TRENTANOVE, Antonio
– Nacque a Rimini da Michele e da Rosa Baldassari. La data di nascita non è nota: si può circoscrivere alla primavera del 1740, incrociando quanto riportato in una perizia dell’11 giugno 1768, quando l’artista stesso asseriva di avere 28 anni compiuti (Rimini, Archivio storico diocesano, Processo per la canonizzazione del b. Gregorio Celli di Verucchio, vol. 76, cc. n.n., in A. Donati, I Beati di Verucchio. Nuovi contributi, in Studi romagnoli, LIV (2003), pp. 51-74; Massari, in Tumidei, 2016, p. 18), con gli Stati delle anime della parrocchia faentina di S. Stefano del 1794 dove lo scultore è registrato come cinquantatreenne (Faenza, Archivio della cattedrale, cc. n.n.).
Appresi i primi rudimenti dell’arte in patria, al fianco dello scultore Carlo Sarti, nel 1761 si recò a Bologna per proseguire la formazione all’Accademia Clementina sotto l’egida dei fratelli Ubaldo e Gaetano Gandolfi e nutrendosi degli insegnamenti di Angelo e Domenico Piò, di Filippo Scandellari e di Petronio Tadolini: per due anni consecutivi, 1765 e 1766, si aggiudicò sia il premio Fiori per la frequenza sia il premio Marsili Aldrovandi, dapprima nella seconda classe di scultura, con il rilievo in terracotta raffigurante Sansone e il leone (Bologna, Pinacoteca nazionale), e poi nella prima, con il bassorilievo con Giacobbe benedice Manasse ed Efraim (Bologna, Accademia Clementina). In questi anni poté giovarsi delle sovvenzioni della Confraternita riminese di S. Girolamo, alla quale, in segno di gratitudine, donò un rilievo con il Transito di s. Girolamo (ante 1771, Rimini, Oratorio di S. Giovanni).
Conclusi gli studi, tornò in patria dove lo si trova già nel 1768, quando sottoscrisse la perizia citata; di lì a poco si unì in matrimonio a Vittoria Taddei (o Tadei, nata nel 1750 circa) dalla quale ebbe otto figli: i primi cinque nacquero a Rimini (Marianna nel 1773 circa, Filippo nel 1775 circa, Gertrude nel 1777, Caterina nel 1781, Pietro nel 1785 circa) mentre gli ultimi tre a Faenza (Tomaso, 1786; Vincenza, 1789; Raimondo, 1792). Esordì poi come scultore autonomo in diversi cantieri ecclesiastici della Romagna. A Lugo (Ravenna), in S. Ilaro al Carmine, modellò angeli e figure allegoriche ai due altari del finto transetto (1771); entro il 1772 operò a Forlì nella distrutta chiesa dei Poveri della Misericordia – si conservano il busto di una Virtù (Bologna, Collezioni comunali d’arte) e alcune Teste di putti (collezioni private) –, e a Rimini, in S. Giovanni Battista, realizzandovi il sontuoso apparato plastico all’altare della Madonna del Carmine. In S. Stefano a Imola, entro il 1774, abbozzò i putti dell’altare maggiore, terminati dagli stuccatori ticinesi Domenico Trifogli e Giovanni Felice Magistretti. Dopo un breve soggiorno toscano – nel 1775 attese alla perduta ornamentazione scultorea dell’altare maggiore nel duomo di Sansepolcro – fu nuovamente a Forlì, dove plasmò i monumentali Evangelisti nella navata di S. Lucia (ante 1777).
Le novità della sua arte rispetto alla produzione locale gli consentirono di ottenere in breve un incarico di prestigio che lo condusse alla piena affermazione. Tra il 1774 e il 1779, infatti, collaborò con l’architetto Gaetano Stegani alla vasta impresa della chiesa riminese di S. Maria in Corte (o dei Servi). Egli si occupò della decorazione plastica svolgendola con la nobile teatralità del tardo barocco di timbro classicista appreso nelle aule della Clementina: entro il 1777 approntò i fastosi stucchi del presbiterio e degli altari; al biennio seguente si datano i solenni Telamoni in controfacciata, posti a sostenere la cantoria dell’organo, che rivelano la sua ormai compiuta maturazione stilistica e l’intima adesione al linguaggio gandolfiano. Sempre in patria, in S. Agostino, nel 1777, ornò l’organo, distrutto nel 1965; pochi anni più tardi, i canonici lateranensi lo incaricarono del monumento in onore di Pio VI ai Ss. Bartolomeo e Marino, compiuto nel 1784. Di lì a poco si trasferì a Faenza dove risiedette stabilmente almeno dal 1786 (cfr. l’atto di battesimo del figlio Tomaso del 15 settembre 1786 in Faenza, Archivio della cattedrale, Registri dei battesimi, vol. 1786-91, n. 43, c. 10r., n. 245): la cittadina romagnola in cui diede forma alle sue opere più celebri e che fu teatro del prolifico e proficuo sodalizio con i protagonisti della scena artistica locale, dominata dal pittore Felice Giani. Dapprima fu al fianco dell’architetto Giuseppe Pistocchi in svariate fabbriche cittadine: in palazzo Bandini-Spada rimangono nella loggia i Quattro Elementi (1780-85 circa); nel teatro Comunale le venti statue delle divinità dell’Olimpo, sottostanti al loggione, le insegne dell’Accademia dei Remoti sul boccascena e i diciannove bassorilievi del primo ordine di palchi (1783-85); nell’annessa galleria le otto statue raffiguranti temi allegorici connessi alla pace (1786), alla cui protezione e salvaguardia era deputata la magistratura dei Cento Pacifici che ivi si riuniva. In palazzo Gessi, oltre ai Putti reggistemma in facciata, Trentanove mise in opera, nello scalone d’ingresso, la monumentale scultura in stucco di Ercole e l’Idra (1786 circa), di cui si conserva il modelletto preparatorio in terracotta (Bacchi, in Tumidei, 2016).
In questi anni lo scultore entrò in contatto con Luigi Mortani, il quale gli affidò l’esecuzione delle statue del salone del palazzo di famiglia a Santa Sofia, nell’odierna provincia di Forlì-Cesena (1788), e, in qualità di amministratore dei beni ecclesiastici del Granducato di Toscana, ebbe verosimilmente un ruolo decisivo nell’assicurargli committenze in contesti sacri tra Umbria e Toscana: Trentanove, infatti, fu richiesto in S. Chiara a Sansepolcro, nella cattedrale di Città di Castello e in S. Agostino a Montepulciano. Dopo un breve rientro in Romagna, nel corso del quale arricchì di stucchi la chiesa del Suffragio a Longiano (1790-91), tra il 1792 e il 1794 partecipò al rinnovamento della cattedrale di Urbino, danneggiata dal terremoto del 1781: modellò coppie di angeli e, al primo altare della navata di sinistra, mise in opera il gruppo plastico del Battesimo di Cristo.
A Faenza, al fianco di Giani, fu protagonista della trasformazione in chiave neoclassica delle principali dimore nobiliari: in palazzo Laderchi completò la galleria di Amore e Psiche (1794) con candelabre e raffinati rilievi in stucco, di cui si conservano quattro modelletti in terracotta nel Museum of fine arts di Boston. Tornò nel medesimo palazzo tra il 1796 e il 1798 per eseguire, nel Gabinetto d’astronomia, il fregio composto dai bassorilievi con le Stagioni, il Giorno, la Notte, il Solstizio d’inverno e l’Equinozio d’autunno; alcune di queste rappresentazioni ritornano, con lievi varianti, nelle terrecotte già in palazzo Conti e nella fascia centrale di un vaso a cratere (Faenza, Museo internazionale delle ceramiche) che egli eseguì nel corso della sua collaborazione con la Manifattura Ferniani.
Frattanto, nel 1796, completò a Ravenna in S. Domenico il medaglione con S. Caterina d’Alessandria in gloria sorretto da angeli, e a Cesena le statue in S. Maria del Buon Aiuto, distrutta, e i Putti nella cappella della Madonna del Popolo nella cattedrale. Pressoché coeva e stilisticamente aggiornata alla sensibilità neoclassica è la decorazione della galleria di villa Caprile a Pesaro (1796-99 circa), commissionatagli da Francesco Mosca, con, alle pareti laterali, riquadri a bassorilievo che illustrano episodi sacri e, a coronamento delle porte, i ritratti di Pio VI e Ferdinando di Borbone, duca di Parma, entro medaglioni. Agli ultimi anni del secolo si datano gli Evangelisti nella cappella della Madonna di Gerusalemme in S. Francesco a Bagnacavallo (1798); l’ornato plastico in S. Biagio a Saludecio (1798-1800); la Mansuetudine e la Pace all’altare maggiore e gli stucchi dell’organo in S. Maria del Suffragio a Cesena (1800).
Con l’aprirsi dell’Ottocento, Antonio, pienamente incluso nell’équipe diretta da Giani, intervenne nei cantieri privati faentini, divenendo raffinato e originale interprete dei modelli grafici fornitigli dal pittore. Nelle statue di villa Gessi a Sarna (1799, oggi in collezione privata) e, soprattutto, nei rilievi delle case Ugolini (1800) e Fagnoli (1801-02), dei palazzi Naldi (1801-02), Conti-Sinibaldi (1802-04 circa) e Milzetti (1802-04) egli seppe tradurre nello stucco l’impeto visionario e neomanieristico delle invenzioni di Giani con un eccezionale virtuosismo tecnico, caratterizzato da un pittoricismo fluido e libero ottenuto mediante la padronanza dello stiacciato e l’abile resa dei delicati trapassi plastici.
Poche attestazioni rimangono della produzione di Trentanove a carattere devozionale: oltre ai documentati Crocifissi (nel 1779 per la Congregazione del SS. Sacramento di Monte Gridolfo e nel 1783 per la Confraternita riminese della SS. Concezione) e a un apparato quaresimale con figure in cera eseguito a Rimini nel 1777, le fonti gli attribuiscono il Compianto (a eccezione del Cristo) già nella chiesina dell’Ospedale vecchio di Forlì (Gori, 2004); sono stati accostati al suo catalogo anche un S. Antonio Abate in terracotta (Bologna, Collezioni comunali d’arte; Tumidei, 1991a, pp. 142-144) e un gruppo fittile con S. Giovanni e Cristo in pietà (A. Bacchi, Comunicazione scritta ai proprietari non pubblicata), precedentemente riferito a Gaetano Gandolfi (Sotheby’s, Tableaux, sculptures et dessins anciens et du XIXe siècle, Parigi, 21 giugno 2018, n. 90).
Forse incalzato dalla responsabilità di una famiglia numerosa, Trentanove si adoperò per ottenere un lavoro continuativo e stabile: nell’agosto del 1804 si trasferì a Carrara con l’incarico di custode dei gessi e formatore presso la locale Accademia di belle arti. Il ritrovamento dell’atto originale attesta che Antonio, allora dimorante nei pressi del duomo (parrocchia di S. Andrea), morì a Carrara il 4 aprile 1810 (Massa, Archivio storico diocesano, Fondo della Parrocchia di S. Andrea di Carrara, Defunti, reg. VII, c. 110v).
Fu il figlio Raimondo a proseguire l’arte del padre, preferendo, tuttavia, lo scalpello alla stecca (v. la voce in questo Dizionario).
Fonti e Bibl.: Bologna, Biblioteca comunale dell’Archiginnasio, ms. B135: M. Oretti, Notizie de’ professori del disegno, cioè pittori, scultori ed architetti bolognesi, sec. XVIII, c. 5 rv; Al celebre sig. A. T., scultore delle statue e bassirilievi del Nuovo Teatro di Faenza, in Al distinto merito della signora Anna Morichelli Bosello..., Faenza 1788; B. Gessi, La villa Gessi in Sarna presso Faenza: poemetto, Faenza 1837, 1843; P.G. Pasini, Artisti romagnoli per la parrocchiale di Saludecio sullo scorcio del Settecento, in Studi romagnoli, XVIII (1967), pp. 67-105; E. Golfieri, L’arte a Faenza dal neoclassicismo ai nostri giorni, I, Faenza 1975, ad ind.; E. Riccòmini, Vaghezza e furore. La scultura del Settecento in Emilia, Bologna 1977, pp. 27-31, 105-114; S. Acquaviva - M. Vitali, Felice Giani. Un maestro nella civiltà figurativa faentina, Faenza 1979, passim; E. Golfieri, Plastica e scultura, in L’età neoclassica a Faenza: 1780-1820, (catal.), a cura di A. Ottani Cavina et al., Bologna 1979, pp. 219-223; S. Zamboni, L’Accademia Clementina, in L’arte del Settecento emiliano. La pittura. L’Accademia Clementina (catal.), a cura di A. Emiliani et al., Bologna 1979, pp. 254 s.; E. Golfieri, Fra arte e artigianato nella Faenza del primo Ottocento, Faenza 1980, ad ind.; A. Nava Cellini, La scultura del Settecento, Torino 1982, pp. 128-130; F. Negroni - G. Cucco, Urbino. Museo Albani, Bologna 1984, pp. 8, 11, 14; P.G. Pasini, Tra architetti e manovali, artefici e artisti. Introduzione ai cantieri romagnoli del Settecento, in Romagna arte e storia, V (1985), 15, pp. 5-26; S. Tumidei, A. T. e la scultura del Settecento in Romagna, tesi di perfezionamento, Università degli studi di Bologna, a.a. 1988-89 (ed. in Tumidei, 2016, pp. 68-343); Id., Una nota su A. T., in Arte a Bologna, I (1990), pp. 133-138 (ried. in Tumidei, 2016, pp. 63-67); Id., in Presepi e terrecotte nei musei civici di Bologna (catal.), a cura di R. Grandi et. al, Bologna 1991a, pp. 141-144 (ried. in Tumidei, 2016, pp. 185-189); Id., Terrecotte bolognesi di Sei e Settecento: collezionismo, produzione artistica, consumo devozionale, ibid., 1991b, pp. 45 s.; F. Negroni, Il duomo di Urbino, Urbino 1993, pp. 130, 140 s.; P.G. Pasini, Arte in Valconca, II, Dal Barocco al Novecento, Milano 1997, passim; B. Montuschi Simboli, Le sculture di A. T. al Teatro Comunale “A. Masini” di Faenza, in Manfrediana, 1997-1998, n. 31-32, pp. 3-10; C. Prete, La galleria di villa Caprile, in Villa Caprile. Il tempio dei quattro elementi (catal., Pesaro), a cura di F.G. Motta, Milano 1998, pp. 110-113; A. Ottani Cavina, Felice Giani, 1758-1823, e la cultura di fine secolo, Milano 1999, passim; P.G. Pasini, Arte e storia della Chiesa riminese, Milano 1999, pp. 140-145; J.D. Draper, in L’esprit créateur: de Pigalle à Canova (catal.), a cura di J.D. Draper - G. Scherf, Paris 2003, pp. 166-168; G. Viroli, Scultura dal Duecento al Novecento a Forlì, Milano 2003, pp. 145, 164 s.; M. Gori, Il patrimonio artistico degli ospedali e delle strutture sanitarie del territorio forlivese, in I beni della salute: il patrimonio dell’Azienda Sanitaria di Forlì (catal.), a cura di M. Gori - U. Tramonti, Milano 2004, pp. 63-99; A. Colombi Ferretti, Palazzo Milzetti a Faenza, in L’officina neoclassica. Dall’Accademia de’ Pensieri all’Accademia d’Italia (catal., Faenza), a cura di F. Leone - F. Mazzocca, Cinisello Balsamo 2009, pp. 55-67; Palazzo Milzetti. Museo nazionale dell’età neoclassica in Romagna, testi di A. Colombi Ferretti, Fusignano 2011, passim; S. Cortesi, La scultura faentina in cartapesta (1750-1960), Faenza 2012, passim; A. Fogli, La cartapesta nell’arte, ovvero “le statue da l’arie pietose”, Ravenna 2012, pp. 108-112; E. Franca, Villa Caprile, Pesaro 2013, pp. 117-129; A. Giovanardi, Un secolo erudito e devoto: l’arte sacra a Rimini nel Settecento, in Storia della Chiesa riminese, III, Dal Concilio di Trento all’età napoleonica, a cura di S. Giombi, Rimini 2013, pp. 549-583; P.G. Pasini, Le chiese barocche. Architettura religiosa fra il tardo Rinascimento e l’età neoclassica, ibid., pp. 485-522; M. Vitali, A. T., biografia, in L’età neoclassica a Faenza dalla rivoluzione giacobina al periodo napoleonico, a cura di F. Bertoni - M. Vitali, Cinisello Balsamo 2013, p. 402; Ead., Vicende delle arti figurative a Faenza tra fine Settecento ed età napoleonica, ibid., pp. 41-69; S. Tumidei, A. T. e la scultura del Settecento in Romagna, a cura di A. Bacchi - S. Massari, Bologna 2016 (con bibliografia; in partic. S. Massari, Ritornando a T. tra Toscana, Umbria, Marche e Romagna, pp. 17-47; A. Bacchi, Un Algardi incognito: l’Ercole e l’Idra di A. T., pp. 49-61).