VIGNALI, Antonio (Arsiccio Intronato)
– Nacque a Siena il 19 novembre 1500 da Alessandro, figura di rilievo nella vita politica senese del tempo; risulta ignota l’identità della madre.
Conobbe una formazione giuridica di diritto civile, avviata nella città d’origine e probabilmente non conclusa, ma accompagnata da un’attenzione verso le humanae litterae, come testimonia l’epigramma in latino indirizzato al marescalco Mariano Trinci (Insignis virtute Maro, Marcellus honore), edito nel 1519. Si tratta della sua prima prova di scrittura poetica, di cui si hanno altri esempi non datati, principalmente di tenore burlesco. Al 1524, sullo sfondo delle lotte politiche cittadine tra Noveschi e Popolari, si colloca la fondazione dell’Accademia degli Intronati, che a Vignali è unanimemente riconosciuta: alla sua istituzione nel 1527 parteciparono anche i fratelli Giovan Battista (lo Spaventato) e Gismondo (il Ritroso). Vignali continuò gli studi almeno fino alla metà del 1525, ma in questo anno, il 21 febbraio, si macchiò dell’omicidio di Lucrezia Berti, che gli costò l’esilio da Siena, almeno fino al febbraio dell’anno successivo, quando beneficiò di un’amnistia. Nel periodo 1525-26 proseguì gli studi a Pisa, seguendo le lezioni di Rinaldo Petrucci; fece poi ritorno a Siena, per trasferirsi in seguito a Padova. Proprio agli anni 1525-26 risale la redazione della Cazzarìa, la sua opera più nota, che ebbe una circolazione manoscritta e a stampa contrastata dalla censura, tanto che delle tre edizioni documentate restano solo due esemplari, privi di note tipografiche complete, conservati nella Biblioteca nazionale di Firenze; della tradizione manoscritta del testo si segnalano invece due testimoni, il primo conservato alla Biblioteca apostolica Vaticana, il secondo in Spagna, nella Biblioteca pública de Badajoz Bartolomé J. Gallardo.
Si tratta di un dialogo erotico-burlesco, preceduto dalla dedica del Bizzarro (Marcello Landucci) al Moscone (Giovan Francesco Franceschi), nel quale figurano come interlocutori il Sodo (Marc’Antonio Piccolomini) e l’Arsiccio (lo stesso Vignali). È costruito su alcune questiones che riguardano le parti basse dell’uomo e della donna («Perché il cazzo si chiami materia», «perché la potta è chiamata natura», «perché il culo delle donne non è peloso», ecc.). Sono state avanzate varie proposte interpretative (tra cui una politica di ambito senese) per questa opera, ma sfuggono ancora le ragioni della sua scrittura, che forse è una «‘cicalata’ accademica» (Cherchi, 2007, p. 111, che tra i modelli della Cazzarìa ha riconosciuto il Liber de homine o Libro del perché, del 1474, scritto dal medico bolognese Girolamo Manfredi e ispirato ai Problemata aristotelici); tra i modelli non vanno però trascurati i Carmina priapea, a stampa dal 1469, e i Sonetti lussuriosi di Pietro Aretino (1525). La Cazzarìa ha avuto una circolazione semiclandestina, tanto che del suo autore poco si parla sul finire degli anni Venti e negli anni Trenta del Cinquecento: tra le prime testimonianze si registra quella della Priapea (1541) di Niccolò Franco: al v. 12 del sonetto Priapo, io son l’Arsiccio Architronato è citato, infatti, il titolo dell’opera. La Cazzarìa è stata recuperata e ristampata soltanto a metà dell’Ottocento nell’edizione di Cosmopoli (Bruxelles) del 1863.
Il 7 marzo 1530, a Siena, Vignali fece testamento, dichiarando erede dei suoi beni il fratello Giovan Battista. Dopo il 1530 si allontanò dall’Italia, quasi in un «exil volontaire» (Košuta, 1982, p. 126) di cui sono ignote le ragioni: ne sono tappe documentate Siviglia (dal novembre del 1540 al marzo del 1541) e Valladolid (1548), dove fu al seguito del cardinale Cristoforo Madruzzo e si occupò della rappresentazione dei Suppositi di Ludovico Ariosto, in occasione del matrimonio dell’arciduca Massimiliano con la figlia di Carlo V. In questo periodo potrebbe avere composto il poemetto mitologico in versi sciolti intitolato Anthiopeia, nel quale è svolto «il tema della ricerca della donna amata e della scoperta della sua perdita» (Luisi, 2002, p. 220). I soggiorni all’estero non gli impedirono frequenti ritorni a Siena in varie circostanze (1531, 1532, 1533, 1546 e 1556). Qui dovette trovarsi anche nel 1540, quando scrisse il dialogo Dulpisto, dedicatod a Aurelia Petrucci, rimatrice e figura di rilievo nella cerchia aristocratica senese. Si misurò anche con il teatro: scrisse una commedia (La Floria, stampata postuma nel 1560), ed è probabile che sia stato coinvolto nella stesura di alcune commedie anonime senesi, frutto del lavoro dell’Accademia degli Intronati.
Gli spostamenti negli anni Cinquanta interessarono le città di Pavia e Milano (1557 e 1558).
Morì il 2 aprile 1559 a Milano, probabilmente in seguito a una malattia di cui parla in una lettera a Luca Contile del 25 novembre 1558 (Delle lettere facete..., 1575, pp. 226-228).
Opere. Per l’attività di rimatore si segnalano l’epigramma Insignis virtute Maro, Marcellus honore, stampato nella commedia di Mariano Trinci, Il Vitio muliebre, Siena 1519; il poema mitologico Anthiopeia è conservato, in due differenti redazioni, nei codici di Siena, Biblioteca comunale, Misc. H X 5, cc. 13r-23v e Città del Vaticano, Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat. 5225, cc. 383r-394r, la seconda delle quali probabilmente più tarda e ora trascritta in M. Luisi, La Sicilia, isola feconda e luogo del mito per il senese Antonio Vignali. Note preliminari all’edizione critica dell’“Anthiopeia”, in Studi in memoria di Giovanna Finocchiaro Chimirri, a cura di S. Cristaldi, Catania 2002, pp. 211-235; gli è attribuito il componimento in versi sciolti Rasserenate gelida le luci, conservato nella Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat. 5225, cc. 397r-400v; l’ode A la gratia, contenuta nel manoscritto Firenze, Biblioteca nazionale, Pal. 256, c. 186r, è edita in L. Košuta, Notes et documents sur Antonio Vignali (1500-1559), in Bullettino senese di storia patria, LXXXIX (1982), pp. 119-154, alla p. 148; e qui è stato edito anche il madrigale Tanto il carco mondan m’agrava e preme, conservato a Siena, Biblioteca comunale, I.VI.41, c. 10r; il sonetto Io son certo, Bronzin, quel vostro Arsiccio, inviato al Bronzino, è stampato in A. Allori detto il Bronzino, Sonetti, Firenze 1823, p. 124; il capitolo burlesco Quanto più col cervel girando a torno è contenuto nei manoscritti Firenze, Biblioteca nazionale, Palat. 256, cc. 299v-306r e Palat. 268, cc. 36r-39v (qui attribuito ad Alessandro Sozzini) e Siena, Biblioteca comunale, Misc. H X 5, cc. 27r-32r; il sonetto Da le vostre leggiadre e nove stelle è stampato in Rime di diversi nobili huomini et eccellenti poeti nella lingua thoscana. Libro secondo, Venezia 1547, c. 46v. La Lettera in proverbi, ospitata all’interno di Alcune lettere amorose, una dell’Arsiccio Intronato in proverbi, l’altre di m. Alessandro Marzi Cirloso Intronato, Siena 1571 (ristampata più volte dallo stesso editore, Luca Bonetti, nel Cinquecento, e ripubblicata per almeno tre volte nel Seicento), è edita modernamente a cura di G. Pecori, Firenze 1975. Per La Cazzarìa, che dopo la riscoperta nell’Ottocento ha goduto di traduzioni in francese, tedesco, inglese e spagnolo, si veda l’ed. critica e commentata a cura di P. Stoppelli, con introduzione di N. Borsellino, Roma 1984, cui va aggiunta l’ed. con traduzione in spagnolo, a cura di G.M. Cappelli, Mérida 1999, che recupera il codice Badajoz, Biblioteca pública Bartolomé J. Gallardo, Ms. 1 de Barcarrota; va segnalato che un esemplare dell’edizione napoletana («ad istanza di Curzio e Scipione di Navò: 1530-40 circa), ritenuta perduta, era presente fino ai primi anni Quaranta del secolo scorso alla Staatsbibliothek di Berlino (Libri impr. rari oct. 140); per i due esemplari parigini: Enfer 566 (mutilo delle prime carte: forse Venezia 1531), Enfer 565 (completo, stessa datazione probabile). Esiste un opuscolo La cazzarìa del C. M., sine notis (Madrid, Biblioteca nacional de España, R/362 [3]), che trasmette un componimento in ottave di natura oscena, altro testo rispetto al dialogo. Il Dulpisto è tràdito dai ms. Firenze, Biblioteca nazionale centrale, N.A. 1248 e Parma, Biblioteca Palatina, Pal. 297. Come detto, Vignali si cimentò anche nella scrittura teatrale: della commedia La Floria sono note due edizioni: Firenze 1560 e Firenze 1567. Gli sono attribuite, dubitativamente, anche le commedie Aurelia (si veda l’ed. critica a cura di M. Celse-Blanc, Paris 1981) e la Comedia intitolata Sine nomine, Firenze 1574; è nota la traduzione di alcuni libri dell’Eneide: Milano, Archivio storico civico e Biblioteca Trivulziana, 1110, cc. 1r-35r (libri XI e XII) e Firenze, Biblioteca nazionale, Pal. 381 (libro XI). Alcune missive, datate fra il 1557 e il 1558, sono contenute nel florilegio Delle lettere facete, et piacevoli, di diversi grandi huomini, et chiari ingegni, scritte sopra diverse materie, raccolte per m. Francesco Turchi, libro secondo, Venezia 1575, pp. 220-228; una lettera autografa è conservata a Siena, Biblioteca comunale, D.V.5, c. 106r; inoltre, una lettera di Niccolò Franco a Vignali (Venezia, 11 ottobre 1538) è edita in N. Franco, Le pìstole vulgari, Venezia 1538 [ma 1539], cc. CXIIv-CXIIIv. Ad altre opere fa riferimento Scipione Bargagli nel Turamino (1602), in cui si parla «d’alcune poche novelle e d’altri ragionamenti d’amore» (l’ultima voce è, forse, da identificare con il Dulpisto), ed. a cura di L. Serianni, Roma 1976, VII 23-25.
Fonti e Bibl.: B. Croce, La “Floria” del Vignali, in Poeti e scrittori del pieno e tardo Rinascimento, Bari 1945, pp. 390-400; Aurelia (Comédie anonyme du XVIe Siècle), a cura di M. Celse-Blanc, Paris 1981, pp. 36-51; L. Košuta, Notes et documents, cit.; N. Borsellino, Morfologie del dialogo osceno: “La Cazzaria” dell’Arsiccio Intronato, in Il dialogo. Scambi di passaggi della parola, a cura di G. Ferroni, Palermo 1985, pp. 110-123; C. Binazzi, Le veglie prima delle “vegghie”: le “Giornate” e le “Notti” di Pietro Fortini, in Bullettino senese di storia patria, CV (1998), pp. 85-87; M. Luisi, La Sicilia, cit.; J. Nelson Novoa, Aurelia Petrucci d’après quelques dèdicaces entre 1530 et 1540, in Bullettino senese di storia patria, CIX (2002), pp. 540-542; R. Buranello, The hidden ways and means of A. V.’s “La Cazzaria”, in Quaderni d’italianistica, XXVI (2005), pp. 59-76; P. Cherchi, “La Cazzaria” di V. e “Il libro del perchè” di Manfredi, in Annali online di Ferrara - Lettere, II (2007), 1, pp. 106-116; M. Rocke, “Whoorish boyes”. Male prostitution in Early Modern Italy and the spurious “Second Part” of A. V.’s “La Cazzaria”, in Power, gender and ritual in Europe and the Americas: essays in memory of Richard C. Trexler, Toronto 2008, pp. 113-133; P. Cherchi, “La Cazzaria” del V. e il genere dei problemata; in Delectando discitur. Essays in honor of Edoardo A. Lebano, a cura di P. Giordano - M. Lettieri, New York 2009, pp. 31-45; S. Giachetti, Il “Dulpisto” di A. V. (1540), in Scrivere il volgare fra Medioevo e Rinascimento, a cura di N. Cannata - M. A. Grignani, Pisa 2009, pp. 55-66; S. Bertelli, Erotismo libertino in laguna fra Cinque e Seicento, in Nuova rivista storica, XCIV (2010), pp. 888-893; M.T. Ricci, A. V. e “La Cazzara”, in Extravagances amoureuses: l’amour au-délà de la norme à la Renaissance/Stravaganze amorose: l’amore oltre la norma nel Rinascimento, a cura di E. Boillet - C. Lastraioli, Paris 2010, pp. 181-190; F. Pignatti, Frottola e proverbio nel XVI secolo. Con qualche notizia sulla perduta raccolta peremiografica di Marcantonio Piccolomini, in Il proverbio nella letteratura italiana dal XV al XVII secolo. Atti del Convegno..., Roma... 2012, a cura di G. Crimi - F. Pignatti, Manziana 2014, pp. 269-271.