APOBATE (dal gr. ἀποβάτης)
La gara degli apobati faceva parte delle grandiose feste panatenee in onore della dea Atena Poliade in Atene. L'apobate era un agonista che doveva cimentarsi in un esercizio di agilità e di velocità, cioè discendere dal carro in corsa (ἀποβαίνειν) e risalirvi (ἀναβαίνειν, onde ἀναβάτης, anabate), pur essendo provvisto di armatura.
Questo esercizio degli apobati, assai arduo, ma che certo doveva costituire uno spettacolo piacevole alla vista, risaliva, secondo la tradizione ateniese, ad Erittonio (Eratost., Cataster, 13) e prendeva il primo posto nelle gare ippiche.
Con tutta probabilità nella corsa degli apobati vi è un ricordo della tradizione del modo con il quale usavano combattere gli eroi omerici: l'Iliade infatti ci descrive come essi andassero alla battaglia su carri e, giunti a contatto del nemico, scendessero dai carri in corsa per cimentarsi in singoli duelli con gli eroi avversarî risalendo poi velocemente sul carro o per inseguire il nemico o per darsi alla fuga.
Il monumento più antico rappresentante un apobate è la pittura di un'anfora attica a figure nere, firmata da Esechia, ora nel Museo del Louvre; ivi l'apobate su carro è in piena armatura. Il vaso risale agli anni posteriori al 550 a. C.
La rappresentazione più celebre di apobati è nel fregio della cella del Partenone (lati N. e S.); ivi essi hanno solo l'elmo e lo scudo, sicché il loro esercizio è reso più agevole.
E forse apobati si devono riconoscere in monumenti più arcaici, anche non attici, con lo schema del guerriero che poggia un piede, come in atto di salire, su di una quadriga già in movimento.
Bibl.: C. Robert, Votivgemälde eines Apobaten, (Hallisches Winckelmannsprogramm), 1896; p. 19 seg.; E. Reisch, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl. der class. Altertumswiss., Stoccarda 1894, I, s. v.; R. N. Gardiner, Greek athletic Sports and Festivals, Londra 1910; P. Ducati, Apobates, in Rendic. della R. Accad. delle Sc. dell'Istituto di Bologna, Classe di Sc. Morali, 1920-21, pp. 71-79.