Antropologia museale
L’a. m. è un tradizionale campo d’interesse dell’antropologia, disciplina che affonda le sue origini nei musei di storia naturale e di etnografia; qui, lungo il corso del 19° sec., i primi antropologi trasformarono l’attività di conservazione dei reperti provenienti dalle popolazioni più diverse del pianeta, in attenzione e cura per le civiltà che li avevano prodotti. Il contesto intellettuale in cui l’a. m. ha guadagnato una sua relativa autonomia è quello nordamericano, come rivela la voce Museum anthropology scritta nel 1996 da Flora E. Kaplan per l’Encyclopedia of cultural anthropology; un contesto che, a partire dagli anni Settanta del Novecento, fu investito dalle aperte rivendicazioni dei popoli nativi circa il diritto alla salvaguardia del proprio patrimonio etnologico e dalla conseguente crisi delle tradizionali pratiche dell’etnografia. In tale clima di ripensamento disciplinare e di ricerca di una prospettiva interpretativa ‘politicamente corretta’, anche le pratiche e le politiche museografiche cominciarono a mutare. Tale trasformazione fu documentata sin dal 1976 dalla rivista «Museum anthropology», espressione di uno specifico comitato dell’American anthropological association.
L’espressione antropologia museale è stata adottata anche in Italia all’inizio degli anni Novanta del 20° secolo. A partire dal 1991, antropologi e professionisti di museo si riunirono in una specifica sezione dell’Associazione italiana per le scienze etno-antropologiche (AISEA) dando vita a un dibattito e a una riflessione critica sul museo e sulle sue pratiche («Annali di San Michele», 1994; L’invenzione dell’identità, 1996; «La ricerca folklorica», 1999). Il nuovo campo d’interesse, ormai definito nei suoi tratti più significativi, nel 2001 ha quindi trovato un’autonoma espressione nella Società italiana per la museografia e i beni demoetnoantropologici (AM-SIMBDEA) e nella rivista quadrimestrale «Antropologia museale».
L’a. m. italiana sin dalla nascita ha avuto come punto di riferimento istituzionale i due più importanti musei nazionali di etnografia (il Museo delle arti e tradizioni popolari e il Museo preistorico etnografico Luigi Pigorini di Roma) e, partecipando delle politiche promosse dagli enti locali, ha dato continuità alla costante attenzione manifestata dagli studiosi e dai professionisti di museo per i beni demoetnoantropologici nel più generale panorama dei beni culturali (si veda Appendice 2000, 2000, 1° vol., pp. 171-74). Nel suo processo di sviluppo essa ha tesaurizzato gli studi che nei primi anni Settanta avevano ridefinito la specificità del linguaggio museale in rapporto alla pratica della ricerca scientifica (fondamentale, in questo senso, fu il volume di Alberto Mario Cirese Oggetti, segni, musei. Sulle tradizioni contadine, 1977) e ha valorizzato, riattualizzandola, la tradizione inaugurata dai padri della museografia etnografica nazionale (Francesco Baldasseroni, Giuseppe Pitrè, Lamberto Loria, Giuseppe Cocchiara). Il riferimento a questo substrato ha parallelamente incrociato il fertile contributo della cosiddetta nouvelle muséologie franco-canadese (ben rappresentata nell’ampia rassegna di scritti, in due volumi, curata da André Desvallées, Vagues. Une anthologie de la nouvelle muséologie, 1992 e 1994). Sul solco tracciato da questi orientamenti, negli ultimi decenni del Novecento gli antropologi italiani hanno dato in prima persona un contributo alla promozione di una nuova visione del museo, focalizzando l’attenzione sulle diverse storie locali del Paese ed esaltando il concetto olistico di cultura alla base della nozione globale di patrimonio (Clemente 1996).
I venti anni a cavaliere tra il 20° e il 21° sec. sono stati caratterizzati da un grande impulso a progettare e ad aprire musei locali e regionali, che hanno modificato il panorama della museografia nazionale dando alla tipologia etnografica un primato quantitativo davvero sorprendente (Lattanzi, Padiglione, D’Aureli 2015). Di fronte a questo scenario – che ha avuto una sintonica corrispondenza su scala planetaria e di cui la Francia, al pari dell’Italia, rappresenta un caso esemplare con la sua tradizione di ecomusei e musées de société (De Varine 2002) – gli antropologi hanno ulteriormente catalizzato il proprio interesse per il patrimonio culturale (anche immateriale, sull’onda della Convenzione UNESCO 2003 sulla salvaguardia del patrimonio intangibile, v. beni culturali: Beni culturali immateriali), il museo e i suoi indispensabili rapporti di collaborazione con le cosiddette comunità di eredità (le heritage communities promosse dalla Convenzione UNESCO 2005 sulla salvaguardia della diversità culturale: Satta 2013; Métamorphoses des musées de société, 2013).
L’accreditamento del quadro internazionale degli studi e della museografia professionale, ma anche le esperienze di alcuni audaci musei come il Museo etnografico di Neuchâtel, specializzatosi in proposte di rottura debitrici nei confronti delle installazioni artistiche delle avanguardie contemporanee, hanno aperto l’a. m. ad attività creative e conoscitive rivelatesi innovative sul piano della rappresentazione culturale e della comunicazione con il pubblico (Clemente, Rossi 1999; Padiglione 2008; [S]oggetti migranti, 2012; Clemente, Padiglione 2013).
A partire dagli anni Ottanta del Novecento il modo di concepire la funzione dei musei nella società è in definitiva profondamente mutato. Il museo – come avvertì per primo l’antropologo museale canadese Michael M. Ames, in uno studio che focalizzava l’attenzione sui cambiamenti in atto (Museums, the public and anthropology: a study in the anthropology of anthropology, 1986) – è diventato uno speciale spazio di iscrizione e di interazione di culture, di relazioni umane e istituzionali, di azioni e di sperimentazioni sociali (Museums frictions: public cultures/global transformations, ed. I. Karp, C.A. Kratz, L. Szwaja et al., 2006). I processi di globalizzazione gli hanno dato un nuovo impulso e nei contesti più disparati esso viene utilizzato per fabbricare identità legittimando il mondo attraverso autonome rappresentazioni del presente in rapporto ‘a un certo’ passato. L’a. m. si è fatta carico pienamente di questo nuovo scenario e dunque interpreta gli oggetti del museo come qualcosa che appartiene sempre a un determinato discorso sulla realtà delle cose, che acquista valore in virtù dei più diversi ordini ideologici di rappresentazioni, innescati dai processi di memorizzazione sociali e istituzionali contemporanei (Beyond modernity, 2013).
«Annali di San Michele», 1994, 7, nr. monografico: Antropologia museale. Caratteri, rappresentazioni e progetti dei musei antropologici, demologici ed etnografici, a cura di G. Kezich, M. Turci; P. Clemente, Graffiti di museografia antropologica italiana, Siena 1996; L’invenzione dell’identità e la didattica delle differenze, Atti della sessione Antropologia museale al II Congresso nazionale dell’Associazione italiana per le scienze etno-antropologiche, Roma 1995, a cura della sezione di Antropologia museale, Milano 1996; P. Clemente, E. Rossi, Il terzo principio della museografia. Antropologia, contadini, musei, Roma 1999; «La ricerca folklorica», 1999, 39, nr. monografico: Antropologia museale, a cura di M. Turci; H. De Varine, Les racines du futur. Le patrimoine au service du développement local, Chalon-sur-Saône 2002 (trad. it. Bologna 2005); V. Padiglione, Poetiche dal museo etnografico. Spezie morali e kit di sopravvivenza, Imola 2008; [S]oggetti migranti: dietro le cose le persone, a cura di K. Munapé, catalogo della mostra, Roma, Museo nazionale preistorico etnografico Luigi Pigorini 2012-13, Roma 2012; P. Clemente, V. Padiglione, Oggi, nel corso della vita. Riti di passaggio. Mostra collettiva di installazioni etnografiche, a cura di M. D’Aureli, catalogo della mostra, Matera 2010, Imola 2013; G. Satta, Patrimonio culturale, «Parole chiave», 2013, 49, pp. 1-18; Beyond modernity. Do ethnography museums need ethnography?, Proceedings of the International colloquium, Rome 2012, ed. S. Ferracuti, E. Frasca, V. Lattanzi, Roma 2013; Métamorphoses des musées de société, éd. D. Chevallier, Paris 2013; V. Lattanzi, V. Padiglione, M. D’Aureli, Dieci, cento, mille musei delle culture locali, in L’Italia e le sue regioni, Istituto della Enciclopedia Italiana, 3° vol., Culture, pp. 153-73, Roma 2015.