USODIMARE, Antoniotto
– Nacque a Genova nel 1416 da Anfrone e dalla sua seconda moglie Pietrina Spinola.
Ebbe due sorelle (Limbania e Benedetta) e tre fratelli (Francesco, Giovanni e Cristiano: gli ultimi due, come Antoniotto, erano figli di Pietrina). Mancano informazioni sulla sua formazione.
Il 19 gennaio 1448 ricevette dal doge Ludovico Campofregoso il delicato compito di ispezionare, assieme a Cristoforo Tonso, le truppe arruolate per la guerra del Finale e di consegnare a Galeotto Campofregoso una somma per far costruire delle bertesche per il castello di Giustenice. Nel 1449 era tra gli Anziani della Signoria e direttore della Zecca; ma, dopo essere rimasto coinvolto in un dissesto, nel 1450 o nel 1451 si trasferì a Siviglia senza però riuscire a migliorare la sua situazione, per cui nel 1451 abbandonò di nascosto la città per rifugiarsi in Portogallo. Informati di ciò, il 4 giugno 1453 i creditori – fra i quali figuravano esponenti di alcune importanti famiglie genovesi come Giustiniani, Salvago, Imperiale, Grillo, de Marini e Vernazza – chiesero tramite le istituzioni giudiziarie genovesi la dichiarazione di fallimento; ma la moglie, Bianchina Gentile, riuscì a bloccare il procedimento dimostrando che la partenza del marito dalla Spagna era dovuta unicamente all’accanimento di quel governo nei suoi confronti.
In Portogallo, possedendo ancora una caravella – ultimo avanzo della sua fortuna – Usodimare si mise al servizio dell’infante Enrico il Navigatore, impegnato allora in un ambizioso progetto di esplorazione delle coste atlantiche del continente africano finalizzato all’apertura di una rotta per le Indie. Per suo conto intraprese un viaggio di esplorazione nell’Atlantico spingendosi nel 1455, assieme ad Alvise Da Mosto da lui incontrato dopo aver doppiato il Capo Bianco, verso sud lungo la costa di Guinea fino ai fiumi Senegal e Gambia (dove la foce di questo fiume è più ampia), ove si pensava che si potessero trovare oro e malaghetta (‘grani del Paradiso’, un tipo di spezia). Gli assalti degli indigeni e l’ammutinamento dei marinai li costrinsero a interrompere l’esplorazione, e Usodimare decise di rientrare in Portogallo, portando con sé quaranta schiavi, alcune zanne di elefante, pappagalli e un po’ di zibetto ottenuto in cambio di alcune tuniche da un maggiorente indigeno.
Tornato in Portogallo, in data 12 dicembre 1455 scrisse – probabilmente da Lisbona – una singolare lettera ai suoi creditori, nella quale, per rassicurarli, arrivò addirittura a sostenere che la navigazione in Atlantico non era più rischiosa di quella entro la darsena del porto di Genova. Forse per attirare l’attenzione e rafforzare l’importanza della sua spedizione affermò pure di aver incontrato nel Senegal l’unico discendente dei superstiti della spedizione dei fratelli Ugolino e Guido Vivaldi che alla fine del Duecento si erano inoltrati oltre le colonne d’Ercole.
Non mancano anche altre notizie al limite della credibilità, che però facevano parte di quella commistione fra realtà e fantasia che caratterizzava allora la percezione dell’Africa, come la vicinanza del regno del Prete Gianni e la presenza di unicorni, elefanti, zibetti e antropofagi caudati. Realistiche sono invece le questioni riguardanti la Stella Polare che appariva sempre più bassa all’orizzonte e la durata del giorno e della notte, riferimenti questi presenti anche nel resoconto di Da Mosto.
Nel marzo del 1456, dopo aver armato due caravelle alle quali se ne aggiunse una terza dell’infante Enrico, Usodimare e Da Mosto ripresero la navigazione e, raggiunti nuovamente le Canarie e Capo Bianco, costretti da un temporale a tenersi lontani dalla costa avvistarono alcune isole dell’arcipelago del Capo Verde, che fra il 1456 e il 1462 sarebbero state progressivamente raggiunte e colonizzate anche dal genovese Antonio da Noli (da alcuni studiosi scambiato con Usodimare) e dai portoghesi Diogo Gomes e Diogo Afonso de Atiguia, senza che sia possibile stabilire con assoluta sicurezza a chi e in quale successione vada attribuito il merito della scoperta. Il viaggio proseguì di nuovo verso la foce del Gambia, percorsa da numerose almadie (canoe), che venne risalita per circa sessanta miglia, facendo buoni affari (avorio, carne di elefante, schiavi e polvere d’oro in cambio di merci di scarso valore) con gli indigeni che appartenevano all’‘impero di Melli’ (l’odierna area centromeridionale del Mali). Ma la malaria serpeggiante fra gli equipaggi e le difficoltà create dal clima umido e soffocante costrinsero gli equipaggi a tornare indietro verso il mare aperto per navigare lungo la costa più meridionale, riconoscendo ed esplorando coste che nei precedenti viaggi erano state appena intraviste.
Vennero infatti identificati l’ampia foce del Casamansa (oggi Casamance), 110 chilometri a sud di quella del Gambia; il Cabo Roxo, al confine fra il Senegal e la Guinea ex portoghese, e altri fiumi: il Rio Santa Anna (probabilmente l’odierno Cacheu) e il San Domenego (da identificare con l’odierno Mansoa, 55-60 miglia oltre il Cabo Roxo). Arrivarono quindi a un’ampia baia, formata dall’estuario di un grande fiume, il Rio Grande, di fronte alla quale scoprirono alcune isole dell’arcipelago delle Bissagos, riconoscendone le due maggiori, prima di ripartire alla volta del Portogallo alla fine del 1456.
Nel 1458 Usodimare era fiduciario della casa fiorentina dei Marchioni a Caffa, colonia genovese del Mar Nero. Risulta già morto il 13 settembre 1462, perché è di quel giorno il testamento della sorella Limbania che istituisce eredi per una quarta parte ciascuno i fratelli Giovanni e Francesco, che allora abitavano in Spagna, e i nipoti Giuliano e Anfrone, «figli del quondam Antoniotto».
L’Itinerarium Antonii Ususmaris civis Januensis, conservato manoscritto nella Biblioteca universitaria di Genova, B.I.36, cc. 1r-17r, fu pubblicato e commentato per la prima volta nel 1802 da Jacob Gråberg de Hemsö. Comprende cartigli e legende copiati da un planisfero non indicato (e che non è stato identificato), un piccolo trattato di geografia descrittiva e un repertorio delle più importanti isole conosciute alla metà del Quattrocento; inoltre, la lettera inviata ai creditori da Lisbona il 12 dicembre 1455.
Fonti e Bibl.: J. Gråberg de Hemsö, Notizia dell’Itinerario di A. U., in Id., Annali di geografia e di statistica, II, Genova, 1802, pp. 280-291 (con ed. dell’Itinerarium); P. Barozzi, I genovesi al servizio del principe Enrico, in Le Americhe annunciate. Viaggi ed esplorazioni liguri prima di Colombo, a cura di I. Luzzana Caraci, Reggio Emilia 1991, pp. 73-127 (in partic. pp. 121-125: ed. e traduzione della lettera del 1455, con riproduzione).
C. Desimoni, Sugli scopritori genovesi del medio evo..., in Giornale ligustico di archeologia, storia e belle arti, I (1874), pp. 224-231, 263-280, 308-366, 363 (in partic. pp. 266-280); P. Amat di San Filippo, Delle navigazioni e scoperte marittime degli italiani nell’Africa occidentale lungo i secoli XIII, XIV e XV, in Bollettino della Società geografica italiana, XII (1879), pp. 59-77, 125-145 (in partic. pp. 126-134); Le navigazioni atlantiche di Alvise da ca’ Da Mosto, A. U. e Niccoloso da Recco, a cura di R. Caddeo, Milano 1929, ad ind.; A. Magnaghi, Precursori di Colombo? Il tentativo di viaggio transoceanico dei genovesi fratelli Vivaldi nel 1291, Roma 1935, passim; Le navigazioni atlantiche del veneziano Alvise Da Mosto, a cura di T. Gasparrini Leporace, Roma 1966, ad ind.; G. Ferro, I navigatori portoghesi sulla via delle Indie, Milano 1974, pp. 126-131; F. Surdich, Gli esploratori genovesi del periodo medievale, in Miscellanea di storia delle esplorazioni, I (1975), pp. 9-117 (in partic. pp. 45 s., 89-95); C.M. Radulet, Documenti delle scoperte portoghesi, I, Africa, Bari 1983, ad ind.; S. Peloso, L’esplorazione dell’Africa atlantica, in Africa. Storia di viaggiatori italiani, Milano 1986, pp. 34-39; J. Cortesāo, Os descobrimentos portugueses, II, s.l. 1990, ad ind.; G. Ogliati, A. U. (1416-ante 1462), in Ianuenses/Genovesi. Uomini diversi, nel mondo spersi, a cura di G. Ogliati, Genova 2010, pp. 97-100.