APOFONIA (dal gr. ἀπό "da" e ϕωνη "suono"; ted. Ablaut)
Termine usato in linguistica a dinotare non la mutazione vocalica come prodotto dell'evoluzione storica di un suono, ma la mozione vocalica come prodotto della variazione della stessa vocale all'interno di una stessa parola ad una fase coeva della storia di una lingua. Non bisogna confondere con le specie e le forme di apofonia delle lingue indo-europee né i casi di apofonia vocalica condizionata dalla natura dei suoi vicini, come nel latino, o dalle vocali finali, come nelle lingue romanze, (la cosiddetta metafonia o metafonesi), né la prodigiosa variabilità delle vocali all'interno del gruppo triconsonantico che forma lo scheletro della parola semitica.
Tutta una serie di esempî, che o hanno conservato o risultano conseguenze delle condizioni di accento indoeuropee, dimostra che la variazione vocalica sta in rapporto: 1° con il posto dell'accento della parola; 2° con la natura varia dell'intonazione della parola e della sillaba, differenziatrice del timbro, sotto l'accento del gruppo o della frase: p. es.: germ. werden: ward: gewoêden; gr. δέρκομαι: δρακείν: δέδορκα; λείπω: λιπεῖν: λέλοιπα; acc. *ἀκμήνα (ἀκμῆνα, a. ind. aômênam (ma cfr. ποιμένα, ecc.): ἄκμπνα, a. ind. áômànam; lat. tego: toga: tegula; gr. πέτεσϑαι: aor. πτέσϑαι, ecc. L'apofonia indoeuropea è, dunque, un prodotto di accento, in origine senza alcun valore psicologico o dinamico, anche quando la variazione vocalica appaia all'interno di determinate categorie grammaticali e ne sia divenuta, per dir così, la loro formale espressione.
Allo stato dei fatti nell'apofonia indoeuropea bisogna prima di tutto distinguere una forma quantitativa da una forma qualitativa di essa, corrispondentemente al fatto che la vocale può variare di durata o di timbro, ma i due fenomeni sono in connessione, se non dell'epoca, come generalmente si crede, della sede, intensità ed intonazione varia dell'accento della parola o della frase, cose di cui la preistoricità del fatto e lo stato estremamente frammentario della frase indoeuropea ci consentono di renderci ragione solo in minima parte. Non è però da confondere l'allungamento della vocale di una sillaba per la caduta di una sillaba successiva, fatto che si riscontra anche in altre lingue che non conoscono apofonia con l'allungamento organico come prodotto di variazione apofonetica: il primo è prodotto puro e semplice della durata maggiore di una sillaba per compenso della perdita del tempo di una successiva (p. es. ϕώρ da *ϕόρο-; päs da orig. *pedo-s, ecc.), nel secondo la durata è più verosimilmente il prodotto di una maggiore intensità in funzione dell'accento. Negli esempî dove il fatto storico contrasta con questo principio, occorre ricercare, o comparativamente o sulla scorta dei rapporti apofonetici, la sede e la forma dell'accento originario, cosa, allo stato di conservazione del materiale, possibile solo in parte.
All'accento della parola, del gruppo o della frase la parola indoeuropea reagiva, dunque, come un tutto. In corrispondenza della variazione di tempo, d'intensità di altezza, intonazione e timbro della vocale della sillaba accentata si modificava armonicamente il tempo, l'intensità, l'altezza e il colore delle vocali delle altre sillabe. Somiglianze precise di ciò si cercano invano anche in quei dialetti viventi che più sono sensibili all'azione dell'accento e più si dimostrano soggetti alla mozione vocalica; quali che siano le parvenze esteriori, all'analisi i fatti risultano o determinati da cause o svoltisi in condizioni diverse: differiscono per la natura e per i prodotti. Lungi dal voler qui più minutamente indagare le cause, allo stato dei fatti la teoria e la pratica dell'apofonia indoeuropea si concretano intorno a questi punti: 1 ° ricercare e stabilire la serie di variazione della vocale fondamentale; 2° assegnare alle parole di più sillabe le formule che esprimono i rapporti varî che intercedono tra la variazione dell'una e quella dell'altra sillaba, e cioè il movimento vocalico complessivo della parola nel vario atteggiarsi di questa; 3° ricercare e stabilire di ciascuna variazione il grado normale e, conseguentemente, la vocale generatrice, condizione questa della ricostruzione del vocalismo originario e del sistema primitivo delle vocali indoeuropee.
Fondandosi sul materiale etimologico più sicuro, la massa dei fenomeni apofonetici si può ridurre a sei ordini, detti serie, i quali fanno evidentemente capo a sei suoni fondamentali. Non di ciascuno di codesti suoni esistono o sono storicamente documentati tutti i gradi dello sviluppo apofonetico. Per le serie più complete è possibile stabilire sei gradi, distinti in forti, normali, deboli.
Specificamente essi sono così indicati: Deboli: S, Sparizione (Schwundstufe), che culmina in E, cioè Estinzione, quando si tratti rispettivamente o del completo annullamento o del grado di Riduzione, R (Reduktionstufe), di una vocale normale atona e, o, a (anche se prima parte di dittongo) o del residuo del grado di sparizione di una vocale originariamente lunga. Questo elemento vocalico, a giudicarne dai succedanei storici, dovette essere un suono mormorato e non più o non dappertutto distintamente percepito (per convenzione esso suole essere rappresentato con ə). Il grado R (e cioè il residuo di una riduzione) è una vocale debole dello stesso timbro (graficamente rappresentata con e, o, a di corpo più piccolo, collocati inferiormente al rigo): grado che ordinariamente ha sede nella prima parte di parola bisillabica, originariamente accentata sulla seconda, sede dove può alternarsi col grado S, e costantemente nella prima parte di parola di tre sillabe accentata sull'ultima. Queste vocali, di loro natura bisbigliate, innanzi a consonante che non sia liquida o nasale, nelle lingue storiche trovansi dappertutto reintegrate nel suono pieno, meno che nel greco, dove le due prime trovansi talvolta rispettivamente continuate con ι e con υ (p. es. πετάννυμι: πίτνημι; νυκτός: lat. noctis) e nell'italico dove, oltre alla continuazione con la vocale di grado normale rispettiva, corrisponde loro talvolta cumulativamente un a (cfr. quatuor da indoeur. qu̯etuor-).
Oltre ai tre gradi deboli abbiamo: N, grado Normale (Vollstufe), o con vocali leggiere å, ñ, á originarie o con le vocali pesanti ä, ō, à, lunghe d'origine; N°, grado Normale di timbro o (Abtönung); D, grado di Distensione (Dehnstufe), cioè con lunghezza prodottasi per compenso e non apofonicamente, vocale che per conseguenza non alterna con ə, grado debole S solo di vocali organicamente lunghe; D°, grado di Distensione di ambro o. Si distinguono infine tre serie leggiere å, ñ, á e tre pesanti ä, ō, à.
Ad illustrazione valgano alcuni esempî:
Serie å: 1. N gr. ϕέρω, lat. ferō, N° gr. λευκο-ϕόρος, arm. lus-a-vor, D° gr. ϕώς, ϕωρά κλοπή, R gr. ϕάρετρα, cfr. a. ind. bharítram "braccio", S gr. δί-ϕρος "carro a due", cfr. a. ind. ura-bhra-s "lanigero, ariete"; 2. N gr. πέδον "piede, terreno", lat. acc. pedem, a. ind. pêdam, N° πόδα, D lat. päs, D° dor. πώς, got. fōtus, R lat. gen. pådis, da confrontare con a. ind. padás, gr. ποδός; S gr. ἐπι βδαί "giorno postferiale", a. ind. upa-bdás "trepestio"; 3. N lat. tego, N° toga, D tägula.
Serie ñ: 1. N gr. ὄψομαι "vedrò", lat. oculus, D gr. perf. ὄπ-ωπα, ὄψ, lat. atrōx (?), R gr. ὀπτέον, ide. oqu̯-; 2. N lat. ñdor, gr. ὄζω, D perf. gr. ὄδωδα, lit. êdûiu "odoro"; 3. N lat. ñdium, arm. ateam "io odio", D lat. ōdê.
Serie á: 1. N lat. aciäs, gr. ἄκρος, N° ocris, D àcer, gr. ἠκές ὀξύ; 2. N lat. agō, gr. ἄγω, N° ὀγμός "solco", D lat. amb-àges, D° ἀγ-ωγή, a. ind. êjis "corsa", R gr. -ακτός, S a. ind. pári-jman "che corre intorno".
Serie ä: 1. N gr. τί-ϑη-μι "porre, fare", a. ind. dá-dhàmi, lat. fä-cê, got. ga-däps; N° ϑω-μός "cumulo", R ϑαιμός οἰκία (*ϑαμιός), lat. fá-cio, S a. ind. -dhitás; 2. N lat. sämen, sävi, a. ind. sàtus "seno materno", S lat. sátus, sátor, E a. ind. strê "donna"; 3. N indoeur. märos "grande" got. -märs, ant. a. ted. mari, a. slav. Vladimærú, N° gr. ἰό-μωρος, ἐγχεσί-μωρος "grande nel trar d'arco, di lancia", gall. Virido-màrus, irl. mar, mor; 4. N lat. jäci, gr. ἧκε, S gr. ἑτός, lat. iacio; 5. N a. lat. fäsiae "feriae", S fànum da *fásnom.
Serie ō: 1. N a. ind. dá-dà-mı, gr. δίδω-μι, S lat. dátus, gr. δοτός, a. ind. ditás, E a. ind. devá-tta-s "dato da Dio"; 2. N lat. ōcior, gr. ὠκύς, S lat. acupedius "piè-veloce"; 3. N lat. ōro, a. ind. àryati "loda", S gr. 'ᾱρύει ἀντιλέγει, βοᾷ, 'ᾱρή da *ἁρα??? "maledizione", 4. N gr. κῶνος "corpo a punta", a. ind. càîas "cote", lat. cōs, S a. ind. ôitás "aguzzo" lat. ôatus (cfr. γλῶσσα: γλάσσα; ἰωχμός: ἰάχω; τρώγω: τράγος).
Serie à: 1. N dor. ϕα???-μα, lat. fà-bula, N° ϕωνή "voce", S gr. 1. pl. ϕαμέν, a. ind. bhanati "parla"; 2. N gr. λήϑη "oblio", dor. λα???ϑω, λα???ϑρα, a. ind. ràhús, rêtrê "notte".
Dai rapporti intersillabici del grado delle vocali è possibile raccogliere anche indicazioni intorno alla struttura primordiale della parola indoeuropea. Presupposto necessario per le evoluzioni dell'accento nella parola è che essa doveva in generale constare di più sillabe, onde il concetto di radice unisillabica risulta un'astrazione nostra. L'indoeuropeo fu dalle origini una lingua di parole formate, e quindi prevalentemente polisillabiche. Le parole primarie, fondamento supponibile di tutte le formazioni successive e che allo stato storico è possibile estrarre solo con artificiale eliminazione di queste, formano ciò che i glottologi chiamano basi. Una prima e rudimentale classificazione delle basi è dovuta ai grammatici indiani che distinguono radici sät (sa-i-ö), cioè terminate con -i (= indoeur. ə grado debole S di una lunga organica), e radici aniö (an-i-ö) non terminate con -i. Una volta scoperto che questo -i, posto al termine di basi bisillabiche, alterna con una lunga ä, ō, à, l'esistenza di basi bisillabiche terminate con vocale lunga, di cui quelle terminate in e appaiono subito come un indebolimento, diviene un assioma, anche se le lingue storiche ci conservano al loro posto, come evidenti prodotti di accentazione originariamente finale, solo gruppi consonantici terminati con una lunga: p. es. gr. ϑνᾱ- (contro ϑά-να-τος); κμᾱ- (contro κάμα-τος); τλᾱ- (contro τάλα-ντος). Se al movimento vocalico di queste basi, che storicamente presentano i gradi d'indebolimento R, S, E nella prima sillaba e la N lunga nella seconda, fosse ancora possibile coordinare il gioco dell'accento primitivo, si vedrebbe come alla durata maggiore della vocale della seconda sillaba corrispondesse una volta il posto dell'accento. Insieme con queste che si chiamano pesanti esistevano nell'indoeuropeo altre basi bisillabiche del tipo ϕερε-, chiamate leggiere, dove l'eguale intensità o grado delle vocali delle due sillabe dev'essere messa in rapporto col fatto che l'accento cadeva sulla prima sillaba. Di qui due tipi fondamentali di basi bisillabiche: pesanti e leggiere. I turbamenti di codesto equilibrio e le forme che assumono debbono venir precisati anche rispetto all'efficienza fonetica delle consonanti divisorie delle due sillabe. Nel gruppo (cons. +) voc. + cons. + voc. altro è se la consonante mediana, che come confine di sillaba non può mancare, è una dentale, labiale, gutturale o s, altro è se essa è i, u, l, r, m, n, giacché nei gradi S ed E della vocale precedente o seguente questi suoni possono, con il dileguarsi di detta vocale, divenire vocali essi stessi. Di qui la necessità di una sistemazione generale di questi casi negli sviluppi delle lingue storiche.
Il sistema costruito al fine d'inquadrare i fatti apofonetici tende a due scopi fondamentali: 1° a formare una tipologia generale delle basi; 2° con i segni S, E, N, N°, R, D, D°, riferiti ai loro valori fonetici, a creare apposite formule che rappresentino tutti i fatti ed enunzino tutte le possibilità del movimento vocalico delle basi. Indicando le vocali brevi cumulativamente con e, le lunghe con à, una consonante qualunque con x e tralasciando di notare, ove ci sia, la consonante iniziale, si ottengono come tipi normali di basi bisillabiche gravi: erà-, elà-, enà, emà-, ei̯à-, eu̯à-, exà-, exài̯-, exàu̯- e come tipi normali di basi leggiere: exeu̯-, exei̯-, exer-, exel-, exem-, exen-, erex-, elex-, enex-, emex-, ei̯ex-, eu̯ex-, exex-, exe-. Le loro variazioni si registrano con formule, p. es. N + S; S + N; N + N; R + N; ecc. Naturalmente non tutte le basi storiche si lasciano inserire in questi schemi, e nello stesso gruppo di parole affini esistono talora basi che non si possono ridurre alla forma fondamentale. Allora può trattarsi o di incroci di forme apofonetiche in base ad una nota comune, o di attrazione di una forma in altre categorie morfologiche o gruppi semantici, o di ampliamenti e variazioni successive della stessa. Senza esemplificare questa casistica, che non annulla, ma conferma la realtà dei casi normali, si accenna al caso che, dove per il processo significato col simbolo E (estinzione, dileguo totale) cade la terminazione ə di basi bisillabiche, è aperto il varco all'immìstione di basi säö con basi aniö.
Alla luce di questi nuovi punti di vista la teoria e la pratica del vocalismo nell'ultimo trentennio si è venuta completamente trasformando. Poiché tanto nell'apofonia quantitativa quanto in quella qualitativa o di timbro si tratta di fatti interamente compiuti già nell'indoeuropeo unitario, il sistema vocalico che si è riusciti a formare col metodo delle formule di corrispondenza immediate in tanto ha ragione di essere in quanto quelle che chiamiamo vocali, mentre alla luce dell'apofonia ci si rivelano delle variabili, rappresentano quantità esistenti già nel periodo anteriore alla formazione delle lingue storiche. Tuttavia il quadro così ottenuto è sempre intuitivo ed empirico. Con questo metodo non solo si separa ciò che nelle origini fu unito e si dà esistenza indipendente a ciò che è etimologicamente continuo, ma non si fa distinzione tra la vocale primordiale o generatrice e una variazione apofonetica di essa. Partendo non da sostanze, ma da parvenze esteriori, si uniscono nella trattazione dello stesso suono vocali geneticamente diverse sol perché coincidono in qualcuno dei loro aspetti apofonetici e si attribuisce valore di originario e fondamentale a quanto ha ragione di essere solo nel rapporto con altro aspetto apofonetico della stessa vocale. Si moltiplica così la serie degli o e degli a indoeuropei, senza indicar meglio l'origine e la natura di ciascuno.
Concludendo, allo stato attuale della scienza il vocalismo indoeuropeo non può venir trattato in sede separata dal movimento vocalico e cioè dall'apofonia.
Bibl.: I primi concetti del dinamismo vocalico dell'indoeuropeo balenarono nelle constatazioni di K. Brugmann, nasalis sonans in der indogermanischen Grundsprache, in Curtius, Studien z. gr. u. lat. Gramm., IX; di J. Schmidt, Kritik der Sonantentheorie, Weimar 1895 e di altri; la questione organica venne affrontata con senso profondo e geniale dei fatti, ma anche con ingegno superiore alle possibilità materiali di essi, da F. De Saussure, Mémoire sur le système primitif des voyelles dans les langues indoeuropéennes, Lipsia 1879. Con concetti in parte uguali operarono: H. Hübschmann, Das indogerm. Vokalsystem, Strasburgo 1885; Fr. Bechtel, Die hauptprobleme d. indogerm. Lautlehre, Gottinga 1892; ma un sistema compiuto e razionale di tutti i risultati raggiunti è in H. Hirt, Der indogerm. Ablaut in s. Verhältniss zur Betonung, Strasburgo 1900, opera assorbita nella sua Indogermanische Grammatik, II, Heidelberg 1921, dove il sistema vocalico indoeuropeo vien costruito in sede di apofonia. Numerosi sono gli articoli critici circa la distinzione e i rapporti tra i probabili o possibili prodotti degli accenti di parola, di gruppo, di frase. Se per es. è provato che -δωτωρ, -βωτωρ ecc. rispetto a δοτήρ, βοτήρ, ecc., sono forme di composizione, è chiaro che la produzione o conservazione della lunga radicale è effetto di un contraccento di relativa intensità in quella condizione e in quella sede, senso o norma andata perduta nei composti di epoca seriore.
Lo stesso dicasi della apotonia (Abtönung) e/o, prodottasi certamente sotto un accento di gruppo, tant'è vero che alcune forme, e in tutte le lingue storiche, non esistono allo stato di semplice, sul che v. Fr. Ribezzo, Il causativo sōpio-svàpayàmi nell'indogerm., in Atti Acc. Nap., n. s., II (1910-2) e Häckert, De nom. ope suff. -o form., Münster 1913. Contro G. H. Mahlow, Die langen Vokale a, e, o, in den europ. Sprachen, Berlino 1879, che o nella serie å siasi prodotto in sillaba immediatamente postonica, è cosa che non tutti i tipi accentuativi originarî di composti giustificano: p. es. tra υεόπομπος e ψυχοπομπός (accentazione questa determinata da quella dei nomina agentis accentati sull'ultima), ϑεόπομπος è più vicino, ma non identico sempre alla condizione originaria, p. es. indoeur. équ̯o-gu̯oros, gr. δημοβόρος, a. ind. aôvagaras); v. anche P. Kretschmer in Zeitschrift für vergl. Sprachforsch., XXXI, 367 segg. Che sia prodotto di età successiva all'Ablaut quantitativo ed in forme divenute enclitiche posteriormente ad esso, è ipotesi del Hirt contro la quale si può obiettare che l'enclisia si produsse appunto sotto l'accento intensivo di gruppo che generò la variazione quantitativa, mentre, sciolti i gruppi, quelle forme, a starne alle lingue storiche, ridivennero subito ortotone, benché sotto altre condizioni di vocalismo, onde quella qualitativa si dimostra variazione coeva della quantitativa. Che sia prodotto di spostamento dell'accento d'intonazione musicale indoeuropeo su una sillaba precedente o susseguente alla vocale soggetta a variazione, come ora vogliono H. Güntert, Indogerm. Ablaut-probleme, Strasburgo 1916 e Hirt, Indogermanische Gramm., II, p. 172 segg., è cosa indimostrabile, nonostante le parvenze accentuative del greco che come prodotto del trisillabismo non sono le originarie.
Sulla Distensione vocalica, capitale è il lavoro dello Streitberg, Die Entstehung der Dehnstufe, in Indogerm. Forschungen, III, seguito, dopo critica varia, da M. Van Blankenstein, Untersuchungen zu d. langen Vokalen in der e-Reihe, Gottinga 1911.
Incontrollabile è quanto sostiene H. Möller, Die semitisch-voridg. laryngalen Konsonanten, Copenaghen 1917 (Mém. Acad. R. d. Sc.-Lettr., s. 7ª, IV, Lettr., n. 1) sull'origine dell'apofonia qualitativa e quantitativa come prodotto in concorrenza di supposte vocali primarie con consonanti laringali preariosemitiche, trattandosi di fatto glottogonico anteriore ad ogni esperienza storica e all'esistenza dello stesso indoeuropeo come tale.