VERETTI, Antonio
VERETTI, Antonio. – Nacque a Verona il 20 febbraio 1900 da Oreste e da Rosa Fraccari. Il fratello Abelardo fu musicista e insegnante di violino.
In città compì i primi studi di pianoforte e armonia, indi nel liceo musicale di Bologna fu allievo di Guglielmo Mattioli e di Franco Alfano, diplomandosi in composizione nel 1921. I primi lavori di rilievo sono due raccolte di brani per voce e pianoforte, scritti durante gli ultimi anni di studio: Tre liriche, su versi di Gabriele D’Annunzio, Giosue Carducci e Paul Verlaine, e il Cantico dei cantici: tre poemi dal testo biblico, questi ultimi pubblicati a Bologna dall’editore Pizzi nel 1923. Il critico Giannotto Bastianelli recensì molto positivamente la seconda raccolta sulla rivista Il Convegno, intuendo nel giovane una marcata predisposizione alla composizione teatrale e invitandolo quindi a cimentarsi con il melodramma.
Dopo il diploma Veretti si allontanò rapidamente dall’influenza del maestro Alfano, accostandosi semmai allo stile di Ildebrando Pizzetti, suo modello d’elezione, e sposando le idee di ritorno alla classicità propagandate dal movimento letterario che gravitava attorno alla rivista La Ronda, con il quale entrò in contatto tramite l’amico Riccardo Bacchelli, conosciuto all’epoca degli studi bolognesi. Tornato a Verona, nel biennio 1923-24 compose la prima opera teatrale, Il medico volante, libretto di Bacchelli, liberamente ispirata all’omonima farsa di Molière.
La commedia sancì la completa adesione di Veretti allo stile neoclassico, nel solco del nutrito filone di opere ispirate alla tradizione della commedia dell’arte. Il lavoro non fu mai allestito, sebbene nel 1928 fosse stato premiato nel concorso bandito dal quotidiano milanese Il Secolo-Sera, a pari merito con un’opera di Giacomo Benvenuti.
Nel 1926 Veretti si trasferì a Milano in qualità di critico musicale della Fiera letteraria, diretta da Umberto Fracchia, impegnandosi peraltro anche come pianista concertista. Il catalogo delle sue opere si era frattanto arricchito di nuove composizioni da camera; il primo importante lavoro sinfonico giunse nel 1929: la Sinfonia italiana, sottotitolata Il popolo e il profeta, con trasparente riferimento a Benito Mussolini (al quale l’autore dedicò anche un Saluto al duce) ed edita da Ricordi nel 1932. L’opera fu eseguita al festival della Società internazionale di musica contemporanea di Liegi nel settembre del 1930, direttore Alfredo Casella. Qualche mese prima, il 5 maggio a Genova, Veretti aveva sposato Ines Verdi, nata a Verona nel 1903. La coppia rimase senza figli.
Sempre nel 1930 iniziò a lavorare all’opera Il favorito del re (libretto di Arturo Rossato, basata su una novella delle Mille e una notte, la Storia del dormiente svegliato, ma ambientata in epoca contemporanea). Grazie all’interessamento di Umberto Giordano l’opera fu rappresentata alla Scala di Milano il 17 marzo 1932, direttore Franco Ghione.
Questo lavoro teatrale differisce sensibilmente dal precedente, segnando il distacco del compositore dalla corrente neoclassica, ch’egli considerava ormai superata: si caratterizza semmai per lo stile eclettico, che accosta elementi di derivazione eterogenea; forme musicali antiche convivono con accenni al jazz e al blues e con melodie di estrazione folklorica. Il pubblico scaligero reagì in modo negativo alle novità dell’opera, che suscitò un’accesa polemica fra detrattori e sostenitori.
Dal 1930 al 1933 fu docente di pianoforte complementare nel liceo musicale di Torino e nel 1933 diede vita a Roma all’Accademia di musica della Gioventù italiana del littorio presso il Foro Mussolini (l’odierno Foro italico), dove insegnò fino al 1943. Durante il periodo romano divenne membro dell’Accademia di S. Cecilia e dell’Accademia filarmonica romana. Nella capitale compose il «divertimento per la danza» Il galante tiratore, ispirato ai poemi in prosa Le spleen de Paris di Charles Baudelaire. Il balletto, anch’esso su soggetto di Bacchelli, fu dato la prima volta nel 1933 al teatro del Casinò di Sanremo, direttore Antonino Votto. L’anno successivo Veretti si dedicò di nuovo al teatro musicale, componendo l’azione mimo-sinfonica in un atto Una favola di Andersen (libretto proprio, dalla fiaba La piccola fiammiferaia), eseguita al Festival internazionale di Venezia, direttore Hermann Scherchen: alcuni brani della partitura confluirono nella successiva Suite in Do, eseguita nell’aprile del 1936 all’Augusteo di Roma, direttore Bernardino Molinari.
In questi anni Veretti si dedicò anche alla musica per film, componendo un certo numero di colonne sonore. La collaborazione più importante fu con il regista Augusto Genina, dalla quale nacquero i film Squadrone bianco (1936), L’assedio dell’Alcazar (1940) e Bengasi (1942). All’interesse per il cinema è legato anche l’incarico d’insegnamento di storia della musica ch’egli ricoprì nel Centro sperimentale di cinematografia di Roma nel biennio 1936-37, prima di venir nominato, nel 1938, docente di composizione nel Conservatorio di Palermo.
Negli anni di guerra la sua produzione si orientò verso composizioni di ispirazione religiosa, quali l’oratorio Il figliuol prodigo (1942), dal Vangelo secondo Luca, e la Sinfonia sacra per coro maschile e orchestra, su testi tratti dai libri dei Profeti, eseguita nell’aprile del 1947 al teatro Argentina, direttore Mario Rossi. Le opere successive sono invece caratterizzate da un graduale accostamento alla tecnica dodecafonica, che il compositore applicò dapprima in maniera saltuaria, circoscritta a brevi frammenti delle sue partiture, come nel Concerto per pianoforte e orchestra (1949) e nelle Quattro poesie di Giorgio Vigolo (1952), indi ergendola a principio regolativo dell’intera composizione, come nell’Ouverture della campana per orchestra (1952) e nella Sonata per violino e pianoforte (dedicata «a una figlia immaginaria», 1953).
In Veretti il ricorso alla tecnica dodecafonica si caratterizza per la costante ricerca di un compromesso tra rigore formale ed espressività tradizionale, su una strada non dissimile da quella già intrapresa qualche anno prima da Luigi Dallapiccola.
Negli anni Cinquanta fu impegnato come direttore in vari conservatori statali: dal 1950 a Pesaro, dal 1953 a Cagliari e dal 1956 a Firenze; contestualmente a quest’ultimo incarico presiedette anche l’Accademia nazionale Luigi Cherubini. Il 29 gennaio 1955 andò in scena al teatro dell’Opera di Roma la Burlesca, rifacimento del Favorito del re: l’accoglienza favorevole riscattò l’insuccesso della prima versione. Ma il lavoro più importante del periodo fu I sette peccati, mistero musicale coreografico, che andò in scena alla Scala il 24 aprile 1956, direttore Nino Sanzogno, coreografia di Janine Charrat, ma già eseguito qualche settimana prima in forma di concerto al teatro Argentina di Roma.
Il soggetto, ideato dall’autore dopo una lettura del Purgatorio dantesco, si aggiunse ai già citati lavori d’ispirazione religiosa. I sette quadri coreografici elaborano un’unica serie dodecafonica, strutturati secondo modelli formali classici: Passacaglia (Superbia), Scherzo e Trio (Avarizia), Invenzione canonica (Accidia), Ostinato (Ira), Aria (Invidia), Gagliarda (Gola), Largo (Lussuria). A ciascun peccato fa seguito una ‘espiazione’ in forma di mottetto o di corale non dodecafonico, intonato dal coro a cappella.
Altri importanti lavori dodecafonici sono le Elegie per canto, violino, clarinetto e chitarra (1964) su testi in dialetto friulano di Franco de Gironcoli, che palesano una crescente influenza dello stile di Anton Webern, e la Prière pour demander une étoile (1967), per coro a cappella (trascritta l’anno successivo per coro e orchestra), su testo di Francis Jammes, commissionata dall’Accademia Chigiana di Siena. In questo ulteriore lavoro di indirizzo religioso Veretti coniuga l’idioma dodecafonico con una scrittura neomadrigalistica. Risale al 1969 l’assegnazione del premio internazionale Guido d’Arezzo da parte dell’omonima fondazione, al 1972 la composizione delle Tre bagatelle per violino solo, al 1976 i Bicinia per violino e viola.
Morì nell’ospedale Villa S. Pietro di Roma il 12 luglio 1978 (la data del 13 o del 14 luglio spesso riportata in opere di consultazione è smentita dal certificato di morte). L’archivio delle sue opere è stato donato alla biblioteca della Scuola di musica di Fiesole, istituzione ch’egli aveva contribuito a fondare.
Sebbene le sue musiche siano oggi raramente eseguite, Veretti va annoverato fra i maggiori esponenti della cosiddetta generazione di mezzo; raccolse l’eredità della cosiddetta generazione dell’Ottanta (Pizzetti e Casella in primis), aprendola verso l’idioma dodecafonico, al quale egli aderì senza peraltro mai spingersi sul terreno della sperimentazione radicale.
Ulteriori composizioni (Milano, Ricordi, salvo diversa menzione): Sonata come una fantasia per violoncello e pianoforte (1924); Canzone in memoria di Arcangelo Corelli per violoncello e pianoforte (1927); Duo strumentale per violino e pianoforte (1927); Partita per orchestra d’archi (1928); Sei stornelli per canto e pianoforte (1928); Due canti del Tasso per canto e pianoforte (Milano, Carisch, 1929); Omaggio a Ildebrando Pizzetti per pianoforte (1931); Madrigale e ballata per canto e pianoforte (1933); Divertimento per clavicembalo e sei strumenti (1939); Sinfonia epica (1939); Quattro cori (1940); Sonatina per pianoforte (1957); L’allegria, sette poesie di Giuseppe Ungaretti (1958); Fantasia per clarinetto e pianoforte (Paris, Leduc, 1959); Due madrigali per coro (1968). Tra gli scritti musicali: Pensieri utili e inutili, in Il pianoforte, VII (1926), pp. 14-16; Adriano Lualdi, in Rivista musicale italiana, XXXV (1928), pp. 105-123; Il problema del linguaggio nella musica moderna, in Atti del quinto congresso di musica, Firenze 1948, pp. 105-109; Aspetti della musica nel film, in Bianco e nero, XI (1950), 5-6, pp. 44-48.
Fonti e Bibl.: G. Bastianelli, Un nuovo musicista: A. V., III (1922), pp. 250-253 (rist. in Id., La musica pura. Commentari musicali e altri scritti, a cura di M. Omodeo Donadoni, Firenze 1974, pp. 322-325); F. Brusa,“Il favorito del re” di A. V. ed Arturo Rossato, in Rivista musicale italiana, XXXIX (1932), pp. 152-159; G.M. Gatti, Aspetti della situazione musicale in Italia, in La rassegna musicale, V (1932), pp. 38-47; M. Rinaldi, Musicisti della generazione di mezzo: A. V., in Musica d’oggi, XXIII (1941), pp. 228-237, 264-271; N. Costarelli, A. V. Sonata per violino e pianoforte, in Rivista musicale italiana, LVI (1954), p. 99; Id., A. V., in La rassegna musicale, XXV (1955), pp. 26-32; R. Vlad, Storia della dodecafonia, Milano 1958, pp. 201-204; M. Mila, Sette peccati senza penitenza, in Cronache musicali: 1955-1959, Torino 1959, pp. 179-182; N. Costarelli, A. V. e la sua “Prière pour demander une étoile”, in Chigiana, XXIII, n.s., III (1966), pp. 291-296; A. Gentilucci, Guida all’ascolto della musica contemporanea, Milano 1969, pp. 439-441; G. Vigolo, I peccati dodecafonici, in Mille e una sera all’opera e al concerto, Firenze 1971, pp. 317-319; F. Nicolodi, Musica e musicisti nel ventennio fascista, Fiesole 1984; R. Zanetti, La musica italiana nel Novecento, II, Busto Arsizio 1985, pp. 936-947, 1104, 1230-1236; L. Verdi, Per un archivio di musiche su testi carducciani, in Qual musica attorno a Giosue. Atti del Convegno... 2007, a cura di P. Mioli, Bologna 2009, pp. 154, 157; A. Sessa, Il melodramma italiano, 1901-1925, Firenze 2014, pp. 899 s.