WEERASETHAKUL, Apichatpong
Regista cinematografico thailandese, nato a Bangkok il 16 luglio 1970. Sin dai suoi esordi nel cortometraggio e nella videoarte, risalenti agli inizi degli anni Novanta dello scorso secolo, è subito emersa la sua propensione a superare i limiti canonici della rappresentazione cinematografica in un continuo tentativo di ridefinire le coordinate di spazio e di tempo dell’immagine, in alternativa a modalità di narrazione puramente mimetiche. Il suo cinema sovrappone memorie del passato ormai cristallizzate, l’attualità più documentale e un’ipotesi di futuro che assume la forma di vera e propria veggenza o di fantascienza, come nel cortometraggio Phantoms of Nabua (2009), in cui il suolo di un villaggio emette scariche elettriche della stessa natura misteriosa del vapore che esce da una strana macchina di un sottoscala in Sang sattawat (2006, noto con il titolo Syndromes and a century). In una sovrapposizione di piani e di tempi, di anime morte e corpi presenti (tra passato e futuro), nel finale di Loong Boonmee raleuk chat (2010; Lo Zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti) sembra prospettare un cinema inteso come protratta simultaneità, atemporalità di una serie di sequenze e di storie che si sviluppano tra realtà e fantasia.
Nel suo primo lungometraggio girato nel 2000, Dokfa nai meuman (noto con il titolo Mysterious object at noon) prevale un cinema di documentazione, perciò molto aderente all’attualità di una Thailandia investigata e mostrata soprattutto nella sua quotidianità, e al tempo stesso trasfigurata in maniera fantastica nei racconti degli intervistati. E una prospettiva ancora realistica investe Sud sanaeha (2002, noto con il titolo Blissfully yours), che però mette in evidenza quella dualità che poi sarà del W. maggiore: contesto urbano, domestico, da una parte e giungla dall’altra; concretezza della realtà e sostrato spirituale; vissuto individuale e vicenda collettiva; storia e mito. Mentre nel successivo Hua jai tor ra nong (2003, noto con il titolo The adventures of Iron Pussy), diretto insieme a Michael Shaowanasai, il registro stilistico di W. si carica di elementi espressivi compositi, che guardano al musical, alla commedia e al film d’azione, ma anche (con ironia e passione) a certo cinema di genere thailandese degli anni Settanta.
Dopo questa parentesi, il suo stile si è connotato fortemente in direzione dell’intreccio tra realismo – perseguito con grande rigore e con gli strumenti tipici di un approccio documentario come il piano-sequenza e la macchina fissa – e fantastico, reso dall’ellissi della narrazione e dalla dilatazione di scene e suoni per evidenziare l’aspetto mistico e spirituale. È con Sud Pralad (2004, noto con il titolo Tropical malady) che questo doppio piano si perfeziona in un’opera in due segmenti (forma bipartita che sarà poi tipica anche degli altri film) in cui l’attenzione di W. per i costumi e i riti propri di una terra antica si manifesta prima in uno scorcio della vita quotidiana thailandese (soffermandosi su una storia d’amore omosessuale), poi nell’emergere del mito, dell’elemento spirituale che abita la foresta. Luoghi di una riviviscenza di eventi essenziali (l’amore appunto), che si verificano all’inizio dei tempi e si ripetono ogni volta diversamente negli spazi, dando corpo alla struttura sfuggente di questo cinema sempre in fieri. Ciò caratterizza anche il già citato Sang sattawat, che conserva la forma dicotomica e la cui temporalità in espansione e priva di confini viene raffigurata come un vapore che esce da un macchinario ospedaliero.
Loong Boonmee raleuk chat chiarisce l’idea del reincarnarsi dei personaggi (portatori di elevata emotività) in un tempo inteso come infinito ritorno, nebulosa vorticante (il vapore del finale di Sang sattawat) piuttosto che come diacronia (in cui il corpo è semplice veicolo del ripresentarsi dei sentimenti da un altro tempo), incanalando in questo contesto, a metà tra la filosofia, la teoria cinematografica e l’esoterismo, le narrazioni fantastiche e i suoi fantasmi, tipici del folklore e del mito thailandese.
Ancora tra vari piani di rappresentazione, tra storia e mito, realtà e finzione, e collocando il vissuto umano (il suo straripare emotivo) nella struttura di questa atemporalità, si sviluppa Mekong Hotel (2012), mediometraggio che sfrutta, come Sang sattawat, gli interni di un edificio (in questo caso un albergo) come luogo di sviluppo di un tempo non lineare, dilatato e fluente, in cui si trovano ad agire una madre vampiro con la figlia, due amanti e lo stesso regista alle prese con il set.
Bibliografia: U. Kremeier, Apichatpong Weerasethakul videaste, Montreuil 2002; Apichatpong Weerasethakul, ed. J. Quandt, Wien 2009; M. Butler, E. O’Raw, Apichatpong Weerasethakul. For tomorrow for tonight, Dublin-New York 2011; Apichatpong Weerasethakul, ed. G. Carrion-Murayari, M. Gioni, New York 2011; M. Causo, Apichatpong Weerasethakul. Misteriosi oggetti della memoria, in Il film in cui nuoto è una febbre. Registi fuori dagli schermi, a cura di L. Abiusi, Bari 2012.