VITE, Antonio
Antonio «di Vita Ricci», pittore pistoiese documentato tra il 1379 e il 1407, nacque verso la metà del XIV secolo e fu attivo, oltre che in patria, a Firenze, Prato, Pescia e Pisa. Partecipò attivamente alla vita politica cittadina nell’arco dell’intera vita (Gai, 1970, pp. 92 s.; Feraci, 2006-2007 [2009], p. 7): nominato consiliarius del Comune di Pistoia (1379, 1380, 1382, 1386, 1387), fu inoltre tra i regulatores della Camera del Comune (1400) e nel Consiglio del Popolo (1406).
La fortuna critica del Vite ha inizio con Giorgio Vasari (1568), nelle cui biografie viene erroneamente indicato come allievo e collaboratore di Gherardo Starnina. Sebbene gli eruditi locali avessero serbato memoria dell’artista (Salvi, 1657; Fioravanti, 1758), spetta a Miklós Boskovits (1975, pp. 149-151) aver riunito un nutrito gruppo di opere (esclusivamente murali) attorno agli affreschi della sala capitolare di S. Francesco a Pistoia sotto il nome del Vite, figura indagata grazie agli studi archivistici di Lucia Gai (1970, 1971). L’unica opera certa del suo corpus è il frammentario ciclo con le Storie della Vergine nella cappella maggiore di S. Francesco a Pescia, attribuitogli da Boskovits (1975, p. 151), nel quale sono state in seguito individuate la firma «Antonio dep[istorio]» (Pisani, 1998, pp. 100 s.) e la data 1393 (Feraci, 2006-2007 [2009], p. 19). Pochi sono i puntelli cronologici sicuri nel percorso del Vite: la testimonianza più antica è la frammentaria Madonna stante col Bambino e donatore in S. Domenico a Pistoia del 1377 (Feraci, 2006-2007 [2009], p. 26), cronologia riferibile anche alla Maddalena con donatrice in sacrestia (già nella controfacciata), realizzate in occasione dei lavori di prolungamento della chiesa voluti dal priore Andrea Franchi. Nel cantiere domenicano gli sono stati ricondotti anche un Cristo flagellato ormai perduto ma testimoniato in fotografie d’epoca (ivi, p. 27), una frammentaria Madonna col Bambino con s. Iacopo e il donatore Bartolomeo di Lotierio con il figlio (De Marchi, 2012, p. 46), così come un lacerto con S. Scolastica (?) e con una frammentaria Crocifissione (ivi, p. 46), da attribuire piuttosto a Giovanni di Bartolomeo Cristiani. Alla fine dell’ottavo decennio del Trecento è stata riferita anche la lunetta con Madonna col Bambino tra i ss. Nicola di Bari e Domenico dal portale di S. Niccolò a Prato, oggi difficilmente giudicabile, così come il frammento con la Vergine Annunziata del Museo civico di Pistoia (di provenienza ignota), ascrittogli da Boskovits (1975, pp. 284 s.) con una condivisibile datazione alla metà del decennio che ne farebbe una delle sue prove più antiche.
Da queste opere emergono già i tratti tipici del Vite, artista capace di rielaborare in maniera autonoma e personale la tradizione pittorica locale, intrisa di presenze allogene giunte da Firenze, dall’Emilia e da Siena. I suoi personaggi, dall’intensa vivacità espressiva, generano composizioni dinamiche e ritmate, mentre il pittoricismo morbido, dal tratto liquido e veloce, modella con delicatezza i volumi attraverso impasti caldi e luminosi, che nella fase più matura si aprono ai cangianti cromatismi di Agnolo Gaddi, precorrendo per certi versi il linguaggio tardogotico dello Starnina. Nella pittura del Vite spicca una predilezione per la narrazione aneddotica, ricca di dettagli e descrizioni naturalistiche pungenti, in parte ispirata all’arte di Niccolò di Tommaso, autore attorno al 1372 del vasto ciclo nella chiesa del Tau, impresa alla quale tuttavia il Vite non dovette prendere parte (Boskovits, 1975, n. 265 p. 251). Benché la sua formazione sia ancora assai dibattuta (Feraci, 2006-2007 [2009], pp. 27-31), l’Annunziata del Museo civico sembrerebbe testimoniare una forte prossimità con l’elegante pittura di Nardo di Cione, nella tarda bottega del quale (forse proprio attorno a Niccolò di Tommaso) non è da escludere che egli si fosse inizialmente formato, per aprirsi poi a molteplici fascinazioni: dall’espressivo linguaggio di ‘Dalmasio’, alle monumentali e scattanti composizioni di Taddeo Gaddi.
Nel 1379 il Vite fu pagato 30 fiorini dall’Opera di S. Jacopo «per dipingiere due storie sopra la cappella di Sancto Jacopo del Testamento Vecchio», parti di un vasto ciclo di storie veterotestamentarie che rivestiva interamente la navata centrale della Cattedrale pistoiese (Feraci, 2006-2007 [2009], pp. 9-12). Compiuto verosimilmente attorno al 1380, se ne conservano solo lacerti con eleganti fascioni ornamentali, nonché frammenti figurativi e vegetali che rimandano già alle partiture decorative del ciclo capitolare francescano. Dopo l’avvio pistoiese, il Vite, forse anche a seguito del successo riscosso in patria, dovette cercare fortuna a Firenze, dove nel 1385 risulta residente nella parrocchia di S. Trìnita e immatricolato nell’Arte dei medici e speziali (Haines, 1989, p. 197). L’affresco con la Madonna della neve nel Museo dell’Ospedale degli Innocenti è stato sinora considerato l’unica prova rimasta del periodo fiorentino (Boskovits, 1975, p. 151; Bellosi, 1977, pp. 262 s.; Feraci, 2006-2007 [2009], p. 13; Pisani, 2008): ma esso, in realtà, giunse nel capoluogo toscano a seguito delle soppressioni tardo-ottocentesche dal monastero di S. Maria della Neve a Pistoia (non più esistente), fondato nel 1376 e già attivo nel 1380, data a cui appare più plausibilmente riferibile (Guazzini, 2013). L’esperienza nella città gigliata, tuttavia, non dovette essere particolarmente fortunata, se già tra il 1386 e il 1387 il Vite figurava nel Consiglio comunale di Pistoia, e nel 1391 curò l’acquisto di una casa nella parrocchia di S. Leonardo (Gai, 1970, p. 93).
La decorazione della sala capitolare di S. Francesco a Pistoia (parete principale e volta), avvicinata al nome del Vite già da Sebastiano Ciampi (1810, p. 106), è considerata il capolavoro della maturità del pittore. Boskovits (1975, p. 149), sulla scorta di Ciampi e di Francesco Tolomei (1821, p. 138), ha proposto quindi di ricondurre alle volontà testamentarie della nobile Lippa del fu Lapo Vergiolesi datate 1386 («in perficiendo picturas et historias capituli») tale impresa, portata a compimento nel giro di pochi anni (per l’individuazione della famiglia di appartenenza di Lippa si veda Neri Lusanna, 1993, p. 110). Una datazione non lontana dovrebbe spettare anche alla Madonna col Bambino in mandorla nella navata francescana (ivi, p. 153). Alla fine di questo decennio risale inoltre la Presentazione della Vergine al tempio nel refettorio di S. Domenico a Pistoia (già nella navata della chiesa), recante un tempo la data 1388 (Feraci, 2006-2007 [2009], p. 17). A questa seconda campagna decorativa domenicana sono stati ricondotti i frammentari Apostoli che originariamente scandivano la navata (sui pilastri della cappella maggiore rimangono Pietro e Andrea: Feraci, 2006-2007 [2009], p. 17; De Marchi, 2012, pp. 27 s.), nonché un Cristo in orazione nell’Orto degli Ulivi, perduto ma attestato da fotografie d’epoca (Boskovits, 1975, p. 284). In questo giro di anni il Vite continuava a essere attivo in molteplici contesti cittadini, come mostrano sia il tabernacolo con la Madonna col Bambino tra i ss. Jacopo, Francesco, Antonio abate e Bartolomeo al Museo civico (da S. Maria Maddalena al Prato), di fattura più corsiva, sia forse l’Annunciazione della Vergine nell’antico coro delle monache in S. Pier Maggiore (Feraci, 2006-2007 [2009], pp. 15, 25). Benché assai depauperata, quest’ultima appare assai prossima al ciclo capitolare francescano, così come un affresco strappato, sinora sconosciuto, con S. Agnese e la Maddalena in S. Desiderio (di provenienza ignota).
Già verso l’inizio dell’ultimo decennio dovrebbe collocarsi invece la Madonna col Bambino tra i ss. Agostino e Giovanni Battista in S. Agostino a Prato (Neri Lusanna, 1993, p. 153). L’attività del Vite negli anni Novanta è testimoniata dal frammentario ciclo con le Storie della Vergine in S. Francesco a Pescia, compiuto nel 1393 su commissione del capitano di ventura padovano Tommaso di Nino degli Obizzi (Pisani, 1998, pp. 100 s.; Feraci, 2006-2007 [2009], pp. 17-20; Pisani, 2010) e portato a termine con impiego di aiuti (in particolare nella volta), tra i quali dovette essere Sano di Giorgio, suo «discipulus» nel 1390 (Bacci, 1911; Gai, 1970, pp. 92 s.). Le stesse proporzioni slanciate, così come le pose scattanti delle figure, rese con pennellate veloci, ricorrono nell’Ascensione di Cristo e Apostoli nell’abside di S. Pietro a Galciana di Prato (Neri Lusanna, 1992, pp. 34-36 [3]), risalente verosimilmente alla metà del decennio. Al Vite è stata inoltre attribuita una tavola con la Madonna col Bambino e angeli musicanti (sul mercato antiquariale) di fine XIV secolo (Feraci, 2006-2007 [2009], p. 21), che, per qualità, appare riferibile piuttosto all’ambito del pittore. Alla fase tarda risalgono anche il frammento con Madonna col Bambino benedicente, committente orante e due santi in S. Maria a Ripalta a Pistoia (Boskovits, 1975, p. 284), così come un’inedita Santa di notevole qualità in S. Maria Nuova, ancora in larga parte tamponata entro un altare laterale, e la mal conservata Madonna dell’Umiltà datata 1397, riemersa sotto una ridipintura quattrocentesca di un tabernacolo al pianterreno del Palazzo comunale di Pistoia (Feraci, 2006-2007 [2009], p. 21). Verso la fine del secolo dovrebbe collocarsi invece la decorazione della sacrestia di S. Francesco a Pistoia, per la quale tuttavia, oltre al generico post quem del 1386 offerto dal lascito di Lippa Vergiolesi («in intonicando voltam sacristiae»), non si hanno ulteriori riferimenti ad eccezione degli stemmi dei committenti nella volta, la famiglia Taviani (Feraci, 2006-2007 [2009], p. 23). Tale decorazione, avviata probabilmente dalla parete con la Crocifissione (riferita a Giovanni di Bartolomeo Cristiani assistito dall’allievo Nanni di Jacopo), fu portata avanti dal Vite con larga collaborazione di aiuti, tra i quali probabilmente Sano di Giorgio nella volta con S. Paolo e S. Ludovico di Tolosa (Boskovits, 1975, p. 151; Neri Lusanna, 1993, p. 154; Feraci, 2006-2007 [2009], pp. 22 s.).
Nella pestilenza del 1399-1400 il Vite perse quattro figli, e, pur ammalatosi lui stesso, riuscì a salvarsi (Cronache di ser Luca Dominici, 1933, pp. 88, 270). Alla sua fase più tarda sembrano appartenere il tabellone laterale di una croce dipinta raffigurante una Vergine dolente al Pomona College di Claremont (CA), individuata da Ugo Feraci (2006-2007 [2009], pp. 21 s.), l’elegante Madonna dell’Umiltà in S. Bartolomeo in Pantano (ivi, p. 31) e quella, più di bottega, in S. Paolo, entrambe a Pistoia (Lapi Ballerini, 1996, p. 68).
L’attività perduta del Vite, particolarmente rilevante nei primissimi anni del nuovo secolo e rintracciabile grazie alle fonti (Gai, 1970, pp. 92-94), è costituita sia da opere monumentali sia da decorazione d’oggetti. Il 31 marzo 1400 gli venne allogata una tavola per S. Maria a Valenzatico, nei pressi di Pistoia (Ead., 1971), mentre il 6 giugno dell’anno successivo fu incaricato, assieme a Nanni di Jacopo, di affrescare un’ampia Maestà nella loggia del collegio dei Notai nel Palazzo Pretorio cittadino (Chiappelli, 1922). Vasari (1568) ricorda poi a Pisa un ampio ciclo nella sala capitolare di S. Nicola, perduto nei restauri del 1776 ma ampiamente attestato dagli eruditi locali (Pisani, 2010). Esso raffigurava la Crocifissione di Cristo e Storie di s. Nicola di Bari e di s. Agostino e recava i nomi dei committenti, Giovanni Azzopardo e Giovanni dell’Agnello, la firma dell’artista («Antonius Vite de Pistorio pinxit»), nonché la data 1402 (1403 in stile pisano). Al soggiorno pisano risale anche una Madonna col Bambino e orante già in S. Paolo a Ripa d’Arno, distrutta nel secondo conflitto mondiale (Lapi Ballerini, 1996, pp. 70-72). Tornato in patria, l’8 novembre del 1403 furono commissionate al Vite, assistito da Sano di Giorgio, una tavola e la decorazione di una cappella nella chiesa dei monaci basiliani (‘Armini’), compiute probabilmente tra il 1404 e il 1406, visto che il 15 dicembre di quell’anno il lavoro risultava concluso (Bacci, 1911, p. 200; Gai, 1970, p. 94).
Il Vite morì presumibilmente ai primi di gennaio del 1407, allorché il suo nome figura tra quelli elencati nelle offerte all’Opera di S. Jacopo per l’uso di «panni prestati a’ morti»; il pagamento a suo favore da parte del Comune dell’aprile successivo dovette quindi essere il saldo per lavori dell’anno precedente, svolti in occasione del passaggio di Pisa sotto il controllo di Firenze (Gai, 1970, p. 94).
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