APOLLODOROS (᾿Απολλόδωρος, Apollodōrus)
2°. - Pittore ateniese ricordato da Plutarco (De glor. Athen., 2); secondo la testimonianza di Plinio (Nat. hist., xxxv, 6o), fiorì nella 93a olimpiade (408-405 a. C.; è tuttavia probabile che la data debba essere spostata indietro di qualche olimpiade, cioè, all'incirca, verso il principio della guerra del Peloponneso), e fu il primo nella serie dei più grandi pittori di questa età. Egli seppe per primo dare alle figure l'apparenza della corporeità, segnando le gradazioni e sfumature delle ombre (Plut., De glor. Athen., 2; questo merito è invece, da Quintiliano, attribuito a Zeusi: Inst. orat., xii, 10, 4), onde fu anche il primo a procurar vera gloria al pennello, giacché nessun quadro dei suoi predecessori era stato tale da fermare a lungo lo sguardo (Plin., ibid.).
L'attributo di σχιαγράϕος (cioè pittore che indica luci ed ombre) gli è conservato da tardi glossatori e scoliasti (Esich., s. v. σχιά; Schol. Iliad., x, 265), quale, appunto, il più significativo della sua arte. La sua invenzione, di cui egli si vantava scrivendo sotto le sue opere che era "assai più facile criticarle che imitarle", si può più che altro ritenere applicazione del chiaroscuro alla rappresentazione della figura, chiaroscuro che certo doveva essere necessariamente già applicato nella scenografia (ad es. da Agatharchos di Samo; da qui l'osservazione erudita di Esichio, s. v. σχιά, che si sarebbe dovuto chiamare A. scenografo); ad ogni modo, col liberare la pittura dai lacci della figurazione a base disegnativa, sostituendo alla linea ideale il tono di luce reale, fu veramente aperta la porta all'avvenire. E in essa porta entrò per primo il grande contemporaneo di A., Zeusi di Eradea (Plin., Nat. hist., xxxv, 61). A. dovette avere uno spiccato interesse per i problemi prospettici, nello studio dei quali sia lui che Demokritos erano stati preceduti da Agatharchos di Samo. Delle opere di A., si ricordano: un sacerdote adorante (probabilmente un ritratto votivo); Aiace colpito dal fulmine, quadro che si ammirava più tardi a Pergamo (Plin., Nat. hist., xxxv, 61); Ulisse, cui per primo A. avrebbe dato il pileo del marinaio (Schol. Iliad., x, 285); e, infine, un quadro ove erano rappresentati gli Eraclidi, Alcmena e la figlia di Eracle in atto di supplicare gli Ateniesi per tema di Euristeo (quest'ultima opera, che può lasciare intravvedere l'influsso di Euripide sulla pittura contemporanea, era stata attribuita da altri al sicionio Pamphilos: Schol. in Aristoph., Plut., 385).
L'importanza e la fama di A. furono riassunte in un epigramma da un tal Nicomaco (presso Hephaest., De metr., 4, 7) che lo celebrava illustre in tutta la Grecia.
Bibl: H. Brunn, Gesch. d. griech. Künstl., II, Stoccarda 1889, p. 48 ss.; O. Rossbach, in Pauly-Wissowa, I, c. 2897, s. v., n. 7; B. Sauer, in Thieme-Becker, II, p. 32 ss., s. v.; E. Pfuhl, Maler. u. Zeichn. d. Griech., II, Monaco 1923, p. 674 s.; A. De Capitani d'Arzago, La grande pittura greca dei secoli V e IV a. C., Milano 1945, pp. 44-46; S. Ferri, Plinio il Vecchio, Roma 1946, XXXV, pp. 60, 61; A. Rumpt, Malerei und Zeichnung, IV, Monaco 1953, p. 120 ss.; R. Bianchi Bandinelli, Osservazioni storico-artistiche ad un passo del "Sofista" platonico, in Studi in onore di U.E. Pauli, Firenze 1955, p. 81 ss.