche entodermiche ed ectodermiche branchiali sono a contatto, si può produrre una lacerazione, in modo che l'intestino comunica con l'ambiente esterno. Nei Pesci e negli Anfibî si sviluppa nell'intestino cefalico un complicato apparato branchiale, costituito, nella sua parte che ha maggiore importanza fisiologica, da lamine riccamente vascolarizzate, nelle quali si produce lo scambio gassoso fra il sangue circolante nei capillari branchiali e l'aria contenuta nell'acqua, la quale affluisce dall'esterno. Mentre nei Pesci e negli Anfibî perennibranchiati la funzione respiratoria dell'apparato branchiale dura per tutta la vita, negli Anfibî a vita terrestre è limitata alla vita larvale, finché questi animali vivono nell'acqua; durante la metamorfosi larvale, col divenire superflua la respirazione branchiale, tale apparato regredisce. Negli altri Vertebrati, poi, le tasche, le fessure e gli archi branchiali s'abbozzano nell'embrione, ma in modo rudimentale e sono destinati a regredire rapidamente, trasformandosi in organi varî con funzione del tutto diversa da quella respiratoria (organi endocrini). Nell'embrione umano appaiono cinque tasche branchiali, le quali quasi mai s'aprono verso l'esterno.
Nei Vertebrati a vita terrestre la funzione respiratoria viene assunta dai polmoni; negli Anfibî e in alcuni Rettili, l'intestino cefalico è percorso nella sua totalità, sia dagli alimenti sia dall'aria, la quale è diretta ai polmoni, oppure ne viene emessa. In altri Rettili (Coccodrilli), negli Uccelli e nei Mammiferi, il canale alimentare e l'aerifero sono in parte suddivisi mediante un sepimento fra la bocca e le fosse nasali, il palato; soltanto un breve tratto, la faringe, è comune ai due canali, alimentare e respiratorio. Si distinguono nel canale intestinale tre segmenti, intestino anteriore, medio e posteriore.
L'intestino anteriore comprende la cavità boccale, che comunica con la faringe attraverso l'istmo delle fauci; bocca e faringe risiedono all'altezza del cranio, sono circondati dallo scheletro e dalla muscolatura viscerale, derivati dagli archi branchiali; alla faringe fa seguito l'esofago che si continua nello stomaco. L'intestino medio (il tenue in anatomia umana) è quasi sempre più angusto dell'intestiuo posteriore (crasso). Quest'ultimo si divide in crasso in senso stretto (colon) e tratto terminale o intestino retto; quest'ultimo in alcuni Pesci, negli Anfibî, nei Rettili, negli Uccelli e anche nei più bassi Mammiferi (Monotremi) s'apre in una cavità che è comune allo sbocco dei canali urogenitali, denominata cloaca; in altri Pesci invece e nei Mammiferi il retto è in tutta la sua estensione distinto dal canale urogenitale, e s'apre direttamente all'esterno per uno speciale orificio.
Costituzione dei varî segmenti dell'apparato digerente.
Bocca (v.). - La cavità boccale, la parte anteriore del canale alimentare, è destinata ad afferrare e talora a sottoporre gli alimenti a modificazioni tali, che essi possano essere inghiottiti. Negli animali a respirazione branchiale viene per di più percorsa dall'acqua. Alle funzioni meccaniche suaccennate adempiono i denti, organi molto consistenti, di forma molto diversa nei varî Vertebrati. In linea generale solamente nei Mammiferi i denti sono organi masticatorî: negli altri Vertebrati gli alimenti sono inghiottiti come tali, non triturati. Nei Ciclostomi i denti hanno costituzione tutt'affatto speciale; essi sono organi d'origine epidermica (denti cornei). I veri denti quali esistono negli altri Vertebrati (Gnatostomi) sono più complessi; sono omologhi alle squamme placoidi del tegumento; sono costituiti dallo smalto d'origine ectodermica e da altri tessuti d'origine mesenchimale (dentina, cemento). La dentatura ha estensione molto varia: nei Teleostei s'impianta sull'orlo della mandibola, sul vomere, sugli archi branchiali, ecc. Nei Selaci, invece, il territorio d'impianto dei denti è più circoscritto; negli Anfibî è molto esteso nelle varie specie; negli Uccelli recenti non v'è traccia di dentatura, nei Mammiferi, infine, questa acquista grande perfezione. Per altri particolari, v. dente.
La lingua nei Ciclostomi è tanto diversa da quella degli altri Vertebrati che non è paragonabile a questa. Negli altri Pesci la lingua è costituita da un rilievo del pavimento boccale sostenuto dalla parte anteriore dello scheletro branchiale, ricoperto da mucosa, non dotato di motilità, che serve a far progredire gli alimenti. Nei Vertebrati a vita terrestre, invece, la lingua contribuisce ad afferrare il nutrimento e a triturarlo; inoltre serve all'ingestione di liquidi e a chiudere le vie aeree; in relazione a queste nuove funzioni è provvista di ghiandole, di organi di senso e d'una muscolatura complicata.
Nell'uomo (fig. 6) e nei Mammiferi la cavità boccale è suddivisa in due scompartimenti da due arcate ossee a forma di ferro di cavallo, con concavità posteriore, sulle quali sono impiantati i denti (arcate alveolo-dentarie); il più esterno di questi scompartimenti viene chiamato vestibolo della bocca, il più interno bocca propriamente detta. Fra l'ultimo dente molare e il ramo ascendente della mandibola v'è, da ciascun lato, uno spazio di grandezza variabile a seconda degl'individui (spazio retrodentale), il quale fa comunicare l'una con l'altra queste due cavità; esso è sufficientemente ampio per introdurvi nutrimento liquido mediante una sonda, quando un malato è nell'impossibilità d'aprire le mascelle.
Il vestibolo della bocca è una cavità a forma di ferro di cavallo compresa fra le labbra e le guance da un lato, e le arcate alveolodentarie dall'altro; d'ordinario le due pareti sono a contatto, ma per la distensibilità della sua parete anteriore il vestibolo può ampliarsi molto. La cavità boccale propriamente detta è limitata in avanti e sui lati dalle arcate alveolo-dentarie; nel mezzo del suo pavimento si solleva la lingua, organo costituito da un robusto apparato muscolare e perciò molto mobile; sul contorno di queste arcate v'è un solco (alveolo-linguale); la sua vòlta è formata dal palato duro e molle; posteriormente per mezzo di un'ampia apertura, l'istmo delle fauci, comunica con la faringe.
Se le mascelle sono ravvicinate e la lingua in riposo, la cavità della bocca è pressoché virtuale, perché il dorso della lingua è quasi a contatto col palato, la punta e i margini con le arcate alveolodentarie. Se invece la mandibola s'abbassa, la cavità boccale diviene reale e acquista anche un'ampiezza rilevante, specialmente se la lingua viene proiettata in avanti; e in quest'ultimo caso la cavità della bocca può essere esplorata dall'esterno. In grazia al complesso apparato muscolare di cui è provvista, la lingua può compiere movimenti molto delicati e precisi; per questi movimenti le sostanze alimentari sono introdotte nella bocca e successivamente spostate nelle sue varie regioni; così la lingua contribuisce alla funzione della masticazione. Una parte importantissima prendono i movimenti della lingua nell'emissione dei suoni.
La mucosa che ricopre la faccia dorsale della lingua possiede in alto grado sensibilità tattile e gustativa. Vi sono in numero immenso rilievi piccoli, ma ben visibili a occhio nudo, denominati papille linguali; hanno forma varia; le più numerose ricordano per la forma un fiore prossimo a sbocciare (papille corolliformi) e adempiono a preferenza a funzioni tattili e meccaniche. Hanno invece funzioni gustative altre varietà di papille a forma di fungo (fungiformi) e altre ancora più voluminose, in numero limitato e a sede caratteristica, le quali sporgono poco sulla superficie della lingua e sono delimitate da un profondo solco (papille circumvallate). Queste papille risiedono lungo un solco a forma di V (solco terminale), fra i due terzi anteriori e il terzo posteriore della lingua; questo solco segna il limite fra la parte della lingua denominata corpo (o parte boccale) e l'altra posteriore, radice, o porzione faringea. Queste due parti derivano durante lo sviluppo da due abbozzi distinti. Nelle papille fungiformi e circumvallate vi sono speciali organi (calici gustativi) a struttura complessa, nei quali terminano i nervi specifici del senso del gusto.
La vòlta della cavità boccale è un sepimento che la separa dalle fosse nasali, chiamato palato; si distingue in palato duro e molle; il primo consta d'uno scheletro osseo rivestito di mucosa su ambedue le sue facce; il palato molle, o velo del palato, è mobile, essendo provvisto d'un apparato muscolare, ed è esso pure rivestito di mucosa sia sulla sua faccia inferiore, rivolta verso la bocca, sia sulla faccia superiore prospiciente verso la faringe. Il velo del palato si unisce alla lingua mediante gli archi glosso-palatini, e alla faringe mediante gli archi faringo-palatini; gli uni e gli altri delimitano l'istmo delle fauci.
La costituzione della cavità boccale, quale è stata descritta, è propria soltanto dei Mammiferi e degli Uccelli. Nei Pesci e negli Anfibî la vòlta della cavità boccale è costituita dalla base del cranio; non esiste adunque un palato e non v'è neppure una cavità che corrisponda alla cavia nasale dei Mammiferi; esiste bensì un canale, il quale si diparte dalla cavità boccale e s'apre all'esterno (canale nasale), nel quale risiede l'organo dell'olfatto. Nella cavità boccale dei Rettili v'è invece un sepimento più o meno completo nelle varie specie, che rappresenta un palato rudimentale; nei Lacertili il sepimento è incompleto, essendo costituito da due pieghe, che non s'incontrano sulla linea mediana; invece nei Coccodrilli le due pieghe si saldano sulla linea mediana. Durante singole fasi successive dello sviluppo embrionale dei Mammiferi e dell'uomo si ripetono queste varie forme, che sono tipiche per specie inferiori allo stato adulto; la cavità boccale primitiva viene suddivisa da due pieghe palatine pari, separate durante un certo periodo da una fessura mediana; poi le due pieghe si riuniscono e le cavità boccale e nasale vengono definitivamente separate. Se per turbe di sviluppo la fusione fra le due pieghe palatine non si produce, persiste una comunicazione fra cavità nasale e boccale; tale malformazione viene comunemente chiamata "gola di lupo".
Alla cavità buccale fanno capo numerosissime ghiandole che secernono un liquido limpido, filante, la saliva, contenente fermenti. Per l'azione di questi gli alimenti incominciano a subire nella bocca le prime trasformazioni chimiche indispensabili, affinché siano in grado di essere assimilati. Ma l'azione dei fermenti non può manifestarsi, se la saliva non si mescola intimamente agli alimenti; e affinché questo accada occorre che siano finemente triturati dai denti.
Delle ghiandole salivari, alcune, microscopiche, sono contenute nella mucosa; altre, più grandi, si spingono sia nella sottomucosa sia tra i fasci muscolari (ghiandole labiali, molari); nei Mammiferi e nell'uomo esistono inoltre ghiandole salivari molto più grandi (parotide, ghiandola sottomascellare e sottolinguale) situate a distanza dalla parete della cavità boccale, ma ad essa congiunte mediante il canale escretore.
La parotide è la più cospicua delle tre ghiandole salivari; appartiene al vestibolo della bocca; risiede davanti al padiglione dell'orecchio e al margine anteriore del muscolo sternocleidomastoideo, dietro la branca ascendente della mandibola. Lateralmente è ricoperta dal tegumento e da una fascia (parotidea-masseterina); si spinge con un suo prolungamento triangolare, che accompagna il dotto parotideo, sulla faccia laterale del muscolo massetere; medialmente, con una porzione a forma di prisma triangolare (processo retromandibolare), s'approfonda fra mandibola e muscolo sternocleidomastoideo. Il suo canale escretore (dotto parotideo, di Stenone) decorre sul muscolo massetere un centimetro al disotto dell'arcata zigomatica, circonda il margine anteriore di quel muscolo, attraversa il muscolo buccinatore e la mucosa della guancia, per aprirsi nel vestibolo della bocca all'altezza della corona del 2° dente molare superiore.
La ghiandola sottomascellare appartiene, come la sottolinguale, alla cavità boccale propriamente detta; è situata al disotto del tegumento, fra la mandibola, il ventre posteriore e il tendine intermedio del muscolo digastrico. L'arteria mascellare esterna, insieme con alcuni ganglî linfatici, è situata in un solco scavato sulla sua superficie posteriore. Il suo canale escretore, o dotto di Wharton, arriva di fianco al frenulo della lingua, attraversa la mucosa boccale e s'apre alla sommità della caruncola sublinguale.
La ghiandola sublinguale, la minore delle tre grosse ghiandole salivari, consta d'un complesso di piccole ghiandole situate sul pavimento della bocca, ove determina una sporgenza della mucosa, al disopra del muscolo miloioideo, lateralmente al muscolo genioglosso e al canale sottomascellare: 15-30 brevi canali escretori se ne dipartono per aprirsi nella piega sottolinguale.
Le varie ghiandole salivari differiscono per l'architettura e per la forma delle unità secernenti, a seconda che hanno forma di tubulo oppure d'acino (quando le estremità terminali sono rigonfie e appese a un sottile peduncolo come gli acini d'uva ai rami del raspo); di quelle contenute nelle pareti della bocca le più piccole sono del tipo delle ghiandole ramificate, le più grosse del tipo delle composte: di tutte le più cospicue sono la parotide, la sottomascellare, la sottolinguale; hanno la struttura delle composte acinose, sono suddivise in lobuli, e hanno inoltre peculiarità attinenti specialmente alla struttura del sistema escretore. Le ghiandole salivari differiscono inoltre per l'intima struttura, in relazione alla qualità del secreto che producono; da questo punto di vista si dividono in: a) sierose, a secreto molto fluido di natura proteica, contenente fermenti; b) mucose, a secreto contenente mucina; c) miste, le quali producono secreto proteico e mucoso.
La parotide dell'uomo è una ghiandola composta sierosa; il canale escretore principale (di Stenone) rivestito da un epitelio cilindrico semplice con qualche cellula basale, si ramifica ripetutamente in canali secondarî, sempre più sottili; decorrono nei sepimenti di connettivo che formano lo stroma della ghiandola, finché penetrano nei lobuli; a questo punto i canalicoli (chiamati salivari) presentano dilatazioni e restringimenti alternati; in questi ultimi canali i condrioconti delle cellule epiteliali sono tutti orientati parallelamente all'asse cellulare dimodoché le cellule hanno un aspetto striato. I canali salivari si ramificano nell'interno dei lobuli e si continuano in canalicoli stretti e lunghi a lume sottile (preterminali o intercalari), rivestiti da cellule basse; questi si ramificano e fanno capo alle estremità terminali della ghiandola (adenomeri), in forma d'acini, e talora si prolungano nell'interno del lume dell'adenomero, in modo che un tratto del condotto preterminale appare invaginato dalle cellule sierose (cellule centracinose); nel citoplasma delle cellule sierose che li delimitano si scorgono condrioconti e granuli di secreto di natura proteica, raccolti prevalentemente nel segmento che guarda il lume; il numero dei granuli varia in relazione alla fase funzionale; durante il digiuno sono molto numerosi; dopo un pasto, fluidificano e sono emessi nel lume ghiandolare (fig. 7).
La sottomascellare dell'uomo ha prevalentemente adenomeri sierosi identici a quelli della parotide; in piccola parte è mista; in altri Mammiferi la sua struttura è diversa: negli Ungulati, per esempio, le unità ghiandolari miste sono molto numerose; in singoli punti i condotti preterminali hanno lume ampio e sono tappezzati da cellule grandi, secernenti, che elaborano mucinogeno (cellule mucose nelle quali in una prima fase le cellule si riempiono di granuli, poi questi confluiscono e si trasformano in una sostanza più fluida); l'estremità del condotto preterminale mucoso è chiuso a fondo cieco da adenomeri a forma di lunule le quali sono costituite da un certo numero di cellule sierose (fig. 8); se le lunule sono grandi, esse formano una calotta che inguaina un certo tratto del condotto preterminale; s'ha un rapporto analogo a quello esistente nelle unità secernenti prettamente sierose.
La ghiandola sottolinguale è composta da varie ghiandole, in parte acinose, prevalentemente mucose, in parte sierose; i condotti preterminali sono per lo più tappezzati da cellule mucose per tutta la loro lunghezza e fanno capo ad adenomeri a forma di lunule; solamente alcuni adenomeri sono a forma d'acini. In quanto alle piccole ghiandole della cavità boccale, quelle annesse alle papille vallate (di Ebner) sono del tipo delle tubulari sierose; sono ghiandole acinose; mucose le ghiandole del palato duro e della faccia inferiore del velo del palato e della radice della lingua. Le ghiandole labiali e boccali sono miste, simili alla sottolinguale (fig. 9).
Istmo delle fauci. - La bocca comunica all'indietro con la faringe per l'istmo delle fauci. Questo è limitato dalla radice della lingua in basso, dal velo del palato in alto e dai due pilastri palatini; fra questi è compreso un organo linfoide a forma di mandorla, la tonsilla o amigdala palatina. Come tutti gli organi linfoidi, quest'ultima ha un maggiore sviluppo nella giovinezza che in età avanzata. La sua superficie laterale corrisponde alla parete della faringe, la mediale è coperta dalla mucosa, e presenta molte aperture, che conducono in fossette profonde. È un conglomerato di tessuto linfoide diffuso e di noduli linfoidi; gli uni e gli altri infiltrano il corion della mucosa e l'epitelio delle fossette tonsillari.
Faringe. - La faringe (v.) negli animali a vita terrestre corrisponde al tratto d'intestino, nel quale negli animali a vita acquatica risiedono le branchie; e serve alla respirazione. Nell'uomo la faringe è un canale a forma di clava con manico in basso, appiattita dall'avanti all'indietro; la sua estremità superiore (vòlta) è fissata alla base del cranio, poi scorre al davanti della colonna vertebrale e a livello della 6ª vertebra cervicale, in corrispondenza del margine inferiore della cartilagine cricoide (v. laringe), si continua con l'esofago. Le pareti laterali corrispondono in alto a uno spazio angolare (spazio faringo-mascellare), limitato dal ramo della mandibola, ricoperto dal muscolo pterigoideo interno e indietro dalla colonna cervicale; in questo spazio risiedono grossi vasi e nervi. Nella parete laterale del segmento nasale della faringe si trova l'orificio faringeo della tuba auditiva, limitato in alto e all'indietro da un cercine a ferro di cavallo. In avanti la parete della faringe corrisponde successivamente, dall'alto in basso, all'apertura posteriore delle fosse nasali (coane) con l'istmo delle fauci (segmento boccale), all'orificio posteriore e alla parete posteriore della laringe (segmento laringeo). Vedi fig. 10.
Nella vòlta risiede un organo linfoide (tonsilla faringea) simile alla tonsilla linguale e palatina, che s'estende sino all'orificio della tuba (tonsilla tubarica); quest'organo linfoide, molto sviluppato nei bambini, tende di solito a regredire dopo la pubertà. Vi si trova pure un piccolo organo (ipofisi faringea), il quale ha la stessa struttura del lobo ghiandolare dell'ipofisi. In complesso, nella cavità della faringe si aprono sette orifici, le aperture posteriori delle fosse nasali, i due orifici della tuba auditiva e gli orifici boccale, laringeo ed esofageo. La faringe è percorsa, come abbiamo detto, dall'aria inspirata, proveniente dalle fosse nasali e che penetra nell'orificio laringeo, e dall'aria espirata che segue un cammino inverso; v'arrivano pure dall'istmo delle fauci gli alimenti, i quali discendono poi nell'esofago. Complicati mutamenti di forma vi si producono durante la deglutizione; a essi partecipano contrazioni della muscolatura della lingua, del palato, della faringe e della laringe, le quali avvengono per un meccanismo nervoso riflesso. Se l'innervazione di quei muscoli è turbata, l'atto della deglutizione non si compie più normalmente. Nell'atto in cui il bolo alimentare percorre l'istmo delle fauci, il velo del palato sollevandosi prende una posizione orizzontale; in questo modo è impedito il passaggio del bolo alimentare nel segmento nasale della faringe e nelle fosse nasali; contemporaneamente l'epiglottide s'applica all'orificio laringeo, dimodoché questo si chiude, anche per effetto dello sporgere all'indietro della radice della lingua e dell'elevarsi della laringe. Infine, per la contrazione dei muscoli costrittori faringei è favorita la progressione del bolo verso l'orificio esofageo.
La parete della faringe è costituita dall'interno verso l'esterno dagli strati seguenti: tonaca mucosa, muscolare, fascia perifaringea. La tonaca mucosa ha un epitelio pavimentoso stratificato; vi sboccano piccole ghiandole simili a quelle della cavità della bocca e del naso; la tonaca propria della mucosa è infiltrata da numerosi linfociti; al disotto della tonaca propria v'è uno strato di connettivo ricco di fibre elastiche (fascia faringo-basilare); alla superficie esterna di questa è applicata la tonaca muscolare a fibre striate, la quale consta di tre muscoli costrittori e due muscoli elevatori. I tre primi (costrittore superiore, medio e inferiore) sono in forma di lamine sovrapposte, in modo che il più basso ricopre in parte dal di dietro il muscolo sovrastante. In complesso essi restringono il lume della faringe durante il passaggio degli alimenti. I muscoli elevatori sono il muscolo stilo-faringeo e faringo-palatino; quest'ultimo penetra in alto nel velo del palato e più precisamente nell'arco faringo-palatino. La muscolatura della faringe è ricoperta all'esterno da uno strato di connettivo lasso (fascia perifaringea) in continuità col connettivo circostante.
Esofago. - L'esofago (v.) nei Pesci e negli Anfibî è breve e poco distinto dallo stomaco; negli altri Vertebrati è più lungo, in relazione al maggiore sviluppo del collo, ed è ben separato dallo stomaco. Negli Uccelli è molto lungo e presenta in alcune specie carnivore una dilatazione denominata ingluvie, nella quale gli alimenti vengono rammolliti dall'azione del secreto di speciali ghiandole e degli acidi che si formano per la fermentazione degli alimenti ingeriti.
Nell'uomo è un canale di circa 28 cm. di lunghezza, diretto verticalmente in basso, dal collo nel torace, che percorre nella sua totalità, sin nell'addome; è il tratto più stretto di tutto il canale alimentare; è appiattito in senso sagittale; nella porzione cervicale le due pareti sono a contatto, nel tratto toracico la cavità è beante, presenta restringimenti nel tratto iniziale, all'altezza della divisione della trachea, al disopra del diaframma. Attraverso l'orificio del diaframma si dilata bruscamente per continuare nello stomaco. Durante il passaggio del bolo alimentare può divenire molto ampio, sino a 3,5 cm. di diametro. Nel collo e nella parte superiore del torace risiede fra trachea e colonna vertebrale; al disotto della biforcazione della trachea è incrociato dal bronco sinistro; da questo punto (all'altezza della 4ª vertebra cervicale) si discosta dalla colonna vertebrale e fra l'uno e l'altra decorrono l'aorta toracica, il condotto toracico, le vene azygos ed emiazygos.
La parete dell'esofago è costituita dai tre strati fondamentali, che si ritrovano in tutto il canale alimentare. La tonaca mucosa ha un epitelio pavimentoso stratificato; vi si aprono numerose piccole ghiandole del tipo delle ghiandole mucose, il corpo delle quali risiede nella sottomucosa. La muscolaris mucosae è ben sviluppata. La robusta tonaca muscolare è, nel tratto cervicale, a fibre striate, nel tratto toracico inferiore, a elementi lisci disposti nei due strati tipici, l'esterno a fasci longitudinali, l'interno a fasci circolari; nella parte superiore del torace gli elementi lisci sono frammisti agli striati.
Stomaco. - Lo stomaco (v.) è la parte più larga del canale alimentare; ha un'apertura superiore (cardias), nella quale sbocca l'esofago, un'apertura inferiore (piloro) che sbocca nel primo tratto dell'intestino. Non è costante in tutti i Vertebrati; manca nei Ciclostomi, negli Olocefali, nei Dipnoi e in alcuni Teleostei. Nei Selaci e nelle molte specie di Teleostei nelle quali esiste, come pure negli Anfibî e nei Rettili, la sua forma s'adatta alla forma del corpo, è affusato negli animali a corpo sottile, slargato negli animali a corpo tozzo. Negli Uccelli consta di due parti a struttura molto diversa; la superiore (cardiaca) ricca di ghiandole, l'inferiore con tonaca muscolare eccezionalmente robusta; le ghiandole di questa producono un secreto che si solidifica formando uno strato destinato a triturare alimenti molto resistenti (nei granivori). Anche nei Mammiferi lo stomaco presenta spiccate diversità in relazione al genere d'alimentazione; negli erbivori è più grande e più complicato che nei carnivori e può essere suddiviso in concamerazioni distinte; nei Roditori e nel cavallo è suddiviso nelle regioni cardiaca e pilorica, mentre negli Ungulati esistono varietà intermedie tra forme semplici e complesse; nei Ruminanti (fig. 11) lo stomaco è suddiviso in quattro concamerazioni (rumine, reticolo, omaso e abomaso); di queste soltanto la più distale, l'abomaso, rappresenta il vero stomaco, essendo caratterizzato dalla presenza di ghiandole ed essendo rivestito da epitelio cilindrico, come il vero stomaco degli altri animali, nel quale gli alimenti sono digeriti, per opera del succo gastrico. Tutti gli altri segmenti rivestiti da epitelio pavimentoso stratificato e privi di ghiandole, non hanno funzioni digestive, ma sono destinati solo a modificare la consistenza degli alimenti.
Il volume dello stomaco dell'uomo varia soprattutto in relazione al contenuto; è però soggetto a variazioni individuali; la sua capacità media è di 1200 centimetri cubici. Vi si distinguono due pareti, anteriore e posteriore, un orlo concavo superiore (fig. 12), la piccola curvatura, che fa seguito al margine destro dell'esofago; un orlo convesso inferiore, la grande curvatura, che fa seguito al margine sinistro dell'esofago e col quale forma un angolo acutissimo aperto in alto. La parte arrotondata più ampia dello stomaco, situata a sinistra del cardias, viene chiamata fondo (grande tuberosità); la porzione contigua all'orificio pilorico, porzione pilorica; il tratto intermedio fra le due, corpo; il tratto terminale della porzione pilorica (di circa tre centimetri di lunghezza, delimitato spesso da un'incisura superficiale) viene distinto come antro pilorico. All'estremità pilorica v'è una piega valvolare sporgente in cavità, la quale prospetta con una superficie verso lo stomaco, con l'altra verso l'intestino; l'orificio che la valvola circoscrive è circolare o ovale e in uno stomaco disteso misura circa 12 millimetri di diametro; in questo punto lo strato a fibre circolari della muscolatura s'ispessisce in alto grado formando lo sfintere pilorico, che, contraendosi, può chiudere temporaneamente il lume del canale (fig. 12).
La forma dello stomaco è soggetta a variazioni individuali sensibili, specialmente in relazione alla specie del nutrimento. Ma la sua forma varia soprattutto a seconda che è pieno o vuoto. Lo stomaco vuoto e non contratto ha forma di tasca, con la parete anteriore e posteriore a contatto; se vuoto e contratto ha forma quasi cilindrica. Quando incomincia a riempirsi, i boli alimentari provenienti dal cardias scorrono dapprima lango la piccola curvatura; così lo stomaco nel dilatarsi a poco a poco si distende, principalmente nella sua porzione sinistra e anteriore, e si sposta in basso. Però essendo lo stomaco immobile, la sua direzione rimane immutata. Il peritoneo involge quasi completamente lo stomaco e lo unisce con pieghe ad altri visceri; di cui le principali sono: il legamento gastroepatico, teso fra la piccola curvatura dello stomaco e l'ilo del fegato; il legamento gastrocolico, fra la grande curvatura e il colon trasverso.
Nella parete dello stomaco, la quale nella sua più gran parte è sottile, esistono gli strati fondamentali del canale alimentare: tonaca mucosa, sottomucosa e muscolare, alla quale si sovrappone il peritoneo (sierosa). La mucosa a stomaco disteso è liscia; se la muscolatura è retratta o contratta s'increspa insieme con la sottomucosa in cospicue pieghe, che nel fondo, verso il cardias, sono orientate radialmente, nel corpo e nella parte pilorica decorrono longitudinalmente; sono riunite da piccole pieghe trasversali (fig. 13). La mucosa gastrica ha aspetto mammellonato per la presenza di piccole aree di pochi millimetri quadrati di superficie delimitate da sottili solchi (aree gastriche). Alla superficie di ciascun mammellone si vedono con una lente depressioni (fossette gastriche), numerosissime, contigue l'una all'altra nel fondo delle quali si aprono le ghiandole (fig. 14). L'epitelio che riveste le fossette e gl'intervalli fra queste è prismatico semplice, le cellule secernono mucina, la quale si raccoglie in una massa nella parte distale della cellula.
Le ghiandole gastriche sono tanto numerose, che formano nella tonaca propria della mucosa uno strato continuo; hanno struttura alquanto diversa nelle varie regioni dello stomaco; si distinguono le ghiandole del fondo, situate nel fondo e nel corpo, di gran lunga le più numerose, le ghiandole piloriche e le ghiandole cardiache, limitate a una stretta zona presso il cardias.
Le ghiandole gastriche, o del fondo, sono del tipo delle tubulari semplici, hanno decorso rettilineo e sinuoso e arrivano con la loro estremità sino alla muscularis mucosae. Sono costituite da due tipi di cellule, le une a forma prismatica (cellule fondamentali contenenti granuli di pepsinogeno), che delimitano il lume ghiandolare; le altre cellule (di rivestimento) a forma ovale o poliedrica, sono nella regione del collo frammiste alle cellule fondamentali, nella regione del corpo sono applicate alla superficie esterna di queste, dimodoché non raggiungono il lume ghiandolare (fig. 15); tuttavia il loro secreto arriva nel lume mediante un sistema di capillari scavati alla superficie delle cellule di rivestimento, e questi convergono in fessure interposte fra le cellule fondamentali.
Le ghiandole piloriche sono più tortuose e più ramificate di quelle del fondo; sono formate da un solo tipo di cellule simili alle cellule fondamentali (v. sopra). Il secreto fornito dalle ghiandole gastriche (succo gastrico) consta di due componenti: pepsina e acido cloridrico; mentre la prima è certamente elaborata dalle cellule fondamentali delle ghiandole del fondo e dalle piloriche, l'acido cloridrico è elaborato molto probabilmente dalle cellule di rivestimento.
Lo strato muscolare dello stomaco consta d'elementi muscolari lisci disposti in tre piani a direzione differente; il più esterno, strato longitudinale, è in continuità con lo strato omonimo dell'esofago e del duodeno; lungo la piccola curvatura (fig. 12) i suoi fasci sono raccolti in un nastro robusto; altri fasci meno cospicui, ma pure ininterrotti, decorrono lungo la grande curvatura, altri ancora sono sparsi sulla faccia anteriore e posteriore; al piloro s'insinuano tra i fasci circolari del piano sottostante. Quest'ultimo è ininterrotto per tutto lo stomaco e s'ispessisce nello sfintere pilorico, il terzo strato a fasci obliqui è costituito da anse, che con la concavità corrispondono al lato sinistro del cardias, con i due bracci decorrono sulle due facce dell'organo; sono numerose quelle che decorrono parallelamente alla piccola curvatura. Gli strati della muscolare sono uniti l'uno all'altro da connettivo ricco di fibre elastiche, in modo che, quando singoli elementi si contraggono, trasmettono il loro movimento a territorî più estesi (fig. 16). Con quale meccanismo lo stomaco fa progredire il suo contenuto attraverso l'orifizio pilorico nel duodeno? Le ricerche con metodo radiografico dimostrarono che corpo e fondo da un lato, e parte pilorica dall'altro, si comportano diversamente. Nelle due prime porzioni, per le contrazioni della muscolatura longitudinale e circolare, la parete s'adatta al suo contenuto, aderendo a esso e distribuendolo in modo uniforme; l'aria atmosferica frammista al bolo sale (a stazione eretta), verso il fondo (figura 17); solamente quando le contrattilità dello stomaco è compromessa, il contenuto ricade nella parte più declive e in tal caso al disopra di questa le pareti vengono a contatto. Invece nella porzione pilorica le contrazioni peristaltiche della parete fanno progredire di continuo il contenuto che v'arriva dal corpo spremendolo energicamente; il massimo del restringimento del lume si produce poco prima dell'orificio pilorico, all'ingresso del cosiddetto antro pilorico. L'azione dei fasci obliqui è diversa; essi favoriscono lo svuotamento dello stomaco stirandolo in alto, come quando si cerca di svuotare un sacco del suo contenuto. D'altro canto, se lo stomaco è molto disteso da gas, la contrazione di questi fasci rende più profonda l'incisura fra esofago e fondo e chiude l'apertura cardiaca a mo' di valvola; il refluire del contenuto verso l'esofago viene impedito.
Intestino. - L'intestino medio e terminale sono nei tipi primitivi di Vertebrati rappresentati da un canale rettilineo, il quale s'estende dal piloro all'ano, congiunto alla parete dorsale del tronco da una piega peritoneale (mesentere dorsale). L'intestino medio e terminale sono separati l'uno dall'altro da una piega anulare sporgente nel lume, la valvola ileocecale. Nell'intestino medio si producono due processi d'importanza essenziale per la nutrizione: trasformazione delle sostanze introdotte, per opera di fermenti secreti da ghiandole, e assorbimento. Poiché le due più grosse ghiandole dell'intestino, il fegato e il pancreas, sboccano nel tratto iniziale dell'intestino medio, i secreti di quelle possono agire per lungo tempo sul contenuto intestinale; questo risultato è raggiunto in molte specie anche per altra via, con un incremento in lunghezza dell'intestino medio, il quale incremento è in linea generale di più alto grado negli erbivori che nei carnivori, e riesce tanto più vantaggioso agli effetti della digestione, in quanto la parete dell'intestino medio contiene un immenso numero d'altre piccolissime ghiandole, il secreto delle quali ha pur esso azione digerente sugli alimenti. Inoltre la maggior lunghezza dell'intestino medio, associata a un'estensione della superficie assorbente (per la formazione di pieghe mucose e di villi) favorisce il più veloce assorbimento degli alimenti. In molti Pesci (Ciclostomi, Dipnoi, alcuni Teleostei) persiste nell'intestino medio e terminale la forma primitiva di canale rettilineo; in altri Teleostei invece l'intestino medio, per la sua notevole lunghezza descrive delle anse in numero variabile, in relazione alla forma del corpo. Nell'intestino medio delle specie inferiori vi è una piega spirale della mucosa (fig. 18); nei Teleostei superiori questa scompare e la riduzione della superficie assorbente che ne deriva è in tal caso compensata da una maggior lunghezza del canale. Nel tratto iniziale dell'intestino di alcuni pesci vi sono diverticoli a fondo cieco (appendici piloriche), privi di ghiandole e che hanno perciò funzione semplicemente assorbente, non digerente. Negli Anfibî l'intestino medio è molto sviluppato; notevole è la sua lunghezza, specialmente nelle larve di Anuri; si accorcia con la metamorfosi, in grado maggiore se all'animale fu somministrata nutrizione carnea; l'intestino terminale è breve. Nei Rettili l'intestino medio di rado ha una lunghezza maggiore del tronco; solamente nei Cheloni è avvolto su sé stesso in anse. Negli Uccelli ha una lunghezza rilevante, soprattutto nelle specie granivore e carnivore, in confronto alle insettivore e frugivore. Nei Mammiferi sia l'intestino medio (tenue) sia il terminale (crasso) sono considerevolmente lunghi, più negli erbivori che nei carnivori; il che favorisce nei primi la trasformazione nel crasso della cellulosa per opera dei batterî. Fra l'uno e l'altro v'è sempre un limite netto ed esiste un ispessimento della muscolatura, il quale può temporaneamente occludere il lume intestinale (valvola ileo-colica). Il lungo crasso dei Mammiferi è omologo all'intestino terminale degli altri Vertebrati solo per la parte caudale, che s'approfonda nella cavità pelvica (intestino retto), mentre tutto il rimanente (colon) è acquisizione nuova. Nei Mammiferi dalla parte iniziale del crasso parte un tratto d'intestino terminale a fondo cieco (intestino cieco), il quale del resto esiste anche in Rettili e Uccelli, e anzi in questi ultimi ha, in singole specie, enorme lunghezza. Esso ha forma e lunghezza variabili: piccolo nei Carnivori e nei Chirotteri, lunghissimo negli Erbivori, manca solo in singole specie (in alcuni Insettivori, nell'Ippopotamo); fra l'estensione del cieco e quella del rimanente del crasso v'è compenso. In singole forme l'estremità del cieco è divenuta sottile (processo vermiforme): in alcuni Roditori, negli Antropoidi, nell'uomo.
Nell'uomo, l'intestino (v.) tenue e crasso differiscono per calibro, forma esterna, struttura e funzione. Il tenue ha un calibro minore del crasso, il primo ha una parete uniforme, mentre il crasso presenta delle gibbosità. L'intestino tenue è lungo in media metri 6,80; si suddivide in duodeno e intestino mesenterico. Il duodeno ha sede profonda, essendo applicato alla parete posteriore dell'addome; forma un anello incompleto che accoglie nella sua concavità la testa del pancreas (fig. 19). La prima parte (superiore), breve, mobile, è da ogni lato coperta dal peritoneo e congiunta all'ilo del fegato da una piega peritoneale, legamento epato-duodenale, in continuità col legamento epato-gastrico (complessivamente le due pieghe costituiscono il piccolo omento); dietro la prima porzione del duodeno decorrono il condotto coledoco e i vasi sanguigni che si portano al fegato; il duodeno si volge poi indietro, sotto il lobo quadrato del fegato e ripiega continuandosi nella parte discendente più lunga, che decorre a destra della colonna vertebrale; è ricoperta solo anteriormente dal peritoneo che la mantiene fissa; è incrociata dall'inserzione del mesocolon trasverso; il dotto cóledoco l'attraversa insieme col dotto pancreatico, determinando una piega della mucosa sporgente in cavità, per aprirsi alla sommità di un rilievo (papilla maggiore); a livello dell'estremità inferiore del rene il duodeno s'inflette verso sinistra, dapprima con tragitto orizzontale, poi obliquo in alto, incrociando l'arteria aorta e la vena cava inferiore; all'altezza della seconda vertebra lombare si continua nell'intestino mesenterico, formando con questo un angolo acuto (flessura digiuno-duodenale, fig. 19). L'intestino mesenterico è il tratto incomparabilmente più lungo del tenue; in avanti è in rapporto con la parete addominale anteriore; descrivendo molte flessuosità (fig. 20) arriva alla fossa iliaca destra all'altezza della prima vertebra lombare e sbocca nell'intestino cieco; con le sue anse occupa a preferenza la parte media e inferiore dell'addome, spingendosi in basso nella piccola pelvi, ed è circondato dall'arco formato dall'intestino crasso. Di solito è disteso da gas; soltanto il suo tratto distale (ileo) contiene il prodotto della digestione (chimo); il tratto prossimale a lume più ampio (digiuno) per lo più non ne contiene; fra digiuno e ileo non v'è limite netto. È avvolto in quasi tutta la sua circonferenza dal peritoneo; lungo il margine concavo dell'intestino le due pagine peritoneali s'accollano formando una lamina, il mesenterio, nella quale decorrono i vasi e i nervi che vanno e vengono dall'intestino; il mesenterio è paragonabile a un ventaglio con manico troncato, aderente alla parete addominale posteriore e con un margine convesso increspato aderente all'intestino; brevissimo all'origine e alla terminazione, è relativamente alto nella sua parte media, che perciò è molto mobile. La mucosa dell'intestino tenue si solleva dal lato della superficie libera in pieghe trasversali permanenti (valvole conniventi; fig. 21); sono caratteristiche dell'uomo, mancano soltanto nella parte superiore del duodeno e nell'ultima parte dell'ileo, sono situate perpendicolarmente all'asse del tenue; di rado formano un anello completo, per lo più si estendono per un segmento della circonferenza. Nella superficie libera della mucosa di tutto il tenue dell'uomo e dei Mammiferi si vedono con una lente piccole e fitte sporgenze di 0,2-1,5 mm. di altezza, i villi intestinali (figg. 21, 22), prevalentemente a forma lamellare; in minor numero (almeno nell'uomo) sono quelli cilindrici; sono in numero di 12-14 per millimetro quadrato; il loro numero complessivo ammonta a circa quattro milioni. Per la presenza dei villi e delle valvole conniventi la superficie assorbente del tenue acquista un'estensione, che, relativamente a quella dell'organo, è grandissima. Negl'intervalli fra i villi sboccano ghiandole tubulari semplici, rettilinee, le cripte di Galeazzi, pur esse molto numerose, che col fondo cieco terminale arrivano sino alla muscularis mucosae, al limite fra mucosa e sottomucosa. Nel duodeno vi sono, oltre alle cripte di Galeazzi, ghiandole tubulari composte (di Brunner) contenute nella mucosa; sono numerosissime e grosse all'anello pilorico, divengono rade al disotto dello sbocco del coledoco. Hanno struttura simile alle ghiandole piloriche, alle quali del resto si collegano per forme di transizione.
All'osservazione microscopica la mucosa di tutto il tenue appare rivestita da un epitelio prismatico semplice; le cellule epiteliali del villo destinate all'assorbimento del contenuto intestinale, e sono la grande maggioranza, sono alte e provviste d'un orletto cuticolare finamente striato; altre intercalate fra esse secernono mucina (cellule caliciformi). L'epitelio che tappezza le cripte di Galeazzi nella parte prossimale è simile a quello del villo, ma verso il fondo le prime si trasformano in elementi indifferenti, che si riproducono per mitosi; gli elementi giovani, derivati da divisione, sospinti in alto, si differenziano in cellule epiteliali con orletto e in cellule caliciformi, e cosi sostituiscono di continuo le cellule epiteliali del villo regredite (G. Bizzozero). Nel fondo delle cripte di Galeazzi vi sono pure cellule secernenti, ripiene, nella parte distale del corpo cellulare, di grossi granuli (cellule di Paneth). Le ghiandole di Galeazzi producono il succo enterico; ma è probabile che anche nei villi la funzione secernente non sia limitata alle cellule caliciformi, bensi estesa anche alle cellule con orletto striato. La parte del villo sottostante all'epitelio ha la stessa struttura del restante della mucosa intestinale; lo stroma a fibre collagene sottili contiene una delicata rete d'elementi muscolari lisci in continuità con la muscolaris mucosae, e un apparato vascolare sanguigno e linfatico; ciascun villo possiede uno o più (nei villi lamellari) vasi linfatici assili dilatati a clava (chilifero del villo); dopo un pasto abbondante i chiliferi si riempiono di grasso. Fra il chilifero e l'epitelio ha sede una ricca rete formata dai capillari sanguigni interposta fra le piccole arterie e la vena propria del villo; l'uno e l'altra (nei villi lamellari vi sono varie arterie e varie vene) fanno capo alla rete vascolare che ha sede nella sottomucosa. Se il sangue affluisce in maggior quantità, il villo s'erige; mentre le contrazioni delle cellule muscolari del villo hanno azione antagonista, determinando contrazioni periodiche, le quali facilitano l'assorbimento del chimo. Il villo è provvisto di fibre nervose sensitive che terminano nell'epitelio, e motrici, che innervano le cellule muscolari del villo. Nello stroma del villo vi sono molti linfociti, una parte dei quali attraversa l'epitelio e regredisce nel lume dell'intestino; altri linfociti assumono goccioline di grasso ed emigrano nell'interno dei chiliferi. La mucosa del tenue contiene un gran numero di noduli linfatici; hanno il volume d'un grano di miglio ma in singole regioni (specie nell'ileo) si riuniscono in aggregati di 1-4 cm. di lunghezza (placche di Peyer, 20-30 in tutto l'intestino). I noduli si sviluppano primitivamente nel corion della mucosa, poi perforano la muscolaris mucosae e invadono la sottomucosa, ove acquistano maggior volume; hanno adunque aspetto piriforme. Hanno sostanzialmente la stessa struttura degli altri noduli linfatici. La tonaca sottomucosa della parete del tenue è sottile; contiene i vasi e i nervi destinati alla mucosa. La tonaca muscolare a cellule lisce consta d'uno strato interno più cospicuo a fasci circolari, d'uno strato esterno a fasci longitudinali. Le contrazioni della muscolare del tenue determinano due ordini di movimenti: peristaltici gli uni, molto lenti, che fanno progredire il chimo, pendolari gli altri, che lo rimescolano; tali movimenti, portando alternativamente in contatto con la mucosa le varie parti del contenuto, ne favoriscono l'assorbimento.
L'intestino crasso fa seguito al tenue: forma una lunga ansa che inquadra il tenue, discende nella pelvi e termina nell'ano. Si distingue dal tenue perché più fisso, per il maggior calibro, per l'aspetto esterno e per particolarità di struttura. Vi si distinguono tre segmenti, il cieco, il colon e l'intestino retto.
Il crasso è percorso longitudinalmente da tre nastri muscolari più corti della lunghezza reale dell'intestino, che determinano perciò un increspamento della parete di questo; esaminato dall'esterno vi si vedono alcune gibbosità delimitate da solchi trasversali; sulla superficie interna alle prime corrispondono tasche emisferiche, ai secondi pieghe semilunari sporgenti nella cavità dell'intestino.
Il cieco con l'appendice vermiforme e ileo-cecale (v. cieco, intestino; appendice ileo-cecale) è posto al disotto dello sbocco del tenue; se disteso è in forma di sacca emisferica, se vuoto e contratto, è conico. Risiede nella fossa iliaca destra, riempiendola del tutto, se molto disteso. Sulla sua parete sinistra v'è l'orificio dell'ileo in forma di due pieghe sporgenti, che formano la valvola del colon (ileo-cecale). Se la pressione nel cieco è maggiore che nell'ileo, i labbri della valvola sono ravvicinati ed è ostacolato il reflusso del contenuto del cieco nell'interno dell'ileo; ma la valvola non è a perfetta tenuta ed è perciò possibile, quando la pressione nel cieco diviene molto rilevante, che gas e liquidi refluiscano dal cieco nel tenue. D'altra parte quando la pressione nell'ileo aumenta, i labbri della valvola si discostano e il contenuto dell'ileo passa nel cieco. Al disotto della valvola del colon vi è l'orificio del processo vermiforme. Quest'ultimo ha per lo più forma cilindrica e ha una lunghezza di circa 9 cm. La sua cavità è stretta, e può obliterarsi in età inoltrata. Normalmente è vuoto e contiene muco. Il processo vermiforme corrisponde al tratto distale dell'intestino cieco molto sviluppato nei Rettili, negli Uccelli e anche in alcuni Mammiferi (vedi sopra); in tutti i Vertebrati è caratterizzato da una ricca infiltrazione linfoide. Nel feto è relativamente molto più sviluppato che nell'adulto; a partire dal 5° mese di vita intrauterina l'appendice non s'accresce in proporzione al rimanente dell'intestino.
Nel colon (v.) si distinguono diverse porzioni: colon ascendente, che sale verticalmente al davanti del rene, e al disotto del fegato ripiega medialmente (flessura destra del colon), per continuarsi nel colon trasverso, il quale costeggia la grande curvatura dello stomaco. Al disotto della milza ripiega in basso (flessura sinistra del colon) continuandosi nel colon discendente, situato lungo il margine laterale del rene. Il tratto che traversa la fossa iliaca sinistra viene denominato colon iliaco; questo si continua in un'ansa situata nella cavità pelvica, il colon pelvico. A livello della 3ª vertebra sacrale il colon pelvico si continua nell'intestino retto.
Dei varî tratti del colon l'ascendente e il discendente sono di regola fissati alla parete addominale dal peritoneo che li ricopre, il colon trasverso è invece congiunto alla parete da una lunga piega, il mesocolon trasverso. Pure fisso è il colon iliaco, mentre il colon pelvico è provvisto d'una piega peritoneale ed è perciò mobile.
L'intestino retto segue la concavità sacro-coccigea; più oltre, prima d'aprirsi nell'apertura anale, descrive una curva (perineale) a concavità posteriore che guarda verso la punta del coccige. Poco al disotto del suo inizio il retto si dilata nell'ampolla rettale, specialmente ampia nei vecchi e negl'individui nei quali s'ha abitualmente ristagno di feci. Il retto è ricoperto dal peritoneo soltanto nella sua parte alta. La faccia posteriore del retto pelvico è in rapporto col sacro, l'anteriore con varî organi contenuti nel cavo pelvico (nel maschio vescica, vescichette seminali, prostata; nella femmina utero e vagina). Sulla superficie interna del retto vi sono 4-5 pieghe trasversali permanenti a forma semilunare. Circa un centimetro al disopra dell'ano la mucosa si solleva in rilievi verticali permanenti, colonne rettali (di Morgagni), riunite in basso da pieghe trasversali semilunari, concave in alto; delimitano fossette a nido di piccione (seni rettali). Sopra i seni una zona della mucosa è increspata per l'azione del muscolo sfintere, in pieghe radiate in continuità nel tegumento dell'apertura anale; in essa si vedono rilievi dovuti a dilatazioni del plesso venoso (emorroidario).
La struttura della mucosa dell'intestino crasso concorda nei punti essenziali con quella del tenue, ne differisce per l'assenza di pieghe circolari e di villi; perciò la sua superficie è liscia. Le ghiandole di Galeazzi sono numerosissime, più lunghe che nel tenue e ricche di cellule mucipare. La muscolatura longitudinale si raccoglie in tre tenie. Nel crasso i residui del chimo non assorbiti nel tenue, progrediscono per movimenti peristaltici, sono ulteriormente elaborati per l'azione del succo enterico, della bile, e dei batterî della putrefazione; inoltre si mescolano a grandi quantità di muco prodotto dalle cellule mucipare del crasso, e infine si concentrano, perché la parete del crasso assorbe acqua.
Nel retto la tonaca muscolare è molto sviluppata; i fasci circolari s'addensano specialmente all'estremità inferiore del retto, costituendo il muscolo sfintere interno dell'ano (costrittore involontario); in corrispondenza dell'orificio anale si trova un muscolo striato a fasci circolari, lo sfintere esterno; in questa regione la muscolatura del retto ha intime connessioni con un altro muscolo, l'elevatore dell'ano, il quale s'inserisce alla parete pelvica: questi due muscoli a fibre striate entrano in azione per influenza della volontà, trattenendo le materie fecali, quando il contenuto del retto determina in via riflessa lo stimolo alla defecazione.
Due grosse ghiandole riversano il secreto nel duodeno, il fegato e il pancreas.
Fegato. - Il fegato (v.) in tutti i Vertebrati sbocca nel primo tratto dell'intestino medio; ha sempre un volume considerevole; può avere forma allungata, oppure, più spesso, è sviluppato in senso trasversale, a seconda della forma del corpo; per lo più vi s'apprezzano due lobi. Nell'uomo risiede nell'ipocondrio destro, nell'epigastrio e si spinge col lobo sinistro sin nell'ipocondrio sinistro; è appiattito, più grosso a destra che a sinistra, a contorno quadrangolare con angoli arrotondati, di colorito rosso bruno, del peso di 1500 gr. (1: 36 del corpo); è friabile; se sottoposto a pressioni forti può lacerarsi anche in vita; inoltre per la sua scarsa consistenza conserva l'impronta d'una pressione circoscritta. La sua faccia superiore è liscia, convessa, l'inferiore ineguale, concava; la superficie posteriore è più alta a destra che a sinistra; il margine anteriore è tagliente, l'orlo destro ottuso, il sinistro aguzzo. La sua faccia superiore ricoperta dal peritoneo è in contatto col muscolo diaframma; una piega peritoneale sagittale, il legamento falciforme del fegato, separa, ma soltanto alla superficie, due lobi; il destro è molto più voluminoso. La superficie inferiore è pure in gran parte rivestita dal peritoneo; ricopre una parte dello stomaco, come pure una parte del primo e del secondo tratto del duodeno, la flessura colica destra, la parte superiore del rene destro e la ghiandola surrenale destra; vi sono varî solchi, che complessivamente formano un H (fig. 23), l'uno trasversale, la porta o ilo del fegato, al quale s'imerisce il piccolo omento (v. sopra); fra le sue due pagine decorrono il condotto coledoco, la vena porta, l'arteria epatica e i nervi destinati al fegato; in corrispondenza dell'ilo del fegato i vasi sanguigni si dividono e i condotti epatici convergono in un tronco unico. Ricorderemo a questo punto che la vena porta, la quale adduce al fegato un contributo di sangue incomparabilmente superiore a quello dell'arteria epatica, ha le sue radici nello stomaco, in tutto l'intestino, nel pancreas e nella milza. La fossa sagittale destra è suddivisa in due segmenti; l'anteriore, in cui è accolta la cistifellea, s'estende dal margine acuto fino all'ilo; il posteriore, che s'estende sino all'orlo posteriore del fegato, accoglie la vena cava; un rilievo di sostanza epatica (processo caudato) separa i due segmenti. La fossa sagittale sinistra, che separa il lobo destro del fegato dal sinistro è continua, ma può essere pure suddivisa in un segmento anteriore contenente un cordone fibroso, il legamento rotondo del fegato, il quale si prolunga nel margine libero del legamento falciforme; questo legamento rappresenta il residuo della vena ombelicale regredita, che nel feto adduce al fegato il sangue refluo dalla placenta; la parte posteriore della fossa sagittale sinistra contiene pure un cordone fibroso (legamento venoso); rappresenta il residuo d'una vena, il condotto venoso (di Aranzio), che nel feto unisce la vena ombelicale con la vena cava inferiore.
Fra i due tratti anteriori dei solchi sagittali è compreso il lobo quadrato del fegato, fra i tratti posteriori un altro piccolo lobo, quasi peduncolato, il lobo caudato (di Spigelio). La faccia posteriore è alquanto incavata, adattandosi alla convessità della colonna vertebrale. È formata a destra dalla faccia posteriore del lobo destro, sprovvista di peritoneo, compresa fra le due pagine d'una piega peritoneale, il legamento coronario, le quali dalla faccia superiore e inferiore del fegato si gettano sul diaframma. Verso sinistra le due pagine del legamento coronario s'avvicinano, e presso l'estremità sinistra s'uniscono; in questa faccia si scorge, da destra verso sinistra, la continuazione della fossa della vena cava, che in alto si slarga per ricevere la fossa del dotto venoso; poi sempre sulla faccia posteriore si trova la continuazione del lobo caudato e l'impronta determinata dall'esofago.
Il fegato ha funzioni molteplici; è una ghiandola esocrina, il secreto della quale, la bile, si raccoglie nel condotto epatico; ed è nello stesso tempo una ghiandola endocrina a funzioni estremamente complesse; vi si produce la sintesi dell'urea; ha una parte essenziale nel metabolismo degl'idrati di carbonio e dei grassi; neutralizza sostanze tossiche che vi provengono dall'intestino mediante il sangue della vena porta. Tanto alla funzione esocrina che all'endocrina adempie la cellula epatica.
Nella forma primitiva di fegato (negli Anfibî e nei Rettili) le unità secernenti sono veri tubuli, in comunicazione con le radici dei dotti biliferi; simili a quelle d'altre ghiandole tubulari composte, ne differiscono perché anastomizzati a rete e per il grande sviluppo dei capillari di secrezione, dimodoché il secreto può procedere in varie direzioni, anziché in una sola. Inoltre la rete di capillari sanguigni assume uno sviluppo considerevolissimo per l'istituirsi della funzione endocrina (fig. 26). Nei Mammiferi adulti la costituzione tubulare del fegato non è più riconoscibile, o lo è a stento, perché i lumi dei tubuli, ridotti a sottilissime fessure, interposte fra le cellule secernenti (capillari biliari [figg. 24-25]) non si distinguono più dai capillari di secrezione, divenuti numerosi al punto che in ciascuna maglia della rete può essere compresa una sola cellula epatica (ghiandola labirintica secondo Braus). La rete dei capillari biliari si continua alla periferia del lobulo epatico nelle radici dei dotti biliferi, i quali, a differenza dei capillari biliari, hanno parete propria; fra le cellule epatiche, le quali delimitano i capillari biliari, e le cellule epiteliali dei condotti biliferi, v'è alla periferia del lobulo continuità diretta.
Ma l'enorme sviluppo del sistema dei capillari di secrezione non è il solo fattore che imprime al fegato dei Mammiferi la sua particolare impronta; vi contribuiscono pure il divenir più estesi i rapporti delle cellule secernenti coi capillari sanguigni, al fine di favorire la secrezione esocrina dell'organo.
Il fegato è suddivisibile in un immenso numero d'unità i lobuli epatici, di 1-2,5 millimetri di diametro, e perciò visibili a occhio nudo, a forma di poliedri a sei facce, con una base e un apice tronco. I lobuli sono delimitati in modo più o meno completo nei varî Mammiferi (nell'uomo in modo imperfetto) da sepimenti di connettivo, che accompagnano i vasi sanguigni provenienti dall'ilo del fegato, e i rami dei condotti epatici, che vanno dagli spazî interlobulari verso l'ilo. I rami interlobulari della vena porta dànno brevi ramuscoli collaterali, i quali si risolvono nell'interno del lobulo in una ricca rete capillare a tre dimensioni, orientata radialmente dalla periferia verso l'asse del lobulo, ove sboccano direttamente in una vena (vena centrale); tale vena percorre l'asse del lobulo dall'estremità alla base, e più oltre le vene centrali si raccolgono in vene sottolobulari; queste convergono in tronchi di calibro crescente, diretti verso la superficie posteriore del fegato, e là fanno capo alle vene epatiche affluenti della vena cava. I capillari sanguigni del lobulo, intercalati fra il sistema della vena porta e quello della vena cava, hanno calibro eccezionalmente ampio (sinusoidi) e una struttura particolare, di cui diremo fra breve. I capillari provenienti dall'arteria epatica si distribuiscono al connettivo interlobulare, alle pareti dei canali biliari e partecipano soltanto in piccola misura alla circolazione intralobulare.
Nelle maglie della rete dei capillari portali è compresa un'altra grossolana rete a tre dimensioni formata da cordoni e da placche di cellule epatiche, dirette radialmente dalla periferia verso l'asse del lobulo e fra loro anastomizzati; inoltre queste due reti s'intrecciano con quella dei capillari biliari situati negl'interstizî fra le cellule epatiche. Nel citoplasma delle cellule epatiche v'è un fitto intreccio di condrioconti, inoltre di granuli e gocce di varia natura e in diversa quantità, a seconda che l'animale sia a digiuno o sia stato alimentato; dopo un pasto ricco d'idrati di carbonio si vedono le cellule ripiene di masse di glicogeno; se invece l'animale sia stato nutrito con grasso e carne, vi prevalgono goccioline di grasso e granuli di natura proteica. Le cellule hanno forma di poliedri, nei quali le facce piane s'alternano con altre più ristrette incavate (fig. 25); ciascun capillare biliare è delimitato da due solchi scavati sulle facce piane a contatto di due cellule epatiche, le quali in quel punto presentano un addensamento del citoplasma. Le facce incavate delle cellule aderiscono intimamente alla parete dei capillari sanguigni; fra l'endotelio del capillare sanguigno e la superficie della cellula epatica è interposta una sottile membranella di tessuto reticolare (fig. 26). Queste complesse disposizioni favoriscono ad un tempo nel fegato dei Mammiferi la funzione esocrina e l'endocrina; il deflusso della bile è facilitato dall'immensa estensione del sistema dei capillari biliari e dalle numerose anastomosi esistenti fra di essi; d'altra parte le superficie di contatto delle cellule epatiche con i capillari sanguigni si sono estese al massimo possibile, il che favorisce il passaggio degli ormoni in circolo. I capillari sanguigni del lobulo epatico si distinguono da quelli di altri organi, oltre che per la maggiore ampiezza, per la struttura: l'endotelio è costituito da un sincizio di cellule a forma stellata (cellule di Kupffer), con prolungamenti ramificati, le quali hanno la proprietà di assumere in grande quantità i colori vitali acidi (trypanblau, carminio) iniettati in circolo, e hanno pure spiccato potere fagocitico; assumono particelle solide circolanti nel sangue (inchiostro di China, batterî, eritrociti, nuclei di leucociti, ecc.) e possono allora aumentare enormemente di volume. Alle cellule di Kupffer che per queste proprietà rientrerebbero nel grande gruppo degli istiociti (sistema reticolo-endoteliale), furono attribuite funzioni molteplici; parteciperebbero all'elaborazione dei pigmenti biliari a spese dei frammenti d'eritrociti fagocitati e per il loro potere fagocitico avrebbero una parte essenziale nella difesa dell'organismo contro le infezioni.
Le vie d'escrezione iniziali del prodotto dell'attività esocrina del fegato, della bile, sono i più sottili condotti biliferi intraepatici (fig. 27) in continuità con le reti dei capillari biliari intralobulari; risiedono negli spazî interlobulari, sono riccamente anastomizzati da un epitelio prima pavimentoso, poi cubico; confluiscono in vasi di calibro sempre crescente, avvolti da prolungamenti di connettivo dell'ilo (capsula di Glisson) e finiscono per far capo all'ilo del fegato in due grossi canali che confluiscono nel condotto epatico; quest'ultimo, di 2-3 cm. di lunghezza, dall'ilo del fegato si porta nella porzione epato-duodenale del piccolo omento, finché riceve lo sbocco del dotto cistico, canale escretore della cistifellea, vescichetta nella quale la bile si raccoglie (v. cistifellea); dopo questo punto il condotto escretore del fegato prende il nome di condotto coledoco, continua a decorrere nel piccolo omento lungo il suo margine libero, a destra della vena porta e dell'arteria epatica (la vena porta risiede in un piano posteriore), poi dietro la parte superiore del duodeno, più oltre ancora in una doccia scavata sulla faccia posteriore del pancreas; finisce col raggiungere la parete della parte discendente del duodeno, nella quale sbocca. Complessivamente il coledoco misura 43 mm. di lunghezza.
Pancreas. - Il pancreas può avere aspetti diversi nei varî Vertebrati; nei Selaci è un organo compatto; in alcuni Teleostei invece consta di lunghi tubuli ramificati, diffusi lungo i vasi e specialmente lungo i rami intraepatici della porta; oppure s'estendono nell'interno della milza e per tutto l'intestino; il canale escretore di questo pancreas diffuso sbocca presso il coledoco. Negli Anfibî e Rettili il pancreas risiede nell'ansa formata da stomaco e duodeno. Nei Mammiferi il pancreas tende a divenire più compatto; si ricollegano però alle disposizioni costanti nei Teleostei quei casi, certo non comuni, riscontrati nei Mammiferi e nell'uomo, di pancreas accessorî in varie porzioni della parete del digiuno e dell'ileo.
Nell'uomo è un organo a forma di prisma allungato, orientato trasversalmente; descrive lievi curve a S; risiede sulla parete addominale posteriore dal duodeno alla milza, in rapporto da destra verso sinistra, successivamente col coledoco, con la vena cava inferiore, con l'aorta, col diaframma, con la ghiandola surrenale, col rene sinistro. La sua fȧccia anteriore è ricoperta dal peritoneo ed è separata dallo stomaco mediante la borsa omentale. Si suddivide in testa, corpo e coda (fig. 19). La testa ha forma di martello e aderisce strettamente all'anello duodenale; dal margine sinistro della testa si diparte un prolungamento (processo uncinato) che, incurvandosi su sé stesso, risale dietro al corpo del pancreas, e accoglie in questa doccia la vena mesenterica superiore. Nel suo orlo superiore le vene mesenteriche e la vena lienale si riuniscono nella vena porta. Il corpo è prismatico triangolare, con una faccia inferiore molto stretta, ricoperta dal foglietto inferiore del mesocolon trasverso. Sulla sua faccia anteriore decorrono i vasi splenici; la sottile coda raggiunge l'ilo della milza. Il dotto escretore (di Wirsung) contenuto nello spessore del pancreas lo percorre da sinistra a destra, raccogliendo i condotti secondarî. Al limite fra corpo e testa ripiega nella parte inferiore della testa, finché s'accosta al coledoco e perfora con esso la parete del duodeno. Il condotto accessorio (di Santorini), molto più sottile del precedente, è situato nella parte superiore della testa, la sua estremità sinistra comunica col condotto pancreatico principale, ove questo descrive un gomito l'estremità destra sbocca nel duodeno all'apice della papilla minore.
La parte prevalente del parenchima del pancreas è una ghiandola esocrina e riversa il secreto nei canali pancreatici principale e accessorio; frammisti agli acini sierosi, ma ben delimitati da questi, sono sparse delle isole che, per la struttura e per altri argomenti di vario ordine, si ritiene siano costituiti da tessuto endocrino. Esistono in tutti i Vertebrati e anzi in alcuni Pesci sono riuniti in cumuli cospicui; nei Ciclostomi il pancreas è nella sua totalità costituito da tessuto simile agl'isolotti.
Il pancreas è adunque costituito da due tessuti morfologicamente e funzionalmente distinti, a differenza del fegato, nel quale alla funzione esocrina e endocrina adempie la stessa cellula. Il componente esocrino del pancreas ha struttura simile alle ghiandole sierose produttrici di fermenti (parotide, lacrimale), ed è come queste suddiviso in lobuli; i condotti escretori si ramificano in canalicoli di calibro decrescente; i più sottili canali interlobulari si continuano in canali preterminali sottili a epitelio basso, che si ramificano nell'interno dei lobuli, e si continuano in adenomeri costituiti da caratteristiche cellule secernenti; il tratto terminale del dotto preterminale si continua nella cavità dell'adenomero; analogamente a quanto avviene nelle ghiandole salivari sierose, il dotto preterminale è rimasto adunque invaginato dall'adenomero. Le cellule ghiandolari dell'adenomero hanno forma di cono tronco, nel citoplasma si scorgono lunghi condrioconti e grossi granuli di secreto, refrangenti a fresco, costituiti da zimogeno; dopo che i granuli sono stati emessi dalla cellula lo zimogeno si trasforma nel fermento definitivo. La quantità dei granuli varia in rapporto allo stato funzionale; in un animale digiuno occupano gran parte del citoplasma, dopo il pasto sono limitati alla parte distale della cellula. Le isole (di Langerhans) nell'uomo hanno da 0,i a 0,4 mm., di diametro; sono ben delimitate dagli adenomeri esocrini, talora mediante una membranella di connettivo; sono costituite da cordoni epiteliali a cellule poliedriche, in una o più file, riuniti a rete; nelle maglie son contenuti ampî capillari sanguigni, i quali hanno con le cellule epiteliali estesi rapporti. Esse riversano nel sangue un ormone, l'insulina (v.), destinato a scindere il glicogeno e che regola perciò il tasso del glucosio nel sangue circolante.
Embriologia dell'apparato digerente.
Il canale alimentare e i suoi annessi derivano principalmente dall'entoderma dell'embrione. Questo è una lamina epiteliale a un solo strato, la quale nel disco embrionario risiede al disotto dell'ectoderma e del mesoderma, e si continua lateralmente, di là dal disco embrionario, formando la parete del sacco vitellino. Nelle più giovani uova umane conosciute il sacco vitellino è molto piccolo ed è contenuto insieme con la vescicola amniotica entro al sacco coriale; il disco embrionale è interposto fra queste due vescicole. Già a questo periodo a tutto l'entoderma, sia a quello che corrisponde al corpo dell'embrione, sia a quello che limita il sacco vitellino, si sovrappone un sottile strato di mesoderma (splancnopleura). Via via che il disco embrionale s'allunga, e si trasforma nel corpo dell'embrione, anche l'entoderma s'accresce, ma non in modo uniforme; nella parte anteriore e posteriore del corpo dell'embrione si formano due insenature, l'intestino cefalico e posteriore; nella parte media la cavità delimitata dell'entoderma rimane aperta verso il sacco vitellino (fig. 28), anzi in questa regione non esiste limite fra intestino e sacco vitellino. I punti d'ingresso in quei due canali, intestino cefalico e posteriore, i quali col progredire dello sviluppo crescono molto in lunghezza, specialmente il primo, sono chiamati porta intestinale anteriore e posteriore. Ben presto un solco circolare strozza la parete del sacco vitellino, immediatamente al disotto del corpo dell'embrione; ne consegue che la porta intestinale anteriore e posteriore s'accostano molto (figura 29), e anche la parte media dell'intestino prende forma di un canale, il quale però rimane in comunicazione col sacco vitellino mediante il dotto onfaloenterico o vitellino, dapprima largo e che va diventando più angusto col progredire dello sviluppo (fig. 30). Nell'embrione umano alla fine della 4ª settimana della vita intrauterina il dotto vitellino è ancora abbastanza ampio, ma dopo la 5ª settimana s'oblitera diventando un cordone solido; soltanto eccezionalmente il suo tratto prossimale può persistere anche nell'adulto in forma di diverticolo dell'intestino. Lo sviluppo del sacco vitellino s'arresta e finisce col diventare una piccola vescicola piriforme unila da un lungo e sottile peduncolo al corpo dell'embrione (vescicola ombelicale).
L'estremità a fondo cieco della primitiva insenatura anteriore del canale intestinale è a contatto con l'ectoderma, depresso in quel punto in una fossetta (stomodeo); la sottile membrana ecto-entodermica (membrana faringea, fig. 29), che dapprima separa la cavità intestinale dallo stomodeo, si lacera (in embrioni umani alla fine del 1° mese) e così si costituisce l'apertura boccale. La parte dorsale dello stomodeo prima della rottura della membrana faringea forma un diverticolo (tasca di Rathke) il quale è l'abbozzo del lobo ghiandolare dell'ipofisi. La parte anteriore dell'intestino, che fa immediatamente seguito alla bocca primitiva, si slarga, e dalle sue pareti laterali derivano le tasche entodermiche branchiali (fig. 31).
Dalla parete ventrale del tratto caudale dell'intestino si diparte un diverticolo dapprima solido, poi cavo, il canale allantoideo; nel tratto di canale dilatato ad ampolla, situato caudalmente all'ingresso di quest'ultimo, sboccano ben tosto i due canali del mesonefro (di Wolff); ed è adunque, a questo stadio, comune all'intestino e all'apparato urogenitale (cloaca entodermica). L'estremità a fondo cieco della cloaca entodermica s'incontra con una depressione ectodermica (fossetta cloacale; fig. 32); una membrana cloacale ecto-entodermica chiude dunque in quel punto l'intestino.
La primitiva cloaca entodermica si prolunga caudalmente nella massa di cellule non differenziate, la quale costituirà la parte posteriore del tronco e la coda dell'embrione; in questa massa si scava l'intestino caudale; quest'ultimo a partire dalla fine della 5ª settimana regredisce, correlativamente alla scomparsa della coda.
Alla 5ª settimana di vita intrauterina s'inizia la separazione della cloaca entodermica in una parte ventrale (urogenitale) e in una dorsale (intestinale), mediante due pieghe longitudinali, che confluiscono in un setto (uro-rettale) a direzione frontale; questo alla metà del 2° mese raggiunge la membrana cloacale; così l'intestino terminale (retto) rimane separato dal canale urogenitale (abbozzo della vescica, dell'uretra e del seno urogenitale). Anche la fossetta cloacale, e per conseguenza la membrana cloacale, viene suddivisa in un segmento urogenitale e anale; quando queste due membrane si rompono, il retto e il canale genitale s'aprono all'esterno. L'analogia nel modo di formazione fra apertura boccale e anale è evidente. Abbiamo ricordato che in molti Vertebrati la separazione fra canale intestinale e urogenitale non si produce, e persiste anche nell'adulto una cavità comune (cloaca).
A questo punto diremo della prima origine delle pieghe peritoneali che uniscono singoli segmenti del canale alimentare alla parete del corpo. La cavità peritoneale è la porzione posteriore del celoma intraembrionario, che primitivamente si costituisce ai due lati dell'intestino, in forma di due fessure pari; esse suddividono le lamine laterali del mesoderma, in una lamina parietale (somatopleura) e in una viscerale (splancnopleura). Limitandoci a considerare i rapporti che l'intestino del tronco ha con la splancnopleura (nella regione della testa tali rapporti sono anche più complessi per la presenza del cuore ventralmente all'intestino), diremo che, per la formazione di queste fessure, esso è separato dalle pareti laterali dell'addome; dorsalmente e ventralmente rimane unito da pieghe mesodermiche, mesenterio ventrale e dorsale. Il primo persiste e subisce trasformazioni complesse per il rilevante accrescimento in lunghezza d'alcuni segmenti dell'intestino e degli spostamenti a cui essi sottostanno; il mesenterio ventrale nel tratto situato caudalmente al dotto vitellino regredisce appena costituito; così le due cavità celomatiche pari confluiscono in una cavità unica (fig. 33).
Molto precocemente appare nella regione del tronco, la quale più tardi corrisponderà al limite fra torace e addome, una massa di mesenchima situata trasversalmente (septum trasversum): separa la parte della cavità celomatica che è in rapporto col cuore, da quella da cui deriveranno le due cavità pleuro-peritoneali e che adunque rappresenta l'abbozzo del muscolo diaframma. Dal canale rettilineo e a sede mediana, che in embrioni umani al principio della 4ª settimana costituisce da solo tutto l'apparecchio digerente, derivano, oltre varî segmenti del canale alimentare, tutte le ghiandole annesse e l'apparato respiratorio.
Dopo la rottura della membrana faringea, a spese dello stomodeo e della parte anteriore dell'intestino branchiale si forma la cavità boccale primitiva; da questa derivano la cavità boccale definitiva, la faringe e le cavità nasali (v. bocca). I denti derivano dalla cresta dentaria (nell'embrione umano durante il 2° mese di vita intrauterina), per proliferazione del componente dell'epitelio boccale derivato dallo stomodeo; i denti (v.) sono adunque d'origine ectodermica, e l'entoderma non vi partecipa. La lingua deriva nell'embrione umano da due abbozzi riconoscibili sul pavimento della bocca fra la 5ª e la 6ª settimana; l'anteriore, costituito da un rilievo mediano (tubercolo linguale mediano) e da due rigonfiamenti pari del 1° arco branchiale, forma il corpo della lingua; l'abbozzo della radice della lingua deriva da un rilievo mediano (copula) formatosi dalle parti ventrali dei 2 archi branchiali, con partecipazione pure dei 3 archi. Dei due abbozzi che caratterizzano la lingua dei Vertebrati terrestri, soltanto il posteriore è omologo alla lingua dei Pesci. L'apparato polmonare deriva da una doccia che comincia a formarsi nell'embrione umano verso la fine della 4ª settimana sulla parete dell'intestino branchiale, fra le estremità ventrali del 5° arco (doccia laringo-tracheale), e si estende all'indietro sin presso l'abbozzo dello stomaco, situato a quest'epoca nella regione cervicale. Questa doccia si allunga, si separa mediante un setto, costituitosi per la fusione di due creste longitudinali, dal tratto corrispondente dell'intestino. La faringe dell'adulto corrisponde alla parte dell'intestino branchiale ove ha sede la doccia laringo-tracheale; dalle tasche branchiali situate sulla parete laterale di questo tratto d'intestino si differenziano gli organi endocrini di origine branchiale (paratiroidi, timo). La parte dell'intestino destinata a formare l'esofago è alla 5ª settimana un breve tratto ristretto tra faringe e stomaco; alla 6ª settimana esso s'allunga; il suo segmento superiore ha origine comune con la trachea e si separa del tutto da questa, dopoché il setto che separa i due organi si è completamente costituito. Il segmento inferiore dell'esofago deriva dal tratto del canale intestinale immediatamente precedente lo stomaco. Questo diviene riconoscibile alla 2ª metà della 4ª settimana come un lieve ispessimento trasversale dell'intestino; alla 5ª settimana cresce in direzione trasversale e in lunghezza, incomincia ad assumere la forma caratteristica e si sposta dalla testa verso il tronco; e mentre dapprima lo stomaco è situato nel piano sagittale mediano, in modo che il suo margine concavo risiede ventralmente, il margine convesso dorsalmente, ben presto, per un processo di rotazione del suo asse (in modo che stomaco e duodeno vengono a formare un S), e per l'ineguale accrescimento di quel margine, il primo diventa la piccola curvatura, il secondo la grande curvatura (alla 6ª settimana). Contemporaneamente, il tratto del canale situato caudalmente allo stomaco (intestino propriamente detto), che fino ad allora si manteneva rettilineo, incomincia a crescere in grado maggiore del tronco e perciò s'inflette. Verso la 5ª settimana il primo tratto d'intestino s'avvicina alla colonna vertebrale, formando la curva duodenale; e subito dopo il tratto successivo s'incurva in un'ansa, con convessità diretta ventralmente e in basso verso l'ombelico (ansa intestinale primitiva o ombelicale), dalla sommità della quale si diparte il dotto vitellino. Quest'ultima è accolta in un recesso del celoma, scavato nella parte prossimale del funicolo ombelicale. Nel braccio distale (inferiore) di quest'ansa, a una certa distanza dalla sua sommità, si forma una dilatazione affusata riconoscibile come l'abbozzo del cieco (fig. 34); e fino da tale momento si può stabilire il destino dei varî tratti dell'intestino primitivo. Il 1° tratto (duodeno), per la rotazione dello stomaco si sposta verso destra, ribattendosi contro la parete posteriore dell'addome; il braccio prossimale dell'ansa ombelicale e il tratto del distale situato davanti al cieco, si accresce velocemente e notevolmente in lunghezza; formerà le anse del digiuno e dell'ileo, una parte delle quali si spinge nel celoma extraembrionario (ernia ombelicale fisiologica); più tardi, quando l'anello ombelicale cutaneo s'oblitera (verso la 10ª settimana), quelle anse vengono sospinte nella cavità peritoneale dell'embrione. Il tratto del braccio distale dell'ansa situato dietro al cieco cresce pure in lunghezza, ma in minor grado; esso formerà il colon ascendente e il trasverso; il punto situato verso la colonna vertebrale, in cui il braccio distale dell'ansa s'inflette per discendere in basso, corrisponde alla flessura sinistra del colon; il tratto che da quel punto va sino all'ano (intestino terminale) originerà al colon discendente, iliaco, pelvico e retto (fig. 34).
Le metamorfosi per cui i varî tratti dell'ansa ombelicale e dell'intestino terminale acquistano la forma e la sede definitiva dipendono in parte da ineguale accrescimento dei varî tratti, in parte da complicati mutamenti di sede delle medesime; essenziale è il movimento di rotazione dell'ansa, dipendente dal suo allungamento, in avanti e a destra, in modo che il braccio distale dell'ansa spostato verso destra viene a incrociare dall'avanti il braccio prossimale (fig. 35): dapprima il cieco è situato molto in alto al disotto del fegato, poi per l'allungamento del braccio distale dell'ansa esso raggiunge la fossa iliaca destra. Correlativamente, il mesentere dorsale che unisce lo stomaco e l'ansa ombelicale alla parete posteriore dell'addome subisce trasformazioni molto complicate, le quali in parte dipendono da ineguale accrescimento dei suoi varî segmenti, in parte da coalescenza alla parete addominale di lamine peritoneali prima libere. Quando lo stomaco subisce la rotazione di cui è stato detto, il tratto di mesentere comune (mesogastrio dorsale), che parte dalla grande curvatura dello stomaco, s' allunga enormemente e si deprime in una tasca; da questa deriveranno un ampio recesso della cavità peritoneale (la borsa omentale) e il grande omento; l'ansa duodenale e il mesoduodeno si ribattono verso destra e si saldano al peritoneo parietale. Dal tratto successivo al mesentere comune derivano la piega del digiuno e dell'ileo, la quale cresce molto in altezza (mesenterio propriamente detto), e le pieghe che uniscono i varî tratti del colon alla parete; ma solo una parte di queste rimane (per es. parte del mesocolon trasverso); il mesocolon ascendente e discendente hanno esistenza transitoria, perché si ribattono contro la parete addominale posteriore e si saldano a essa; sicché quei due tratti d'intestino rimangono fissati alla parete dal peritoneo che li ricopre. Il mesogastrio ventrale è decomposto dalla presenza del fegato, che divarica le sue due propaggini in due segmenti: il piccolo omento e il legamento falciforme.
Tutte le ghiandole del canale alimentare si sviluppano da proliferazione dell'epitelio; il tessuto connettivo e i vasi penetrano negli abbozzi dopo che questi si sono costituiti e hanno un certo volume. Le grosse ghiandole salivari incominciano a divenire visibili nell'embrione umano dalla fine della 6ª settimana. Dapprima le due ghiandole sottomascellari in forma di creste epiteliali ai due lati del solco alveolo-linguale (in embrioni di 13-14 mm.), poi le parotidi come un bottone dell'epitelio della guancia, dietro l'angolo della bocca, infine le sublinguali. Le piccole ghiandole della bocca appaiono solo al 4° mese. Le modalità di sviluppo sono comuni a tutte. Le estremità di questi rilievi solidi emettono delle gemme; i primi corrispondono al canale escretore, le seconde al corpo ghiandolare; più tardi vi si scava un lume, e nella parotide e nella sottomascellare il canale escretore cresce in lunghezza, di modo che il corpo ghiandolare si allontana molto dalla sua matrice.
Fegato e pancreas derivano dall'epitelio di quel tratto dell'intestino embrionale situato dinnanzi alla porta anteriore, il futuro duodeno. L'abbozzo del fegato è riconoscibile assai presto; in embrioni (di Talpa) a 10 somiti è in forma di cordoni epiteliali provenienti dall'epitelio intestinale, che si spingono nel mesenchima e ben tosto si fondono in una massa unica; in embrioni umani di 2,5 millimetri si vede scavarsi in tale massa una doccia (insenatura epatica); questa accrescendosi invade il mesogastrio ventrale e cranialmente si spinge nel setto trasverso (vedi sopra); l'abbozzo del fegato si suddivide in due diverticoli, il craniale diventerà il dotto epatico, il caudale il cistico (in embrioni umani di 7,5 mm.); da quest'ultimo deriverà anche la cistifellea; il tratto prossimale comune ai due diverticoli, il quale cresce rapidamente in lunghezza, diventerà il dotto coledoco. Ma già molto prima (in embrioni umani di 2,7 mm.) dalla parte craniale dell'insenatura epatica e più tardi dal diverticolo epatico, si formano trabecole di cellule epatiche che s'accrescono con grande rapidità nel mesogastrio ventrale; esse costituiscono una rete, nelle larghe maglie della quale sono compresi capillari sanguigni, provenienti dalle vene onfalomesenteriche. In embrioni umani di 5 mm. il fegato è un organo relativamente voluminoso, il quale, insieme col septum trasversum, contribuisce a separare la cavità peritoneale dalle due cavità pleurali; e l'incremento di volume continua in misura anche maggiore in periodi successivi, tanto che in un embrione di 31 mm. di lunghezza la sua massa rappresenta il 10% del volume del corpo; in seguito cresce meno, e dopo la nascita diminuisce molto, venendo a mancare a quest'organo il contributo di sangue addotto dalla vena ombelicale. Inoltre, mentre durante i primi 4 mesi di vita fetale il fegato è simmetricamente sviluppato nelle due metà del corpo, successivamente la sua parte sinistra si riduce. La secrezione della bile incomincia al 3° mese di vita fetale; durante la 2ª metà della gravidanza ne viene prodotta in grande quantità e diventa uno dei costituenti principali del meconio. Durante il periodo embrionale e fetale al fegato spetta funzione ematopoietica oltre che secretoria, e anzi i capillari del fegato sono allora la sorgente più importante degli eritrociti.
Il pancreas deriva dall'epitelio di quel tratto d'intestino che diventerà il duodeno, a spese di due abbozzi, dorsale e ventrale (fig. 37); il primo, situato nel mesenterio dorsale, è il più precoce (è riconoscibile in embrioni umani di 3 mm.); il secondo ha sede nel mesenterio ventrale. I due abbozzi pancreatici sono in rapporto intimo con quello epatico, e complessivamente costituiscono una massa anulare, la quale circonda l'intestino. Con modalità analoghe a quelle illustrate per altre ghiandole, gli abbozzi primitivi formano i canali escretori, mentre dalle gemme laterali che precocemente appaiono deriverà la massa ghiandolare; negli uni e nelle altre in un secondo tempo si scava un lume. Gl'isolotti pancreatici si differenziano molto più tardi dai canalicoli primitivi. Il destino dei due abbozzi è diverso; dal dorsale derivano il condotto accessorio e la massa principale del pancreas, dal ventrale il condotto principale, (il quale sbocca nel duodeno assieme al condotto coledoco) e una parte della testa. Più tardi i due abbozzi si fondono, e per lo spostamento della gemma dorsale tutte e due rimangono compresi nel mesenterio dorsale. Infine, per un'anastomosi che si stabilisce fra i due canali escretori, quello del pancreas ventrale assume maggiore importanza e raccoglie anche il secreto del pancreas dorsale.
Bibl.: C. Gegenbauer, Vergleichende Anatomie der Wirbeltiere, II, Lipsia 1901; F. Kopsch, in Rauber's Lehrbuch der Anatomie des Menschen, IV, Lipsia 1911; E. Keibel e E. Mall, Handbuch der Entwicklungsgeschichte des Menschen, II, Lipsia 1911; F. Merkel, Die Anatomie des Menschen, Wiesbaden 1915; H. Braus, Anatomie des Menschen, II, Berlino 1924; P. Poirier e A. Charpy, Traité d'anatomie humaine, IV, Parigi 1924; G. Chiarugi, Istituzioni di anatomia dell'uomo, III, Milano 1925; W. v. Möllendorf, Handbuch der mikroskopischen Anatomie des Menschen, Berlino 1927; P. N. Kamper, ecc., Vergleichende Anatomie der Wirbeltiere, Berlino 1927; A. Fischel, Lehrbuch der Entwicklung des Menschen, Berlino 1928.
Fisiologia.
Ci riferiamo essenzialmente alla fisiologia dell'apparato digerente dell'uomo; per la fisiologia comparata si consultino le voci riguardanti i gruppi più importanti degli animali.
La complessa funzione di digerire gli alimenti, che ha dato il nome all'apparato, consta di diverse funzioni parziali. Esse sono di natura chimica e meccanica, coordinate e collegate allo scopo terminale d'assumere e trasformare gli alimenti più o meno complessi e solidi in materiali di composizione chimica e di forma più semplice, solubili nell'acqua, e quindi capaci d'essere assorbiti e assimilati. Queste diverse funzioni, o fasi o atti parziali, sono compiuti nelle diverse porzioni dell'apparato e si susseguono regolarmente con ordine costante. Sono le seguenti:
a) Funzioni della bocca. - L'assunzione del cibo varia secondo che esso è liquido o solido. Il lattante succhia il latte della mammella, e poi lo deglutisce, in un secondo atto che segue immediatamente al primo, e così via di seguito. Il latte non soggiorna che breve istante nel cavo orale del lattante, non vi può quindi subire alcuna trasformazione digestiva. Lo stesso avviene anche nell'adulto per gli alimenti liquidi, che possono però essere assunti, oltre che per suzione, anche per diretto passaggio nel cavo orale, quando il liquido si fa scorrere per gravità nella bocca (secondo l'usuale metodo di bere da bicchieri). Per i cibi solidi o semisolidi (pane, pasta, carni, verdura, ecc.) l'assunzione avviene mercé la masticazione. La masticazione, a cui gli antichi riconoscevano giustamente importanza di prim'ordine (prima digestio fit in ore), ha l'ufficio di sminuzzare e frammentare le parti solide del boccone, rendendole poltiglie più o meno fini, secondo la natura del boccone, e l'intensità e durata della masticazione. Si compie con una serie di movimenti volontarî alterni di sollevamento della mandibola contro il mascellare superiore, per la contrazione sinergica e coordinata dei muscoli temporali, masseteri e pterigoidei, e d'abbassamento di essa (per effetto della gravità, nel rilasciamento dei detti muscoli, e dell'azione dei muscoli pterigoidei esterni, del ventre anteriore dei digastrici, dei milo- e genio-iodei, e del platysma); a questi movimenti principali s'associano altri: d'avanzamento della mandibola (per l'azione contemporanea dei pterigoidei esterni), di retrazione (per l'azione contemporanea dei pterigoidei interni), e movimenti trasversali (per l'azione alterna dei pterigoidei esterni dei due lati). S'associano i movimenti della lingua, che hanno l'ufficio di rimescolare il boccone, che così è opportunamente portato tra le due arcate dei denti, strumenti passivi della triturazione; i canini e gl'incisivi afferrano e lacerano, i premolari e molari sminuzzano i cibi.
Durante la masticazione ha luogo l'insalivazione, prodotta dalla secrezione salivare delle ghiandole (parotidi, sottomascellari e sottolinguali), che sboccano nel cavo orale. Ha azione sul cibo solido, diluendolo e trasformandolo in una vera poltiglia (coadiuva così l'azione triturante della masticazione), e inizia l'azione disgregatrice biochimica per opera della ptialina, che è un enzima digerente i polisaccaridi (amidi). Per opera di tale enzima (che si trova soltanto nella saliva dell'uomo e degli erbivori) gli amidi presenti nei cibi (pane, pasta, legumi ecc.) che hanno subito la cottura, sono abbastanza rapidamente scissi in composti (saccaridi) più semplici, prevalentemente sino ai disaccaridi (maltosio). Per la presenza della mucina, la saliva rende il cibo masticato viscido e scorrevole, in modo che può essere facilmente deglutito.
b) Deglutizione. - La deglutizione è il rapido passaggio del bolo alimentare o del sorso liquido assunto dalla bocca, attraverso le fauci, la retrobocca, la faringe e l'esofago fino allo stomaco. Questo atto s'inizia col movimento volontario di sollevamento del dorso della lingua, che durante la masticazione abbiamo detto compie l'importante ufficio di trasportare le porzioni del cibo assunto sotto le arcate dentarie, per rendere omogenea la triturazione, e alla fine della masticazione forma il bolo, che viene spinto dalla superficie superiore centrale della lingua verso l'indietro. Il sollevamento del dorso della lingua (muscoli palatoglossi) contro la vòlta del palato duro e molle spinge il bolo attraverso le fauci (costituite dai pilastri anteriori, regione delle tonsille e dei pilastri posteriori), la retrobocca, la faringe e l'esofago. Se il bolo è liquido o semiliquido basta questa spinta, coadiuvata dalla forza di gravità (nell'uomo, in cui l'esofago decorre verticalmente), per far giungere il bolo sino all'estremo inferiore dell'esofago. Se il bolo è invece più consistente (semisolido), interviene l'attività dei muscoli costrittori della faringe e della tunica media dell'esofago. La contrazione di questi muscoli produce un restringimento anulare del lume esofageo, preceduto da un allargamento di esso, che decorre successivamente come un'onda dalle porzioni più alte dell'esofago alle inferiori sino al suo estremo inferiore, dove s'arresta. Questo movimento, propagantesi lungo le pareti del tubo con una certa velocità, spinge il bolo o le sue particelle rimaste aderenti alla mucosa dell'esofago dall'alto verso il basso; esso, comune a tutti i tubi o canali forniti di pareti muscolari, si chiama peristaltico (fig. 38).
Il passaggio del bolo dall'estremo inferiore dell'esofago nell'interno dello stomaco, si compie per la dilatazione attiva d'un anello muscolare, lo sfintere del cardias, che guarnisce l'estremo esofageo, garantendo con la sua chiusura tonica la separazione della cavità gastrica verso l'alto. Tale dilatazione attiva dello sfintere del cardias avviene come ultimo atto della deglutizione, quando il bolo è giunto all'estremo inferiore esofageo, dove si sofferma (specialmente se è semisolido) più o meno, secondo che alla prima deglutizione segua immediatamente o no una successiva. La dilatazione attiva riflessa dello sfintere ha luogo soltanto se intercede un certo periodo di tempo tra l'una e l'altra deglutizione. Giunti i boli nell'interno della cavità gastrica, vi si soffermano per subirvi la
c) Digestione gastrica. - Le pareti dello stomaco vuoto (a digiuno) sono per effetto dell'attività tonica della tunica muscolare al massimo retratte, rendendo la cavità gastrica virtuale. A mano a mano che penetrano i boli alimentari, le pareti si dilatano attivamente per diminuzione del tono, adattandosi al volume della massa formata dai boli che si vanno accumulando nell'interno. La forma che ha lo stomaco a digiuno e che va assumendo durante il suo riempimento dipende dallo stato dinamico del tono delle sue pareti. Può variare, in condizioni fisiologiche, secondo la costituzione dei diversi individui, secondo tre tipi fondamentali, dimostrati dall'esame radiologico (v. appresso): a corno di bue (rovesciato) o di Holzknecht; di Rieder; allungato; il primo tipo è ipertonico, e l'ultimo è ipotonico. A mano a mano che lo stomaco si va riempiendo di cibo, i singoli boli che si susseguono si vanno stratificando secondo un ordine costante: i primi boli si dispongono l'un sopra l'altro, lungo la piccola curvatura (detta strada dello stomaco, perché è anche quella che seguono i liquidi per giungere rapidamente al polo inferiore dello stomaco e passare quindi direttamente per il piloro nel duodeno): quando per sovrapposizione in colonna tutta questa regione è colma, comincia il vero allargamento: i nuovi boli che scendono, seguendo la piccola curvatura, s'insinuano tra questa e i boli precedentemente deglutiti spingendoli verso la grande curvatura; ne segue una disposizione quasi concentrica di strati dalla grande verso la piccola curvatura. Contemporaneamente, per opera delle ghiandole parietali, avviene la secrezione del succo gastrico che imbeve dapprima gli strati alimentari più vicini alla parete, ossia i più esterni. L'azione del succo non si limita però soltanto a questa porzione del cibo, ma s'estende a tutta la massa (che porta ora il nome di chimo) con i movimenti di rimescolamento operati dalla tunica media o muscolare dello stomaco. Essi consistono essenzialmente in movimenti peristaltici, che in forma d'onde anulari s'iniziano dalla regione del cardias, si propagano al fondo e all'antro pilorico, per cessare allo sfintere pilorico, spingendo il contenuto dall'alto verso il basso (fig. 39). A questi movimenti seguono movimenti antiperistaltici, decorrenti in senso opposto, dal basso verso l'alto, che respingono la massa verso l'alto, rimescolando la massa alimentare in modo che le parti centrali divengano periferiche, e le periferiche centrali. Il succo gastrico diluisce la massa, l'acidifica (per il contenuto in acido cloridrico), sterilizzandola, e digerisce specialmente le sostanze proteiche per opera del suo enzima proteolitico (pepsina). Esso inoltre coagula il latte trasformando il caseinogeno in caseina per opera d'un altro enzima (labfermento, rennina o chimosina); sulla caseina poi agisce la pepsina che la scinde in albumose e peptoni. Un terzo fermento, scoperto recentemente (ma non ammesso da tutti) agirebbe sui grassi neutri (gastrolipasi) scindendoli in acidi grassi e glicerina. La digestione gastrica trasforma pertanto la massa alimentare in una poltiglia ancora più fluida, di reazione acida, sterile, in cui una buona parte delle proteine (specialmente le proteine genuine e alcuni albuminoidi) sono scissi in composti più semplici (proteosi: albumose e peptoni), che pur appartenendo alle proteine, sono solubili nell'acqua. La durata della digestione gastrica varia secondo la quantità e la qualità degli alimenti, che hanno influenza sul decorso della secrezione del succo gastrico: gli alimenti ricchi di grassi ritardano la secrezione specialmente dell'acido cloridrico e quindi provocano una digestione più lenta. Ordinariamente la durata della digestione gastrica d'un pasto principale e abbondante oscilla tra le cinque e le sette ore.
Il vuotamento dello stomaco che segna la fine della digestione gastrica ha luogo per opera dell'attività muscolare delle pareti e dello sfintere pilorico. Questo è tonicamente chiuso durante la digestione gastrica, impedendo il passaggio della massa alimentare nel duodeno. Si dilata attivamente quando s'inizia il vuotamento, il quale è prodotto da un movimento peristaltico più intenso di quelli che concorrono a produrre il rimescolamento della massa alimentare, e che invade specialmente la regione più muscolosa dell'antro pilorico, mentre s'apre per dilatazione attiva lo sfintere pilorico; in tal modo è spinta una piccola massa di chimo acido e digerito nella prima porzione del duodeno. Questo movimento coordinato delle pareti muscolari e dello sfintere pilorico è considerato come un complesso riflesso, provocato dagli stimoli chimico (acidità) e meccanico (fluidità) del chimo già sufficientemente digerito, agenti sulla mucosa dell'antro pilorico. Il vuotamento dello stomaco avviene lentamente e a fiotti successivi di chimo, in quanto la prima massa di chimo acido penetrata nella cavia del duodeno provoca per riflesso la chiusura dello sfintere pilorico, che dura finché il chimo giunto nel duodeno, mescolandosi coi succhi alcalini pancreatico ed enterico e con la bile, non è divenuto neutro o alcalino. A tal punto lo sfintere pilorico può di nuovo dilatarsi e permettere il successivo passaggio d'altra massa di chimo acido e così di seguito, fino al completo vuotamento gastrico, che pertanto si protrae per un tempo più o meno lungo.
Lo stomaco può compiere altri movimenti, oltre quelli accennati (di rimescolamento e di vuotamento): quelli del vomito (v.). Col passaggio del chimo nel duodeno s'inizia la
d) Digestione intestinale e l'assorbimento. - Il chimo acido nel duodeno subisce l'azione chimica e fermentativa dei tre succhi digerenti che vi si versano: il succo pancreatico, il succo enterico e la bile. Tutti questi secreti hanno reazione alcalina, per la presenza in essi del carbonato di sodio; neutralizzano quindi l'acidità del chimo, che diviene alcalino, sino alle ultime porzioni dell'intestino. I tre enzimi del succo pancreatico (tripsina, amilopsina, steapsina) continuano e terminano l'azione disgregatrice degli enzimi precedenti, trasformando le proteine (anche i proteidi che hanno resistito all'azione della pepsina) e i proteosi nei composti azotati più semplici (che non dànno più la reazione del biurete: abiureti), di cui risultano costituite (amminoacidi: v.) per opera della tripsina; gli amidi (anche crudi) che sono sfuggiti all'azione della ptialina in disaccaridi (maltosio); i grassi neutri (trigliceridi) nei loro componenti (acidi grassi e glicerina). Gli enzimi del succo enterico completano la scissione enzimatica dei carboidrati, trasformando il maltosio (disaccaride) in monosaccaridi (glicosio) per opera della maltasi; il saccarosio in glicosio e levulosio per opera dell'invertina o invertasi, il lattosio in glicosio e galattosio per opera della lattasi (presente nel succo enterico dei lattanti); completano pure la digestione pepsinica delle proteine scindendo i proteosi (albumose e peptoni, e alcune proteine naturali più semplici) in amminoacidi per opera dell'erepsina. La bile (v.) facilita la scissione lipolitica emulsionando i grassi, promuove e intensifica i movimenti peristaltici dell'intestino, favorisce l'assorbimento degli acidi grassi formando saponi (per opera dei sali biliari), dà il colore caratteristico delle feci per opera del suo pigmento (bilirubina e rispettivamente biliverdina) che si trasforma in stercobilina. L'azione digerente si completa quindi nell'intestino, dove il chimo si trasforma in chilo. I movimenti intestinali, da parte della tunica media, cooperano all'azione digerente dei succhi rimescolando il contenuto mediante i movimenti peristaltici, pendolari e segmentanti, forme di movimenti ben dimostrati con la moderna indagine radiologica (v. appresso).
A mano a mano che la digestione si va completando, si compie un'altra importantissima funzione, che corona la complessa funzione digerente degli alimenti: la funzione assorbente dei prodotti più semplici della digestione, dei varî principî alimentari. Organi dell'assorbimento enterico sono i villi. L'assorbimento intestinale non consiste solo nel passaggio delle sostanze sciolte dai succhi digerenti attraverso la parete della mucosa intestinale negli spazî linfatici dei villi e da questi nei capillari venosi e linfatici sino alla corrente sanguigna della vena porta o rispettivamente della linfa dei vasi chiliferi, ma anche nella trasformazione di gran parte dei prodotti più semplici della digestione in composti più complessi (assimilazione).
Quest'ultimo processo consiste in una vera sintesi o polimerizzazione decorrente in senso opposto all'azione di scissione o analitica dei varî enzimi digerenti. È stata ben dimostrata per i grassi, i quali sono ricomposti come grassi neutri dal protoplasma delle cellule cilindriche del villo, dopo che sono assorbiti la glicerina e i saponi provenienti dalla scissione dei grassi alimentari. Un processo analogo si suppone (almeno in parte) anche per la ricostituzione delle proteine. Il glicosio e gli altri monosaccaridi non sono invece ricostituiti in polisaccaridi dagli epitelî del villo; essi sono assorbiti come tali e passano direttamente nella corrente sanguigna della vena porta e nel fegato subiranno poi la ricostituzione in polisaccaride o glicogeno. L'ultima fase digestiva che i residui alimentari non digeriti né assorbiti dall'intestino tenue subiscono nell'ultima porzione del tubo digerente (colon) è la
e) Digestione secondaria o accessoria. - Questa avviene per opera della flora batterica, costituita specialmente dal colibacillo (v.), cui s'associano altri microbî che vivono in simbiosi (e finché restano nei limiti normali sono tollerati, se non utili), con l'organismo. L'azione fermentativa di questa flora è molto più energica e profonda, estendendosi ai composti proteici, ai grassi e ai carboidrati che sono sfuggiti all'azione digerente dei succhi, oppure sono rimasti indigesti. Si paragona ai processi putrefattivi che avvengono all'esterno per opera dei microbî saprofiti; ne differisce tuttavia essenzialmente sia perché gli agenti microbici sono differenti, sia perché i prodotti ultimi non sono uguali. Per effetto di tale digestione secondaria si formano i gas intestinali, lo scatolo e l'indolo (che dànno l'odore caratteristico delle feci), una serie d'acidi organici (che determinano la reazione chimica delle feci), ecc. S'ammette che alcuni dei prodotti di questa digestione assorbiti dalle pareti dell'intestino in parte possano essere utilizzati, in parte siano di nuovo eliminati dall'organismo per opera della secrezione renale, dopo aver subito modificazioni chimiche per opera del fegato.
f) Coprogenesi e defecazione. - Un'ultima funzione del complesso apparato digerente, non meno importante delle precedenti, consiste nella formazione delle feci (coprogenesi) e nell'espulsione di esse. L'apparato digerente compie questa funzione nella sua ultima porzione (crasso e retto); è una vera funzione d'emuntorio (emumorio intestinale), paragonabile a quella degli altri emuntorî (renale, polmonare, cutaneo); per la quale s'eliminano alcuni prodotti catabolici del ricambio interno insieme con i residui alimentari non digeriti, i batterî intestinali, i residui dei succhi digerenti e della bile, i detriti d'elementi morfologici di desquamazione ed emigrazione dei tessuti e dei vasi delle pareti dell'apparato digerente.
Analisi dei principali fattori fisiologici. - L'indagine fisiologica dei fattori che concorrono nelle funzioni del complesso apparato digerente, ha dimostrato per successive scoperte, di cui alcune memorabili nella storia delle scienze biologiche, che la digestione degli alimenti non avviene, come vagamente credevano gli antichi, per una specie di concozione, dovuta al calore interno animale, e neanche per effetto d'azioni puramente meccaniche, come credevano gli iatromeccanici, ma principalmente per effetto d'azioni chimiche, svolte dagli enzimi o fermenti digerenti presenti nei succhi secreti delle varie ghiandole e versati nelle diverse cavità dell'apparato digerente. Fu possibile dare questa dimostrazione quando si riusci a raccogliere e isolare dall'organismo i succhi digestivi, facendoli poi agire in vitro sulle diverse sostanze alimentari e osservando che in tali digestioni artificiali e sperimentali s'ottengono scissioni dei complessi principî alimentari in composti chimici più semplici, simili a quelli che s'hanno nella digestione naturale nell'interno del corpo. I primi tentativi di raccogliere il succo gastrico, fatti da Réaumur (1753) e Spallanzani (1783), consistevano nel fare inghiottire a corvi piccole spugne legate a un filo, che poi si ritraevano imbevute di succo gastrico. Per la raccolta dei succhi secreti dalle ghiandole oggi si ricorre alla deviazione all'esterno della corrente di secrezione, ottenuta negli animali mediante le fistole sperimentali dei dutti delle grosse ghiandole acinose (salivari, del pancreas, del fegato). Tali fistole s'ottengono con l'escissione sulla parete esterna del corpo, mentre le fistole dello stomaco e dell'intestino si eseguono deviando all'esterno la secrezione delle ghiandole della mucosa gastrica e intestinale, con la separazione d'una parte dell'intera mucosa, mantenendo integri i rapporti normali della circolazione sanguigna e dell'innervazione (piccolo stomaco di Pavlov, anse intestinali di vella, ecc.); lo sbocco all'esterno, permette la raccolta del succo gastrico o enterico. Nell'uomo si ricorre al cateterismo, ossia all'introduzione di sonde cave, nei dutti delle ghiandole per esempio salivari; o alla sonda gastrica per raccogliere il succo gastrico (vedi appresso). In casi di traumi, d'operazioni chirurgiche delle varie regioni dell'apparato digerente è possibile raccogliere grandi quantità di succo pancreatico, bile, ecc. Col metodo della raccolta dei singoli succhi o secreti delle glandole digerenti è stato possibile analizzare anche il meccanismo di secrezione, ossia stabilire le condizioni e gli stimoli che regolano e provocano l'attività secernente delle diverse ghiandole (figg. 40-41).
Secrezione salivare. - La saliva che si raccoglie nella cavità orale è la saliva mista, ossia la mescolanza delle salive speciali, secrete dalle singole ghiandole (parotidi, sottomascellari e sottolinguali) albuminose, mucose e miste. È un liquido incolore, inodore, opalescente, viscoso, di reazione lievemente alcalina o neutro, con peso specifico 1002-1006; contiene i corpuscoli salivari. I suoi componenti organici più importanti sono: a) la mucina, proveniente dal mucinogeno delle cellule ghiandolari; b) la ptialina, enzima amilolitico (scoperto da Leuchs nel 1831) che proviene dallo ptialogeno delle cellule ghiandolari; è presente nella saliva dell'uomo e degli erbivori, manca in quella del cane e dei carnivori; c) una globulina; d) tracce di solfocianuro potassico e sodico; e) tracce di urea; i componenti inorganici sono diversi sali (cloruri di sodio, potassio, calcio, fosfati e carbonati). La saliva parotidea dell'uomo è fluida e liquida per mancanza di mucina ed è ricca di ptialina; quella sottomascellare e sottolinguale è più acquosa, più alcalina, più viscida, perché contiene mucina; ma è più povera di ptialina. La secrezione salivare si compie per opera e sotto il controllo del sistema nervoso; si può paragonare a un vero atto riflesso in cui distinguiamo gli stimoli esterni, gli organi di senso, i nervi e i centri afferenti, i centri e i nervi efferenti (secretori), le ghiandole secernenti. Non soltanto gli stimoli gustativi (o tattili, o irritativi) agenti sulla mucosa della lingua o del cavo boccale provocano in via riflessa la secrezione della saliva, ma anche altri stimoli degli organi di senso superiori, specialmente dell'olfatto e della vista. Il Pavlov indicò col nome di secrezione psichica quella provocata dall'azione di stimoli degli organi di senso superiori (vista del cibo o di sostanze irritanti), avendo dimostrato che è necessario l'intervento di processi superiori corticali (riconoscimento, memoria) perché si compia tale secrezione (riflessi condizionati). La secrezione salivare non avviene soltanto per stimoli alimentari, ma anche per stimoli irritativi (come sostanze caustiche, processi flogistici, ecc.) allo scopo di diluire o rispettivamente facilitare l'allontanamento di dette cause moleste (riflesso di difesa). I centri della secrezione salivare sono nel bulbo: i nervi efferenti o secretori sono di due categorie: l'una del simpatico, l'altra dei nervi cranici (parasimpatico). Per le ghiandole sottomascellari e sottolinguali quest'innervazione è data dalla corda del timpano, ramo nervoso proveniente dal facciale e che s'unisce al linguale del trigemino. La stimolazione artificiale di questi nervi secretori provoca la secrezione della ghiandola, con caratteri diversi secondo la specie del nervo stimolato. Esistono veleni che eccitano la secrezione (scialagoghi) come la pilocarpina, la fisostigmina, e altri che l'inibiscono, come l'atropina, agendo sulle terminazioni nervose secretorie, sulle cellule epiteliali ghiandolari.
Secrezione gastrica. - Il succo gastrico ottenuto nel cane dalla fistola gastrica, non commisto ad alimenti, è un liquido limpido come acqua, inodore, del peso specifico 1003-1006, di reazione fortemente acida, per la presenza costante d'acido cloridrico libero, la cui concentrazione varia secondo gli animali; nel cane è più abbondante (0,46-0,58%) che nell'uomo (0,17% in media). L'acido cloridrico, secreto dalle cellule parietali delle ghiandole del fondo, ha la proprietà d'acidificare gli alimenti, sterilizzandoli (ossia distruggendo la maggior parte dei batterî, che possono inquinarli) e rendendo possibile la digestione delle sostanze proteiche da parte della pepsina. La pepsina proveniente dal pepsinogeno delle cellule epiteliali centrali delle glandole della mucosa gastrica, già intraveduta e ammessa come speciale enzima proteolitico da Spallanzani e altri, chiamata con questo nome da Schwann (1836), non è stata ancora chimicamente definita e isolata; si presenta in forma di sostanza amorfa, pulverulenta o a scagliette, grigiogiallastra, inodora, solubile nell'acqua, nella glicerina, specialmente acidificata, insolubile nell'alcool; non dializza. La sua attività digerente s'esplica su tutte le proteine (a eccezione delle mucine e delle cheratine, è inattiva anche sui polipeptidi sintetici), trasformandole in albumose e peptoni. La sua azione proteolitica è condizionata dall'acidità; in soluzione neutra è inattiva; in soluzione alcalina è distrutta. Il succo gastrico contiene inoltre il labfermento (detto anche rennina o chimosina) che coagula il latte, trasformando il caseinogeno in caseina; si discute se contenga anche una lipasi (gastrolipasi), secreta dal fondo, che da alcuni invece è interpretata come un parziale reflusso della lipasi pancreatica. La quantità di succo gastrico secreto dipende dalla quantità del cibo ingerito e in parte anche dalla sua qualità (v. appresso); si calcola in media che nell'uomo per un pasto ordinario se ne secernano 600 cmc. e globalmente, nelle 24 ore, un litro e mezzo. Anche la secrezione del succo gastrico è in gran parte regolata dall'attività del sistema nervoso. Una prima categoria di stimoli agenti sugli organi di senso superiori (vista del cibo, gusto, olfatto), simili a quelli che per via riflessa provocano la secrezione psichica salivare, è capace di provocare un'analoga secrezione psichica del succo gastrico, purché l'animale si trovi in adatte condizioni (fame, appetito). Non è necessario che i boli alimentari penetrino nell'interno dello stomaco per ottenere un'abbondante secrezione gastrica, com'ha dimostrato il Pavlov nell'esperimento della cosiddetta alimentazione fittizia, nella quale i boli alimentari masticati e deglutiti fuoriescono di nuovo all'esterno per una fistola stabilita nella porzione inferiore dell'esofago, mentre con altra fistola applicata allo stomaco si raccoglie il succo secreto (fig. 40). In tale esperimento agiscono, oltre gli stimoli degli organi di senso superiori, anche gli stimoli meccanici provenienti dalla masticazione e dalla deglutizione. In condizioni normali una seconda categoria di stimoli è data dai boli alimentari che vengono a contatto con la mucosa gastrica; essi non tanto agiscono meccanicamente, quanto per gli stimoli chimici delle varie sostanze che li compongono, ai quali soprattutto la regione pilorica è particolarmente sensibile. È stata dimostrata una diversa azione eccitante (eupeptica), sia nel grado, sia nella qualità del succo secreto provocato dall'azione di detti stimoli: un'energica azione eccitante hanno le sostanze estrattive (presenti nel brodo) della carne, i peptoni, gli amminoacidi, l'alcool, alcuni acidi organici deboli, la stessa saliva, la bile. Il pane provoca un succo più ricco di pepsina; la carne un succo più abbondante, però meno ricco di pepsina; il grasso ha azione inibitrice, specie della secrezione dell'acido cloridrico. I nervi secretori sono dati specialmente dai rami del vago (e forse anche da quelli del simpatico), i centri si trovano nel bulbo (e forse anche nei ganglî centrali e periferici del simpatico).
Una terza categoria di stimoli eccitanti e regolanti la secrezione gastrica è quella di speciali ormoni (v.), che giungono alle ghiandole per la via del sangue. Col nome di secretine s'indicano sostanze chimiche presenti nella mucosa di diverse regioni dell'apparato digerente, che iniettate sottocute provocano un'abbondante secrezione dei succhi digerenti. Le secretine gastriche (o gastrine) sono state dimostrate nella mucosa gastrica della regione pilorica, nella mucosa duodenale (e anche in alcuni alimenti vegetali, per es. spinaci). Secondo alcuni fisiologi, tali secretine non sarebbero ormoni specifici, essendo la loro azione dovuta all'istamina che è un composto di disintegrazione proteica largamente diffuso nei tessuti e che effettivamente provoca un'abbondante secrezione gastrica, tanto da essere usato clinicamente allo scopo d'ottenere una copiosa secrezione di succo (v. appresso).
Secrezione pancreatica. - Il succo pancreatico raccolto nel cane dalla fistola permanente, è un liquido limpido, un po' filante, alcalino (come una soluzione normale decima di bicarbonato sodico), lievemente ipotonico rispetto al sangue, contiene poco più di 1% di sostanze solide, date per metà da sali (prevalentemente carbonato sodico), per metà da proteine (mucina), lecitina, nucleoproteidi e fermenti, costituiti essenzialmente da tripsina, amilopsina e steapsina. La tripsina (considerata da alcuni come un sistema d'enzimi, di cui alcuni scindono le proteine genuine, altri i primi prodotti di scissione) digerisce le proteine e i proteosi disintegrandoli sino agli amminoacidi. Nel succo pancreatico puro è presente in forma di proenzima (tripsinogeno) inattivo; è attivato quando si mescola, anche con una piccolissima quantità di succo enterico, che contiene una chinasi (enterochinasi) che trasforma il tripsinogeno in tripsina attiva. Altre sostanze sono dotate, sebbene meno, della stessa capacità (sali di calcio, estratti leucocitarî). La sua azione digestiva s'esplica in ambiente alcalino; gli acidi la distruggono rapidamente. La steapsina scinde i grassi neutri in acidi grassi e glicerina; il succo pancreatico emulsiona i grassi in modo perfetto; gli acidi grassi provenienti dalla scissione lipolitica si combinano coi sali alcalini (carbonato sodico del succo pancreatico, sali biliari) trasformandosi in saponi. La bile ha azione attivante sulla steapsinà. L'amilopsina è un fermento amilolitico molto attivo; essa trasforma gli amidi rapidamente in destrina e maltosio.
Si calcola che nell'uomo normale si secernano circa 700 cmc. di succo pancreatico al giorno. Lo stimolo più efficace e normale della secrezione pancreatica è l'acido cloridrico del chimo che si versa dallo stomaco nel duodeno; secondo alcuni tale stimolo agirebbe sulle terminazioni nervose provocando per via riflessa la secrezione pancreatica, mentre secondo altri (Bayliss e Starling) agirebbe per via puramente chimica trasformando la prosecretina, che si troverebbe nella mucosa del duodeno, in secretina, che passando nel circolo sanguigno andrebbe a eccitare direttamente le cellule epiteliali secernenti del pancreas. Infatti l'iniezione nelle vene d'un estratto ottenuto macerando con acido cloridrico la mucosa duodenale in animale portatore di fistola pancreatica provoca abbondante secrezione. Il pancreas è dotato, oltre che d'una secrezione esterna rappresentata dal succo pancreatico, d'un'importantissima secrezione interna, operata forse dagli elementi cellulari delle isole del Langerhans, il cui ormone, l'insulina (v.), regola il metabolismo interno del glicosio. L'estirpazione sperimentale dei pancreas o la lesione patologica nell'uomo produce il diabete sperimentale o pancreatico (v. diabete).
Secrezione enterica. - La raccolta del succo enterico si fa negli animali separando un'ansa dal lungo tratto dell'intestino, chiudendone con cucitura un estremo e saldandone l'altro estremo alla parete addominale (Thiry), oppure cucendo i due estremi dell'ansa alla parete addominale in modo d'avere due aperture fistolose (vella), dopo aver riunito tra loro i due monconi dell'intestino reciso, per ristabilire la continuità del canale dal duodeno al retto. La secrezione avviene durante la digestione, iniziandosi qualche tempo dopo il pasto, aumentando per un certo tempo e cessando alla 7ª-8ª ora dopo il pasto. Il liquido che cola dall'ansa dell'ileo è fluido, opalino, giallognolo, fortemente alcalino (perché contiene carbonato di sodio nella proporzione di o,2%). Contiene mucina, nucleoproteidi e fermenti: l'erepsina, che scinde i peptoni in amminoacidi, mentre non attacca le proteine genuine (a eccezione delle protamine, degl'istoni e della caseina); la maltasi, che scinde il maltosio nelle due molecole di glicosio di cui risulta composto; una invertasi (o invertina) che scinde il saccarosio in glicosio e levulosio; una lipasi, che sarebbe attiva anche sulle lecitine; una lattasi presente nel succo dei carnivori, degli onnivori, e anche degli erbivori se lattanti), che scinde il lattosio nei due suoi componenti: glicosio e galattosio; contiene forse anche un'amilasi, come pure fermenti che attaccano i nucleoproteidi più energicamente della pepsina e della tripsina. Per l'enterochinasi, v. sopra.
Il meccanismo di secrezione del succo enterico sembra simile a quello del succo pancreatico, in parte sotto il dominio del sistema nervoso (la recisione di tutti i rami nervosi che forniscono un'ansa intestinale è seguita da un'abbondantissima secrezione di succo), in parte promossa e regolata da ormoni o secretine.
Secrezione biliare. - La bile è il prodotto di secrezione esterna del fegato, che è dotato di molte altre funzioni a tipo endocrino. A differenza delle precedenti secrezioni dei succhi digerenti (che avvengono nel tempo e in dipendenza del passaggio degli alimenti nelle varie cavità, mentre sono sospese nel periodo del digiuno), la secrezione della bile ha luogo continuamente, pur osservandosi un aumento di essa nel periodo della digestione enterica. La bile non ha pertanto solo caratteri d'un secreto contenente principî digerenti, ma ha anche caratteri d'escreto (nel senso che essa contiene sostanze e composti chimici destinati a essere eliminati dal corpo come materiali di rifiuto o catabolici, analogamente alla secrezione renale). La bile secreta durante il digiuno non si versa nell'intestino, ma si va lentamente raccogliendo nella cistifellea, dove si condensa. L'espulsione della bile avviene per un atto nervoso riflesso, provocato dalla presenza del chimo acido nel duodeno, che fa dilatare lo sfintere di Oddi che guarnisce lo sbocco del coledoco nell'ampolla di Vater. In tal modo si mescola la bile col chimo insieme col succo pancreatico. La bile si raccoglie negli animali mediante la fistola biliare (e in condizioni patologiche, per operazioni chirurgiche, si può avere anche nell'uomo), che si può ottenere o congiungendo la cistifellea alla parete addominale (fistola incompleta), o deviando all'esterno il coledoco (fistola completa). La bile (v.) è un liquido denso, filante, quando ha soggiornato nella cistifellea, fluida e limpida quando proviene direttamente dal fegato (pel dotto cistieo), d'intenso color giallodorato, se fresca; diventa verde all'aria o anche se resta per molto tempo nella cistifellea. Ha reazione quasi neutra; contiene 2,5-3% di sostanze solide, di cui le più importanti sono i sali biliari (taurocolato e glicocolato di sodio), i pigmenti (bilirubina), la colesterina, poi varî fosfatidi, la mucina e la pseudomucina, saponi, grassi neutri, piccole quantità di urea e acido urico, varî sali (di sodio, potassio, calcio). Si calcola che l'uomo produca quasi un litro di bile nelle 24 ore. Alcune sostanze alimentari (specialmente le proteine e i loro derivati) e altre medicamentose (v. colagoghi) fanno aumentare la secrezione biliare, mentre altre (p. es. l'olio d'oliva) ne facilitano l'escrezione. La bile pur non contenendo veri e proprî enzimi digerenti, ha tuttavia importanti funzioni digestive: i sali biliari coadiuvano alla saponificazione degli acidi grassi provenienti dalla scissione lipolitica della steapsina, e ne facilitano quindi l'assorbimento; la bile eccita e regola i movimenti dell'intestino. Quando essa non si versa più nell'intestino (acolia) si soffre di ristagno fecale (stipsi) accompagnato da abnormi processi putrefattivi. I suoi pigmenti, trasformati in stercobilina dalla flora intestinale, dànno il colore caratteristico delle feci.
Molto discusse sono ancora le questioni sull'origine dei varî componenti della bile e sul meccanismo (nervoso e umorale) della sua secrezione.
Il fegato (v.) adempie ad altre importantissime funzioni sui varî composti alimentari che gli giungono per mezzo della circolazione portale, dopo che sono stati assorbiti dalle pareti intestinali.
Assorbimento intestinale. - I prodotti ultimi della digestione dei varî gruppi dei principî alimentari (gli amminoacidi delle proteine, i monosaccaridi, rappresentati prevalentemente dal glicosio, provenienti dai poli- e disaccaridi, i saponi e la glicerina provenienti dai grassi neutri, a cui s'aggiungono per le ultime porzioni dell'intestino i prodotti della digestione accessoria per opera della flora batterica) compaiono soltanto nell'intestino, dove si completa la complessa opera digerente. Nell'intestino, per opera dei villi, s'inizia e si compie la fase conclusiva delle funzioni digerenti: l'assorbimento. Esso consiste nel passaggio dei principî alimentari più semplici divenuti solubili e facilmente diffusibili, per opera dell'azione digerente nei varî fermenti surricordati, nell'interno dell'organismo. Varî fattori, di cui alcuni fisico-chimici e altri biologici, producono l'assorbimento. Innanzi tutto il fatto che i prodotti ultimi della digestione sono solubili e costituiti da piccole molecole, li rende facilmente diffusibili attraverso la membrana vivente dell'epitelio dei villi. Il fatto inoltre che la concentrazione molecolare dei singoli prodotti (p. es. del glicosio, e degli amminoacidi) presenti nel chilo è molto più alta di quella degli stessi prodotti presenti nella linfa e nel sangue circolanti negli spazî linfatici e rispettivamente nei vasi sanguigni del villo, determina una corrente delle stesse sostanze verso l'interno, secondo la legge fisico-chimica della diffusione. Tale forza non sarebbe però sufficiente a spiegare l'assorbimento completo dei principî alimentari, quale effettivamente è stato dimostrato. E necessario ammettere ancora una speciale forza di natura fisiologica, che è stata paragonata a quella che determina le varie secrezioni esterne, con la differenza che nell'assorbimento la corrente avviene in senso opposto, dall'esterno verso l'interno. È per questo che l'assorbimento intestinale è stato indicato da L. Luciani col nome di secrezione interna restauratrice. L'assorbimento intestinale non si limita però soltanto, almeno per alcuni gruppi di sostanze, a un puro e semplice passaggio attraverso gli elementi della mucosa intestinale. Sono state distinte le sostanze assorbite secondo la via (figura 42) che battono nell'assorbimento, sia attraverso gli elementi epiteliali della mucosa, sia dopo che hanno attraversato la mucosa e sono giunti negli spazî linfatici dei villi. Alcune, come il glicosio, sembrano penetrare nell'interno del villo per gli spazî interepiteliali, altre, come i saponi e la glicerina, attraversano invece il corpo cellulare, dove subiscono per opera del protoplasma delle cellule stesse un'azione reintegrativa, che consiste nella ricostituzione sintetica di molecole di grassi neutri, che sono stati dimostrati con la tecnica di colorazione microchimica nella parte basale delle cellule cilindriche. Passano quindi in forma di goccioline di grassi omogenei negli spazî linfatici, per poi essere nella maggior parte (circa il 50% dei grassi ingeriti) assorbiti nei vasi linfatici del mesenterio, dove furono dimostrati la prima volta da G. Aselli e descritti, come vasi lattei, nei cadaveri di animali lattanti uccisi durante l'assorbimento intestinale. Il glicosio e i monosaccaridi, invece, non subiscono ulteriori modificazioni per opera delle cellule dei villi, ma immodificati passano nel sangue dei capillari e delle vene dei villi per essere trasportatì col sistema della vena porta al fegato, il quale per la sua attività amilogenetica trasforma il glicosio in glicogeno per un processo di polimerizzazione e sintesi, impedendo cosl che passi nel sangue della grande circolazione un eccesso di glicosio durante l'assorbimento intestinale. Con la sua funzione glicogenetica, successivamente, durante il digiuno provvede a fornire e regolare la quantità normale di glicosio che passa nel sangue e nei tessuti. Analoghe vicende subiscono i prodotti di scissione proteica.
Bibl.: J. P. Pavlov, Le travail des glandes digestives, Parigi 1901; E. S. London, Physiologische und pathologische Chymologie, Lipsia 1913; E. H. Starling, Principles of human Physiology, Londra 1915; J. J. R. MacLeod, Physiology and Biochemistry in modern medicine, Londra 1922; L. Luciani, Fisiologia dell'uomo, Milano 1923; E. Gley, Traité élém. de physiologie, Parigi 1924; P. Rondoni, Elementi di biochimica, Torino 1925; A. P. Mathews, Physiological Chemistry, New York 1925; G. H. Roger, Traité de physiologie, III, Parigi 1928; B. P. Babkin, Die äussere Secretion der Verdauungsdrüsen, Berlino 1928.
Fisiopatologia dell'apparato digerente.
Cause predisponenti alle malattie. - L'alimentazione (v.) può variare assai e diventare nociva, per quantità e qualità. In rapporto alla quantità, anche il cibo più sano, un componente normale e indispensabile della dieta, come potrebbe essere il sale da cucina, se ingerito in quantità esagerata, può diventare nocivo all'apparato digerente e all'organismo interno e determinare, riguardo al primo, degli stati irritativi dello stomaco e dell'intestino. Altrettanto e a maggior ragione si dica delle alterazioni qualitative della dieta, cioè l'introduzione casuale o volontaria di sostanze, con o senza valore alimentare, ma irritative o tossiche, o di sostanze inquinate da microrganismi patogeni, o da piccoli animali (di solito vermi) capaci di vivere parassiticamente in qualche sezione del tubo intestinale. I germi e i parassiti, che così spesso vengono inconsciamente ingeriti con gli alimenti, trovano solitamente nei succhi digestivi, e particolarmente in quello dello stomaco, l'agente capace di distruggerli o di renderli innocui, in modo da evitare, sia al tubo digerente sia all'intero organismo, l'insorgere della relativa malattia infettiva; ma quando per svariate ragioni, come pure per errori dietetici, di quantità e qualità dell'alimentazione, e per gli stati irritativi, o peggio degenerativi che ne possono conseguire a carico degli organi della digestione, questi succhi sono alterati, si capisce che, di fronte ai germi e ai parassiti che continuamente vengono introdotti, mentre manca da un lato, o è meno attivo, il fattore sterilizzante, si crea dall'altro, nei tessuti alterati dell'apparato, un terreno più propizio al loro attecchimento. Per queste ragioni è facile prevedere che le malattie più importanti per frequenza e gravità a cui è esposto l'apparato digerente debbono essere di natura infiammatoria (semplice, infettiva, o parassitaria), o rappresentare le conseguenze immediate o tardive di processi infiammatorî.
Conseguenze generali delle malattie dell'apparecchio digerente. - Se la funzione essenziale dell'apparecchio digerente è quella di rifornire l'organismo delle perdite materiali che esso continuamente subisce e tale funzione s'attua attraverso i due momenti fondamentali della digestione e dell'assorbimento, le conseguenze inevitabili di qualsiasi affezione che colpisca qualunque delle sezioni del tubo gastro-intestinale o delle ghiandole annesse, non potrà che riflettersi o sull'assorbimento soltanto, per modificazioni di maggiore o minore permeabilità apportate alla superficie assorbente, o sulla digestione e quindi ancora indirettamente sull'assorbimento a cui quella prepara la via. In ogni caso, dunque, s'avranno variazioni dell'assorbimento o per qualità o per quantità dei principî assorbiti. Le variazioni qualitative, siano esse legate a prodotti anormali formatisi dagli elementi per una turbata digestione, o dipendenti da un'alterata permeabilità della membrana assorbente che consente il passaggio nel sangue di sostanze normalmente non assorbibili, dovranno necessariamente condurre, com'è facile prevedere, a uno stato d'intossicazione o anche d'infezione (per passaggi di germi) dell'intero organismo. Le variazioni quantitative invece, essendo esse per lo più rappresentate da diminuzioni, o per diminuita permeabilità della mucosa intestinale, o per minore disponibilità di principî alimentari assorbibili in seguito ad alterazioni di qualcuno dei momenti della digestione, condurranno a un minore apporto all'organismo di materiali nutritizî e quindi, ove il fenomeno si prolunghi, a un bilancio organico in deficit, con necessario decadimento della nutrizione.
Le malattie dell'apparato digerente. - A compiere la complessa funzione cui è deputato il tubo digerente, ciascuna sua sezione è chiamata per una parte che è ben distinta da quella delle altre. È prevedibile dunque che le malattie che colpiscono l'apparato stesso, a seconda del segmento che hanno interessato, provochino turbe della particolare funzione, cioè del momento del processo digestivo cui detto segmento è deputato. Conviene pertanto passare in rassegna le alterazioni funzionali che si possono verificare a carico delle varie parti dell'apparecchio che c'interessa.
Bocca. - La funzione della bocca può essere ostacolata e resa difficile per gravi malformazioni della bocca conseguenti a vizî di prima formazione, o ferite o cicatrici deformanti, per carie o caduta dei denti, per malattie infiammatorie o comunque dolorose del cavo orale e delle articolazioni temporomandibolari, per atrofia o paralisi dei muscoli masticatori, dei muscoli linguali, dei muscoli labiali e genieni. Totalmente impedita essa invece resta quando in conseguenza dell'infezione tetanica o per certe affezioni del sistema cerebrospinale si ha il cosiddetto trisma, cioè il serrarsi permanente delle mascelle per contrazione permanente dei muscoli masticatori. La ptialina è attiva solo in ambiente alcalino e quindi non agisce più quando per fermentazioni anormali verificantisi nella bocca (infiammazioni locali, dispepsie, diabete) la saliva assume reazione acida. Il mughetto (v.) determina una fermentazione acida i cui prodotti irritano notevolmente la mucosa. Certi stati nervosi del sistema vegetativo (simpaticotonia), certi avvelenamenti (atropina) e intossicazioni d'origine infettiva (tifo, polmonite, ecc.), e certi stati di prosciugamento dell'organismo (diabete insipido), diminuendo la secrezione salivare, rendono difficili o aboliscono i compiti riservati a questo secreto. V'è poi la diminuzione di secrezione salivare, come malattia primitiva, detta xerostomia, che s'accompagna a stato cachettico e neurastenico. L'aumento di secrezione salivare (ptialismo, scialorrea) così facile a verificarsi per azioni nervose d'origine centrale, o periferica, o riflessa, per intossicazioni e in molte malattie organiche del sistema nervoso, essendo di solito caratterizzato da un minor contenuto, o addirittura dall'assenza del fermento, è pure accompagnato da un abbassamento della digestione boccale dell'amido.
La bocca contiene una flora microbica ricchissima negli adulti, specialmente quanto più trascurata è l'igiene della bocca, mentre nei primi mesi della vita è molto povera, ma ben presto molto si accresce durante l'eruzione dentaria. Contiene numerosissimi germi non patogeni (bacilli, micrococchi, sarcine, Leptotrix, spirochete, amebe ecc.). Essi provocano modificazioni chimiche della normale saliva o muco, delle desquamazioni epiteliali normali e dei residui di cibo e determinano la formazione del tartaro dentario. La bocca contiene poi anche germi che possono divenire patogeni in determinati momenti (pneumococco, stafilococco, colibacillo, pneumobacillo, piocianeo, bacillo fusiforme, spirocheta di Vincent, ecc.). Vi sono germi patogeni che rimangono lungo tempo nella bocca durante e dopo una malattia infettiva (bacillo difterico dopo la difterite; bacillo di Koch nella tubercolosi delle tonsille e dei polmoni; il treponema della sifilide nel corso della sifilide boccale o extra-boccale; il virus della rabbia, dell'encefalite epidemica, degli orecchioni, della poliomielite epidemica ecc.). Così s'hanno i cosiddetti "portatori di germi", sani o risanati essi stessi, ma pericolosi per gli altri a causa dei germi che portano nella bocca. Contro tanti germi la bocca nomalmente è protetta da varî mezzi difensivi fisiologici: i movimenti delle labbra, delle guance, della lingua, della masticazione e deglutizione che con l'aiuto della saliva meccanicamente detergono la bocca; l'alcalinità della saliva che arresta le fermentazioni acide d'origine microbica; l'azione battericida del muco boccale; la rinnovazione dell'epitelio boccale e l'azione dei fagociti migranti alla superficie delle mucose. Quando questi mezzi di difesa vengono meno, allora i germi patogeni prendono grande sviluppo e determinano le infiammazioni della bocca o stomatiti che possono essere semplicemente catarrali, o dar luogo a pseudo-membrane, a ulcerazioni, a cancrena (stomatiti catarrali, pseudo-membranose, ulcerative, cancrenose). Le stomatiti possono originarsi altresì per cause irritanti locali (apparecchi di prostesi, scottature per liquidi troppo caldi), o per stati generali di grave deperimento (infezioni setticemiche, cachessie croniche, emopatie), per stati endogeni d'intossicazione (diabete, uricemia, uremia), o esogeni (intossicazione mercuriale che ha un'elezione particolare per la bocca, intossicazione da bismuto, piombo, rame, argento, fosforo, arsenico, iodio, ecc.). Alla loro volta le stomatiti di lunga durata con fermentazioni boccali, e certe malattie delle gengive, possono provocare stati infettivi generali, dispepsie croniche, gastriti, enteriti, nefriti, dermatosi, artriti, ecc.
La lingua per parte sua va soggetta a varie malattie infiammatorie (glossiti) a tumori (adenocarcinomi), a paralisi, ad atrofie, a turbe della sensibilità, ad anomalie congenite ed ereditarie di conformazione. Fra quest'ultime è nota la lingua scrotale, abbastanza frequente, detta anche cerebriforme per la lontana somiglianza che ha con le pliche dello scroto o con le circonvoluzioni cerebrali e altre volte con le carte geografiche (lingua geografica) È un'anomalia di conformazione eredofamigliare combinata spesso con anomalie dentarie, mascellari, delle labbra e consiste in una serie di solchi piuttosto profondi, che percorrono la sua faccia superiore in vario senso e lasciano frammezzo delle isole di mucosa emergente a forma di circonvoluzioni cerebrali o d'isole irregolari. È un'anomalia che non dà luogo a nessuna alterazione funzionale. In rapporto alla bocca si possono avere affezioni delle ghiandole salivari (v. salivari, ghiandole). Alcune lesioni della bocca possono essere il punto di partenza di molte affezioni che si svolgono a distanza nell'organismo in seguito o alla penetrazione nel sangue di batterî o di tossine batteriche, o all'ingestione di pus contenente tossine o germi infettanti. Specialmente in America (Riggs e Hunter) s'è data la massima importanza alle "infezioni focali" (focal infection theory) e in primo luogo alla sepsi dentale nella genesi di molte affezioni (artrite, fibrosite, endocardite, miocardite, nefrite, neurite, ulcera gastrica ecc.). A un focolaio d'infezione boccale già da tempo era riferita la cosiddetta angina di Ludwig, cellulite dei tessuti del pavimento della bocca, di prognosi assai grave per il suo carattere altamente settico e la possibile invasione della laringe e del primo tratto delle vie respiratorie. Specialmente in alcune condizioni morbose l'alito può avere caratteristiche particolari.
Faringe. - La faringe appartiene all'apparecchio digerente solo con i suoi segmenti medio (retrobocca) e inferiore (porzione laringea, mentre col suo terzo superiore appartiene all'apparecchio respiratorio) ed è sua funzione quella di ricevere il bolo alimentare dalla bocca e di trasmetterlo all'esofago (deglutizione). Tale atto è legato a un gioco assai complesso di muscoli sottratti alla volontà dell'individuo, la cui azione coordinata è diretta a evitare che il cibo devii dalla sua strada e risalga nelle cavità nasali o, peggio, discenda nelle vie respiratorie (v. sopra). Perché la deglutizione si compia normalmente è pertanto necessaria, oltre all'integrità anatomica del palato molle, della faringe e dell'epiglottide, anche e soprattutto l'integrità e perfetta funzione degli apparecchi muscolari e nervosi appartenenti a questi organi. È prevedibile dunque che la deglutizione, ostacolata soltanto dalla deficienza di secrezione salivare nella formazione del bolo e delle affezioni dolorose (di solito infiammazioni) della retrobocca, sarà invece gravemente compromessa (disfagia): da tutte le malattie che importano una profonda alterazione delle parti in funzione (perforazioni e usure dei pilastri palatini e dell'epiglottide conseguenti a tumori o infiammazioni tubercolari e sifilitiche, tumefazioni sporgenti nella faringe per ascessi, tumori e infiammazioni specifiche della retrobocca e degli organi adiacenti e sottostanti). Gli stessi ostacoli e pervertimenti dell'atto della deglutizione possono essere dati da atrofie dei muscoli o da paralisi d'origine centrale o periferica dei nervi sensitivi e motori (trigemino, glossofaringeo, vago, spinale, ipoglosso) che regolano e presiedono all'atto stesso. Tali disturbi sono frequenti negli avvelenamenti per narcotici, nelle malattie del midollo allungato, perché quivi è situato il centro della deglutizione. In cene infezioni (tetano, rabbia) si hanno spasmi dei muscoli faringei che impediscono la deglutizione. Quando per alterazioni della deglutizione, delle parti di cibo discendono nella laringe, se non ne avviene subito l'espulsione con la tosse, s'ha la morte immediata per soffocamento o, se questa non si verifica, l'insorgere di gravi processi infiammatorî necrotici a carico dei polmoni (polmonite ab ingestis).
Il sistema linfatico è sviluppatissimo nell'apparecchio faringeo. Esso compreude le due tonsille palatine situate nell'istmo di passaggio fra la retrobocca e la faringe e collocate (lateralmente) fra i due pilastri del velopendulo; la tonsilla faringea situata sulla vòlta faringea sotto la base del cranio; la mucosa di tutta la faringe è ricchissima di follicoli e di rete linfatica. Si costituiscono così due anelli linfatici detti grande e piccolo anello di Waldeyer. Da un lato la ricchezza delle produzioni linfatiche, sempre facili a infiammarsi, dall'altro l'esposizione continua della faringe alle infezioni per mezzo della corrente aerea respiratoria, dei liquidi e degli alimenti che s'ingeriscono con la saliva e il muco boccale ricchissimi di germi, determinano, specie negl'individui linfatici nei quali il tessuto linfatico locale è sviluppatissimo, frequenti infiammazioni acute e croniche che ipertrofizzano il tessuto linfatico preesistente e lo rendono nido permanente d'infezioni. Spesso quest'ultime trovano a un certo momento il modo di penetrare nel circolo e o invadono tutto l'organismo o si vanno a localizzare in punti lontani. Più spesso ancora sono invasi dall'infiammazione gli organi vicini, come il naso, l'orecchio medio attraverso alla tromba d'Eustachio la bocca, il laringe e il sistema delle ghiandole linfatiche del collo.
Le angine o infiammazioni delle tonsille palatine dànno luogo spesso a penetrazioni di germi nel circolo, donde setticemie, nefriti, appendiciti, meningiti cerebrospinali, poliomieliti epidemiche.
Le più importanti infiammazioni croniche delle tonsille sono quelle della tonsilla faringea la quale s'ingrossa notevolmente e stenotizza o occlude lo sbocco delle vie nasali nel terzo superiore della cavità faringea. Quest'ipertrofia tonsillare prende nome di vegetazioni adenoidi (v. adenoidismo). La tonsilla faringea è rudimentale fino a 6 mesi, si sviluppa fino a 12 anni e dai 12 ai 20 anni regredisce e sparisce. Dai 5 ai 15 anni si formano le cosiddette adenoidi le quali assumono una certa importanza sociale per il grande numero di bambini che ne vengono colpiti. L'infiammazione della mucosa del tubo faringeo dà luogo alle faringiti acute e croniche.
Specialmente nei primi due anni di vita, nel tessuto cellulare posto tra la parete posteriore della faringe e la colonna vertebrale, (loggia retrofaringea) si può sviluppare l'ascesso retrofaringeo, secondario a rinite o ad adenoidite, a infezioni con localizzazioni faringee (angina, morbillo, scarlattina, ecc.), o a lesioni della colonna vertebrale, minaccioso in quanto può essere letale per asfissia da edema della glottide, o per gravi complicazioni settiche, qualora non s'intervenga chirurgicamente a tempo.
Esofago. - L'esofago (v.) ha, come la faringe, una semplice funzione di conduzione: mediante una contrazione a tipo peristaltico esso trasporta il bolo alimentare dalla faringe allo stomaco. Quando questo trasporto è ostacolato o impedito, si parla di disfagia.
Per studiare la funzionalità normale e specialmente quella patologica dell'esofago, che per l'innanzi, data la situazione profonda di questa sezione del canale digerente, era pochissimo nota, la clinica ha oggi a disposizione varî e importanti metodi d'esplorazione, in sostituzione dei classici metodi semeiotici (ispezione, palpazione, percussione, ascoltazione) che dànno scarsissimi risultati. Questi nuovi metodi sono il cateterismo, l'esofagoscopia e l'esame coi raggi X. Col cateterismo s'introducono nell'esofago delle lunghe sonde di vario calibro e si stabilisce così se esistono ostacoli al loro passaggio, e, ove si tratti di restringimenti, di quale grado sia il medesimo in rapporto col calibro massimo della sonda che ha potuto superare lo stringimento. Con l'esofagoscopia s'illuminano a varia altezza le pareti dell'esofago a mezzo dell'esofagoscopio, costituito da un tubo di 45 centimetri, rigido, che s'introduce direttamente lungo l'esofago, munito d'un apparecchio d'illuminazione per la mucosa esofagea che s'esplora. L'apparecchio è munito altresì d'un mandrino otturatore e d'un aspiratore elettrico per i liquidi che possono raccogliersi nel tubo. Con i raggi X si può seguire il bolo alimentare, reso opaco e quindi visibile ai raggi X a mezzo d'una pappa di solfato di bario, lungo tutto l'esofago ed esplorare quindi i punti d'arresto o le deformazioni che il bolo subisce lungo il tragitto corrispondentemente ai punti lesi. Spasmi circoscritti anulari dell'esofago puramente funzionali, stenosi cicatriziali, stenosi da tumori, compressioni dell'esofago dell'esterno, spostamenti di sede dell'esofago determinati da anormali condizioni del mediastino, dilatazioni anomale, ecc., risultano molto evidenti ai raggi X e servono a localizzare la lesione e spesso a indicarne la natura.
Le malattie cui va incontro l'esofago sono le esofagiti o infiammazioni acute o croniche (specialmente della mucosa dell'organo), la tubercolosi, la sifilide, l'actinomicosi, inoltre l'ulcera semplice dell'esofago, la stenosi esofagea da cicatrici per causticazioni da ingestioni di sostanze caustiche, la dilatazione primitiva dell'esofago (megaesofago), i diverticoli dell'organo, congeniti o prodottisi patologicamente, i tumori benigni e maligni situati a varia altezza, i corpi estranei inghiottiti e arrestatisi in un punto qualsiasi del decorso esofageo, finalmente le dilatazioni varicose delle vene specie nell'estremo inferiore, che possono dare gravi (v. cirrosi) e anche mortali emorragie, spontaneamente o al passaggio d'una sonda. Alterazioni della normale contrattilità possono aversi per atrofia delle tonache muscolari dell'organo, o per paralisi d'origine centrale o periferica dei nervi che governano la contrazione delle tonache stesse. Un'alterazione della motilità può anche essere rappresentata dalla contrattura spastica d'un segmento circoscritto della tunica muscolare trasversale dell'organo, ciò che evidentemente si traduce anche in un disturbo di canalizzazione, poiché il lume del canale viene temporaneamente abolito. Più frequentemente la disfagia è determinata da ipersensibilità e dolorabilità della mucosa esofagea (per causticazioni volontarie o accidentali, o per infiammazioni batteriche) o da restringimenti del lume dell'organo legati a cicatrici (esito d'infiammazioni) o a tumori. Lo stesso risultato può essere dato anche da cause extraesofagee e cioè da tumori mediastinali, aneurismi dell'aorta, ascessi ossifluenti paraesofagei che, comprimendo le pareti del canale, ne ostruiscono il lume. Alterazioni assai meno frequenti e pure causa di disfagia sono i diverticoli e le dilatazioni dell'esofago o le anormali comunicazioni del canale con organi vicini. Quando quest'ultima evenienza si verifica con la trachea e s'ha il passaggio in questo canale del bolo alimentare, insorge naturalmente il pericolo di soffocamento; se la comunicazione si stabilisce invece (ciò che succede di frequente, per l'arresto nell'esofago di corpi estranei puntuti o taglienti) con il connettivo del mediastino, la conseguenza spesso inevitabile è una mediastinite mortale. Tutte le lesioni stenosanti del condotto esofageo per l'ostacolo gravissimo che arrecano all'alimentazione producono rapidamente un grave deperimento dello stato generale, come avviene specialmente per il cancro dell'esofago.
Stomaco. - Le alterazioni di funzionalità a cui può andare incontro lo stomaco possono essere di due ordini: alterazioni di motilità da un lato, alterazioni di secrezione, e quindi di chimismo, dall'altro. Siccome però è dimostrato, soprattutto in base agli esperimenti d'asportazione completa dello stomaco, che la funzione chimica gastrica può essere totalmente sostituita dalla digestione intestinale, è facile ancora rendersi conto come i disturbi di motilità debbano considerarsi, come per l'esofago, almeno praticamente i più importanti, tanto più se, come sarà detto fra breve, essi vanno sempre accompagnati a turbe secretorie e viceversa le turbe di secrezione hanno sempre una notevole influenza sulla motilità. Ancora più evidente apparirà l'importanza dei movimenti gastrici quando si ricordi che all'espletamento della funzione chimica digestiva è indispensabile il rimescolamento a cui le pareti gastriche vanno continuamente sottoponendo i cibi contenuti nello stomaco.
Per studiare clinicamente lo stomaco in senso fisiopatologico, la semeiologia gastrica si serve di varî metodi d'indagine: innanzi tutto dell'ispezione, palpazione, percussione e ascoltazione della regione gastrica: ma più importanti ancora sono i segni di gastropatia che si raccolgono a mezzo della sonda gastrica flessibile che lungo la bocca, la faringe e l'esofago s'introduce nello stomaco per estrarne soprattutto il succo digerente, sia a digiuno sia dopo certi pasti prestabiliti e sempre eguali (pasti di prova). Vengono poi gli esami fisicî e chimici, e microscopici fatti sul contenuto gastrico estratto con la sonda e sulle feci, ma riferentisi allo stomaco; finalmente le indagini radiologiche. Prima della röntgenologia diagnostica era usata la gastrodiafania consistente nell'introduzione nello stomaco d'una sonda munita d'una lampada elettrica; per trasparenza, all'oscuro s'osservava il campo luminoso creato dall'illuminazione interna dello stomaco. Oggi questo metodo è sostituito dall'indagine radiologica. Qualche autore usa oggi la gastroscopia a mezzo d'un apparecchio analogo a quello dell'esofagoscopia (v. sopra) ma è metodo d'uso assai difficile, domanda un prolungato allenamento e i risultati che se ne possono attendere ancora oggi sono scarsi. Con la semeiologia gastrica i principali fatti obiettivi che si raccolgono sono le dilatazioni gastriche (lo stomaco da un contenuto medio di 700 c. c. di gas insufflato, può giungere fino a 4-5 litri di gas); i rumori di guazzamento stomacale; i punti dolenti della parete gastrica variamente localizzati e importanti specialmente nelle ulceri; la palpazione di masse dure tumorali ecc. Con la sonda gastrica s'estrae il succo gastrico e lo si esamina nei suoi varî aspetti, fisico e chimico. Si può così rinvenire la presenza d'acido cloridrico in eccesso (ipercloridria): anche a digiuno lo stomaco, invece d'essere vuoto, può contenere grandi quantità di succo gastrico (gastrosuccorrea); si può rinvenire inoltre assenza d'acido cloridrico (acloridria); la presenza di acido lattico in sostituzione dell'acido cloridrico normale (fermentuzioni patologiche che si stabiliscono in assenza dell'acido cloridrico); la presenza di sangue anche in tracce minime; la presenza di muco spesso in grandi quantità; la presenza o no di residui di cibo a grande distanza dai pasti; la presenza di grossi bacilli e di Sarcina ventriculi nei ristagni gastrici ecc. E nelle feci si ricercano chimicamente tracce di sangue provenienti da processi ulcerativi stomacali (sangue occulto), i grossi bacilli e le sarcine suddette. Per quanto riguarda i reperti radiologici, v. appresso. Altri segni obiettivi clinici sono l'eruttazione, il vomito, il rigurgito, la ruminazione, l'ematemesi, la melena.
Finalmente completa il quadro sintomatico raccolto con la semeiologia e l'osservazione clinica, l'interrogatorio del paziente (anamnesi) e la notizia delle sensazioni soggettive dell'ammalato, sempre molto importanti sensazioni penose o addirittura dolorose, nausee, appetito esagerato e fame patologica, anoressia o ripugnanza al cibo, sete esagerata, che dànno luogo alla polifagia (ingestione esagerata del cibo) e alla polidipsia (bibite esagerate) le quali spesso dipendono da morbi extrastomacali (diabete mellito e insipido, poliurie renali ecc.); altre sensazioni anormali frequenti nella patologia dello stomaco sono il senso di peso stomacale e la nausea.
Le malattie a cui lo stomaco può andare incontro sono svariate, ma le più importanti per frequenza sono o d'origine infiammatoria (gastriti) o di natura nervosa: quest'ultime tuttavia, anche quando alla loro origine erano tali, finiscono quasi sempre per essere associate e aggravate da un processo infiammatorio. Altre malattie importanti, se pure meno frequenti, sono i tumori, specie il cancro, e certe alterazioni della mucosa manifestantisi sotto forma d'ulcerazioni circoscritte, tondeggianti, con scarsa tendenza alla rimarginazione, che vanno sotto il nome d'ulceri peptiche o ulceri rotonde. Bisogna ricordare pure che gli stati irritativi cronici e quelli acuti recidivanti, con frequenza possono tardivamente condurre all'atrofia più o meno grave della mucosa e delle sue ghiandole. Finalmente, lo stomaco può essere attaccato dalla tubercolosi, dalla sifilide, da infezioni micotiche e le sue pareti essere sedi d'ascessi e di aderenze derivanti dalle infiammazioni delle pareti dell'organo (perigastriti) o d'organi vicini, o primitive del peritoneo (v.).
Qualunque però siano queste alterazioni, esse s'appalesano e dànno notizia di sé con disturbi di motilità o di secrezione o, come quasi sempre si verifica, con gli uni e gli altri insieme.
La motilità può presentarsi aumentata, diminuita, pervertita.
L'ipermotilità gastrica, non molto frequente, dipende spesso da stati di nevrosi e ha per conseguenza lo svuotamento dello stomaco verso il duodeno prima che gli alimenti vi abbiano subito la proteolisi pepsinica. Agli effetti dell'assorbimento, che è lo scopo finale della digestione, il danno per questa mancata trasformazione dei proteici sarebbe in realtà lieve, data la capacità dell'intestino a sopperire alla digestione gastrica, se in conseguenza del precoce svuotamento, e quindi della mancata trasformazione del cibo in chimo acido, non venisse a mancare uno dei più potenti eccitatori della secrezione pancreatica (dato appunto dall'azione dell'acido sulla mucosa duodenale) donde un turbamento anche della digestione intestinale. Dall'ipermotilità semplice dello stomaco va tenuta distinta la cosiddetta agitazione peristaltica, cioè l'aumento della frequenza e forza di contrazione del ventricolo, fenomeno che si verifica talora nelle stenosi piloriche (per cicatrici, ulceri, tumori) e che tende a far superare ugualmente ai cibi il passaggio anormalmente ristretto.
Più importante, perché di gran lunga più frequente e più grave dell'ipermotilità, è l'atonia gastrica, cioè la diminuzione delle stessa motilità, frequente questa ad aversi in tutte le più disparate forme di gastriti acute e croniche, nel cancro pilorico, nelle gastroectasie (dilatazioni) e in tutta una serie di disturbi nervosi d'origine centrale e periferica. Di tutte queste diverse forme d'atonia solo quella che accompagna la gastroectasia è di solito caratterizzata da ipercloridria; le altre, quelle soprattutto che accompagnano le gastriti e il cancro, sono di solito caratterizzate invece da diminuzione o anche da mancanza (cancro) di acido cloridrico, cioè da ipo- o anacloridria. Quando, come in questi casi, coesistono l'atonia e l'ipocloridria, per il doppio fatto che i cibi soggiornano a lungo nello stomaco e che con la diminuzione dell'acido cloridrico è diminuito il potere sterilizzante del succo gastrico di fronte ai germi introdotti con gli alimenti, si verificano nel ventricolo delle fermentazioni anormali, talora dei veri processi putrefattivi con sviluppo d'acidi inorganici (lattico, acetico, butirrico) e di gas (metano, idrogeno solforato) che evidentemente non possono che aggravare le condizioni della mucosa gastrica.
I pervertimenti della motilità gastrica, essendo per lo più legati ad azioni nervose riflesse, sono fenomeni solo di breve durata. Fra essi ricorderemo gli spasmi che possono verificarsi a carico dell'intera muscolatura dell'organo (gastrospasmo) o degli anelli muscolari che circondano le sue due aperture (pilorospasmo e spasmo del cardias). Nel gastrospasmo e nel pilorospasmo la conseguenza è spesso un altro movimento pervertito, pure dello stomaco, il vomito, mentre nello spasmo del cardias, per impedita discesa del bolo alimentare nel ventricolo, s'ha un movimento pervertito di rigurgito solo dell'esofago, che riconduce il cibo nella bocca. Il vomito è la conseguenza d'un movimento peristaltico pervertito, cioè d'un movimento anti-peristaltico, che procede in senso inverso lungo la grande curvatura fino ad aprire il cardias, movimento accompagnato dalla contrazione violenta delle pareti addominali, donde compressione dello stomaco e fuoriuscita del suo contenuto. Il vomito, oltre che nelle più svariate affezioni gastriche, si verifica spessissimo per stimoli portati sugli organi più diversi (istmo delle fauci, intestino, rene, utero, vescica, midollo allungato, ecc.).
Passando ora a considerare le turbe di secrezione, ricorderemo come queste possano essere di quantità e qualità. Le variazioni qualitative sono tanto più importanti in quanto non si verificano, come ci potremmo aspettare, in ragione inversa della quantità di succo gastrico secreta, per cui a una maggiore secrezione corrisponda una diminuzione relativa dei suoi componenti e viceversa per le forme di secrezione diminuita, ma si verifica precisamente l'opposto, cosicché quando aumenta la totale secrezione del succo gastrico, aumenta anche la concentrazione dell'acido cloridrico e dei fermenti digestivi.
L'ipersecrezione gastrica è frequente conseguenza dei più svariati stati morbosi, sia dello stomaco, quando esiste uno stimolo anormale che irrita la mucosa (gastriti acute, gastroectasie, ulceri rotonde) sia d'altri organi, soprattutto del sistema nervoso (isterismo, neurastenia, tabe dorsale). L'eccesso di secrezione può presentarsi solo in coincidenza coi pasti o anche a stomaco vuoto e specialmente nelle malattie nervose, e verificarsi in modo sia continuo sia accessuale. In ogni caso l'ipersecrezione è accompagnata da frequenti spasmi del piloro, donde il vomito e il rigurgito acido della bocca. Dato l'aumento di pepsina e d'acido cloridrico che accompagnano l'ipersecrezione, si capisce come venga effettuata più rapidamente che di norma la digestione dei proteici nello stomaco; resta invece ostacolata la digestione intestinale, per il persistere più a lungo nel duodeno della reazione acida del chimo.
La diminuzione della secrezione gastrica può aversi, come l'ipersecrezione, in conseguenza di malattie nervose (tabe, isteria, neurastenia), ma è soprattutto caratteristica di tutte quelle malattie locali (gastriti croniche, cancro) o generali (intossicazioni gravi, cachessie) in cui si verifica l'atrofia semplice o la degenerazione seguita da distruzione delle ghiandole gastriche. In questi ultimi casi, alla diminuita secrezione gastrica, corrisponde spesso l'assenza d'acido cloridrico e di fermenti digestivi (anacloridria e achilia). Si capisce che in tali condizioni, non solo deve essere abolita la digestione gastrica, ma anche la digestione intestinale deve presentarsi alterata se viene a mancare l'acidità del chimo che, come si sa, è il più potente eccitatore della secrezione pancreatica. La motilità dello stomaco invece, in conseguenza dell'iposecrezione, è spesso aumentata, donde, se non è concomitante una stenosi pilorica, una rapida eliminazione dallo stomaco stesso del suo contenuto. Altra conseguenza importante dell'iposecrezione con ipocloridria è la mancata azione battericida svolta dal succo gastrico sui germi introdotti con gli alimenti; di qui non solo l'aumentata possibilità di malattie infettive, ma l'inevitabile verificarsi nello stomaco, per opera di germi, di fermentazione anomale a carico degl'idrati di carbonio (alcoolica, acetica, lattica, butirrica), di processi putrefattivi a carico dei proteici, di alterazioni dei grassi con la formazione di prodotti tossici, che, mentre aggravano le condizioni locali dell'organo quando vengano assorbiti sia dallo stomaco stesso, sia, più tardi, dall'intestino, contribuiscono a creare uno stato d'intossicazione dell'intero organismo.
Intestino. - Fra le varie sezioni del tubo digerente l'intestino è indubbiamente la più importante, perché in esso non solo viene preponderatamente attuata la digestione e l'assorbimento dei cibi ma si verifica altresì per opera dell'intestino l'emissione delle scorie inutilizzate del cibo (feci). L'intestino va incontro a molteplici alterazioni delle sue funzioni secretoria, assorbente e motoria.
Per rilevare tali sofferenze la semeiologia intestinale si serve dei metodi stessi che servono per la semeiologia gastrica: ispezione, palpazione, percussione e ascoltazione; gli esami con le sonde, quella duodenale (estrazione di succo duodenale), e quella rettale (eventuali ostacoli all'introduzione, insufflazione d'aria o introduzione di liquidi, lavaggi di prova); esami fisici, chimici, microscopici e batteriologici del succo duodenale e delle feci; esami radiologici, sempre di grande importanza per la diagnosi; la rettoscopia che per mezzo del rettoscopio (tubo munito di lampada d'illuminazione che s'introduce nel retto) consente l'ispezione diretta della mucosa rettale e anche di quella del sigma romano (romanoscopia); l'esplorazione digitale diretta dal retto (introducendo in esso l'indice rivestito d'un dito di gomma); finalmente l'esame delle feci macro-, microscopico e chimico, compreso, per mezzo di esso, lo studio dei numerosi ermi e protozoi intestinali. L'esame fisico obiettivo del ventre viene spesso ostacolato da un'eccezionale tensione riflessa dei muscoli della parete del ventre; allora talvolta s'usa l'esame del ventre nel bagno caldo oppure l'esame sotto narcosi che si fa per lo più prima di operare il paziente.
Con l'ispezione si mettono in evidenza le alterazioni della pelle, delle vene superficiali, della forma del ventre, le alterazioni muscolari e di ogni altra parte della parete del ventre, le alterazioni della forma e del volume di esso, nonché le alterazioni del movimento gastro-intestinale visibile attraverso alle pareti del ventre. Con la palpazione si raccolgono i dati più interessanti: si palpano le anse intestinali quando sono contratte, normali o patologiche che siano; si palpano i tumori e le onde dei liquidi raccolti nell'addome, quando vengono scossi da piccoli colpi dati alla parete del ventre, si palpa finalmente la grandezza del fegato, del pancreas, della milza, dei reni e il loro eventuale spostamento di sede. Finalmente si localizzano o si provocano con la palpazione dolori e malesseri che prendono la loro origine da punti circoscritti del ventre. L'ascoltazione di sfregamenti e di rumori di stenosi e di semplici borborigmi (rumori dovuti a movimento d'aria nell'intestino) non ha molta importanza pratica. La percussione permette di determinare ottusità o ipofonesi derivanti da tumori, da liquidi cavitarî, da ingrandimenti d'organi solidi. Molti altri segni patologici si raccolgono con tutti gli altri metodi ricordati e specialmente con la radiologia (v. sotto) e con la coprologia clinica (v.). Importante è l'esame del succo duodenale estratto con la sonda (v. duodeno). L'esplorazione digitale e la retto-romanoscopia si riferiscono esclusivamente all'ultima parte dell'intestino crasso, la quale pero va incontro a frequenti alterazioni. Nella donna l'esplorazione digitale rettale serve a sostituire nelle vergini l'esplorazione vaginale. Essa permette di percepire emorroidi interne, polipi, tumori carcinomatosi o d'altra natura, restringimenti sopraanali del retto, invaginazioni intestinali, masse comprimenti la parete del retto, ammassi fecali nel retto, ecc. La rettoscopia, fatta per mezzo d'uno speculum rettale, o rettoscopio, sopportato agevolmente dai pazienti, sostituisce con vantaggi l'ispezione digitale, sempre incerta nelle sue sensazioni e per di più consente di vedere direttamente anche tutte quelle alterazioni della mucosa rettale che non dànno sensazioni speciali al tatto.
Altri sintomi clinici delle affezioni intestinali sono dati dalla frequenza delle defecazioni, dall'emissione di gas (flatulenze intestinali), o dalla assenza delle une e delle altre (occlusioni intestinali), dall'emissione di sangue nero, fondo di caffè o melena (proveniente da sezioni relativamente alte dell'intestino) e di sangue rutilante (emorroidario), dall'emissione di grandi masse di muco, specie sotto forma di pseudomembrane, dall'emissione di grossi e lunghi vermi (tenie, ascaridi). Infine completano l'indagine sintomatologica l'anamnesi e la descrizione delle sensazioni soggettive così come per lo stomaco.
Malattie dell'intestino. - La complessa e importante funzione dell'intestino, digestiva, assorbente e motrice, può essere turbata sia da malattie locali, che colpiscono cioè l'intestino stesso, sia da malattie che interessano le due grosse ghiandole che gli sono annesse, il fegato e il pancreas (v. queste voci).
Le malattie intestinali ripetono la loro origine da cause svariatissime; le più frequenti sono d'origine infiammatoria (enteriti), o semplice (avvelenamenti, disordini dietetici, ecc.), o infettiva (tifo, colera, dissenteria, tubercolosi, ecc.), o parassitaria; possono presentarsi in forma localizzata o diffusa; pure frequenti sono le malattie da causa meccanica (ptosi, ernie, prolassi, invaginamenti, volvoli, stenosi, occlusioni, ecc.) e quelle di natura nervosa (nevrosi sensitive e motorie) e neoplastica (polipi, cancri, sarcomi). Le malattie delle grosse ghiandole annesse all'intestino, pancreas e fegato, sono pure di varia origine, ma le ripercussioni che dette malattie hanno sulla funzione intestinale riguardano solo, o almeno prevalentemente, la quantità e qualità del secreto da esse inviato all'intestino. In ogni modo, quali si siano la causa e il modo d'estrinsecarsi d'una malattia intestinale, epatica e pancreatica, essa si ripercuoterà sulla funzione intestinale con alterazioni che possono essere: di secrezione, di chimismo, di motilità, di canalizzazione, d'assorbimento, di composizione ed eliminazione delle feci.
Turbe di secrezione e di chimismo. - La secrezione della bile e dei succhi pancreatico ed enterico può aumentare o diminuire, e tali aumenti e diminuzioni verificarsi insieme per tutti e tre i secreti, o essere limitati solo a taluno dei secreti stessi. Gli aumenti di secrezione, specie quelli generali, si verificano di rado e sono per lo più le conseguenze d'azioni nervose o d'intossicazioni o avvelenamenti generali: si tratta, quasi sempre, di fenomeni transitorî e quindi di scarsa importanza.
Assai più importanti invece, sia per la frequenza con la quale si verificano, sia per le conseguenze che determinano, sono le diminuzioni di secrezione. In generale si può dire che i secreti intestinali diminuiscono, quando i rispettivi organi di secrezione (fegato, pancreas, ghiandole intestinali) sono colpiti da processi infiammatorî o, peggio, da fenomeni degenerativi o distruttivi. Ma anche in assenza di questi processi, il succo pancreatico e la bile possono diminuire o addirittura mancare dall'intestino e quindi venir meno alla loro funzione, quando per qualunque ragione (incuneamento di calcoli, ostruzioni del lume per tumori, cicatrici, ecc.), è ostacolato o impedito il loro deflusso attraverso il canale escretore della rispettiva ghiandola. Le alterazioni del chimismo, in rapporto alla diminuzione o alla soppressione dei varî succhi digestivi, è facilmente prevedibile, quando si tenga conto della parte che ciascuno di essi prende alla digestione intestinale; si comprende pertanto che le conseguenze più gravi agli effetti della digestione s'avranno quando è diminuita o abolita la secrezione pancreatica. Qui bisogna distinguere il caso in cui è ostacolato il deflusso ma la ghiandola è sana (si hanno minime conseguenze perché stomaco e intestino suppliscono coi loro fermenti digestivi) e il caso in cui il tessuto pancreatico è distrutto (secondariamente alla occlusione del dotto o primitivamente). In tal caso si crede che venga a mancare un'influenza stimolante specifica del pancreas sulla secrezione intestinale, per il che è compromessa la digestione di tutti e tre i fondamentali principî alimentari, e cioè le proteine (delle quali si perde il 25%), i grassi (dei quali si perde per le feci fino al 50%) e i carboidrati (quest'ultimi in modo limitatissimo). Se però, invece, la diminuzione o soppressione della secrezione biliare ha per conseguenza solo una minore utilizzazione dei grassi (dei quali si perde per le feci dal 25 al 50%), all'incontro si dovrebbe avere una minore utilizzazione degl'idrati di carbonio, quando è diminuita la secrezione enterica. Qui i rapporti di causa ad effetto non sono ancora chiari; così s'ignora se la deficienza del succo enterico e dei suoi fermenti porti per conseguenza un residuo d'amido indigerito. Invece si sa che ai batterî intestinali si deve la digestione della cellulosa che nei vegetali involge l'amido. Se quest'azione viene a mancare, l'eccesso di cellulosa impedisce la digestione dell'amido e il suo assorbimento; l'amido va incontro a decomposizione per parte dei batterî, specialmente nelle sezioni basse dell'intestino e si ha così la dispepsia flatulenta (accumulo ed emissione di molti gas intestinali).
Alterazioni della motilità. - Il movimento dei cibi nell'intestino è operato dai moti peristaltici, che possono presentarsi aumentati, diminuiti, pervertiti. Un aumento s'ha assai di frequente quando stimoli anormali di qualsiasi natura vengono ad agire sulle tonache dell'intestino e specie sulla mucosa: in tal modo agiscono molte sostanze ad azione purgativa, le sostanze indigeribili (cellulosa), taluni parassiti animali, le raccolte di gas, i raffreddamenti e i massaggi portati alla superficie del ventre. Anche in assenza però di stimoli anormali, un aumento della motilità intestinale s'ha quando per molti processi morbosi, e in particolare per quelli di natura infiammatoria, è aumentata l'eccitabilità neuromuscolare dell'intestino, così che bastano anche i normali stimoli alla motilità intestinale e cioè il contatto coi comuni alimenti a provocare movimenti esagerati. La stessa ipermotilità può essere la conseguenza di malattie del sistema nervoso o anche d'intossicazioni generali.
L'emissione di feci liquide (diarrea) è di solito l'immancabile conseguenza immediata dell'esagerazione dei moti intestinali, e ciò è comprensibile quando si pensi che per il passaggio rapido dei cibi attraverso l'intestino è notevolmente diminuita la possibilità dell'assorbimento in genere e di quello dell'acqua in specie. La diminusione della motilità intestinale è meno frequente dell'ipermotilità: il disturbo è assai spesso legato a turbe nervose (iposensibilità, diminuzione dell'eccitabilità neuromuscolare intestinale) e anche a eccessiva utilizzazione del cibo con scarsità di residui, e ha come conseguenza una stipsi più o meno ostinata.
Per quanto riguarda infine le perversioni della motilità è anzitutto da ricordare che non da tutti è ammessa la possibilità di movimenti antiperistaltici del duodeno, cioè di onde di contrazione procedenti in senso inverso a quello normale (antiperistalsi). S'hanno tuttavia i vomiti di contenuto intestinale nelle isteriche. Nelle occlusioni intestinali secondo H. Nothnagel si ha una falsa antiperistalsi o spinta retrograda del contenuto intestinale, secondaria alle forti contrazioni intestinali a monte della stenosi. Il colon ascendente è dotato di movimenti antiperistaltici, non però il tenue.
Assai frequenti sono invece gli spasmi rappresentati da contrazioni permanenti anche per giorni e settimane, e dolorose (coliche) di tratti più o meno estesi delle pareti intestinali, contrazioni dovute o a stimoli anormali portati sulla mucosa, o ad avvelenamenti (colica saturnina) o ad azioni nervose riflesse.
Alterazioni di canalizzazione. - Il progresso dei cibi lungo l'intestino può essere reso difficile o impedito da restringimento (stenosi), o da obliterazioni del suo lume (occlusioni). Restringimenti e obliterazioni sono per lo più dovuti o a peculiari alterazioni della parte intestinale (invaginamenti, strozzamenti erniarî, spasmo e paralisi muscolari, tumori, torsioni di anse) o a modificazioni del contenuto (calcoli e accumuli fecali, corpi estranei, accumuli di parassiti) o a compressioni esercitate sull'intestino dal difuori (raccolte liquide, briglie cicatriziali, utero gravido, tumori d'organi peritoneali). In ogni caso, qualunque sia il grado della stenosi, è inevitabile il ristagno dei materiali alimentari e la conseguente progressiva dilatazione della parte dell'intestino situata a monte dell'ostacolo. Tale dilatazione è aggravata dal fatto che i cibi arrestati nell'intestino vanno rapidamente incontro a processi fermentativi e putrefattivi con abbondante sviluppo di gas, donde il vistoso meteorismo (distensione delle anse intestinali per raccolta di gas) e il grave stato d'intossicazione che accompagna la stenosi e le occlusioni intestinali. Se l'ostacolo è grave e non è presto rimosso, nel tratto d' intestino dilatato, per effetto dei disturbi di circolo dovuti alla dilatazione e anche per le azioni irritanti e tossiche provocate dalle modificazioni del contenuto, si producono spesso ulcerazioni gravi della mucosa e talora anche la rottura del viscere.
Alterazioni dell'assorbimento. - L'assorbimento è il risultato di complessi fattori d'ordine fisico e fisiologico, per cui il passaggio di materiali nutritizî dal lume intestinale al sangue avviene in parte per processi d'osmosi e di diffusione, in parte per una vera attivita selettiva e secretiva delle cellule dell'epitelio intestinale. La mucosa intestinale si comporta dunque in rapporto all'assorbimento non come una membrana morta, ma come una membrana viva e si comprende perciò come l'assorbimento stesso possa facilmente variare a seconda delle condizioni di permeabilità e d'attività vitale di questa membrana. Un aumento del suo potere assorbente in senso stretto e cioè con la conseguenza d'un passaggio superiore per quantità di principî nutritivi si verifica di rado; un tale aumento si verifica invece spesso nel senso che per alterazioni della mucosa (stato catarrale) questa si lascia attraversare o assorbe attivamente sostanze che normalmente non passano dal lume intestinale al sangue (batterî e sostanze tossiche). Si tratta evidentemente in tal caso più che di un aumento del potere assorbente, d' un pervertimento del potere stesso con la necessaria conseguenza d'uno stato d'intossicazione dell'intero organismo o di temporanee batteriemie e talvolta di vere e proprie infezioni generali (setticemie d'origine intestinale).
Analogamente, si comprende come alterazioni che diminuiscono l'attività vitale della mucosa, o la inducono in uno stato d' atrofia, debbano condurre a una diminuzione dell'assorbimento di veri principî nutritivi; tale diminuzione però può manifestarsi anche all'infuori d'ogni diminuzione del potere assorbente della mucosa, sia per alterazioni del processo digestivo che abbassano la quantità di materiali messi in condizioni di poter essere assorbiti (v. sopra), sia per qualunque condizione che accelera il passaggio dei cibi attraverso l'intestino. L'anafilassi (v.) d'origine alimentare con le sue complesse manifestazioni è in rapporto a particolari difetti dell'assorbimento delle sostanze proteiche.
L'atto della defecazione è più spesso alterato, o da stimoli anormali (per lo più infiammazioni) portati sulla mucosa rettale che lo rendono eccessivamente frequente (tenesmo), o da paralisi sia temporanee (asfissie, violente emozioni) sia permanenti (d'origine midollare) dello sfintere anale (incontinenza delle feci). La defecazione può anche essere resa meno frequente che di norma da ipocinesi (scarsa attività motoria) del crasso (stitichezza), o da iposensibilità rettale, al riflesso di espulsione delle feci (dischezia), e ancora essere resa difficile e dolorosa da abnormi restringimenti del retto per sifilide o cancro, oppure da semplici tumefazioni delle vene emorroidarie (emorroidi) o da ragadi dell'apertura anale che provocano stati spastico-dolorosi dello sfintere anale. La coprologia (v.) studia i caratteri normali e patologici delle feci.
In questo cenno generale della fisiopatologia dell'apparato digerente abbiamo tracciato a grandi linee i processi morbosi più importanti, riservandoci di trattare a parte la patologia speciale del fegato (v.) e del pancreas (v.). Nelle voci corrispondenti ai singoli organi (esofago; stomaco; duodeno, ecc.) sono date notizie più particolari, specialmente per quanto si riferisce all'anatomia patologica e alla terapia chirurgica. Si consultino inoltre le voci che si riferiscono ai quadri clinici più importanti (enterite; vomito; diarrea, ecc.), come pure le altre voci strettamente connesse con la fisiopatologia dell'apparato digerente: dal punto di vista fisiologico: alimentazione; fisiologica, chimica; chimica: Chimica bromatologica, ecc.; dal punto di vista terapeutico le voci generali: terapia, dieteticoterapia, ecc. e quelle corrispondenti ai diversi gruppi farmacologici: amare, sostanze; antielmintici; antisettici; carminativi; eupeptici; lassativi; purganti; suppositorî, ecc. o a particolari metodi terapeutici: enteroclisi, ecc. Per la pediatria v. bambino; allattamento; lattante, ecc.
Bibl.: H. Nothnagel, Beiträge zur Physiologie und Pathologie des Darmes, Berlino 1884; J. Boas, Diagnostik u. Therapie der Darmkrankheiten, Lipsia 1899, trad. ital. Milano 1909; C. Herter, La patol. chim. nei suoi rapp. con la medicina pratica, Milano 1906; A. Mathieu, Pathologie gastro-intestinale, Parigi 1913-1921; A. Schmidt, Trattato delle malattie intestinali, Milano 1915; F. Alzona, La patologia della S iliaca, Modena 1919; L. Krehl, Fisiologia patologica, Milano 1923; W. Osler, ecc., Modern Medicine its theory and practice, III: Diseases of the digestive system, New York-Philadelphia 1926; H. MacLean, Modern views on digestion and gastric disease, Londra 1925; M. Donati, I progressi della chirurgia gastrointestinale nell'ultimo decennio, in Rass. internaz. di clinica e terapia, 1929; M. Loeper, Thérapeutique médicale, Parigi 1930.
Radiologia dell'apparato digerente.
L'esplorazione del tubo digerente praticata coi raggi Röntgen direttamente, cioè senza artifici speciali, non approda d'ordinario a nessun risultato utile. Le pareti del tubo digerente e i comuni ingesti che coi succhi gastroenterici ne riempiono le cavità, sono costituiti, come tutti gli altri tessuti molli e i liquidi del nostro corpo, prevalentemente dagli stessi elementi, che per il loro numero atomico basso godono d'una grande permeabilità ai raggi Röntgen. Ne risulta così che questa luce dopo il suo passaggio attraverso l'addome ne proietta un'ombra grigia, uniforme, o tutt'al più sparsa qua e là d'aree luminose disuguali, corrispondenti ai gas che ne distendono le varie cavità; nessuna differenziazione, bastevole ai fini diagnostici, è perciò possibile delle singole sezioni del tratto gastroenterico. Anche il canale esofageo, pieno o vuoto che sia, nascosto come è nello spessore del mediastino, rimane invisibile. Per avere delle informazioni veramente utili sul tubo digerente, bisogna riempirne i diversi segmenti con materiali di contrasto, cioè con sostanze molto meno permeabili, o molto più permeabili ai raggi Rontgen, cioè molto più opache, o molto più trasparenti dei nostri tessuti. Il metodo più pratico è costituito dall'introduzione di sostanze più opache, e venne inaugurato sugli animali un anno dopo la scoperta dei raggi Röntgen, cioè nel 1897, ma s'affermò come metodo clinico di ricerca solo nel 1904 per opera di H. Rieder.
L'esplorazione si compie durante e dopo la somministrazione per bocca o per il retto d'un sale innocuo d'un metallo ad alto numero atomico e procede con l'osservazione e lo studio delle ombre che dei riempimenti opachi così ottenuti questi raggi proiettano su d'uno speciale schermo fluorescente, il quale s'illumina sotto la loro azione (radioscopia) o su di una speciale pellicola fotografica (radiografia) resa più sensibile perché collocata con le sue facce emulsionate a intimo contatto con due altri schermi fluorescenti di rinforzo. Le osservazioni radioscopiche e i negativi (radiogrammi) vengono effettuati a soggetto in varie posizioni (in piedi, coricato sul ventre, sul dorso, su d'un fianco, ecc.), con diverso percorso intracorporeo dei raggi (proiezione), con distanza, tra il punto d'origine dei medesimi entro l'ampolla che li genera e la lastra sensibile, di circa 60-80 centimetri. Il programma di lavoro viene suggerito dall'anamnesi e dai reperti degli esami precedentemente ottenuti con gli altri comuni mezzi di ricerca. Questo modo speciale d'esplorazione è completo quando incomincia dall'esofago e segue gli ingesti opachi di mano in mano che progrediscono entro il canale alimentare, sino alla loro totale evacuazione per il retto (il che comporta non meno di due giorni d'osservazione); è incompleto quando si limita a un solo o a pochi segmenti del tubo digerente. Il grosso intestino, isolatamente o come integrazione dello studio eseguito con la somministrazione orale, può venire esplorato mediante l'introduzione rettale del sale opaco. D'ordinario, dove è possibile (il che, per esempio, non è quando l'esofago sia fortemente stenosato), l'esplorazione radiologica del tubo digerente dev'essere completa, perché non di rado una malattia d'un suo segmento (supponiamo l'appendice) può essere cagione di fenomeni morbosi assai più molesti a carico d'un altro segmento più lontano (stomaco), o perché più sezioni sono a un tempo e diversamente alterate. L'esplorazione radiologica di certi tratti (stomaco, grosso intestino) può giovarsi anche dell'introduzione combinata di sali opachi e di gas, e dello studio contemporaneo d'altre cavità viscerali, rese manifeste perché riempite con altre sostanze di contrasto. L'associazione più frequente è quella con la ricerca radiologica della vescichetta biliare (colecistografia). La palpazione addominale, compiuta durante la radioscopia del tubo digerente, fornisce rilievi di somma importanza per stabilire i rapporti di uno speciale punto doloroso cutaneo o profondo, o d'una speciale resistenza interna (per esempio di natura tumorale) con questo o quel segmento del canale alimentare, e gli spostamenti passivi che il dolore, l'ombra dell'organo sul quale esso risiede e la resistenza palpabile subiscono l'uno in confronto dell'altro; essa serve anche per stabilire se certi segmenti contigui siano o no ben separabili. Con l'introduzione d'un mezzo di contrasto, non si mettono in evidenza coi raggi Röntgen le pareti dell'organo cavitario così riempito. Queste pareti, il cui stato anatomico e funzionale, sano o alterato che sia, l'esplorazione radiologica si prefigge di svelare, sfuggono per sé stesse completamente ai raggi Rontgen, che sottopongono alla nostra visione solo l'ombra del materiale opaco di riempimento. Soltanto le modificazioni grossolane o fini di questi stampi opachi, quali risultano dalle diverse malattie, aiutano a risalire a un giudizio di queste, cioè alla loro causa. Ma i reperti radiologici, pur essendo superiori a ogni altro mezzo per precisare la sede d'una lesione del tubo digerente e la sua estensione, non riescono quasi mai a stabilirne la vera natura: dimostrano, per esempio, che esiste un tumore gastrico, ma non sono in grado di dirci se benigno o maligno, perché qualunque massa interna può produrre lo stesso quadro. Quando poi l'alterazione della parete non abbia raggiunto tale volume da iscriversi sullo stampo cavitario, essa sfugge in questo caso completamente ai raggi Röntgen. Nonostante tali limitazioni, i raggi Röntgen, svelandoci con una tecnica perfetta i più fini rilievi normali della mucosa alimentare, e sempre poi i suoi movimenti e quelli della tonaca muscolare che fa parte della parete, e il tempo che il viscere cavo impiega a svuotare il suo contenuto opaco, e i rapporti topografici del viscere stesso, forniscono spesso un quadro radiologico che rende possibile d'avvicinarsi, per il tubo digerente, alla verità anatomica più che con gli altri mezzi di ricerca, d'esame clinico o di laboratorio. Per questo l'esplorazione radiologica del canale alimentare oggi si rende indispensabile; essa dà il rendimento massimo, quando i suoi risultati siano combinati e discussi con quelli di tutte le altre indagini.
Tecnica.- Il soggetto deve presentarsi a digiuno, altrimenti gli alimenti contenuti nello stomaco, specie se solidi e mal masticati, potrebbero impedirne un riempimento opaco omogeneo, ed essere fonte di gravi errori (per esempio, diagnosi errata di tumore gastrico). Nello studio per via rettale, l'intestino dovrà trovarsi possibilmente sgombro di feci. Come sale opaco nei primi tempi della radiologia si ricorse al sottonitrato di bismuto, ma dopo pochi anni esso fu abbandonato perché in qualche caso era riuscito, per le alte dosi necessarie (30-40 gr.), fortemente tossico e persino letale; fu sostituito dal carbonato di bismuto, innocuo anche in forti quantità. Il suo alto costo, però, consigliò l'uso del solfato di bario, che se purissimo, essendo inattaccabile da tutti i succhi gastroenterici, non produce nessun'azione (mentre se contiene dei sali solubili di bario è esso pure molto velenoso). Si tratta d'una polvere bianca, che se molto fina (anche in Italia se ne produce purissima e ottima sotto tutti gli aspetti), s'incorpora facilmente alle paste alimentari più diverse e rimane a lungo sospesa anche nei liquidi.
Il boccone opaco si prepara grande come si vuole, avvolgendo nell'ostia una presa di solfato di bario. Le capsule (di gelatina molle) riempite di solfato di bario vengono fabbricate di varî diametri. Bocconi e capsule opache servono per certi studî dell'esofago. Per il pasto opaco, si può dire che ogni radiologo se ne confeziona uno speciale, ma i due pasti più in uso sono la pappa del Rieder (100 o 150 grammi di solfato di bario incorporato a 30 grammi di semolino ben cotto in 300 centimetri cubici d'acqua con due cucchiai di saccarosio), e il pasto liquido, di cui s'hanno due forme principali: quello a base di latte spannato (200 centimetri cubici diluiti in altrettanti d'acqua, con l'aggiunta della predetta quantitȧ del sale opaco); e quello costituito da solfato di bario sospeso in acqua comune.
Il pasto insufflato del Vallebona consiste nel somministrare a stomaco vuoto alcuni cucchiai d'un pasto opaco denso (per esempio solfato di bario gelatinoso, a cui siano stati aggiunti 4 grammi d'acido tartarico), e nel far bere subito dopo 4 grammi di bicarbonato di sodio sciolto in poche cucchiaiate di acqua. L'acido carbonico che si svolge distende lo stomaco; la pasta opaca, dando via via al paziente varie posizioni sul letto, ne spalma la mucosa e può renderne visibili i più fini dettagli normali o patologici. Si ottengono così immagini plastiche di grande effetto e di grande interesse. Esaurito col pasto insufflato lo studio dei particolari gastrici che interessano di più, si somministra un pasto opaco comune e si continua l'esplorazione. La radioscopia e la radiografia sono ugualmente indispensabili, ma la prima deve precedere: essa mostra soprattutto i fatti più grossolani e i movimenti; la seconda, i fenomeni anche più delicati, ma solo in un particolare momento, e spesso anche quelli che alla radioscopia sarebbero passati inosservati. La radioscopia del tubo digerente con la somministrazione orale deve sempre incominciare a soggetto in piedi, e poi nel decubito orizzontale variando via via le posizioni e le proiezioni secondo il filo della ricerca. La radioscopia durante e dopo il clisma opaco si compie nel decubito orizzontale. La radiografia interverrà a documentare soprattutto gli aspetti più caratteristici.
Semeiotica e diagnostica radiologica. - Consideriamo ora le singole parti del tubo digerente (v. tavv. CLXXXV-CLXXXVIII).
Esofago. - Facendo bere rapidamente una sospensione opaca, il lume esofageo si fa visibile in tutta la sua lunghezza con un'ombra nastriforme che presenta a certi livelli alcuni leggieri strozzamenti fisiologici, scossa qua e là da battimenti trasmessi dall'aorta e dal cuore, e che in breve scompare. Con una cucchiaiata di pappa opaca, s'osserva un'ombra ovalare che si sposta lentamente in basso subendo qua e là degli arresti momentanei, allungandosi di mano in mano che discende, e animata essa pure in certi punti da battimenti trasmessi. Con una capsula opaca, questa compie d'ordinario dei salti che la portano sino all'anello diaframmatico, donde procede lentamente in basso, per essere poi lanciata nello stomaco. Coi raggi Röntgen si può ricercare se l'esofago sia deviato o compresso, se sia in preda a disturbi d'innervazione, se sia affetto da lesioni organiche, se contenga o no corpi estranei. La scoperta d'uno spostamento o d'una compressione dell'esofago può spesso fornire criterî importantissimi, non solo sulla sede, ma anche sulla natura della causa che li ha provocati. Gli aneurismi dell'aorta (arco e porzione discendente) ne sono il fattore più frequente.
Lo spasmo dell'esofago, che può essere essenziale o complicare varie malattie esofagee, si manifesta con un arresto del bolo, o con un ristagno della pappa opaca al disopra d'un punto ristretto, che dopo pochi momenti s'apre, o che, presente in un'osservazione, è del tutto scomparso in un'altra, o che muta di sede e di ampiezza col tempo. La diagnosi differenziale fra uno spasmo esofageo fisso e persistente a lungo e una stenosi organica può essere difficilissima.
Nell'atonia dell'esofago, che accompagna spesso l'astenia universale, e si manifesta con disfagia più o meno spiccata, la pappa opaca non assume la forma di boli ovalari, ma si distende lungo l'esofago in una striscia sottile continua, persistente a lungo, mentre i liquidi e i grossi bocconi passano facilmente. In taluni casi si osserva una dilatazione dell'esofago, spesso della capacità di taluni litri, che può essere l'effetto di una sua stenosi bassa (spastica o organica), mentre in-altri casi la causa ne sfugge (dilatazione idiopatica dell'esofago). I materiali opachi precipitano e ristagnano a lungo in questa grande cavità, e la riempiono con un'opacità del diametro di parecchi centimetri, fusiforme, a punta in basso, che finisce al cardias o qualche centimetro al disopra. Nella dilatazione idiopatica, se si fa bere rapidamente, abbondantemente, spesso la massa opaca ristagnante nell'esofago è svuotata d'un colpo nello stomaco.
Le lesioni organiche più comuni svelate dai raggi X sono le stenosi cicatriziali e neoplastiche, i diverticoli, più di rado l'ulcera peptica. L'ulcera peptica dell'esofago si sviluppa per lo più nel suo tratto inferiore per il rigurgito ripetuto d'un chimo fortemente acido; determina uno spasmo, donde un ristagno soprastante dei materiali opachi ingeriti, con dilatazione esofagea più o meno spiccata. L'ulcera sfugge tuttavia all'esame, a meno che non si riveli con una nicchia (vedi sotto). Al disopra d'una stenosi cicatriziale la dilatazione non raggiunge mai dimensioni rilevanti, e s'ha spesso uno stampo opaco imbutiforme dell'esofago. La causa più frequente d'una stenosi organica è rappresentata dal carcinoma esofageo, che a seconda della sua sede, dello stadio del suo sviluppo, dei suoi caratteri anatomici può presentarsi sotto diversi aspetti radiologici: al disopra della stenosi l'ombra opaca dell'esofago dilatato presenta spessissimo contorni frastagliati che riproducono lo stampo delle vegetazioni neoplastiche sporgenti internamente. Se la massa opaca s'insinua nel tramite stenotico, ne disegna il decorso spesso tortuoso e a margini irregolarissimi. Se il carcinoma ha perforato la trachea o un grosso bronco, il liquido opaco deglutito passa auraverso questi a disegnare dai due lati, o da un lato solo, l'albero bronchiale. I diverticoli esofagei, costituiti come sono da un'estroflessione più o meno pronunziata della parete del canale faringo-esofageo, si fanno ben manifesti con i raggi Röntgen come ombre sporgenti sul nastro opaco esofageo, o isolate in vicinanza del medesimo. Essi possono svilupparsi nella regione di confine tra l'ipofaringe e l'esofago (diverticolo faringo-esofageo o di Zenker, che può dare gravi segni di stenosi comprimendo col suo riempirsi l'esofago), o risiedere a livelli varî: al disopra dell'incrocio del bronco sinistro (diverticolo epibronchiale, che d'ordinario non dà disturbi), nella porzione media dell'esofago, per lo più per azione retraente di ganglî tracheo-bronchiali cicatrizzati (diverticolo da trazione); al disopra di qualsiasi stenosi (diverticolo soprastenotico); nella porzione bassa dell'esofago, dove possono raggiungere dimensioni notevolissime.
I corpi estranei sono di facile scoperta se opachi (monete, spilli, ecc.); se sono pochissimo opachi (pezzi di osso) o molto trasparenti (bottoni di legno) si mettono in evidenza durante la deglutizione d'una sospensione di bario, che li riveste.
Stomaco. - Lo stomaco, riempito con un pasto di circa 400 centimetri cubici, si presenta, a tronco eretto, d'ordinario con ombra omogenea a forma di un grosso budello più o meno verticale, situato coi due terzi superiori nella metà sinistra dell'addome e ripiegato con la sua porzione inferiore verso destra a uncino, col punto più basso circa a livello dell'ombelico (forma gastrica a uncino o a sifone, di Rieder e Grödel).
Oltre a questa forma che è la più comune, si osservano normalmente anche altri tipi (a corno di torello con la punta in basso: forma di Holzknecht [rara]; a uncino ma ad asta allungata, frequente nel sesso femminile); tra i quali s'annoverano numerose forme di passaggio, in rapporto con la diversa costituzione. Col mutare della posizione del soggetto, il suo stomaco muta di forma anche notevolmente. Basta una quantità molto piccola d'ingesti (circa 50 centimetri cubici) perché lo stomaco normale ne sia riempito fino alla bolla gassosa, disegnandosi con una forma, che anche con l'aumentar del pasto non si modificherà più, ma solo si ingrandirà nel senso della larghezza, facendosi in pari tempo col suo polo caudale solo un po' più in basso. Questo modo di riempimento, che in un primo tempo avviene nel senso della lunghezza del viscere e in un secondo tempo nel senso della larghezza, dipende dal tono gastrico, per il quale lo stomaco ha la capacità di contrarsi sul suo contenuto appena lo avverte. Il tono gastrico (studiabile praticamente soltanto con i raggi Röntgen) può deprimersi più o meno (ipotonia; atonia gastrica) o esaltarsi (ipertonia): così lo stomaco può apparire più grande o più piccolo. Già all'arrivo dei primi ingesti l'immagine gastrica appare animata da movimenti (peristalsi gastrica), i quali si rivelano come avvallamenti opposti delle due curvature, scorrenti lentamente in basso e che s'esauriscono al piloro; ma prima di raggiungerlo s'approfondano, mettendosi quasi a contatto (sfintere prepilorico), e separando così lo stomaco in due porzioni. Esauritasi la peristalsi, la parte prepilorica gastrica si dilata alle dimensioni normali e questo giuoco si ripete ritmicamente (rivoluzione dell'antro). La peristalsi gastrica s'esalta nel decubito orizzontale. Lo studio radiologico della peristalsi gastrica è di somma importanza, perché le sue variazioni sono determinate da molte malattie. Quando la peristalsi è diretta in senso opposto, cioè dal piloro al cardias (antiperistalsi), esiste per lo più una stenosi del piloro o della primissima porzione del duodeno (nel qual caso s'ha in pari tempo una dilatazione più o meno rilevante dello stomaco); se è assente in un punto (blocco parziale), esiste sempre a questo livello un'alterazione (ulcera, cicatrice, infiltrazione neoplastica, aderenze); se è depressa stabilmente, accompagna per lo più l'ipotonia e l'atonia gastrica; se esaltata, a onde molteplici profonde (iperperistalsi), indica uno stato d'eccitazione gastrica, quale si rinviene nei vagotonici, e quasi sempre nell'ulcera duodenale (dove lo stomaco è inoltre ipertonico). L'assenza assoluta della peristalsi s'ha nelle alterazioni diffuse gastriche di tipo fibroso, infiammatorie o carcinomatose. Nell'ombra gastrica, soprattutto a piccolo riempimento, s'osservano spesso parecchie strie trasparenti di varia larghezza, a contorni netti, paralleli, dirette secondo l'asse longitudinale del viscere, ricongiunte trasversalmente da altre strie analoghe minori. Tali strie (meglio visibili nel decubito orizzontale, o comprimendo l'organo) e che non di rado mutano d'aspetto in pochi secondi, corrispondono allo stampo d'altrettante pliche della mucosa gastrica, che si muovono attivamente. Il loro studio acquista ogni giorno più d'importanza; per esempio: dove convergono raggiate in un punto, ivi esiste quasi sempre un'ulcera gastrica; se sono presenti là dove s'osserva un difetto di riempimento gastrico, ciò significa che la mucosa è intatta e che questo difetto dipende per lo più da una pressione esterna.
Col pasto insufflato del Vallebona si mette in evidenza (a modico rigonfiamento) non solo la presenza delle predette strie, ma anche quella d'una punteggiatura opaca dovuta alla fine struttura della mucosa gastrica (areole gastriche e infossature interposte). Lo studio radiologico del tempo di svuotamento dello stomaco (che non è bene apprezzabile se non somministrando una determinata quantità di pasto opaco, circa 300-400 centimetri cubici) è d'una importanza capitale. Per il pasto di Rieder e per quello al latte e al bario il tempo di svuotamento normale oscilla dalle due alle sei ore. Uno svuotamento che impieghi meno di un'ora è sempre patologico; un residuo dopo le sei ore acquista importanza solo se è abbondante o se si associa a una peristalsi esaltata (per lo più indica una stenosi incipiente, spesso spastica da ulcera gastrica situata in vicinanza del piloro). Un ristagno, anche piccolo, dopo 24 ore indica sempre una grave insufficienza motrice gastrica dovuta ordinanamente a una stenosi pilorica.
Con l'esplorazione radiologica si può stabilire dove sia lo stomaco; se penetrato nel torace attraverso un'ernia diaframmatica; se caduto in basso in toto o con la sua porzione pilorica (gastroptosi totale, rara; piloroptosi, frequente); se dislocato a destra o a sinistra in toto o parzialmente (per aderenze o per pressioni esterne); quale ne sia la spostabilità passiva (sotto la mano premente, e nelle diverse attitudini del soggetto); se sia rimpicciolito (ipertonia; cancro scirroso), o ingrandito (gastrectasia da stenosi pilorica); se diviso in due logge (clessidra gastrica); se presenti manchevolezze parziali della sua ombra; se presenti sporgenze dei suoi contorni; e quando abbia subito un intervento chirurgico, quali ne siano stati gli effetti sulla sua forma, grandezza, modo di svuotamento; finalmente quali siano i suoi rapporti con la cistifellea (associazione del pasto opaco e della colecistografia), e con le altre sezioni del canale alimentare rese alla loro volta visibili con un pasto opaco precedente o (se si tratta del grosso intestino) con un clisma opaco.
Le informazioni più importanti fornite dai raggi Röntgen sono quelle attinenti all'ulcera e al carcinoma gastrici. Il segno radiologico più importante dell'ulcera gastrica è quello della nicchia (di M. Haudek), che si presenta come una sporgenza d'uno dei contorni dell'ombra gastrica (per lo più della piccola curvatura), di varia grandezza, a bottone (e allora in genere molto piccola), o triangolare, o come un'ombra più o meno ovalare, grande come un'avellana o una noce, situata in vicinanza dello stomaco, isolata, o in comunicazione con questo mediante una sottile striscia opaca che indica il canale di unione della cavità ulcerosa col viscere. Non di rado nelle grandi estroflessioni da ulcera callosa si osserva, a tronco eretto, un'immagine ovalare tripartita, costituita in alto da un'area trasparente (gassosa), in basso da un'ombra opaca (pasto al bario), nel mezzo da uno strato grigio (succo gastrico). La nicchia di Haudek è determinata dal riempimento col pasto opaco della cavità dell'ulcera (spesso in gran parte costituita, soprattutto per le ulcere superficiali, da un bordo dovuto a un rialzamento spastico circolare della mucosa gastrica). Il sintomo della nicchia si può avere anche per un diverticolo congenito dello stomaco o per la distruzione cavitaria d'una massa tumorale della parete gastrica; ma quando risiede sulla regione d'elezione dell'ulcera peptica dello stomaco (piccola curvatura, nella sua porzione media) è quanto di più certo si può rilevare per la diagnosi positiva di questa alterazione. Dove manca la nicchia, vien meno la certezza che esista un'ulcera gastrica, anche se si riscontrano gli aspetti funzionali e morfologici gastrici che così spesso l'accompagnano, tra i quali va ricordata la speciale biloculazione gastrica, dovuta a una retrazione spastica della grande curvatura (clessidra spastica), che si stabilisce proprio a livello e dirimpetto all'ulcera stessa e che indicandola (il segno del dito, dei Francesi) non di rado aiuta a scoprirla.
Una nicchia in altra sede comporta spesso una ricerca molto laboriosa, soprattutto se della parete anteriore o posteriore e in posizione tale da non potersi colpire con raggi radenti. Nella porzione repilorica della piccola curvatura d'ordinario l'ulcera sfugge, perché non è in posizione favorevole al suo riempimento opaco.
La diagnosi differenziale radiologica del carcinoma gastrico con tumori benigni e perfino con una perigastrite deformante, o con una deformazione gastrica da un'infiammazione cronica (luetica, tubercolare) è quasi sempre impossibile, senza il soccorso degli altri dati clinici. Il carcinoma è tuttavia il tumore gastrico più frequente, dei suoi sintomi radiologici, che possono prendersi come tipici dei tumori gastrici in genere, il principale è il difetto di riempimento dello stomaco (di Holzknecht), rappresentato da una lacuna per lo più frastagliata d'una parte dell'ombra gastrica. Questo sintomo comporta tuttavia molte diagnosi differenziali, spesso difficilissime, in quanto bisogna stabilire se sia prodotto da causa risiedente nel viscere stesso, o non piuttosto al difuori. Esso è infatti determinato, non solo da una massa interna a punto di partenza parietale che sporga entro il lume gastrico, e così impedisca al pasto opaco di riempirlo in modo completo, ma anche da una compressione esterna localizzata, che deprima la parete gastrica (per es.: da un tumore della coda del pancreas, da una massa tumorale esterna d'altro viscere, ecc.). Se il carcinoma risiede nel piloro ed è anulare, produce una stenosi con gastrectasia e notevole ristagno, non differenziabile dalle altre stenosi (da spasmo, per ulcera iuxtapilorica; da ulcera cicatrizzata; da compressione esterna). Il carcinoma risiede almeno nella metà dei casi nella porzione pilorica dello stomaco, dove può produrre un difetto di riempimento prevalentemente a carico della piccola curvatura (da cui più spesso ha origine) o della grande curvatura, o a manicotto. Quando il difetto di riempimento gastrico ha sede in altre parti del viscere (porzione media, porzione cardiaca) le difficoltà della diagnosi differenziale si fanno sempre più ardue. Se il carcinoma infiltra in modo diffuso lo stomaco, questo si rimpicciolisce notevolmente, si fa rigido anche nei suoi due orifici, non presenta più peristalsi, dà passaggio rapido agl'ingesti, e produce immagini specialissime, che tuttavia si possono avere identiche in certe altre alterazioni meno maligne (linite plastica) o benigne (certe forme di sifilide gastrica). L'osservazione radiologica vale non di rado a stabilire se un carcinoma gastrico sia o no operabile. Là dove fu eseguita una resezione gastrica, per esempio per carcinoma poco esteso, l'esplorazione radiologica rinnovata di tempo in tempo permette di sorprendere e di seguire l'eventuale ripresa del processo. Se fu praticata una comunicazione tra stomaco e intestino (gastroenteroanastomosi) essa dimostra se la nuova bocca funzioni bene o in modo difettoso, da sola, o col piloro; mentre in non pochi casi porta anche a scoprire certe condizioni patologiche dell'ansa anastomotica (per esempio aderenze; nicchia da ulcera peptica digiunale) e certe complicazioni gravi (fistola digiuno-colica).
Duodeno. - Nel duodeno, che radiologicamente si presenta press'a poco come ce lo descrivono gli anatomici, la prima porzione (detta anche bulbo, ampolla, beretta duodenale) è quella che più di frequente ammala, per lo più d'ulcera cronica. Fino a pochi anni fa la diagnosi radiologica di questa affezione si fondava su certe manifestazioni gastriche, cioè sulla presenza di sintomi indiretti d'eccitazione (ipertonia, iperperistalsi, svuotamento rapido). A. Akerlund ha insegnato a porla su sintomi diretti, di cui il principale è la presenza di una nicchia, cioè di un'ombretta intensameme opaca (grande da una capocchia di fiammifero a una piccola nocciuola), che per lo più sporge sul contorno interno del bulbo duodenale, a circa un centimetro dall'anello pilorico, e si accompagna a speciali deformazioni spastiche delle pareti duodenali. Quando l'ulcera non risiede su uno dei due contorni, ma sulla faccia anteriore o posteriore del bulbo duodenale, per renderne visibile la nicchia occorre spesso eseguire l'osservazione premendo opportunamente sull'addome (a tronco eretto) proprio in corrispondenza della parte lesa, nelle proiezioni più opportune. La diagnosi radiologica (radiografica soprattutto) dell'ulcera duodenale ha oggi acquistato una certezza grandissima, maggiore di quella conseguibile con gli altri metodi di ricerca.
Con facilità si mettono in evidenza le anomalie di decorso del duodeno, i suoi diverticoli (per lo più congeniti e risiedenti nella seconda porzione dal lato del pancreas); le sue stenosi da qualunque causa determinate (da spasmo o da cicatrice dovuta a un'ulcera, da neoplasma, da compressioni esterne, per esempio per opera della radice del mesenterio; da periduodenite). Nella stenosi del duodeno la sua porzione a monte è dilatata ed è animata da contrazioni segmentarie dirette nei due sensi. Il ristagno non si modifica col variare della posizione nelle stenosi organiche; scompare per certe posizioni e certe manovre in talune stenosi da compressione esterna (stenosi da posizione). Anche nei rari tumori del duodeno si possono ottenere immagini molto dimostrative.
Intestino tenue e crasso. - Le immagini radiologiche dell'intestino tenue e crasso diversificano profondamente, in quanto le anse del primo sono striate trasversalmente da linee trasparenti parallele (stampo negativo delle valvole conniventi) e quelle del secondo presentano concamerazioni asseriate una dopo l'altra (haustra). Con lo studio radiologico del tenue non si riescono a individuare in modo esatto che l'ansa digiunale iniziale e quella terminale dell'ileo; delle rimanenti si può soltanto stabilire, in base alla loro morfologia, se appartengano al digiuno o all'ileo; ma di tutte si possono seguire i singolari movimenti di trasporto e di rimescolamento, il tempo che impiegano gl'ingesti opachi a progredire e a svuotarsi del tutto nel crasso; certe anomalie congenite (mesenterium comune, in cui tutto il tenue è a destra e tutto il crasso a sinistra), e parecchie alterazioni: dilatazioni segmentarie, per esempio da mesenterite cronica; dilatazioni totali paralitiche; dilatazioni da stenosi (cicatriziali, tumorali, o da compressioni esterne); dilatazioni da tumori non stenosanti; i diverticoli isolati o a grappolo, e certe aderenze e deviazioni, soprattutto a carico della prima ansa digiunale e dell'ansa terminale dell'ileo, che ne rendono anomalo il decorso producendone inginocchiamenti. La regione ileo-cieco-appendicolare si presta ottimamente a uno studio radiologico, morfologico e funzionale; così s'è dimostrato che nella porzione di passaggio dall'ileo al crasso non c'è nessuna valvola, ma un vero sfintere che controlla il passaggio degl'ingesti, e come in aiuto di questo sfintere intervenga spesso una contrazione parziale o totale dell'ultima ansa ileale; che tra cieco e colon ascendente esiste un altro sfintere, che si chiude appena incomincia il riempimento del cieco e si rilascia poco dopo. Questi sfinteri, che regolano il progredire degl'ingesti, possono per condizioni patologiche intrinseche o estrinseche chiudersi spasticamente o non funzionare affatto o funzionare in modo non coordinato: il che vale anche per altri sfinteri scaglionati lungo il colon (uno risiede nel mezzo del colon ascendente; un altro nel colon trasverso, ecc.) e può rendere conto di svariati disturbi (per es. di certi dolori della metà destra dell'addome e di certe stitichezze).
L'appendice vermicolare si fa sempre visibile, quando è pervia e può perciò riempirsi col pasto opaco; la sua morfologia, la sua spostabilità passiva, la sua sensibilità di pressione, i suoi rapporti topografici, il suo modo e tempo di svuotamento dopo il pasto opaco contribuiscono mirabilmente alla diagnosi d'appendicite cronica, e dei suoi stati aderenziali. Non di rado in queste malattie l'appendice fa ritenzione di bario e perciò rimane visibile per parecchi giorni, anche quando il resto dell'intestino non ne contiene più.
Del cieco noi possiamo scoprire la sede, qualche volta così diversa da quella ordinaria (per es. in vicinanza del pube, del fegato), le dimensioni (cieco ectasico), la spostabilità passiva (cieco mobile), certe anomalie di riempimento. Esso è spesso saltato dagl'ingesti opachi nella tubercolosi ileo-cecale, in certe infiammazioni croniche ulcerose, e in certi tumori (sintomo di Stierlin). Tutti i movimenti complicati del colon (peristaltici, di trasporto anterogrado e retrogrado, di rimescolamento, ecc.) sono bene accessibili allo studio radiologico, che è destinato a portare un contributo prezioso alla fisiologia e ai disturbi funzionali del grosso intestino. I raggi Röntgen servono a scoprire le sue ptosi, i suoi allungamenti anomali totali o parziali (dolicocolia), le sue ectasie (megacolon congenito o acquisito), le sue stenosi da qualunque causa; i diverticoli, spesso multipli e risiedenti nel sigma, e così pericolosi se s'infiammano, s'ulcerano e si perforano nel cavo peritoneale. Le invaginazioni intermittenti o croniche, ileo-cecali o di questa o quella sezione del colon, dànno immagini radiologiche spesso caratteristiche. Lo studio radiologico della metà inferiore del colon e quello del retto (stenosi rettale; carcinoma del retto) si compie nel modo più fruttuoso col clisma opaco. Lo studio della stasi intestinale, che presenta molteplici varietà ed estensioni, dovute all'atonia, a condizioni spastiche generali o circoscritte ai suoi sfinteri, a incoordinazione dei movimenti del crasso, a certi movimenti esagerati (trasporti retrogradi), si compie col pasto opaco ed esige spesso un'osservazione protratta per parecchi giorni.
Anche la poliposi e le infiammazioni croniche del colon, di qualunque natura esse siano, dànno immagini radiologiche spesso caratteristiche; soprattutto la colite ulcerosa. Finalmente i raggi Rontgen permettono di scoprire nel canale alimentare taluni elminti di grosse dimensioni, cioè l'ascaride lumbricoide e le tenie, di cui il primo può cagionare, anche con pochi esemplari, disturbi meccanici e tossici gravissimi, persino mortali; e tutti i corpi estranei opachi di cui si può seguire l'arresto in questa o quella sezione (aghi nel duodeno, pallini da caccia nell'appendice) o il loro progredire sino al retto. Rispetto ai quadri aderenziali in genere, di cui qua e là è stato fatto qualche cenno, convien ricordare, che la loro diagnosi radiologica è delle più difficili e insidiose: su qualunque quadro si sia fondato il radiologo per ammetterle, l'intervento chirurgico può coglierlo in errore; viceversa possono esistere anche vaste e tenaci aderenze non sospettate dal più esperto radiologo. È tuttavia sperabile che col perfezionarsi della tecnica anche questa grave manchevolezza della diagnostica radiologica venga a poco a poco colmata.
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