TRIPOTI, Antonio
– Nacque il 5 giugno 1809 a Teramo, capoluogo dell’Abruzzo Ulteriore Primo, da Savino e da Anna Maria Salvatore, in una famiglia di commercianti.
Il padre, oppositore del regime borbonico, lo educò fin da ragazzo a solidi principi liberali. Tripoti entrò in precoce contatto con gli ambienti carbonari della provincia teramana e fu costretto all’esilio già nel 1828, poco meno che ventenne. Stabilitosi in Francia, prese parte alla rivoluzione del luglio del 1830 e si arruolò come volontario nel corpo dei Lancieri. Acceso sostenitore dell’indipendenza belga, nel 1831 partecipò alla spedizione francese contro gli olandesi e poi, durante l’inverno del 1832, si distinse nell’assedio di Anversa ottenendo il grado di sottotenente.
Come altri emigrati politici aderì alla setta buonarrotiana dei Veri Italiani, un’organizzazione di matrice repubblicana, egualitaria e unitaria che, fondata nel 1832 e sciolta alla fine dell’anno seguente, agì in accordo con la Giovine Italia di Giuseppe Mazzini. Il suo ruolo di cospiratore non fu passivo. Nel dicembre del 1832, mediante l’intercessione paterna, Tripoti poté rientrare nel Regno delle Due Sicilie, dove iniziò a curare da commesso viaggiatore gli affari di famiglia. Al padre, tornato da Napoli a Teramo nel dicembre del 1831, dopo aver chiuso una bottega da negoziante, era stato infatti concesso un appalto di forniture militari e carcerarie. Sotto questa copertura Antonio operò da agente rivoluzionario tra la capitale e le province abruzzesi, almeno finché la polizia borbonica non gli impose il confino a Chieti, nell’aprile del 1833.
La restrizione non ne interruppe l’attività settaria. In quel periodo Tripoti lavorò a un piano di insurrezione coordinato da Mazzini e alcune congreghe provinciali, in particolare quella, molto agguerrita, dell’Aquila. Il giovane, piuttosto incauto, diventò suo malgrado una pedina nelle mani del ministro Francesco Saverio Del Carretto. Durante l’estate gli fu infatti concesso di tornare a Napoli, epicentro della cospirazione. Venne lasciato libero nei movimenti, ma gli fu affiancato un confidente di polizia, tale Ferdinando Cocoli, al quale Tripoti rivelò i dettagli del piano. Inoltre, la spia entrò in contatto con numerosi aderenti al progetto e fu introdotta ai segreti dell’associazione, procurandosi copie di diplomi, statuti, giuramenti. Tutto ciò agevolò la repressione di un progetto temerario, giunto comunque allo stato avanzato, sancendone il fallimento.
Mentre i corrispondenti mazziniani venivano arrestati, Tripoti riuscì a lasciare la città prima del fermo convalidato dalle autorità borboniche. La fuga costò una breve incarcerazione al padre, oltre che ad alcuni impiegati della famiglia, accusati di averne favorito la latitanza abruzzese, prolungatasi per quattordici mesi. Secondo esilio, ancora in Francia, a Romans, nel dipartimento della Drôme. Lì sposò Giuseppina Thommassett, con la quale ebbe il primogenito Savino (23 aprile 1840). Tempo dopo la donna si stabilì in Abruzzo, presso il suocero, accudendo il figlio (un altro, Vincenzo, morì infante) e spendendosi in prima persona per ottenere la grazia del marito. Grazia che venne concessa da re Ferdinando II soltanto nel 1844, quando Tripoti rincasò a Teramo, dove nacquero Luigi (3 aprile 1846) e Carlo (6 novembre 1847).
Nel corso del 1848 fu tra gli organizzatori della guardia nazionale. Collaborò inoltre alla formazione dei comitati popolari e prese parte attiva nei disordini locali. Nei suoi discorsi pubblici sostenne di aver combattuto il 15 maggio a Napoli in nome della rivoluzione costituzionale, riuscendo a sfuggire in maniera rocambolesca alla repressione. Di certo fu a Teramo il successivo 30 maggio, onomastico di Ferdinando II, quando nella chiesa di S. Agostino i repubblicani, in luogo di festeggiare il monarca, celebrarono solenni funerali in omaggio ai martiri napoletani. Per l’insieme dei fatti quarantotteschi la Gran corte criminale di Teramo condannò Tripoti, frattanto contumace, a ventiquattro anni di ferri. Il patriota si era rifugiato ad Ascoli e, nel luglio del 1849, partecipò alla difesa della Repubblica Romana dall’assedio delle truppe francesi inviate da Napoleone III.
La restaurazione di Pio IX lo costrinse al terzo esilio. Tripoti si recò stavolta a Marsiglia e con l’aiuto di Filippo Delfico, altro protagonista del 1848 teramano, avviò un opificio di ebanisteria. In seguito fondò una ditta registrata come Exportation & Importation A. TRIPOTI & S.T GEORGES e stabilì traffici commerciali con lo spazio nordamericano. Ma nel settembre del 1852, a circa un anno dalla morte del padre Savino, Antonio apparve a Nizza, espulso per ragioni politiche dalla polizia francese, insieme ad altri esuli italiani. Nel 1855 se ne ha traccia a Genova: con tale Benedetto Zampi ottenne la privativa decennale del brevetto di una macchina per la realizzazione di mattoni forati. Ancora, risale al 1857 il trasferimento a Barcellona, dove Tripoti gestì, per l’appunto, una fabbrica di mattoni. In Spagna lo raggiunse Savino, non appena terminati gli studi liceali. Si inaugurò così la stretta comunanza di destini e intenti che legò Antonio ai tre figli, tutti ferventi garibaldini.
Nel 1857 il primogenito entrò alla scuola militare di Sorèze, in Francia, ma lo stato quieto delle cose durò poco. Allo scoppio della seconda guerra d’indipendenza, nel 1859, Savino fuggì dal collegio per aggregarsi ai Cacciatori delle Alpi. Poi, nella tarda primavera del 1860, sciolto l’esercito dei volontari, si recò a Genova e venne incaricato da Agostino Bertani di preparare la rivoluzione nel Teramano sotto l’egida del partito d’azione locale, capeggiato da Sabatino Medori. Luigi, cresciuto nel mito del patriottismo familiare, affrontò invece il viaggio opposto. Soltanto quattordicenne, rubò l’argenteria di casa e raggiunse il capoluogo ligure, troppo tardi per salpare con i Mille, presto abbastanza per aderire alla spedizione Medici. Sbarcò quindi in Sicilia, combatté a Palermo, Milazzo e Reggio Calabria, trionfò a Napoli il 7 settembre 1860. Fu agli ordini del generale Nino Bixio fino allo scioglimento dell’esercito meridionale e, nel 1861, tornò in Abruzzo per contribuire alla repressione del brigantaggio, al fianco del fratello e del padre.
Anche quest’ultimo aveva cercato di rendersi utile a Giuseppe Garibaldi. Dapprima recandosi a Firenze e Rimini in vista della spedizione nello Stato pontificio, presto abortita; poi, da Barcellona, salpando di nuovo alla volta di Genova, dove tuttavia arrivò quando i volontari avevano ormai lasciato il porto di Quarto. Il comitato genovese individuò in Tripoti l’uomo giusto per guidare la rivoluzione ai confini settentrionali del Regno borbonico. Fu spedito a Napoli per ricevere ordini e da lì, amnistiato dalla costituzione concessa da Francesco II (25 giugno 1860), rientrò finalmente a Teramo. L’intendente Pasquale De Virgilii, fiduciario di Cavour, lo nominò ispettore organizzatore della guardia nazionale di Teramo (31 agosto 1860) e, poco dopo, maggiore delle quattro compagnie locali (5 settembre).
La proclamazione della dittatura garibaldina e il crollo del Regno borbonico resero superflua l’insurrezione armata. Già l’8 settembre venne proclamato il governo prodittatoriale teramano, guidato dallo stesso De Virgilii insieme a Clemente De Caesaris e Troiano Delfico, figure di spicco dell’area democratica. A Tripoti, capo del Comitato d’azione con Valerio Forti, Berardo e Luigi Bonolis, fu contestualmente assegnato il Comando militare delle armi della provincia. Poté così organizzare i Cacciatori del Gran Sasso, un corpo di volontari – una delle tre compagnie fu affidata a Savino – che nell’autunno del 1860 concorse alle operazioni dell’esercito piemontese oltre il Tronto.
Alla fine di settembre, con le truppe di Vittorio Emanuele II acquartierate nelle Marche, un intricato affaire montato dai moderati sul contenuto di alcuni telegrammi dipinse Tripoti come un pericoloso repubblicano, pronto a combattere i Piemontesi dietro ordine di Bertani. L’episodio, gestito localmente da De Virgilii per legittimare l’opzione monarchica e intestare al moderatismo la transizione provinciale, ne minò la reputazione, sebbene egli avesse garantito l’accoglienza fraterna al passaggio dei soldati sabaudi. Inoltre, una volta eseguito il comando di sguarnire il fronte, Tripoti guidò i Cacciatori del Gran Sasso nella repressione dei moti reazionari di Roccaraso, Rivisondoli, Pescocostanzo, Lama, S. Pietro Avellana, Barrea e Castel di Sangro. Disperse i borbonici a Rionero e nei pressi di Isernia, quartier generale dei legittimisti, unendosi alle colonne del generale Enrico Cialdini anche nella battaglia del Macerone (20 ottobre 1860).
Egli rivendicò i propri meriti in uno scritto polemico (Antonio Tripoti al popolo del I Abruzzo Ultra, Napoli 1860), nel quale rigettò ogni sospetto di antipiemontismo e avanzò pesanti accuse contro la leadership liberale abruzzese. Il clima velenoso aveva in effetti contribuito al fallimento delle trattative, guidate da Tripoti, per la capitolazione pacifica della fortezza di Civitella del Tronto. Essa avrebbe ceduto solo dopo un lungo assedio, il 20 marzo 1861. Diverso il caso di Pescara, dove nel settembre del 1860 lo stesso Tripoti e De Caesaris ottennero la consegna del bagno penale alla guardia nazionale di Chieti. Arrestati sulla strada per Napoli dai gendarmi borbonici, i patrioti ne contrattarono lo sbandamento facendo leva sull’allarme scaturito da un presunto attacco garibaldino. La cospicua ricompensa in denaro, distribuita come congedo ai soldati della guarnigione, accelerò le operazioni di resa del fortino.
In seguito a questi episodi fu a Napoli, dove si occupò del reclutamento di volontari in vista di una spedizione garibaldina in Ungheria. A partire dall’agosto del 1861, nominato da Cialdini sottoispettore della guardia nazionale mobile e sedentaria, Tripoti si distinse nella lotta al brigantaggio. Contribuì alla rapida pacificazione del Teramano, operando in accordo con il potere militare e scontrandosi spesso con le autorità civili. I metodi disinvolti, nonché la tendenza accentratrice, gli valsero comunque l’inimicizia del maggiore Luigi Strambio, che ne lamentò la predilezione per l’arruolamento di ex volontari garibaldini e il carattere arbitrario di alcune iniziative culminate con numerose fucilazioni. All’abolizione del sottoispettorato, nell’ottobre del 1861, l’organizzazione della guardia nazionale fu dunque assegnata al solo Strambio.
Nel 1863, ormai ai margini dell’azione politica, Tripoti venne nominato ispettore forestale per il distretto di Teramo. Accettò con una certa amarezza la carica, che mantenne fino alla morte, sopraggiunta a Teramo il 21 ottobre 1872.
I figli, invece, imboccarono la via dell’emigrazione. Il primogenito Savino, ricevitore del lotto, negli anni seguenti partecipò alla fondazione delle colonie Emilia e Ausonia, in Argentina, e della colonia Alexandra, in Brasile. Il mezzano Luigi si arruolò nella fanteria dell’Esercito italiano, senza mutare convinzioni politiche: nel 1867 tentò invano – fu arrestato – di raggiungere la spedizione garibaldina nell’Agro romano. A fine ferma espatriò in Brasile. Il minore, Carlo, di mestiere orefice, prese parte alle campagne di Garibaldi del 1866 e 1867. Combatté a Mentana e si trasferì anch’egli, infine, nel continente americano.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Teramo, Miscellanea, b. 4, Ms. Tripoti, 186 ff.; Bologna, Biblioteca del Museo civico del Risorgimento, Archivio delle Posizioni, f. Antonio Tripoti, [L. Tripoti], Cenni biografici di A. T. e dei suoi figli Savino, Luigi, e Carlo per la parte che presero nei fatti politici per abbattere la tirannide borbonica, 13 ff., [1910]; Italia e Popolo. Giornale politico, 16 e 25 settembre 1852; Gazzetta del popolo, 28 gennaio 1853. Si vedano inoltre: C. De Caesaris, La verità alle prese con la menzogna, Napoli 1860, passim; A. Mambelli, Brano di storia patria contemporanea. Le reazioni, ed i reazionarii, Napoli 1860, passim; D. Salazaro, Cenni sulla rivoluzione italiana del 1860, Napoli 1866, passim; S. Romano, Il soldato napolitano, o Da Napoli a Gaeta. Errata corrige della storia e della filosofia della storia contemporanea, Napoli 1869, passim; G. di Revel, Da Ancona a Napoli. Miei ricordi, Milano 1892, passim; B. Costantini, Azione e reazione. Notizie storico-politiche degli Abruzzi, specialmente di quello chietino, dal 1848 al 1870, Chieti 1902, ad ind.; D. Peruzy, Ricordanze patriottiche in Abruzzo, in Corriere abruzzese, 14 gennaio-25 febbraio 1912; G. Paladino, Una congiura mazziniana a Napoli nel 1833, in Archivio storico per le province napoletane, XLIX (1924), pp. 287-320; Dizionario del Risorgimento nazionale. Dalle origini a Roma capitale. Fatti e persone, IV, Le persone, R-Z, diretto da M. Rosi, Milano 1937, ad vocem; La liberazione del Mezzogiorno e la formazione del Regno d’Italia. Carteggi di Camillo Cavour con Villamarina, Sciajola, Cordova, Farini ecc., III, Ottobre-Novembre 1860, Bologna 1952, ad ind.; R. Colapietra, L’Abruzzo nel 1860, in Archivio storico per le province napoletane, LXXIX (1961), pp. 81-135; M. Muzii, Teramo e l’impresa dei Mille, Pescara 1961, ad ind.; F. Molfese, Storia del brigantaggio dopo l’Unità, Milano 1964, ad ind.; M. Battistini, Esuli italiani in Belgio. 1815-1861, Firenze 1968, ad ind.; E. Bonanni, La guerra civile nell’Abruzzo teramano, 1860-1861, Teramo 1974, ad ind.; L. Lopez, Processi politici per il 1848 abruzzese, L’Aquila 1984, ad ind.; E. Francia, Le baionette intelligenti. La Guardia Nazionale nell’Italia liberale, 1848-1876, Bologna 1999, pp. 67 s., 76-79, 81, 88 s.; A. Sangiovanni, «Evviva Francesco II morendo gridiam». Aspetti politici del brigantaggio in Abruzzo, in Trimestre, XXXIV (2001), 1-2, pp. 223-295; R. Aurini, Dizionario bibliografico della gente d’Abruzzo, Colledara 2002, ad vocem; Garibaldini in Abruzzo, 1860-1870: l’Abruzzo Ultra I, a cura di G. Di Leonardo - M.R. Bentivoglio, Mosciano S. Angelo 2002, ad ind.; C. Pinto, La rivoluzione disciplinata del 1860. Cambio di regime ed élite politiche nel Mezzogiorno italiano, in Contemporanea, XVI (2013), 1, pp. 39-68.