anziano di Santa Zita
. Il vocabolo ‛ anziano ' gode già, in D. e al tempo di D., oltre che della comune accezione, anche di quella particolare, giuridico-politica, di componente della più alta magistratura di alcune città, specialmente toscane. Così l'Ottimo: " Anzianato è un offizio, per le cittadi massimamente di Toscana, de' cittadini medesimi, lo quale ha speziale cura del governo delle cittadi, e che elle sieno bene rette per li Rettori forestieri, e ch'elle non siano oppressate da più potenti ": cioè anziani erano " magistrati cittadini popolari che reggevano lo Stato insieme col Podestà o col Capitano del Popolo, ordinariamente forestieri, costituendo il potere esecutivo " (Casini-Barbi), come i priori a Firenze.
D., in If XXI 38, si serve del termine per costruire una perifrasi (ecco un de li anzian di Santa Zita!), con la quale designa un reggitore del comune di Lucca condannato fra i barattieri (difatti a Lucca l'esecutivo del comune era affidato a dieci cittadini chiamati ‛ anziani '). Il dannato viene colto dal poeta mentre arriva alla bolgia, addosso a un diavol nero che lo tiene per le caviglie e che, dopo averne fatto rapida presentazione e avere manifestato il proposito di tornare a Lucca a prendere altri barattieri, lo getta nella pegola bollente. Qui l'a. sprofonda e, ignaro e sprovveduto com'è e sicuramente atterrito di quel primo contatto e già desideroso di uscirne, riemerge tutto convolto, tanto da venire ironicamente apostrofato dagli altri diavoli, che gli gridano non esservi, lì, nell'Inferno, alcun Santo Volto da adorare e non potersi nuotare nella pegola come nel Serchio, e perciò lo ammoniscono a star sotto, e intanto lo graffiano coi loro uncini (If XXI 34-54).
Chi è l'a. lucchese relegato fra i barattieri? D. con la sua perifrasi intese indicare un personaggio ben determinato o volle alludere all'intero ceto dei reggitori lucchesi noti per la loro baratteria? Per primo Guido da Pisa avanzò l'ipotesi che si trattasse di tal Martino Bottario (" animam Martini Bottarii "), ipotesi accolta e motivata dal Buti con la coincidenza della sua data di morte con quella del suo immaginario giungere in oltretomba: " Costui, che non è nominato, altri voglion dire che fosse Martin bottaio, il quale morì nel 1300, l'anno che l'A[utore] finge che avesse questa fantasia ... e fu costui un gran cittadino a Lucca al tempo suo, e concorse con Bonturo Dati e con altri uomini di bassa mano, che reggevano allora Lucca. Onde, andato una volta ambasciatore al Papa per lo suo comune... disse: ‛ Grollami, grollami, santo Padre, che mezzo Lucca grollerai '; quasi volesse dire ch'elli era uno de' due che reggeva Lucca ".
Il riferimento a tale personaggio è stato, sull'autorità del Buti, pigramente ripetuto da altri commentatori (Landino, Venturi, Andreoli, ecc.), ma solo di recente ha avuto il conforto di qualche probante documentazione (sopra tutto Luiso, ma anche Barbi, Guerri e Chiari): il ritrovamento di carte notarili, dalle quali risulta un Martino di professione bottaio vivente in Lucca alla fine del '200, e precisamente un estratto dai verbali di adunanza del Consiglio del capitano e del Consiglio del podestà di Lucca del 30 sett.-1 ott. 1295, e un atto di cessione di credito a Francesco Azienti contro Martin Bottaio del 1293 (Luiso); dopo di che sono cadute le perplessità giustamente sorte dalla scoperta fatta dal Minutoli nel 1865 di un altro Martin Bottaio, di professione notaio, presente in Lucca nel 1325 (lo stesso Minutoli avanzò infatti l'ipotesi che potesse esserci stato un precedente Martino morto nel 1300). Inoltre, l'accertamento della data della morte del Martino barattiere avvenuta il 9 aprile 1300 e precisamente nella notte fra il venerdì e il sabato santo - onde " l'indicazione dell'ora e del giorno in cui si trovano in quella bolgia Dante e Virgilio, data da Malacoda - chiaramente determina di quale Anziano di preciso si parli, come dovettero capire i contemporanei di D., e come difatti capì Guido da Pisa " (Chiari); cui il Barbi, trattandosi di avvenimenti lucchesi, ha concesso maggior credito che ad altri commentatori. Perché allora il ricorso del poeta all'indeterminatezza della perifrasi? In " segno di maggior disprezzo " verso il dannato (Gobbi). Ma non tutti ne sono stati e ne sono convinti pur dopo il saggio del Luiso, e perciò insistono nell'idea di una voluta e reale indeterminatezza, la sola che potesse consentire l'allusione all'intera magistratura lucchese (Turri, Pietrobono, Grabher, Olschki). Tutt'al più si riconosce la validità dell'identificazione, e si sostiene che " il sarcasmo di Dante investe, non tanto l'anonimo personaggio in sé, quanto tutta intera la borghesia di Lucca e i magistrati che reggono quel comune. Giudizio ribadito, indirettamente, in Purg., XXIV, 45: Lucca era, con Firenze, una delle roccaforti dei Neri di Toscana, e nel 1309 cacciò gli esuli fiorentini dal suo territorio " (Sapegno). Il riferimento a tutta la comunità lucchese sarebbe, per i sostenitori della prima tesi, pienamente assicurato dall'indagine del diavolo " che torna ‛ a quella terra ' ben fornita di barattieri " (Chiari) e parzialmente dalla citazione di Santa Zita fatta per " dileggiare con la città la sua santa più recente " (Guerri), e più precisamente per colpire il fanatismo popolare che la venerava senza la prescritta autorizzazione ecclesiastica e avea provocato qualche fatto increscioso, come l'ordine del podestà di buttare nel Serchio tal Ciapparone dei Ciapparoni reo d'aver deriso quel culto. Sicché " non è temerità ritenere che... Dante sentisse e giudicasse, d'accordo più con Ciapparone - i Ciapparoni furono della stessa parte politica ed ebbero la stessa sorte del Poeta - che col Podestà... di S. Zita, suo martoriatore. E non è senza curiosità la coincidenza tra il tuffo, nel Serchio, di Ciapparone derisore di S. Zita, e il tuffo, nel lago di pece, di Martino sommo magistrato di quel popolo che santa Zita canonizzò" (Luiso).
Bibl. - C. Minutoli, Gentucca e gli altri Lucchesi nominati nella D.C., in D. e il suo secolo, Firenze 1865, 139, 203-231; V. Turri, Il c. XXI dell'Inferno, ibid. 1902; G.F. Gobbi, Il c. XXI, in Lect. Genovese; M. Barbi, in " Bull. " VI (1899) 214; id., Problemi di critica dantesca, I, Firenze 1934, 210; F.P. Luisso, L'A. di Santa Zita, in Miscellanea Lucchese di Studi Stor. e Letter. in onore di Salvatore Bongi, Lucca 1927, 61-91; D. Guerri, Il c. XXI dell'Inferno, Firenze 1929; L. Olschki, D., i barattieri, i diavoli, in " Giorn. d. " XXXVIIII (1937) 61-81; A. Chiari, Letture dantesche, Firenze 1939, 1-44; M. Principato, Il C. XXI dell'Inferno, Roma 1951; A. Scolari, in Lect. Scaligera 1733-734.