APOLOGETICA (dal gr. ἀπολοϕητική, da ἀπολογέομαι "mi difendo"; sottinteso τέχνη)
In senso generale questo termine, secondo l'etimologia, significa l'arte e la scienza della giustificazione e della difesa. E dell'arte l'apologetica tiene certamente, per l'intento pratico che si propone, di persuasione degli animi; ma tiene della scienza soprattutto, per la certezza che intende recare nelle menti, e come esposizione giustificativa della verità (apologetica positiva), e come esclusione dell'errore opposto (apologetica negativa).
È distinta dall'apologia, come l'abito della scienza e dell'arte va distinto dall'atto, come il sistema scientifico dalle sue applicazioni. E apologia è per l'appunto un'applicazione o attuazione particolare dell'apologetica, intesa specialmente nel senso ristretto della sua parte negativa, ossia polemica, della difesa cioè contro l'errore. Ma di fatto molto spesso i due termini si confondono, e più ragionevolmente quando si parla di "apologia generale"; il che spiega le discussioni sorte su questa distinzione.
Nell'uso corrente, applicandosi il termine al campo religioso, l'apologetica significa "giustificazione e difesa di tutto ciò che riguarda la religione", se si adopera nel senso più antico e più largo. Ma, nel senso più stretto e più moderno, si riferisce alla "giustificazione o difesa dei titoli e fondamenti, o piuttosto preamboli, della fede", come il fatto della rivelazione divina, della divina missione di Cristo (dimostrazione cristiana) che la trasmette, e dell'unica vera Chiesa fondata da Cristo, che la custodisce e la predica (dimostrazione cattolica). Allora particolarmente si considera l'apologetica come "scienza coordinatrice di tutte le prove del cristianesimo"; ed è questa la considerazione propria dei trattati scientifici di apologetica cristiana: non dimostrare le singole verità in individuo, ma la verità generale, ossia il fondamento ragionevole del cristianesimo.
E poiché il cristianesimo come religione divina, la sola vera e definitiva, non ha solo da presentare le ragioni o i titoli sufficienti che lo comprovino tale, ma insieme da difendersi contro gli assalti o le obiezioni dell'incredulità da una parte e delle religioni false dall'altra, ne risulta un doppio ufficio, secondo la distinzione accennata, dell'apologetica; l'uno positivo, della giustificazione propria, l'altro negativo, dell'esclusione altrui: apologetica positiva, quindi, che è la "pacifica esposizione o giustificazione diretta della verità religiosa", ossia dell'origine divina e rivelata della religione cristiana e cattolica: ed apologetica negativa, che è "difesa polemica della verità stessa dalle contrarie impugnazioni dell'errore".
L'apologetica è dunque una scienza e per il suo oggetto e per il suo fine che è la conoscenza certa, filosofica insieme e storica, del fatto della rivelazione alla luce dei principî naturali, cioè dimostrato con argomenti oggettivi e valevoli per tutti, credenti e non credenti. E questa conoscenza previa è necessaria alla fede ed alla scienza teologica; giacché prima di credere a Dio è necessario conoscere ch'Egli esiste, che ha parlato, e che perciò è cosa ragionevole e doverosa il credergli. Con ciò è sciolta anche la questione, assai dibattuta, se ed in quale senso l'apologetica debba essere posta nel novero delle scienze teologiche. Essa non è formalmente, ossia in vero e stretto senso, scienza teologica, quasi parte intrinseca della teologia, ma solo in senso largo, in quanto n'è preparazione o proemio: onde si chiama spesso "teologia fondamentale" o anche "teologia generale" o propedeutica, o "introduzione alla teologia". E queste ed altre simili denominazioni sono termini designanti la stessa cosa, ma sotto ragioni o rispetti diversi, mentre il termine "apologetica" ne denota piuttosto la funzione o intento proprio.
In verità, l'apologetica è in parte filosofica e in parte storica, secondo il doppio ordine di principî che si presuppongono alla fede; alcuni filosofici, come l'esistenza di Dio, la sua provvidenza verso la creatura ragionevole, la sua potenza e la veracità della sua locuzione o rivelazione, posto ch'Egli parli alla creatura stessa; altri storici, come i segni e i fatti divini - miracoli e profezie - che mostrino avere Dio veramente parlato all'uomo, e non solo con la rivelazione naturale della ragione, ma altresì con una rivelazione positiva e soprannaturale, a cui si appella il cristianesimo come religione positiva.
La prima parte, o processo che suol dirsi filosofico, stabilisce le verità naturali, accessibili ad ogni natura ragionevole, e non riguarda, rispetto alla rivelazione positiva, se non il lato ipotetico; l'altro invece, ch'è storico, sta nel dimostrare l'avveramento di questa ipotesi, cioè la rivelazione. Il primo non è che un processo previo alla dimostrazione cristiana e cattolica: il secondo invece è il nucleo della dimostrazione stessa; l'uno e l'altro però confermato veramente dalla tradizione generale della Chiesa.
Apologetica filosofica. - La tradizione cattolica presuppone anzitutto, come necessario alla dimostrazione apologetica, un fondamento razionale, una filosofia. Le parti o funzioni proprie della filosofia nell'apologetica cristiana sono dogmaticamente accennate nel concilio vaticano (Sess. III) e chiarite nell'enciclica Aeterni Patris di Leone XIII. Esse particolarmente giovano all'apologetica, e quindi alla fede, in due modi: 1°, indirettamente, rimovendo l'ostacolo alla sua dimostrazione, con far vedere a lume di ragione quelle verità che, sebbene rivelate, non sono del tutto inaccessibili alla mente umana, onde risplende l'accordo tra fede e ragione; 2°, direttamente, provando veri quei principî che si debbono presupporre innanzi di stabilire la dimostrazione apologetica, sotto il suo duplice rispetto di cristiana e di cattolica.
L'apologetica muove quindi anzitutto da quegli argomenti ineluttabili ed accessibili anche a menti volgari, onde la ragione naturale perviene alla notizia di Dio, sia come di una causa prima, salendo per la catena necessariamente finita degli esseri creati, sia come di una mente ordinatrice sapientissima, contemplando nello spettacolo dell'universo un ordine fisico perfetto, universale, costante, sia come di un supremo legislatore, considerando l'esistenza dell'ordine morale, anche più efficace dell'ordine fisico. E così dicasi degli altri attributi che a Dio solo competono e che ci conducono a riconoscere, per legittima deduzione, e la veracità assoluta della locuzione, con cui Egli ci insegna, e la certezza della provvidenza, con cui Egli ci porge i mezzi per giungere alla verità e alla salvezza.
Dimostrata l'esistenza di Dio, la provvidenza e la veracità di vina, appare alla creatura ragionevole l'obbligo naturale (che è il primo tra i doveri) della religione verso Dio, vincolo di cognizione e di amore che unisce a Lui l'intelletto e la volontà, cioè tutto l'uomo, come al principio di tutto il nostro essere, fonte di verità e di ogni bene. Né l'obbligazione naturale cessa o sminuisce, anzi riprende vigore, nell'ipotesi che Dio parli all'uomo con rivelazione positiva, sia di verità in qualche modo accessibili alle capacità della mente creata, sia di verità che al tutto la trascendono, perché di un ordine superiore ad ogni esigenza di natura creata o creabile, quali sono i "misteri" propriamente detti.
Tale obbligazione dimostra il filosofo, prescindendo ancora dal fatto della rivelazione positiva: la quale appare, a lume di ragione, desiderabile ed espediente al sommo, ma non propriamente debita, né dimostrabile da esigenza inerente alla creatura. Ed è un'obbligazione che oltre a ciò l'uomo sente "per naturale istinto", secondo il ragionare di S. Tommaso: un istinto cioè che non è un moto cieco né meramente sentimentale, ma è proveniente dall'intuizione, ossia cognizione facile e immediata, della necessaria dipendenza dell'uomo da Dio.
Così l'apologetica nel suo primo procedimento, quello filosofico, dimostra la ragionevolezza e la necessità della religione naturale. Ma dimostra insieme l'obbligazione ipotetica di aderire ad una religione positiva e soprannaturale, nel caso cioè che Dio voglia rivelare all'uomo un ordine di verità superiore alla ragione ed un culto corrispondente a questo stesso ordine soprannaturale, a cui in tale ipotesi eleverebbe la creatura ragionevole.
Ma l'apologista, come filosofo, non può dimostrare a priori l'esistenza dell'ipotesi; perché una tale elevazione, essendo indebita alla natura, cioè superiore ad ogni esigenza naturale, non si può dimostrare né con principî naturali della ragione, né con gli studî psicologici della natura, né molto meno supporla immanente o postulato della natura stessa, com'è manifesto dai termini medesimi dell'ipotesi, essendo un'elevazione d'ordine divino. Su ciò l'apologetica tradizionale si oppone recisamente al metodo cosiddetto dell'immanenza e ad altri moderni o modernistici, da essa proscritti siccome più appariscenti che fondati.
L'apologetica adunque dimostra solo la convenienza d'una siffatta elevazione soprannaturale, non potendo ciò ch'è soprannaturale distruggere od opporsi alla perfezione naturale, né la rivelazione positiva contraddire all'elevazione naturale che si fa mediante la ragione, giacché dell'una e dell'altra elevazione uno stesso è l'autore, Dio, né Egli può contraddire a sé stesso. Con ciò l'apologetica esclude altresì il dissenso tra fede e ragione; e, se trova dissensi apparenti, ne mostra l'insussistenza per la falsa supposizione che dà per imposto dalla fede o dimostrato dalla ragione ciò che in verità non è tale.
Apologetica storica. - Se la rivelazione soprannaturale non si può constatare per via filosofica, resta che ci consti per via di testificazione e di fatti. Questo è il processo storico, onde l'apologetica passa dall'ipotesi all'avveramento di essa, al fatto della rivelazione divina: dimostra cioè che l'avere Dio parlato con rivelazione positiva è un fatto evidentemente credibile. E come ogni fatto si dimostra per via storica, così questo con argomenti positivi di testimonianze e di segni, i quali lo confermino in modo da escludere ogni dubbio prudente. Questi argomenti si chiamano motivi di credibilità: e l'apologetica li dimostra obiettivamente certi, non solamente probabili: affinché, escluso ogni dubbio, possano fondare il giudizio ultimo, previo alla fede e conclusione di tutta l'apologetica, che è il giudizio della credibilità rispetto al fatto della rivelazione positiva, e conseguentemente della credibilità della religione da Dio rivelata, dei suoi dogmi e dei suoi misteri.
Similmente essi debbono essere segni e fatti di ordine divino; giacché divino è il fatto della rivelazione positiva che vogliono dimostrare. Altri poi sono fatti interni, altri esterni; ma gli esterni primeggiano in questa dimostrazione, e i più dimostrativi fra essi sono i miracoli e le profezie. Di questi ultimi fatti il filosofo non può dimostrare, a lume di ragione, se non la possibilità e la convenevolezza in ordine a Dio e l'opportunità in ordine a noi come di fatti che sono testimonianza certa dell'avere Dio parlato, essendo questo - della locuzione divina, ossia rivelazione positiva - un fatto che deve portare in sé l'impronta della divinità perché si possa giudicare evidentemente credibile.
Inoltre, questo giudizio certo circa l'evidenza della credibilità mostrerà bensì ragionevole, e perciò doveroso, l'atto di fede, ma non lo renderà necessario, quasi fosse ineluttabile conclusione di un sillogizzare umano, come nella scienza: il che distruggerebbe la ragione e il merito della fede. In altre parole, esso per sé non porta se non ad affermare l'obbligazione del credere; ma per venire all'atto, prescindendo anche dalla soprannaturalità di questo, è necessario di più l'impero della volontà che determini l'intelletto all'assenso proprio della fede. Oltreché, né la realtà soprannaturale dei fatti divini, che ci accertano della locuzione divina, né quella del fatto stesso di questa divina rivelazione risplende alla mente umana d'una evidenza immediata, come nei principî razionali, in modo che necessiti all'assenso; ma semplicemente l'una e l'altra si manifesta alla retta ragione in modo che le mostra evidente l'obbligazione del credere e l'imprudenza del non credere.
Tale evidenza di credibilità è dunque bastevole perché il credente sia ragionevole e prudente nel determinarsi per libera elezione di volontà, mossa dai motivi di credibilità, all'assenso indubitato che è proprio della fede; e il dubbioso e il miscredente sia imprudente e colpevole nel dissentire, nonostante tali motivi da lui appresi. Né si oppone a ciò la possibilità del dubbio, poiché non si tratta qui di certezza matematica ma di altro ordine, sebbene vera certezza; né si deve dire propria della certezza l'esclusione di qualsiasi dubbio, ma solo l'esclusione del dubbio prudente.
Così anche nelle cose umane, e per esperienza di ognuno, avviene giornalmente, in mille occasioni, che nell'intelletto si manifesta un motivo, fermissimo in sé, di aderire a qualche giudizio, ma gli si manifesti in modo che lasci possibile, ed insieme dimostri irragionevole e imprudente, il dubitarne. Il che tuttavia non diminuisce la fermezza o l'infallibilità dei motivi obiettivi, onde il fatto ci si manifesta: la possibilità del dubbio dipende solo dall'imperfezione soggettiva di chi apprende. Ora l'apologetica mostra che quanto più si esamina e si penetra in questi motivi obiettivi, più ne appare l'efficacia e la fermezza; solo chi vi sorvola superficialmente, vi trova inconsistenza, o al più mera probabilità. Ciò, oltre che per l'altezza delle cose rivelate, avviene altresì per l'indole stessa delle prove della rivelazione; cioè perché i motivi che ci dimostrano questo fatto non sono un mezzo di dimostrazione così semplice, indivisibile e uno, come quello delle dimostrazioni matematiche, ma un mezzo risultante da molteplici e disparati elementi, di cui molti manifesti soltanto per via storica, eppure tutti necessarî a tenersi presenti unitamente, per sentirne la forza dimostrativa. Non si deve pertanto attribuire ai motivi obiettivi di credibilità, e molto meno al loro complesso, ciò che può essere proprio della disposizione, o, se così vuol dirsi, del motivo soggettivo, onde talora s'induce qualche intelligenza, specialmente delle persone semplici, al giudizio della credibilità, e poi sotto l'impulso della grazia, all'atto di fede soprannaturale.
Compiuta la dimostrazione apologetica, si fa manifesta l'impossibilità dell'errore, e quindi anche del dubbio prudente circa la verità, sia del fatto della rivelazione, sia della dottrina rivelata, anche se questa resti per noi incomprensibile, come nel mistero propriamente detto. E di più, posta l'obbligazione naturale di assentire, nell'ipotesi della rivelazione, all'autorità di Dio rivelante, ne viene che all'uomo non resta più motivo ragionevole o prudente, né quindi libertà morale ossia liceità di dubbio, nonché di negazione o di dissenso: solo gliene resta la fisica possibilità per la mancanza di quell'immediata evidenza di verità che determina necessariamente l'intelletto all'assenso. Ma questa mancanza di evidenza immediata, cioè l'inevidenza della verità in sé, andando congiunta all'evidenza di credibilità della verità stessa, fa che l'assenso di fede sia libero insieme e prudente; senza di che non potrebbe essere meritorio; e sia libero parimente il dissenso, ma imprudente e perciò colpevole in chi abbia percepito i motivi di credibilità.
Bibl.: Accenniamo qui soltanto alcune delle opere che trattano le questioni specifiche dell'apologetica, della sua nozione, dei suoi metodi, ecc., e riportano insieme la bibliografia dell'argomento: G. Monti, L'apologetica scientifica della religione cattolica, Torino 1922; F. X. Le Bachelet, Apologétique, Apologie, in Dictionnaire apologétique de la foi catholique, Parigi 1911: id., De l'apologétique traditionnelle et de l'apologétique moderne, Parigi 1897; L. Maisonneuve, Apologétique, in Dictionnaire de théologie catholique, Parigi 1909; A. Gardeil, La credibilité et l'apologétique, Parigi 1912; I. V. Bainvel, Un essai de sistématisation apologétique, in Revue pratique d'apologétique, 1918; E. Hugueny, Critique et catholique, I, Apologétique, Parigi 1910.
Gli apologeti antichi. - Si designano come apologeti della Chiesa antica (e talvolta in senso strettissimo, semplicemente come apologeti) quegli scrittori che nel corso dei primi secoli, e più particolarmente nel periodo delle persecuzioni, si proposero di difendere la religione e la Chiesa dalle accuse di empietà e di delitti ripetute dal volgo e dalle persone colte, e quindi dai giudizî ingiusti dei sovrani e delle autorità. Il motivo fondamentale della difesa è appunto nella dimostrazione dell'innocenza e delle virtù cristiane descritte in pitture talora bellissime nella loro semplicità. In secondo luogo troviamo in essi la dimostrazione che il cristianesimo è la vera filosofia, e come tale offre agli uomini una compiuta rivelazione della verità, prima conosciuta in modo imperfetto attraverso quel barlume di vero intravisto dalla ragione naturale nelle dottrine dei filosofi; la verità intera, già adombrata nell'Antico Testamento ma pienamente manifestata solo nel Nuovo, né giustamente interpretata prima di Gesù Cristo perché interpretata secondo la lettera anziché secondo lo spirito, è ora causa di salvezza. A questo motivo si riconnette la polemica spesso aspra e violenta contro le credenze e i miti pagani interpretati alla luce delle dottrine evemeristiche, e contro il giudaismo (a proposito dell'interpretazione da dare ai profeti e in genere ai passi dell'Antico Testamento che si riferiscono al Messia). Non poca importanza ha nella corrente apologetica la speculazione teologica, intesa a preservare la Chiesa dalle eresie pullulanti nei primi secoli.
I primi scritti apologetici compaiono nel sec. II, e sono in lingua greca. Di Quadrato, vissuto all'epoca di Traiano, di Aristone di Pella, di Melitone, di Apollinare di Ierapoli, di Milziade, non abbiamo che scarsi frammenti. La più antica apologia a noi giunta intera (ove si prescinda dall'anonima Lettera a Diogneto, compresa tra i cosiddetti "Padri apostolici" ma che per certi caratteri si può considerare come un ponte di passaggio tra la letteratura edificativa, parenetica, liturgica, e l'apologetica vera e propria), in parte in greco, in parte in una versione siriaca, è quella indirizzata da Aristide d'Atene, all'imperatore Antonino Pio (138-161), contenente già i motivi fondamentali della difesa cristiana: uno spunto di dottrine teologiche, una distinzione dell'umanità in tre generi, pagani, ebrei e cristiani, considerati come i più perfetti, e una pittura della vita delle comunità cristiane. Ma lo scrittore che diede più ampio sviluppo all'apologetica e che si diffuse più dettagliatamente nell'esposizione della dottrina cristiana, è senza dubbio Giustino. Tra il 152 e il 154, indirizzata anche questa ad Antonino Pio, comparve la sua Apologia, seguita da una seconda o Appendice, come si è convenuto oggi di chiamarla. Contro i giudei, tra il 155 e il 160, scrisse poi il Dialogo con l'ebreo Trifone. Di Giustino è celebre soprattutto la teoria del λόγος σπερματικός, secondo la quale la rivelazione divina, comparsa nella sua pienezza con l'incarnazione del Verbo, fu sempre direttamente diffusa in mezzo agli uomini mediante la ragione, che per sé stessa è sufficiente all'intuizione della verità. In tal modo Giustino ammette che la filosofia pagana, formante la base della cultura del suo tempo, abbia un valore, e avvia l'apologetica verso una tendenza conciliativa, che renderà accessibile il cristianesimo anche alle classi colte. Importanti sono anche i tentativi di Giustino di determinare i rapporti tra Padre e Figlio, mediante la formula "luce da luce", che sarà poi accolta nel simbolo niceno. Fu discepolo di Giustino ed emerse per l'originalità del pensiero non estraneo a influenze gnostiche Taziano, che verso il 155 scrisse un Discorso ai Greci molto apprezzato nell'antichità, e quindi conservatoci, benché l'autore abbia nell'ultimo periodo della sua vita esulato dalla tradizione ortodossa per farsi encratita: il valore del Discorso consisteva, per gli antichi, nella dimostrazione cronologica dell'anteriorità dei racconti mosaici rispetto a tutte le storie profane. Nonostante l'intonazione fieramente ostile al paganesimo, e ai filosofi "dalla voce di corvi", Taziano risente molto dell'intellettualismo filosofico dei suoi avversarî. Porta un contributo notevole alla determinazione dei rapporti tra Padre e Figlio, e alla teoria antropologica, riconoscente nell'uomo cristiano il tempio dello Spirito divino.
Atenagora d'Atene, autore anche di un trattato sulla resurrezione, indirizzò tra il 177 e il 180 una Supplica per i Cristiani a Marco Aurelio e Lucio Commodo; è uno spirito equilibrato e sereno, che porta nella polemica una tendenza conciliativa, mantenendosi tipicamente riservato nell'esposizione delle dottrine e degli usi cristiani. Teofilo, vescovo di Antiochia intorno al 169, è autore di 3 libri indirizzati ad Autolicum; avrebbe un posto di secondaria importanza, se la sua formula sul λόγος ἐξδιάϑητος, o in potenza, e sul λόγος προϕορικός, o pronunziato, non segnasse un progresso nella determinazione dei rapporti tra Padre e Figlio. Tra gli scritti apologetici del sec. II possiamo anche includere il Protreptico di Clemente Alessandrino, benché esso faccia parte di una trilogia (Protreptico, Pedagogo, Stromati) il cui fine complessivo non è solamente apologetico.
Giungiamo così agli albori del sec. III e ci incontriamo subito con la grande figura di Tertulliano, che apre nuove vie all'apologetica. Dopo avere scritto due libri Ad nationes, in cui ritorce sui pagani le accuse d'immoralità rivolte ai cristiani, nell'Apologetico, composto verso il 197, il grande cartaginese impernia sopra un motivo giuridico la difesa del cristianesimo e sferra un attacco vigoroso contro le autorità persecutrici, scoprendo l'illogicità della loro procedura: se i Cristiani sono colpevoli, perché non vengono sottoposti a regolare processo? se innocenti, perché sono condannati? Infine nel De testimonio animae fa appello alla diretta testimonianza delle facoltà innate dell'anima umana, per dimostrare le verità divine. L'Adversus Iudaeos, dialogo tra un cristiano e un ebreo, si può annoverare fra le opere di apologetica antigiudaica. Un gioiello letterario di mirabile eleganza, che ha potuto conquistare al cristianesimo un numero di proseliti non minore di quel che abbiano fatto altri scritti di dottrina più profonda, è il dialogo Ottavio di Minucio Felice, sulla cui priorità o dipendenza da Tertulliano si discusse e discute moltissimo; a nostro avviso, esso dipende dall'Apologetico e fu scritto durante il periodo di tranquillità intercorso tra la persecuzione di Caracalla del 213 e quella di Decio del 250. Nello stile l'autore imita i dialoghi di Cicerone. Per il contenuto è ammirevole la semplicità e il candore della descrizione delle virtù cristiane.
Tra gli scrittori di apologie del sec. III alcuni annoverano anche Origene, benché l'opera Contro Celso, scritta tra il 244 e il 249, difenda il cristianesimo dal punto di vista puramente dottrinale e non contenga quindi tutti i motivi fondamentali dell'apologia. Arnobio di Sicca, scrittore dell'epoca dioclezianea, convertitosi in tarda età, scrisse per dimostrare la buona fede della sua conversione una voluminosa opera, Adversus nationes, dalla quale per altro appare evidente che la forma mentis dello scrittore è rimasta quella del retore pagano, e nella quale si cercherebbe invano, al di fuori dalle polemiche contro la mitologia, una chiara idea delle credenze cristiane. Ben più importante è Lattanzio. Nelle Institutiones divinae egli tenta felicemente una trasposizione del concetto della grandezza giuridica delle istituzioni romane alle divine leggi del cristianesimo. L'autore appare dominato dall'idea della magnifica sovranità romana, e chiude così, alla vigilia della conciliazione tra l'impero e il cristianesimo, la serie degli apologeti antichi. Non è probabile, infatti, che sia vissuto al tempo di Giuliano l'Apostata (benché così abbiano pensato critici valorosi) Commodiano, l'autore del Carmen apologeticum; né possiamo considerare qui come semplici apologeti gli scrittori che combatterono le eresie trinitarie e cristologiche, i quali contribuirono positivamente allo sviluppo teologico, e nemmeno un S. Agostino, il cui De civitate Dei, opera di apologia contro le accuse che i pagani superstiti movevano al cristianesimo (di aver causato la decadenza dell'impero, ecc.) ha anche, per tanti riguardi, il carattere di un contributo positivo alla teologia cristiana e si salda ben strettamente con le varie parti del sistema agostiniano. Può invece essere posto in questa categoria il Διαδυρμὸς τῶν ἔξω ϕιλοσόϕων (Irrisio philosophorum) di Ermia, sulla cui età (secondo alcuni, sec. II-III; secondo altri, sec. V-VI) come sulla relazione di priorità o di dipendenza con la Cohortatio dello pseudo-Giustino si discute tuttora.
Siamo così in grado di seguire, attraverso questa letteratura apologetica antica, i varî stadî di sviluppo della Chiesa; gli scritti degli apologisti l'accompagnano attraverso i difficili periodi delle persecuzioni, la difendono dai nemici esterni e interni: il volgo diffidente, le autorità persecutrici, gli eretici, contro i quali era necessario costruire un saldo edificio teologico. Trovandosi necessariamente a diretto contatto con l'ambiente degli avversarî, gli apologeti ne risentirono essi stessi l'influsso, e furono costretti ad atteggiamenti conciliativi in cui qualche volta il cristianesimo assunse forse anche troppo il carattere di una filosofia, e perdette qualche cosa dell'ardore mistico delle origini. Pur tuttavia essi costituirono una delle più importanti correnti del pensiero cristiano, e contribuirono grandemente alla conciliazione dei due mondi avversi, che culminò nel riconoscimento ufficiale della Chiesa.
Edizioni: Una raccolta degli scritti apologetici si trova nella Patrologia Greca e Latina del Migne. I testi più antichi sono riuniti nel Corpus Apologetarum Christianorum saeculi secundi, Jena 1861 e nell'edizione critica del Godspeed, Die ältesten Apologeten, Texte u. kurze Einleitungen, Gottinga 1919. Gli apologeti latini si trovano anche nel Corpus scriptorum ecclesiasticorum latinorum dell'Accademia di Vienna.
Bibl.: O. Bardenhewer, Geschichte der altkirchlichen Literatur, I, 2ª ed., Friburgo in B. 1913; A. Harnack, Geschichte der altchristlichen Literatur bis Eusebius, Lipsia 1893; De Labriolle, Histoire de la littérature latine chrétienne, Parigi 1924; A. Puech, Les apologistes grecs du IIe siècle de notre êre, Parigi 1912; id., Histoire de la littérature grecque chrétienne, II, Parigi 1928; Manuale introduttivo alla storia del cristianesimo, I, Foligno 1925.
Importanti studî particolari sono quelli di A. Harnack sulla tradizione manoscritta degli apologeti del sec. II: Die Überlieferung der griechischen Apologeten des II. Jahrhunderts in der alten Kirche und im Mittelalter (Texte u. Untersuchungen, I, Lipsia 1882, fasc. 1-2); Dembowski, Die Quellen der christlichen Apologetik des zweiten Jahrh., Lipsia 1878; Waibeli, Die natürliche Gotteserkenntnis in der apologetischen Literatur des zweiten Jahrhunderts, Kempten 1916; Geffcken, Zwei griechische Apologeten (versioni dell'Apologia, di Aristide e della Supplica di Atenagora, con prefazione e note).
Dal Medioevo al concilio di Trento. - Con il De civitate Dei di S. Agostino e la Graecarum affectionum curatio di Teodoreto di Ciro si chiude la serie degli scrittori apologetici contro il paganesimo. Agostino insorse contro coloro che, di tutti i mali avvenuti per l'invasione dei barbari nell'Impero, davano la colpa al cristianesimo; dimostrò come il paganesimo non fosse né necessario alla vita terrena, né utile alla vita eterna. Egli giustifica la Città di Dio attraverso la storia del suo sviluppo; Teodoreto dimostrò la superiorità e la verità del cristianesimo, mettendo a confronto la dottrina cristiana e le teorie dei filosofi pagani.
Dopo che la religione cristiana ebbe conquistato il mondo culturale allora noto, si avvertì per un certo tempo una naturale diminuzione della tendenza apologetica. Le eresie si dirigevano contro singoli dogmi, non direttamente contro il cristianesimo stesso. Nel basso Medioevo e anche più tardi, erano anzitutto i giudei e i seguaci di Maometto che negavano assolutamente la rivelazione cristiana. Per i giudei occorreva mettere in evidenza che, in base all'Antico Testamento da loro riconosciuto, Cristo era il Messia promesso e che, con la fondazione della Chiesa, l'Antico Testamento con tutte le leggi, i sacrifici e le cerimonie aveva trovato la sua attuazione. Contro Maometto non valeva l'argomento della Bibbia; era quindi necessario dimostrare la ragionevolezza del cristianesimo e delle singole dottrine cristiane, e provare l'insussistenza delle ragioni addotte in favore delle rivelazioni di Maometto, nonché l'errore e il danno delle dottrine del Corano.
Contro i due avversarî, uomini eminenti entrarono in lizza con gran numero di scritti. Nell'Oriente oltre Leonzio di Neapolis (sec. VII) e Anastasio Sinaita (secc. VII e VIII), che ambedue composero scritti apologetici contro i giudei, si distinse S. Giovanni Damasceno. Egli prova ai giudei l'avvento del Messia e il compimento dell'Antico Testamento, mentre agli Arabi dimostra la divinità del Cristo. Quando Bisanzio si era già distaccato da Roma, Andronico Comneno (circa il 1180) scrisse un Dialogo contro i giudei, e Niceta di Bisanzio una polemica contro Maometto in cui difende le singole dottrine della fede dagli attacchi degli Arabi.
Nell'Occidente Isidoro di Siviglia iniziò la lotta contro i giudei, allora assai influenti in Ispagna. Nel De fide catholica contra Judaeos egli prova che il Messia promesso è già venuto e che non può essere altri se non Cristo. Questa tesi, come anche l'altra che la vecchia legge abbia finito di esistere, è l'oggetto più importante di tutti gli scritti successivi contro i giudei. Nel sec. XI si distinsero Fulberto di Chartres e S. Pier Damiano; nel XII Pietro il Venerabile, il celebre abate di Cluny, dimostrò ai giudei come Cristo fosse Messia, Dio, re, redentore, fondatore di un regno che non è di questo mondo. Per combattere la dottrina di Maometto, Pietro intraprese un viaggio nella Spagna, dove fece tradurre in latino il Corano per confutarlo e dimostrare ai seguaci di Maometto la verità dei Vangeli e il dovere di accettarli. Come argomento in favore della credibilità della rivelazione egli addusse i miracoli di Mosé e di Cristo. In modo negativo poi dimostra che Maometto non è vero profeta, e che la sua dottrina non fa che ripetere le vecchie eresie. Nel sec. XIII il più forte impugnatore del giudaismo è il domenicano Raimondo Martini. Conoscitore profondo delle lingue orientali e delle tradizioni del Talmūd, Raimondo prova la verità del cristianesimo fondandosi sugli scritti riconosciuti dai giudei. E il suo Pugio Fidei (dove, nel primo libro Raimondo combatte quei filosofi che negano ogni rivelazione, nel secondo prova l'avvento di Cristo in base alle profezie, nel terzo infine difende alcuni dogmi fondamentali della Chiesa, come la Trinità, il peccato originale, la redenzione) divenne la base di tutta la successiva apologetica antigiudaica e la fonte, diretta o indiretta, anche di molti dotti moderni che del giudaismo post-biblico si occuparono storicamente. I suoi scritti contro i musulmani sono, a quanto pare, perduti. Anche S. Tommaso d'Aquino in varî capitolì della Summa contra gentiles si volge contro i musulmani. Più ancora li impugna Raimondo Lullo, che è il loro più infaticabile avversario. Nel sec. XIV l'esegeta francescano Nicolò di Lyra compose degli scritti, in parte non ancora pubblicati, contro i giudei, mentre il domenicano Ricoldo di Montecroce combatté il Corano. Nel secolo successivo la lotta contro i musulmani fu continuata dal cardinale Nicolò Cusano nella sua Cribratio Alcorani ad Pium II e alla polemica prese parte anche il cardinale domenicano Giovanni Torquemada. Attacchi contro i giudei mossero pure lo spagnuolo Paulo de Heredia col suo De mysteriis fidei liber (circa 1450) e il domenicano Pietro Nigri col De conditionibus veri Messiae.
Non mancarono, nel corso del Medioevo, altri avversarî della Chiesa nei gruppi ereticali che sorsero nell'Italia settentrionale e nella Francia meridionale, in Boemia e in Inghilterra, e un po' dappertutto. Anche contro di essi non mancarono gli apologeti. Primo fra tutti occorre menzionare Alano di Lilla, che combatté nel suo Contra haereticos albigesi, valdesi, giudei e musulmani. I libri più importanti che trattano di questi argomenti sono nel sec. XIII i Libri quinque adversus Catharos et Valdenses del domenicano Moneta di Cremona e il Magisterium divinale di Guglielmo di Parigi: costui si volge anche contro i filosofi arabi e contro il panteismo manifestatosi nell'università parigina. Le due opere non solo confutano il dualismo degli albigesi, ma presentano anche i dogmi principali del cristianesimo in modo da lasciare largo campo alla ragione naturale. Il Moneta aggiunge la dimostrazione che la chiesa romana è la chiesa di Cristo.
La necessità di difendere il cristianesimo contro tali avversarî che negavano ogni rivelazione cristiana - come spesso gli albigesi e più ancora i filosofi arabi - e anche la tendenza speculativa, portarono a dimostrare in base alla ragione le singole verità della fede. Non è questa l'apologetica nel vero senso della parola, che si propone di dimostrare la credibilità della rilevazione: è piuttosto l'apologia dei singoli dogmi. Questo metodo era già stato iniziato da S. Anselmo d'Aosta, che cercava di comprendere le dottrine cristiane con la ragione e di confutare con questa gli argomenti dell'avversario. Alano di Lilla nelle sue Maximae theologicae stabilì un sistema di assiomi teologici, dai quali cercò di dedurre le verità nonché i misteri della fede. Va anche più oltre Nicolò d'Amiens con la sua Ars catholicae fidei (redatta circa il 1190) che deduce i dogmi della fede applicando il metodo di Euclide, senza tuttavia pretendere la certezza di tali deduzioni. Questo metodo di far scaturire le verità della fede dal raziocinio, adoperato di fronte agli eretici, fu per alcune singole dottrine usato da Guglielmo di Parigi nel suo Magisterium divinale e anche dal Moneta nella sua Summa. Il metodo raggiunse il suo massimo sviluppo e la sua precisa limitazione nella Summa contra gentiles di S. Tommaso d'Aquino. Quest'opera non è apologetica nel senso moderno. I motivi di credibilità della rivelazione e la necessità di tale rivelazione vengono appena accennati. S. Tommaso cercò nei primi tre libri di provare con la pura ragione le verità di Dio uno, della creazione e dell'ultimo fine delle creature, e altresì con la ragione volle confutare gli argomenti contrarî. Nel quarto libro invece egli, considerando la rivelazione come punto di partenza, dimostra che la ragione non porge argomenti solidi contro queste verità rivelate, poiché la ragione sola non è in grado di penetrarle. Raimondo Lullo abolì poi i confini rigidamente tenuti da S. Tommaso fra conoscenza naturale e soprannaturale, e cercò di dedurre tutti i dogmi di fede dalla sola ragione. Lo seguì in questa via Raimondo di Sabunde (sec. XV) nella sua Theologia naturalis.
Con l'inizio del Rinascimento l'influenza della filosofia platonica si fece sentire, e parimente il suo entusiasmo per il Bello e il Buono. Mentre Girolamo Savonarola, seguace della scolastica, nel suo Triumphus crucis deduce la verità del cristianesimo dagli effetti benefici di esso, Marsilio Ficino nel suo De christiana religione dà speciale peso alla concordanza fra il cristianesimo e la filosofia di Platone, ch'egli considera precursore di Cristo. Giovan Francesco Pico della Mirandola vuole dimostrare nell'Examen doctrinae vanitatis gentium la necessità morale della rivelazione. Il più cospicuo fra gli apologeti del Rinascimento è lo spagnuolo Ludovico Vives (morto il 1540) che ci pone innanzi nel suo De veritate fidei christianae i motivi di credibilità della rivelazione e l'eccellenza della dottrina cristiana, difendendo in pari tempo la rivelazione cristiana stessa contro giudei e musulmani. Tale opera costituisce la chiusa di questo periodo. Da molti degli apologeti qui nominati l'argomento proprio dell'apologetica moderna, cioè il fatto e la credibilità della rivelazione, viene trattato soltanto in linea secondaria. Pur tuttavia si trovano negli scritti contro i giudei punti importanti: così ad esempio nella Summa contra gentiles. Qualche questione singola viene trattata nella dogmatica, anzitutto nei commentarî al terzo libro delle sentenze di Pietro Lombardo, al trattato De fide (In sentent., III, dist. 23-25).
Le opere apologetiche contro giudei e musulmani fino al principio del sec. XIII si trovano quasi al completo nella Patrologia graeca e nella Patrol. latina. Si notino specialmente le seguenti: Leonzio di Neapolis, Sermo contra Judaeos, in Patrol. gr., XCIII, coll. 1598-1610; id., Fragmentum contra Judaeos, ibid., coll. 1610-1612; Anastasio Sinaita, Adversus Judaeos disputatio, 1204-1271; S. Giovanni Damasceno, Disceptatio Christiani et Saraceni, in Patrol. gr., XCIV, 1585-1598; De haeresibus, n. 101, loc. cit., 763-774; Andronico Comneno, Dialogus contra Judaeos, ibid., CXXXIII, coll. 798-924; Niceta Bizantino, Confutatio falsi libri, quem scripsit Mohamedes Arabs, ibid., CIII, coll. 669-842; Isidoro di Siviglia, De fide catholica contra Judaeos, in Patrol. latina, LXXXIII, coll. 449-538; Fulberto di Chartres, Tractatus contra Judaeos, ibid., CXLI, coll. 305-318; S. Pier Damiani, Antilogus contra Judaeos, ibid., CXLV, coll. 41-58; id., Dialogus contra mudaeos, ibid., coll. 57-68; Pietro il Venerabile, Tractatus adversus Judaeorum inveteratam duritiem, ibid., CL. XXXIX, coll. 507-650; id., Adversus nefandam sectam Saracenorum libri duo, ibid., coll. 507-650; Raimondo Martini, Pugio fidei, Parigi 1656, Lipsia 1687; Ricoldo di Montecroce, Propugnaculum .fidei adversus mendacia et deliramenta Saracenorum Alcorani, Venezia 1609; Nicolò da Cusa, Cribratio Alcorani ad Pium II, in Opera, Basilea 1565; Giovanni Torquemada, Tractatus contra principales errores Mahometi, Roma 1606; Alano di Lilla, Contra haereticos, in Patrologia lat., CCX, coll. 421-443; Moneta di Cremona, Adversus Catharos et Valdenses, Roma 1743; Guglielmo di Parigi, Opera omnia, Norimberga 1496, Parigi 1516, Venezia 1591, Orléans 1674; Alano di Lilla, Regulae seu Maximae theologicae, in Patrol. lat., CCX, coll. 621-684; S. Tommaso d'Aquino, Summa contra Gentiles, ed. Leonina, I e II, Roma 1918 e 1926 (rist.); Raimondo Lullo, Articuli fidei sacrosanctae, Strasburgo 1598, 1609, 1617, 1651; Raimondo di Sabunde, Theologia naturalis seu liber creaturarum, Deventer c. 1488, Strasburgo 1496, Parigi 1509, Venezia 1581, Sulzbach 1852; Girolamo Savonarola, Triumphus crucis, Firenze 1497, Venezia 1531, Siena 1899; Marsilio Ficino, De christiana religione et fidei pietate, Venezia 1550; Giovan Francesco Pico della Mirandula, Examen doctrinae gentium vanitatis, Theoremata de fide et ordine credendi, in Opera, Basilea 1601; Lodovico Vives, De veritate fidei christianae, Basilea 1543.
Bibl.: L. Maisonneuve, art. Apologétique, in Dictionnaire de théologie catholique, I, coll. 1535-1539; A. Gardeil, art. Crédibilité, ibid., III, coll. 2236-2310; X. Le Bachelet, in Dictionnaire apologétique, I, coll. 199-205; H. Denzinger, Vier Bücher von der religiösen Erkenntnis, Würzburg 1856-1857; K. Werner, Geschichte der apologetischen Literatur, I, Sciaffusa 1861; A. Langhorst, Zur Entwicklungsgeschichte der Apologetik, in Stimmen aus Maria Loach, XVIII-XX (1880-81); J. V. de Groot, Summa Apologetica de ecclesia catholica, Ratisbona 1890; J. Ottiger, Theologia fundamentalis, I, Friburgo in B. 1897; H. van Laak, Institutiones theologiae fondamentalis, I, Roma 1910.
Dal concilio di trento all'epoca presente. - La lotta contro l'Islamismo continuò fin quasi al sec. XVIII col sistema ordinario. In Italia il francescano Malvasio (1628) e il Guadagnolo ribattevano il Politor Speculi indirizzato da un persiano a Urbano VIII, e L. Maracci, componeva in due volumi in-folio l'Alcorani textus universus, ch'è l'opera più voluminosa che sia stata scritta contro l'Islām ed è tenuta tuttora in pregio (Palmieri, in Dict. de Théol., III, col. 1839). Nella Spagna, tra i manuali destinati alla conversione dei moriscos e al consolidamento dei nuovi cristiani, vennero alla luce anche quelli di P. Guerra de Lorca (1586), di Perez de Ayala (1599) e di Tirso González de Santalla (1687). Delle apologie apparse in Germania citiamo l'opera del dotto orientalista Widmanstetter (1645). Ma con il sec. XIX comincia un cambiamento nel metodo di difesa del cristianesimo: gli fu dato un indirizzo maggiormente storico. Così il Döllinger (1838) trattò dell'influenza dell'islamismo sulla vita, e il Grimme, nel Mohamed (1895), della persona e della dottrina del profeta; Carra de Vaux ragiona dei Penseurs de l'Islam (1921-26; cfr. pure Le Mohamédanisme, 1908, e La doctrine de l'Islam, 1909); il gesuita Lammens, con il suo manuale L'Islam, croyances et institutions (1926, trad. it., Bari 1929), fa conoscere soprattutto le idee ora dominanti nella religione islamica; il gesuita d'Herbigny, in L'Islam naissant (1929), ragiona della psicologia del profeta e dell'influenza ch'essa ebbe sulla sua dottrina. Pio XI (Acta Ap. Sed., 1928, 286) ha istituito nel Pontificio Istituto Orientale una cattedra speciale de rebus islamicis, affinché i missionarî possano avere un'esatta conoscenza scientifica dell'islamismo. Direttamente alla conversione dei maomettani serve La clef du Coran (1852) del Bourgade, mentre la rivista mensile En terre d'Islam, che dal 1927 si pubblica in Algeri, dà notizie sul movimento dell'apostolato cattolico nelle regioni islamiche.
Anche la lotta contro il giudaismo continuò a lungo, fin quasi al sec. XIX, ad esser condotta coi metodi abituali. In Italia Fabiano Fioghi scriveva il notissimo Dialogo fra il catechumeno et il padre catechizante (1582); il domenicano Cantes traduceva in ebraico la Summa contra gentiles di S. Tommaso d'Aquino (1657). Nel sec. XVIII una speciale attività apologetica veniva svolta dal convertito Paolo Medici, sia con gli scritti (Promptuarium, 1705; Lettera scritta agli Ebrei, 1715); sia con le dispute che tenne in tutta l'Italia, sia ancora per mezzo d'individui da lui convertiti, come Nicola Tratto e Sabbatai, che alla lor volta composero nuove opere per attirare i giudei al cristianesimo. A questo stesso scopo rivolse la sua immensa erudizione scritturale G. Bernardo de Rossi (1773). La Francia diede il suo contributo all'apologetica con la prima edizione del Pugio Fidei, pubblicato con erudite osservazioni da Joseph de Voisin (1646). In Germania J. Chr. Wagenseil dava alla luce nel 1681 la sua opera Tela ignea Satanae, consistente nella traduzione di scritti ebraici contro il cristianesimo, accompagnata dalla relativa confutazione; più tardi il Namiesky pubblicava in 5 volumi Christus und Moses, e nel 1845 il Bauer provava l'origine del cristianesimo dalle vicende del popolo ebraico. Però, generalmente parlando, nel sec. XIX gli scritti rivolti direttamente contro il giudaismo diminuirono di numero. E inoltre, poiché in certe sfere giudaiche si tendeva a negare che l'Antico Testamento contenesse una rivelazione vera e propria (cfr. per es. il rabbino maggiore Moritz Güdemann, Jüdische Apologetik, 1906, p.1-18), gli apologeti cristiani preferirono di combattere i seguaci di siffatta tendenza insieme con gli altri oppositori della rivelazione.
Opposizione a nuove correnti filosofiche e teologiche. - Alla metà del sec. XVII si manifestò con special forza il deismo nell'Inghilterra, donde si diffuse in varî altri paesi: e la sua azione si fa molto sentire anche al presente. Quindi il compito principale degli apologeti fu quello di dimostrare con ogni sorta di prove la verità delle dottrine che al deismo sono direttamente opposte, sia nelle opere destinate allo studio della filosofia e teologia nelle scuole cattoliche, sia in lavori - e di questi ci occupiamo - scritti per il pubblico colto. Tali dottrine riguardano la possibilità della rivelazione soprannaturale; la sua conoscibilità per mezzo di fatti esteriori operati da Dio nell'ordine fisico (i miracoli), intellettuale (p. es. le profezie) e morale (p. es. la prodigiosa diffusione ed efficace attività del cristianesimo nel mondo), dando però importanza anche ad altri elementi, come p. es. la bellezza della religione e la realtà storica della rivelazione nei profeti e in Cristo e dei fatti che servono a provarla. E nel difendere questi punti fu posta tanto maggior cura, in quanto tra alcuni acattolici si era manifestata una tendenza che sfociò poi nel pietismo; essa, come esposero i teologi del concilio vaticano (Coll. Lac., VII, col. 528-9, n. 16), accettava bensì la rivelazione, ma non ammetteva per dimostrarla se non le prove che il fedele troverebbe nella sua stessa coscienza. Quei punti di dottrina furono infine fissati solennemente per i cattolici dal detto concilio (Canone de revel., n. 2; can. de fide, n. 3, 4; cap. 3 de fide). Quantunque tra gli scrittori cattolici non vi fosse piena unità di vedute quanto all'interpretazione de L'action di M. Blondel (1896), pure nell'esporre i loro giudizî sulla cosiddetta apologetica dell'immanenza furono tutti d'accordo su questi punti: si deve francamente ammettere che la religione cristiana conviene alla natura umana; ma dire che questa esige assolutamente quella, si oppone alla soprannaturalità della stessa religione; inoltre non può essere accettata l'asserzione che la prova fondata sui miracoli sia da escludersi dal novero delle prove dimostrative. Rigettarono anche il concetto che a molti parve avesse il Laberthonnière (in Annales de phil. chrét., 1897; Essais de philos. relig., 2ª ed., 1903), che cioè la prova dell'esigenza della rivelazione cristiana soprannaturale debba trarsi dalla grazia già operante in modo soprannaturale nell'uomo, e contro un tale concetto fecero notare che la soprannaturalità della grazia non rientra nel campo della coscienza. Il modernismo riconosceva la rivelazione solo come "naturale coscienza acquisita dall'uomo della propria relazione con Dio"). Naturalmente, non si può allora parlare di fatti soprannaturali che dovrebbero dimostrare una rivelazione di questa specie. Sicché, secondo questo modo di vedere. Cristo non poté insegnare di esser il Messia, perché questa dignità include quella di rivelatore, né operó miracoli per confermare questa sua dignità. Queste ed altre dottrine moderniste, che rientrano nel campo dell'apologetica, furono condannate nel 1907, da Pio X col decreto Lamentabili e nel 1908 con l'enciclica Pascendi, in cui sono confutati gli argomenti presi da certe filosofie contemporanee.
Cenni sulle fasi dell'apologetica in diversi paesi. - In Italia contro gli antichi avversarî il gesuita Paolo Segneri (v.) scrisse L'incredulo senza scusa, opera eccellente pel contenuto e per la forma. Le idee deistiche, che a poco a poco penetrarono dalla Francia, furono combattute da un gran numero di valorosi difensori della religione cattolica, come il domenicano Ansaldi (1775); il cardinale Gerdil con l'Introduzione allo studio della religione (1775) e la Breve esposizione ecc. (1785); S. Alfonso dei Liguori, il domenicano Valsecchi coi tre volumi di solidissima dottrina Dei fondamenti della religione (1765); il gesuita Noghera con le Riflessioni sulla religione rivelata (1773), pregevoli anche per lo stile; il gesuita Muzzarelli, con la raccolta degli 11 volumi su Il buon uso della logica in materia di religione (1787-99). Nel sec. XIX l'attenzione degli scrittori cattolici fu rivolta soprattutto alla lotta contro il liberalismo, nelle loro stesse file. Per l'apologetica citiamo le Risposte popolari ecc. (1851) del gesuita Secondo Franco tradotte anche in varie lingue straniere; La bellezza della fede del teatino G. Ventura; molti scritti contro la Vita di Gesù del Renan; i volumi di Ausonio Franchi, Ultima critica, apparsi dal 1889 al 1893, in cui confuta le opinioni da lui stesso sostenute prima. Si possono consultare anche i periodici Civiltà cattolica e Scuola cattolica.
In Francia, prima dell'avvento del deismo, Biagio Pascal scrisse le sue Pensées; il gesuita Baltus e il Bossuet trassero argomenti, l'uno dalle profezie dell'Antico e del Nuovo Testamento (1728-1733), l'altro (Discours sur l'histoire universelle), dalla provvidenza divina. Col ritorno del Voltaire dall'Inghilterra (1727) ebbero principio gli assalti del deismo, uniti con quelli degli enciclopedisti e del Rousseau. Tra i molti strenui oppositori nel campo cattolico, come il gesuita Nonnotte e il Guenée contro il Voltaire, il gesuita Para du Phanjas ecc., la palma spetta in Francia al Bergier (Réfutation des princiraux articles du "Dictionnaire philosophique"; Dictionnaire theologique) e nel Belgio al de Feller, gesuita (Catéchisme philosophique, 1772). La Restaurazione politica fu preceduta e accompagnata dalla restaurazione della religione, per la quale si diedero la mano scrittori come Chateaubriand (Génie du christianisme), de Lamennais (prima della sua defezione dal cattolicismo), Nicolas (anch'egli, benché meno di Lamennais, infetto di tradizionalismo), ecc., e una schiera di valenti conferenzieri a Notre-Dame di Parigi: il Frayssinous, il domenicano Lacordaire, il gesuita Félix, il domenicano Monsabré, quindi monsignor d'Hulst, il gesuita Pinard de la Boullaye (1929). Molti di questi trattarono con speciale energia dell'efficacia rinnovatrice del cristianesimo. Anche le assersioni del Renan furono combattute vigorosamente. Al volgere del sec. XIX, mentre da un lato si avanzavano, sconvolgendo molte menti, l'apologetica dell'immanenza e il modernismo, dall'altro lato l'apologetica cattolica faceva grandi progressi, e ne fan fede così il fatto d'aver saputo trarre argomenti in favore del cristianesimo dalla storia comparata delle religioni, come la pubblicazione di opere apologetiche di prim'ordine, quali il Dictionnaire apologétique (4ª edizione, 1909-1928, completamente rinnovata dal gesuita A. d'Alès), le Études religieuses (dal 1857), e la Revue d'Apologetique (dal 1905).
Nel paesi di lingua tedesca il deismo penetrò direttamente dall'Inghilterra e indirettamente dalla Francia. Alla sua azione diedero maggior forza certi indirizzi filosofici, come il kantismo, i sistemi panteistici, ecc., e anche i metodi storici ispirati da tali tendenze. In un primo periodo dalla metà del sec. XVIII fin verso il 1840, le migliori opere furono scritte dagli ex-gesuiti Storchenau (Philosophie der Religion, in 6 voll., 1775-81) e Goldhagenu (Religionsjournal, 1776-85). Però alcuni trattati apologetici non ottennero l'approvazione della Chiesa, particolarmente l'Einleitung del Hermes (1819, 1829), perché contenente idee erronee sul concetto della fede. Il secondo periodo dal 1840 ai dì nostri, si distingue per la copia e la varietà delle opere apologetiche, per la dottrina generalmente solida e per una grande opportunità, cosicché questo può quasi dirsi un periodo di fioritura dell'apologetica, che ebbe molta influenza anche in altre regioni.
Quanto ai paesi di lingua inglese, l'attività dei pochi cattolici nell'Inghilterra stessa, fin quasi all'epoca dell'emancipazione (1829), fu determinata per lo più dalla necessità di dimostrare la verità della Chiesa di fronte all'anglicanesimo. Ma, dopo l'emancipazione, col numero dei cattolici andò crescendo anche la loro azione nel campo dell'apologetica; citiamo i tre cardinali Wiseman (Twelve Lectures sulla scienza e la rivelazione, 1835), Manning (Grounds of Faith, 1852) e Newman (Essay in aid of a Grammar of Assent, 1872), nonché i periodici Dublin Quarterly Review (dal 1836) e Month (dal 1864). Tra gli scrittori più recenti ricordiamo G. K. Chesterton. Così pure ricordiamo per l'America il libro del cardinale Gibbons, The Faith of our Fathers, diffuso a milioni di esemplari, i tre periodici The Catholic World, Commonweal e America.
In lingua spagnola sono celebri le Cartas a un esceptico di Balmes (v.; nel 1910 fu tenuto a Vich un congresso di apologeti in suo onore), come pure il geniale Ensayo sobre el catolicismo (1851) di Donoso Cortés. Del Murillo, gesuita, abbiamo l'opera Jesucristo y la Iglesia Romana (1898-1902) e dell'altro gesuita Mir y Noguera, i tre volumi La Religión, El milagro, La profecía (1899-1905). Al libro dell'americano Draper, History of the conflicts between Religion and Science, 1873, diedero una risposta particolare varî autori, come l'agostiniano Camara, Orti y Lara, il gesuita Mendive; all'apologetica è dedicato il periodico Razón y Fé (dal 1907).
A queste indicazioni facciamo seguire un elenco delle principali tra le opere recenti. Generali, in cui si tratta di Dio, di Cristo e della Chiesa con la dichiarazione dei diversi motivi di credibilità: Mons. G. Bonomelli, Seguiamo la ragione, Milano 1898; G. Ballerini, Breve apologia per i giovani studenti contro gl'increduli dei nostri giorni, edita più volte; G. Monti, L'apologia scientifica della religione cristiana, Torino 1922, con un esame critico dei metodi d'apologetica moderni; tre opere con lo stesso titolo, tradotte anche in italiano, cioè F. Hettinger, Apologie des Christentums, (5 voll.; molte ediz. dal 1863); P. Schanz, Apologie des Christentums, Friburgo in B. 1907, voll. 3, con abbondantissima erudizione in quasi tutti i rami; A. M. Weis, domenicano, Apologie des Christentums, Friburgo in B. 1894-95, che argomenta sullo spirito e sulla volontà dell'umanità; inoltre G. Esser e J. Mausbach, Religion, Christentum, Kirche, 1ª ed., Kempten 1911, 5ª ed., 1923, voll. 3, a cui hanno collaborato varî dotti, come lo Schmidt, e Mgr. Kirsch; M. Morawski, Wieczory nad Lemanem (Serate sul lago di Ginevra), in forma di dialogo (in polacco), S. Bartinowsky, gesuita, Apologetica, Cracovia 1925 (in polacco); E. F. Santanna, gesuita, Curso de Religião, I. Apologetica, Lisbona 1900.
Trattano specialmente della rivelazione in Cristo: G. Ballerini, Gesù Cristo e i suoi moderni critici, Pavia 1911; M. Cordovani, Il Rivelatore, Milano 1925, con riguardo ad oppositori moderni come Gioberti, Croce; M. Lepin, Jésus-Christ, Messie et Fils de Dieu, Parigi 1904, contro Loisy; L. Fillion, Les étapes du Rationalisme dans ses attaques contre les Évangiles et la Vie de N. S. J. Ch., Parigi 1911; id., Vie de N. S. J -Ch., exposé historique, critique, apologétique, voll. 3, Parigi 1912; Tual, Jésus Christ son propre Apologète, Parigi 1920; B. Allo, Le scandale de Jésus, Parigi 1927; L. de Grandmaison, Jésus-Christ (in Dict. Apol., cit., II, coll. 1288-1538); id., Jésus-Christ, sa personne, son message, ses preuves, Parigi 1928, voll. 2, opera postuma; H. Felder, Jesus-Christus, I. Das Bewusstsein Jesu, II Die Beweise Jesu, Paderborn 1911, lavoro di solida dottrina e moderno; Fr. Kiefl, Der geschichtliche Christus und die moderne Philosophie, Magonza 1911; Ph. Kneib, Moderne Leben-Jesu-Forschung unter dem Einfluss der Psychiatrie, Magonza 1908; A. Meyenberg, Leben Jesu-Werk, Lucerna 1922-29, voll. 3.
Per la dimostrazione dei miracoli di Gesù e in modo speciale della sua resurrezione: cardinale A. Lépicier, Del miracolo, Roma 1900; Cellini, Gli ultimi capi del tetramorfo e la critica razionalista, Roma 1906 (circa la resurrezione), A. Zacchi, Il miracolo, Milano 1923; J. Le Bonniot, Le miracle et ses contrefaçons, Parigi 1887, 5ª ed., 1895; A. de Poulpiquet, Le miracle et ses suppléances, Parigi 1914; J. de Tonquédec, Introduction à. l'étude du merveilleux et du miracle, Parigi 1916, in cui si tratta a fondo dei criterî di riconoscibilità; L. Fillion, Les miracles de N. S. J. -Ch., Parigi 1904-10, voll. 2; L. Fonck, Die Wunder des Herrn, I, 2ª ed., Innsbruck 1907, trad. italiana, I miracoli del Signore, Roma 1914, F. Schmid, Christus als Prophet, Bressanone 1892; G. Sortais Valeur apologétique du martyre, Parigi 1905; F. Meffert, Christentum und Kultur, M. Gladbach 1922; e, in un certo senso, anche l'Histoire des persécutions di P. Allard (v.).
La superiorità del cristianesimo, soprattutto nella dottrina, è esposta nella compilazione di J. Huby, intitolata Jésus-Christ, 5ª ed., Parigi 1916; e nel campo della storia delle religioni e della cosiddetta scienza comparata delle religioni, con intenti apologetici, Bricout, Où en est l'histoire des religions, Parigi 1911-12, voll. 2; C. C. Martindale, Storia delle religioni, Firenze 1921-22, voll. 2 (dall'inglese); H. Pinard de la Boullaye, L'Étude comparée des religions, Parigi 1922, 3ª ed., 1929.
Sull'apologetica dell'immanentismo: X. M. Le Bachelet, De l'apologétique traditionnelle et de l'apologétique moderne, Parigi 1897; J. de Tonquédec, Immanence, Parigi 1913; id., in Dict. Apol., cit. II, coll. 593-612.
Sull'apologetica del modernismo: E. Rosa, L'Enciclica "Pascendi" e il modernismo, Roma 1904; G. Mattiussi, Apologia della religione, Bergamo 1911; art. Modernisme, di varî autori, in Dict. Apol., cit., coll. 591-695; J. Pesch, Glaube, Dogmen und geschichtliche Tatsachen, Friburgo in B. 1908; trad. ital., Roma 1909; J. Bessner, Philosophie und Theologie des Modernismus, Friburgo in B. 1912; A. Gisler, Der Modernismus. Einsiedeln 1912.
Bibl.: J. A. Fabricius, Delectus argumentorum et syllabus scriptorum qui veritatem religionis christianae... asseruerunt, specialmente c. 19-50, Amburgo 1755; Chassay, Tableau des apologistes chrétiens, in Migne, Démonstration évang., XVIII, pp. 882-986; H. Denzinger, Vier Bücher von der religiösen Erkenntniss, Würzburg 1856-57, voll. 2; K. Werner, Geschichte der apolog. u. polem. Literatur der christl. Theologie, V, Geschichte der neuzeitl. christl. Apologetik, 2ª ed., Ratisbona 1889; A. Langhorst, Zur Entwicklungsgeschichte der Apologetik, in Stimmen aus Maria Laach, XX (1881), pp. 412 segg., 468 segg.; A. von Schmid, Apologetik als spekulative Grundlage der Theologie, Friburgo in B. 1900; I. ottiger, Theol. fundam., I, Friburgo in B. 1897; P. Schanz, Apologie, I, 3ª ed., trad. ital. di F. Pellegrinetti, Firenze 1907-1910; J. V. Bainvel, De vera religione et apologetica, Parigi 1914; L. de Maisonneuve, in Diction. de Théologie cath., I, ii, s. v.; A. Gardeil, Crédibilité, in Dictionnaire de théol. cath., III; X. Le Bachelet, Apologétique, Apologie, in Diction. Apol.; sull'Islām: A. Palmieri, in Diction. de théol. cath., III, col. 1836 segg.; M. Steinschneider, Polem. und apolog. Literatur in arabischer Sprache, zwischen Muslimen, Christen und Juden, Lipsia 1877; Act. del Congr. intern. de Apol., Vich 1916, voll. 2 (per la Spagna).
Apologetica protestante. - Emergendo dal periodo delle controversie con la teologia cattolica e delle controversie interne tra le varie tendenze delle scuole teologiche della Riforma, l'apologetica protestante rimase per lungo tempo fedele in massima al metodo dell'apologia tradizionale (p. es. il trattato di H. Grotius De Veritate Religionis Christianae, con la sua propedeutica filosofica, argomenti esterni, profezie e miracoli, superiorità morale del cristianesimo, ecc.) differendo dall'apologia cattolica soltanto nella difesa delle specifiche posizioni dottrinali protestanti e specialmente nell'ecclesiologia. Ma la grande libertà di speculazione dottrinale che non tardò a svilupparsi nel cristianesimo protestante aprì gradatamente nuovi orizzonti all'apologetica, e perciò mentre l'apologetica cattolica, legata strettamente alla difesa di posizioni dogmatiche e d'interpretazioni storiche ben definite ed immutabili, non ha potuto subire, senza uscire dall'ortodossia, variazioni di sostanza, ma solo di metodo, quella protestante invece ha cambiato radicalmente di sistema, seguendo da vicino le vicende della speculazione filosofica, della critica biblica e storica e degli studî comparativi sulle religioni. Ciò si riferisce naturalmente all'apologetica del protestantesimo cosiddetto liberale, o liberaleggiante, poiché quella del protestantesimo conservatore, ossia fondamentalista come oggi ama chiamarsi, è rimasta ferma al metodo tradizionale, e non se ne distingue che per una più stretta interpretazione delle dottrine ed una più assoluta determinazione di tener chiusa la porta ad ogni influenza della cultura moderna. I primi segni di un nuovo indirizzo nell'apologetica protestante ricorrono nella lotta in cui durante tutto il sec. XVIII i teologi delle chiese riformate in Francia, in Germania e specialmente in Inghilterra, si trovarono impegnati contro il deismo, che, con la sua teoria empirica della conoscenza e col tagliar fuori intieramente il Dio creatore da ogni ulteriore commercio umano, eliminava il soprannaturale e celebrava la cosiddetta religione naturale. L'opera classica dell'apologetica anti-deista fu quella del vescovo anglicano di Durham J. Butler (The Analogy of Religion, natural and revealed, to the constitution and course of nature, 1736, e Sermons on human nature, 1726), sviluppata in seguito in molti punti più efficacemente da W. Paley (View of the evidences of Christianity, 1794, e Natural Theology, 1803). Il Butler partiva dalle "prove della religione naturale" in cui faceva pro di quanto gli offriva il deismo stesso, per trovare una base comune con i suoi avversarî; passava quindi alle "prove esterne della religione rivelata" (profezie, miracoli, ecc.) secondo il metodo dell'apologetica tradizionale, e veniva finalmente alle "prove interne".
L'originalità del Butler era nella formulazione e nello sviluppo della sua tesi apologetica, poiché attraverso un esame analogico dei dati della rivelazione, dei fatti di ordine sperimentale e dei postulati della coscienza egli voleva provare che la religione naturale da sola non è sufficiente a spiegare e risolvere tutta una serie di problemi fondamentali, tanto intellettuali quanto morali, mentre se alla religione naturale si aggiunge e sovrappone quella rivelata si arriva a soluzioni più convincenti. Pur partendo dai postulati della teologia intellettualista, il Butler nello sviluppo della sua tesi si distacca considerevolmente dal metodo tradizionale, sia assegnando un posto di primaria importanza ai valori pragmatici, sia nel rinunziare a dare alle sue prove il carattere di certezza logica, e limitandosi ad invocare per esse soltanto una maggiore probabilità. Con ciò egli preludeva alla nuova apologetica del sec. XIX. Le sue origini debbono ricercarsi nella teologia dello Schleiermacher, che sviluppando in modo geniale un certo aspetto dell'antropologia e della soteriologia dei riformatori, la ruppe in modo definitivo con l'intellettualismo teologico, additando nella coscienza la sede di ogni religiosità, e presentando il cristianesimo come il risultato della più alta e più completa esperienza della coscienza religiosa. Nello stesso tempo Kant negava la possibilità di fondare la religione su procedimenti dialettici, e ne spostava il centro dalle capacità teoretiche alle esigenze immanenti della coscienza morale. In seguito le teorie scientifiche dell'evoluzione, che rivoluzionarono la biologia, misero a soqquadro da una parte la tradizionale cosmologia biblica e cristiana, e dall'altra trovarono applicazione anche nei fenomeni religiosi. Frattanto la critica biblica e quella storica sottomettevano ad una revisione radicale tutta la tradizione sulle origini cristiane e sul valore storico dei documenti della rivelazione, e finalmente gli studî comparativi sulle religioni tendevanoo. ad oscurare la originalità ed unicità del cristianesimo quale espressione del divino nella storia umana. Sotto i colpi di attacchi così diversi e sur una linea di combattimento così estesa, l'apologetica protestante non si limitò nel suo insieme ad un'opera negativa di difesa per esclusione, ma cercò piuttosto con una grande varietà di tentativi, e tra esitazioni e tentennamenti, di derivare da tutte queste nuove correnti e con un processo d'inclusione, gli elementi per una ricostruzione apologetica che assicurasse non solo la sopravvivenza dei valori religiosi del cristianesimo, ma desse loro una nuova efficacia sulla coscienza e sul pensiero religioso moderno. Ammesso il concetto della religione quale esperienza, non si trattavá più di dimostrare l'armonia tra fede e ragione, ma piuttosto di dimostrare la vitalità permanente dei dati fondamentali della rivelazione cristiana, concepiti non quali verità statiche ed esterne, ma quali forze vive nella coscienza e quali postulati necessarî alla più completa ed esauriente esperienza religiosa individuale e sociale. D'altra parte, accettando la revisione critica, biblica e storica, della tradizione, l'apologetica sul campo stesso della critica storica e filologica si oppose, e non senza fortuna, alle conclusioni della critica radicale, che, eliminando per necessità di metodo ogni elemento del divino nel lavorio di revisione, finiva con l'eliminarlo del tutto ed in modo assoluto dal quadro storico del cristianesimo. Il carattere stesso della teologia su cui si basava questa apologetica e le esigenze del metodo storico-comparativo delle religioni a cui bisognò far largo posto per sostenere la superiorità anche relativa del cristianesimo, ridussero gradatamente il problema fondamentale dell'apologetica alla ricerca di principî essenziali della rivelazione cristiana, ossia dell'essenza del cristianesimo, del nucleo centrale segnato dal sigillo divino, attorno a cui si è sviluppata attraverso i secoli la storia della religiosità cristiana.
In verità una ricerca della cosiddetta essenza del cristianesimo se può apparire storicamente possibile, nonostante la complessa varietà del suo sviluppo storico, d'altra parte presenta ostacoli insormontabili che la fanno apparire quasi assurda, se i dati fondamentali debbono ricercarsi in ultima analisi nell'esperienza religiosa specifica individuale e sociale delle generazioni cristiane tale quale può essere ricostruita attraverso l'esperienza attuale della nostra coscienza. Era quindi inevitabile che la ricerca si riducesse di preferenza agli elementi psicologici e morali, riducendo l'essenza del cristianesimo ai dati fondamentali della consapevolezza della paternità di Dio, della rivalutazione morale e dell'esperienza soterica di cui quella del Cristo era il modello e la fonte. Ma d'altra parte gli apologisti, generalmente uomini di chiesa, non potevano disconoscere interamente gli elementi istituzionali, anche riducendoli al minimo, in accordo con l'ecclesiologia protestante solidamente ancorata al principio della Chiesa società invisibile, e tanto meno potevano eliminarli, visto che l'esperienza religiosa individuale può essere valorizzata solo in quanto si manifesta e si completa in forma di esperienza associata. In generale, l'apologetica del protestantesimo liberale del sec. XIX sia che parta da premesse immanentistiche o pragmatistiche, sia che faccia largo posto all'azione carismatica attuale, si è trincerata dietro una teologia anti-intellettualista, sottraendo agli attacchi dialettici il fatto religioso quale esperienza non riducibile a categorie logiche, e nel campo storico ha valutato le vicende del cristianesimo dallo stesso punto di vista relativo pur concludendo, attraverso l'analisi comparativa delle religioni che il cristianesimo col suo contenuto vitale di spiritualità e di moralità e con la sua esperienza soterica, ha espresso ed esprime nel grado più elevato e più relativamente completo i valori religiosi eterni che operano nella coscienza umana e nella vita associata. L'apologetica più recente, sotto l'influenza della teoria del "Sacro" di R. Otto, comincia ad elaborare una fusione e sistemazione più completa degli elementi pragmatico-teologici di Schleiermacher e di quelli etico-razionali di Kant da cui partiva l'apologetica anteriore aiutata in ciò dall'indagine storico-etnografica sulle forme primitive della religiosità, ed eliminando sempre più dal fatto religioso ogni connotato razionale.
Bibl.: Un elenco anche sommario dell'apologetica protestante a prescindere dalla lunghezza sarebbe di poco giovamento, tanto più che la grande varietà di tendenze e di apologie confessionali rende impossibile una classificazione. Elenchi più o meno completi dei lavori apologetici dei protestanti francesi, tedeschi ed inglesi, si trovano negli articoli sull'apologetica dei dizionarî teologici, come quelli di L. Lemme, nella Realencyklopädie für prot. Theol. und Kirche, di L. Maisonneuve, in Dict. de Théol. cathol., cit. e di X. Le Bachelet, in Dict. d'Apologétique, cit. Per la storia dell'apologetica sono utili alcuni capitoli del volume di A. B. Bruce, Apologetics, New York 1892; O. Zöckler, Geschichte der Apologie des Christentums, 1907; R. Kübel, Apologetik, in Handbuch d. theol. Wissenschaften in encyclopädischer Darstellung di O. Zöckler, III, 1885. Una buona esposizione schematica delle posizioni dell'apologetica protestante teologica e storica è quella di T. W. Crafer, art. Apologetics, in Hastings, Encyclopaedia of Religion and Ethics, I, pp. 611-623.