Apnea
Il termine, derivante dal greco ἄπνοια, "mancanza di respiro", indica una transitoria sospensione della respirazione polmonare, dunque l'assenza del processo di ventilazione che ricambia l'aria negli alveoli polmonari. Il fenomeno, la cui durata è relativa al contenuto di ossigeno e anidride carbonica nel sangue, può essere volontario, riflesso o derivare da cause patologiche.
All'interno del polmone, anche al termine dell'espirazione, è sempre presente un volume di aria che viene a contatto con il sangue che fluisce ininterrottamente nei capillari polmonari e che deve continuamente assumere ossigeno (O₂) e cedere anidride carbonica (CO₂). La ventilazione del volume di aria intrapolmonare ha lo scopo di mantenere la concentrazione di O₂ idonea alle esigenze dell'organismo e di asportare la CO₂ prodotta nei processi metabolici. Pertanto, in caso di maggior consumo di O₂ e di conseguente aumento della produzione di CO₂, come nell'esercizio muscolare, la ventilazione dovrà aumentare. In caso di apnea, viceversa, e in proporzione diretta alla sua durata, nell'aria alveolare e nel sangue arterioso vi sarà riduzione di O₂ (ipossia) e aumento di CO₂ (ipercapnia). La ventilazione è regolata da centri nervosi situati nel tronco encefalico (bulbo e ponte).
A questi centri giungono, tramite vie nervose afferenti, informazioni provenienti dai chemiorecettori periferici, piccole formazioni neurovascolari sensibili alle variazioni delle concentrazioni di O₂ e CO₂ nel plasma, situati nel punto di biforcazione dell'arteria carotide e nell'aorta. Altre informazioni provengono dai meccanorecettori periferici, sensibili alla deformazione dei tessuti, e da strutture chemiorecettoriali intracraniche sensibili anche al pH del sangue e dei liquidi cerebrali extracellulari. Tramite vie nervose efferenti, collegate con le cellule nervose del midollo spinale, da cui traggono origine i nervi motori del diaframma, dei muscoli intercostali e di altri muscoli toracici e addominali che intervengono nella funzione respiratoria, i centri troncoencefalici inviano impulsi contrattili ai muscoli respiratori. Il centro respiratorio e i motoneuroni midollari sono anche sotto il controllo della corteccia cerebrale e di altre strutture encefaliche.
La muscolatura dell'apparato respiratorio può essere attivata automaticamente e volontariamente e anche utilizzata per scopi diversi dallo scambio gassoso, come la fonazione, il canto, il suono di strumenti a fiato, o anche per la postura, la locomozione, per funzioni digestive (per es., deglutizione, vomito). L'insieme delle stimolazioni non automatiche costituiscono il drive (controllo, guida) ventilatorio comportamentale dello stato di veglia e vigilanza. Data la complessità dei molteplici fenomeni di regolazione del processo respiratorio, è dunque evidente che l'apnea, oltre a essere la conseguenza fisiologica di un atto volontario, può derivare anche da un riflesso o, per alterazione di uno o più meccanismi che partecipano alla ventilazione, da un processo patologico.
Nell'uomo sano, l'apnea volontaria viene interrotta, nell'ambito di pochi minuti, da impulsi incontrollabili che dipendono dai livelli di O₂ e CO₂ nel sangue arterioso. L'ipossia e l'ipercapnia nel sangue arterioso, derivanti dall'assenza di ventilazione (mentre continuano i fisiologici processi metabolici), stimolano infatti, tramite i chemiorecettori, i centri respiratori e il soggetto riprende a respirare. Un'iperventilazione preparatoria prolunga l'apnea volontaria, in quanto riduce nel sangue la concentrazione di CO₂, la cui eliminazione è direttamente proporzionale al grado di ventilazione; essa, tuttavia, non migliora sensibilmente le riserve di O₂, che sono rappresentate solo dall'O₂ presente nel sangue venoso. In tali condizioni, il prolungamento del tempo di apnea favorisce invece, per l'insorgenza tardiva della stimolazione derivante da un eccesso di CO₂, il realizzarsi di una grave riduzione della quantità di O₂ nel sangue, che aumenta il rischio di sincope per anossia in coloro che praticano l'iperventilazione volontaria preparatoria all'immersione in apnea (Héritier 1997). L'iperventilazione non si identifica con la tachipnea o polipnea, che è invece una rapida successione di respiri brevi e superficiali, nel corso dei quali non si ricambia l'aria negli spazi alveolari, ma prevalentemente nelle vie aeree che la conducono (spazio morto), anatomicamente non strutturate per consentire gli scambi gassosi con il sangue. Con la polipnea può invece realizzarsi un'ipoventilazione con ipercapnia e ipossia. L'apnea riflessa fa parte dei meccanismi di difesa dell'organismo. La deglutizione, accompagnata di norma da apnea, dà inizio a un riflesso che determina la depressione del centro respiratorio e ripetuti atti di deglutizione prolungano l'apnea. Tale riflesso impedisce che il materiale dedicato allo stomaco venga aspirato nelle vie aeree.
L'apnea in fase espiratoria, che segue la penetrazione nel naso o nella laringe di gas irritanti o acqua, previene o limita la loro progressione nelle vie aeree distali. L'attivazione del riflesso dell'apnea nella laringe sensibilizzata da infiammazione o infezione è stata proposta quale uno dei meccanismi capaci di indurre morte improvvisa nel neonato (Gaultier 1995). Il riflesso apnoico nell'irritazione delle mucose delle prime vie respiratorie è parte di un insieme di risposte che coinvolgono le vie aeree inferiori e l'apparato cardiovascolare e non differisce da quello indotto da immersione del volto in acqua o da applicazione di acqua su di esso. Il riflesso apnoico del tuffatore, che deriverebbe da stimolazione delle terminazioni del nervo trigemino nella cute del viso e nel naso, è accompagnato da completa occlusione della laringe, rallentamento della frequenza cardiaca (bradicardia), costrizione dei vasi arteriosi della cute, dei muscoli, del letto vascolare renale e intestinale, ma non della circolazione cerebrale o coronarica. L'effetto è una centralizzazione della circolazione a vantaggio del cervello e del cuore, che vengono così protetti dall'asfissia conseguente all'apnea. Poiché le variazioni emodinamiche e metaboliche sono influenzate dalla pressione ambientale, l'apnea a elevati volumi polmonari, determinando l'incremento della pressione intratoracica, riduce il volume di sangue presente nei polmoni, ostacola il ritorno del sangue venoso al cuore e riduce la portata circolatoria.
Come è stato osservato sperimentalmente (Linér-Linnasrsson 1994), queste variazioni sono di maggiore entità quando il corpo è circondato dalla pressione di una atmosfera rispetto a quelle che si verificano a tre atmosfere. Infatti, l'aumento della pressione esterna bilancia l'incremento della pressione intratoracica e spinge il sangue verso il cuore, ripristinando in parte sia il volume di sangue polmonare sia la portata circolatoria. A 20 m di profondità vi è anche una diversa distribuzione delle scorte di O₂ e di CO₂ e, per la compressione del volume di aria polmonare, un aumento del gradiente alveolocapillare per l'O₂, che passa quindi più facilmente dall'alveolo al sangue, e un'inversione del gradiente della CO₂, che ritorna dall'alveolo al sangue, contrariamente a quanto avviene in superficie.
Nelle turbe del ritmo respiratorio da condizioni patologiche del sistema nervoso centrale si osservano apnee di varia durata. Una sequenza disordinata di respiri profondi e superficiali, alternata a pause apnoiche irregolari, è la 'respirazione atassica', una variante della quale, caratterizzata da prolungate fasi di apnea, è la 'respirazione di Biot' (descritta nel 1876). Quest'ultima può essere la conseguenza dell'interruzione di vie nervose bulbari da trauma, emorragia o da compressione estrinseca (per es. da tumori). Il 'respiro apneustico', estremamente raro nell'uomo, studiato negli animali da esperimento dopo inattivazione dei nervi vaghi e del centro pneumotassico del ponte cerebrale, è caratterizzato invece da una pausa al termine dell'inspirazione. È indice di una lesione della parte inferiore del ponte e a volte è associato a respirazione atassica. In tutti questi tipi di respirazione può riscontrarsi ipercapnia.
La più frequente alterazione del ritmo respiratorio è rappresentata dal 'respiro periodico di Cheyne-Stokes', consistente in una serie di respiri, dapprima superficiali, che aumentano gradualmente di ampiezza fino a un'acme, per poi ridursi progressivamente raggiungendo una fase apnoica della durata di 15-20 secondi. Si può osservare nei soggetti normali residenti a elevate altitudini, i quali, essendo esposti a ridotta tensione di O₂ atmosferico, aumentano la ventilazione a causa della stimolazione ipossica. L'incremento della ventilazione riduce la CO₂ ematica che è ventilazione-dipendente, quindi, contemporaneamente, riduce anche la stimolazione che la CO₂ ematica stessa esercita sul respiro per via chemiorecettoriale. Ad altitudine normale tale condizione si osserva per cause neurologiche, come per es. lesioni profonde bilaterali degli emisferi cerebrali e dei gangli della base, ma più frequentemente, specie nel sonno, nelle gravi insufficienze cardiovascolari, dove il respiro di Cheyne-Stokes può essere attribuito a un rallentamento della circolazione. I valori arteriosi dell'O₂ e della CO₂ mostrano fluttuazioni cicliche, analogamente alla ventilazione, con tendenza all'ipocapnia (riduzione della CO₂) per prevalenza delle fasi di iperventilazione. Ipossia e ipercapnia si riscontrano nelle sindromi di 'ipoventilazione alveolare primaria', conseguente a lesioni bulbopontine acquisite dopo accidenti vascolari, meningiti, encefaliti, poliomeliti bulbari, in pazienti con apparato respiratorio normale. Nei casi estremi il respiro si effettua solo con un atto volontario e cessa completamente per disattenzione o nel sonno.
Questa totale mancanza di controllo automatico del respiro fu chiamata la 'maledizione di Ondine' da J.W. Severinghaus e R.A. Mitchell (1962), che l'avevano riscontrata in tre pazienti che erano stati sottoposti a interventi chirurgici nella parte alta del midollo spinale e del tronco cerebrale. La denominazione deriva da una leggenda tedesca su cui si incentra il dramma Ondine (1939) di J. Giraudoux, dove il consorte della ninfa acquatica viene punito per la sua infedeltà con la perdita di tutti gli automatismi, compreso quello respiratorio, rendendo ogni sua funzione vitale subordinata solo ad atti volontari. La sindrome di 'ipoventilazione centrale congenita' è rara. Si manifesta alla nascita ed è caratterizzata da insufficienza respiratoria cronica in assenza di malattie polmonari, cardiache, neuromuscolari o della gabbia toracica. Nei casi conclamati si instaura nel sonno una prolungata apnea con gravi ipossia e ipercapnia.
L'assistenza ventilatoria meccanica notturna attraverso tracheotomia consente la sopravvivenza dei pazienti che allo stato di veglia respirano spontaneamente e normalmente, pur presentando una ridotta o nulla sensibilità chemiorecettoriale per O₂ e CO₂ (Shea et al. 1993). Si ritiene pertanto che in questi casi il normale respiro diurno sia sotto il controllo di centri soprapontini della corteccia cerebrale.Una complessa sintomatologia che comprende obesità, ipoventilazione alveolare, sonnolenza diurna, poliglobulia (aumento dei globuli rossi) e cuore polmonare cronico è stata definita da C.S. Burwell et al. (1956) 'sindrome pickwickiana' con evidente riferimento a Joe, 'il ragazzo grasso', personaggio di cui C. Dickens nel suo romanzo The posthumous papers of the Pickwick Club (1837) ha descritto l'eccezionale obesità, il colorito acceso (forse cianotico), la voracità, la continua sonnolenza, la capacità di dormire anche in posizione eretta, il respiro rumoroso e russante. Il paziente cinquantenne venuto all'osservazione di Burwell presentava tutti i sintomi della sindrome obesità-ipoventilazione, incluse ipossia e ipercapnia, e accusava dispnea senza malattia polmonare dimostrabile, se si eccettuava la difficoltà a espandere il torace, per l'accumulo di grasso sulle pareti, e di abbassare il diaframma nell'addome voluminoso. Mostrava, quindi, i segni dell'insufficienza ventilatoria di tipo restrittivo che si manifesta nelle grandi obesità (Verde et al. 1985) e aveva deciso di ricoverarsi in ospedale dopo che l'invincibile sonnolenza l'aveva fatto piombare nel sonno mentre, durante una partita di poker, si era trovato in mano un full di assi di cui non aveva potuto profittare.
Altri esempi letterari e storici di personaggi obesi e sonnolenti hanno preceduto la descrizione di Joe resa da Dickens. Il più antico è Dionisio, tiranno di Eraclea nel Ponto, vissuto ai tempi di Alessandro Magno, che, secondo fonti storiche latine, enormemente grasso, dispnoico e sonnolento, per mantenersi desto, su consiglio del medico, si faceva infiggere nei fianchi aghi lunghi e sottili. Nel caso del paziente di Burwell, la riduzione del peso corporeo (oltre 17 kg in 3 settimane) fu decisiva per tornare alla normalità. Lo studio di questo caso clinico suggerì agli autori di attribuire l'ipoventilazione alveolare all'elevato grado di obesità, che impediva meccanicamente una ventilazione adeguata. Durante il sonno il paziente russava e mostrava un periodismo respiratorio che differiva dal respiro di Cheyne-Stokes, in quanto le fasi di iperventilazione erano sostituite da una tachipnea che non poteva migliorare le alterazioni dei gas respiratori.
H. Gastaut, C.A. Tassinari e B. Duron (1965), studiando la funzione respiratoria durante il sonno in pazienti affetti da sindrome di Pickwick, registrarono nell'arco di una notte numerose pause ventilatorie. Studi successivi hanno dimostrato che apnee notturne non sono osservabili solo in tale sindrome, ma possono verificarsi anche in soggetti non obesi e con conseguenze che perdurano nel successivo stato di veglia.L'apnea nel sonno è più frequente di quanto si ritenesse in passato e valutata, in base a varie statistiche, intorno al 4% della popolazione negli uomini, al 2% nelle donne. Spesso essa non viene tuttavia diagnosticata, in quanto parte dei sintomi presenti nelle ore diurne sono attribuiti, almeno negli anziani, a processi di senescenza. Se ne distinguono tre tipi: l'apnea centrale, l'apnea ostruttiva e forme miste tra le due.
L'apnea centrale, caratterizzata da assenza di flusso di aria nelle vie aeree e arresto contemporaneo dell'attività dei muscoli respiratori, è la forma di gran lunga meno frequente. Fa parte di un insieme eterogeneo di turbe fisiopatologiche e cliniche che può essere diviso in due gruppi. Nel primo domina l'ipercapnia derivante da ipoventilazione alveolare di origine centrale, neuromuscolare, da insufficienza respiratoria, e l'apnea nel sonno, spesso misconosciuta, rappresenta un evento secondario. Nel secondo gruppo si ha invece una situazione di ipocapnia (diminuzione del tasso di CO₂ nel sangue) anche allo stato di veglia, per una possibile maggiore responsività dei chemiorecettori, forse di natura congenita (Xie et al. 1995). Quando la CO₂ ematica è già ridotta per un costante stato di iperventilazione, è sufficiente un modesto incremento della respirazione, anche un sospiro, per portare la sua concentrazione a valori inferiori alla 'soglia di apnea', cioè a valori talmente bassi da non fornire la normale stimolazione del respiro per via chemiorecettoriale. Durante il sonno manca la stimolazione comportamentale dello stato di veglia: mancano cioè tutti quegli impulsi che derivano dall'ambiente e dai centri corticali e subcorticali che possono sovrapporsi o sostituirsi al sistema di controllo bulbopontino nello stimolare i motoneuroni spinali da cui originano le fibre nervose destinate ai muscoli respiratori.
Qualunque sia la discussa origine delle apnee centrali, comunque, l'assenza di contrazione muscolare durante l'apnea notturna è stata documentata dal monitoraggio elettromiografico del diaframma e dei muscoli intercostali (Guilleminault et al. 1997). Nelle forme centrali, dopo l'apnea, è riscontrabile solo una modesta ipossia. Nelle molto più frequenti forme 'ostruttive' i movimenti toracoaddominali persistono durante l'apnea notturna. Nei primi stadi del sonno tranquillo, la fisiologica riduzione del tono muscolare interessa anche i muscoli dilatatori della faringe; da ciò può derivare un ravvicinamento delle pareti faringee laterali, uno spostamento posteriore della lingua verso il basso del palato molle e, a volte, l'invaginazione dei tessuti molli faringei nel vestibolo laringeo. Contraendosi, il diaframma genera all'interno del torace una pressione subatmosferica che esercita una suzione sulle vie aeree superiori collassate, completandone l'occlusione. Nelle forme ostruttive, l'apnea viene favorita da tutte le condizioni che riducono il calibro delle vie aeree, come micrognatia e retrognatia (mandibola piccola o spostata dietro il piano frontale), macroglossia, aumento del volume tonsillare, depositi di grasso nelle pareti dell'ipofaringe nell'obesità. Il risveglio, che viene stimolato dall'ipercapnia e dall'ipossia, produce un drammatico aumento di forze che dilatano le vie aeree superiori.
Le forme miste sono quelle in cui l'apnea ha una componente iniziale di tipo centrale e una finale di tipo ostruttivo. Sporadiche apnee durante il sonno sono piuttosto comuni nei soggetti anziani normali, in particolar modo se russano. In tale sindrome, il limite convenzionale tra fisiologia e patologia è determinato dal numero di apnee per ora di sonno (indice di apnea, con valori uguali o superiori a 5) e dalla loro durata (oltre 10 s). Probabilmente, il significato patologico della manifestazione scaturisce più correttamente dalle conseguenze che ne derivano. Le principali sono rappresentate da sonnolenza diurna, sostituita, in alcuni casi di apnea centrale, da insonnia, deterioramento intellettuale, variazione della personalità, disfunzioni sessuali, allucinazioni ipnagogiche (che si manifestano cioè durante la fase di sonnolenza che precede il sonno vero e proprio), comportamenti automatici, cefalee diurne. Le complicazioni a carico dell'apparato cardiovascolare comprendono turbe del ritmo cardiaco, che possono assumere carattere di particolare gravità, e ipertensione arteriosa sistemica e polmonare, dovute in gran parte alla sofferenza tissutale indotta dall'ipossia e dall'ipercapnia che si realizzano durante le pause apnoiche. Nei casi più gravi possono verificarsi insufficienza cardiocircolatoria e addirittura morte improvvisa per aritmie cardiache.
Anche se l'apnea nel sonno è stata riscontrata in bambini nel primo anno di vita, specie se prematuri, e con pause del respiro particolarmente prolungate (Gaultier 1995), la sindrome si manifesta soprattutto nelle persone di età media che russano, prevalentemente negli uomini. La sonnolenza diurna, l'agitazione notturna, osservata quasi sempre dai conviventi, portano il paziente dal medico. La diagnosi di certezza può essere effettuata in reparti specializzati, dove possono essere monitorizzati nel sonno numerosi parametri respiratori, emogasanalitici, cardiovascolari ed elettroencefalografici. La terapia, che va dall'assistenza ventilatoria meccanica notturna con pressione positiva continua per via nasale a quella medica e chirurgica, può in molti casi far regredire le complicazioni e ripristinare il normale ritmo respiratorio nel sonno.
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