APOLLONIO RODIO (᾿Απολλώνιος ὁ ῾Ρόδιος)
Poeta ed erudito nato ad Alessandria o a Naucrati verso il 295 a. C., scolaro di Calimaco, dimorò lungamente a Rodi, di cui divenne cittadino ed ove tenne scuola di grammatica e di retorica. È assai incerto se egli fosse divenuto bibliotecario della biblioteca di Alessandria negli ultimi anni della sua vita, come tramandano alcune fonti (Lex. Suda, s. v. ᾿Απολλώνιος; Apollonii Vita, ii, 19 ss., Seaton). Secondo un'antica tradizione, A. si sarebbe allontanato da Alessandria per un dissidio sorto fra lui e Callimaco circa la concezione poetica, dopo aver fallito in una pubblica lettura del suo poema; il quale sarebbe stato pubblicato a Rodi. Morì forse a Rodi attorno al 215 a. C.
Hanno particolare interesse per la storia dell'arte e del gusto del suo tempo le Argonautiche (4 libri, 4835 esametri); ma anche qualche altra opera, oggi perduta, come le Fondazioni di Alessandria, di Cauno, di Cnido, di Rodi, di Naucrati, doveva contenere cenni di interesse archeologico riguardanti quelle città ed i loro monumenti (cfr. Fragm. hist. Graec., iv, 313-314).
Per quanto A. prenda ispirazione da Omero e lo segua come modello, pure non si sottrae ai canoni artistici della poesia erudita nell'utilizzare e fondere numerosissime fonti mitografiche, storiche, archeologiche e geografiche, e particolarmente fa suo il canone naturalistico delle arti plastiche e figurative del periodo ellenistico. Inoltre l'estetismo, che pervade ogni manifestazione dell'arte ellenistica, è sempre presente anche nell'opera poetica di A., spesso accoppiato all'erotismo, pur nella sua espressione migliore, e al gusto del quadretto di genere.
Il viaggio degli Argonauti e le avventure da loro incontrate furono spesso, prima di A., un soggetto abbastanza sfruttato dalle arti figurative (ad es. Mikon di Atene aveva dipinto un quadro di tal genere nel tempio di Castore e Polluce ad Atene - Paus., i, 18, 1 -; Novios Plautios incise lo stesso soggetto sulla Cista Ficoroni [IV-III sec. a. C.]; infine numerose sono le pitture vascolari, come quelle del cratere di Orvieto, del vaso di Talos, ecc.), ma certamente il poema di A. dovette contribuire non poco ad ispirare l'arte ellenistica. Sarà sufficiente ricordare, a questo proposito, che Timomachos di Bisanzio (I sec. a. C.), abilissimo nel rappresentare le passioni umane represse, aveva dipinto un quadro mirabile di Medea - di cui forse è una copia la pittura conservata nel museo di Napoli -; e Medea è la vera protagonista del poema nell'espressione del suo amore appassionato per Giasone. Talvolta, ci riesce difficile stabilire fino a che punto A. abbia influenzato gli artisti del suo tempo o a lui posteriori, e quanto invece egli stesso sia debitore dell'arte a lui contemporanea. Si può dire soltanto che certe descrizioni hanno, oltre agli elementi letterari, altri visivi così evidenti, da aiutarci a comprendere almeno qualcosa del gusto che accompagnò quella pittura, oggi quasi completamente perduta, un po' "barocca" e di maniera, ma di sicuro effetto, che dovevano coltivare artisti come Theon, Nikomachos, Nikias, Timomachos.
Una delle immagini più belle, sempre nei limiti indicati, è la descrizione dei ricami tessuti da Atena sulla veste di Giasone (i, 721 ss.). In essi compaiono i Ciclopi, Zeto e Anfione, Citera, i Teleboi, Pelope ed Ippodamia, Apollo e Frisso. Tutti questi quadretti, e particolarmente quelli di citera che col chitone slacciato sul seno si specchia, di Apollo giovinetto che saetta Tizio, di Frisso che parla con il montone, richiamano altrettanti quadretti di genere veristico dell'arte del suo tempo; e non per nulla il poeta conchiude l'ultimo di essi con le seguenti parole:
κείνους κ᾿ εἰσορόων ἀκέοις, ψεύδοιό τε ϑυμόν, - ἐλπόμενος πυκινήν τιν᾿ ἀπὸ σϕείων ἐσακοῦσαι ῏ βάξιν, ὃ καὶ δηρόν περ ἐπ᾿ ἐλπίδι ϑηήσαιο (i, 765-767.
Altrettanto manierata è quella rappresentazione di Cupido che gioca agli astragali con Ganimede nelle stanze della madre (iii, 114 ss.), soggetto molto amato dagli artisti greci del periodo ellenistico; nè da meno è la rappresentazione di Afrodite che riceve nella sua stanza Hera ed Atena, mentre
δινωτὸν ἀνὰ ϑρόνον, ἄντα ϑυράων, - λευκοῖσιν δ᾿ ἑκάτερϑε κόμας ἐπιειμένη ὤμοις - κόσμει χρυσείῃ διὰ κερκίδι, μέλλε δὲ μακροὺς ῏ πλέξασϑαι πλοκάμους ... (iii, 44-47).
Come gli dèi sono più personaggi di una corte ellenistica e le dee più matrone della società elegante che vere e proprie divinità, così anche le regge dei superi o i palazzi dei semidei sono semplicemente lussuose case ellenistiche. Il gusto per l'arte del tempo si rivela particolarmente nella descrizione delle case; senza alcun dubbio A. si ispirava all'architettura contemporanea. E non manca di servirsi, ad un certo punto, per descrivere come erano connessi gli scudi degli Argonauti che volevano difendersi dagli uccelli Stinfalî, di una similitudine tratta dall'arte architettonica (l'artigiano che copre abilmente di tegole il tetto di una casa, II, 1073 ss.). Ed ecco come descrive il palazzo del re Eeta nella Colchide, quando gli Argonauti, protetti da una nube, si recano a lui per richiedere il vello d'oro: "Si fermarono nel vestibolo, stupefatti dinnanzi alle mura regali, le ampie porte e le colonne che s'innalzavano in bell'ordine lungo il muro. Sulla sommità del palazzo era scolpito un cornicione (ϑριγκός) di pietra su triglifi di bronzo. Tranquilli essi varcarono la soglia. Vicino ad essa fiorivano meravigliosamente delle viti rampicanti coronate di verdi foglie; ai loro piedi scorrevano quattro ruscelli perenni... Lì nel mezzo vi era il cortile; ivi molte porte a due battenti ben costrutte e qua e là dei talami; poco lontano da una parte e dall'altra si stendeva un portico (αἴϑουσα) dipinto e a lato s'innalzavano le stanze più alte..." (iii, 215 ss.). Mirabile e piena di movimento è anche la descrizione della città dei Feaci (iv, 1177 ss.).
Monumenti considerati. - Cista Ficoroni: P. Ducati, L'arte in Roma dalle origini al sec. VIII, Bologna 1938, p. 25 ss.; cratere di Orvieto (interpret. controversa): J. D. Beazley, Attische Vasenmaler. des rotfigurigen Stiles, Tubinga 1925, p. 336; vaso di Talos: E. Pfuhl, Mal. u. Zeichn. der Griechen, Monaco 1923, fig. 574; su gli amorini che giocano agli astragali: B. Neutsch, Spiel mit dem Astragal, in Ganymed (Heidelb. Beitr. zur ant. Kunstgesch., 1949), pp. 18-28 (gemma romana; il soggetto nella pittura: E. Pfuhl, op. cit., ii, p. 629); la Medea di Napoli: E. Pfuhl op. cit., iii, p. 280; inoltre: M. Hadas, The Tradition of the Jason, in Class. Philol., xxxi, 1936, pp. 166-168 (vaso ateniese del V sec. del Metrop. Mus.); H. Herter, Beiträge zu Apollonios von Rhodos, in Rhein. Mus., xci, 1942, pp. 226-249 (sarcofago con illustraz. di Arg., i, 553 s.); L. Curtius, Die Bronzegruppe Trivulzio, in Rend. Pont. Accad. Arch., xx, 1943-44, pp. 255-266 (Eufemo che porta Tifone, Arg., iv, 1571 ss.); Ph. Williams, Amykos and the Dioskouroi, in Amer. Journ. Arch., xlix, 1945, pp. 330-347 (il Sovrano ellenistico e il Pugilatore del Mus. delle Terme, formerebbero un gruppo di Apollonios figlio di Nestore, ispirato da Arg., ii, 1-163; v. Apollonios, 60).
Bibl: Ediz.: R. Merkel, Lipsia 1854; R. C. Seaton, Oxford 1900 (I) 1924; C. Cessi, la poesia ellenistica, Bari 1912, pp. 106-129; W. Christ-W. Schmid-O. Staehlin, Gsch. der griech. Litt., Monaco 1920, II, i, pp. 140-146; T. Sinko, Literatura Grecka, II, i, Cracovia 1947, pp. 264-280; A. Ardizzoni, A. R., Catania 1930; F. Stoessl, A. R., Zurigo 1941.