TERMINIO, Antonio
TERMINIO, Antonio. – Nacque a Contursi (ora in provincia di Salerno) nel terzo decennio del XVI secolo. La proposta di Benedetto Croce (1953) di identificarlo con uno dei due Marcantonio ‘di Termine’ registrati nei Fuochi di Contursi all’anno 1545, uno ventenne, l’altro diciannovenne (nati quindi nel 1525 e nel 1526), non può essere accolta, perché nelle edizioni dei suoi versi la forma del nome costantemente adottata è Antonio. L’oscillazione fu determinata dall’uso nelle stampe in volgare di premettere al nome la lettera puntata M., da alcuni sciolta in Marco, laddove più semplicemente sta per Messere. Sul frontespizio dell’edizione latina dei suoi Carmina (Venezia, Giolito, 1554) appare infatti nella forma Antonii Terminii Contursini Lucani. Tale oscillazione fece anche supporre l’esistenza di due diversi letterati (cfr. Toppi, 1678, pp. 32 e 204 e, dopo di lui, Fontanini, 1737, pp. 388 e 590 e altri), fino a quando la questione non fu risolta da Giovanni Bernardino Tafuri (1752, III, parte II, p. 77). Dall’elegia Ad M. Montenigrum ianuensem (Carmina, cit., cc. 66v-71v, testo con traduzione in Toscano, 2009, pp. 89-113) si desume che, avendo l’autore al momento della pubblicazione 25 anni, era nato nel 1529, figlio di un agricoltore, di cui si tace il nome, proprietario di un fertile campo, posto alla confluenza del Tanagro con il Sele, in località Cupone (cfr. Pignata, 2000), salutato nei versi come Cuponi pomaria, in cui visse gli anni dell’infanzia insieme al fratello minore Giuseppe e alle sorelle Camilla e Deianira.
Compì probabilmente i primi studi nella natia Contursi.
Negli anni di infanzia del poeta è attestata nel territorio di Contursi la presenza di un Antonello De Termine, «maestro de scola», che nel 1532 dichiarava di essere «profexo in la arte gramaticale da più di 9 anni et che have tenuta scola in publico per molti lochi de la Provincia de Citra» (Borzellino, 1976, p. 29). Ebbe probabilmente parentela sia con Giunio Albino Terminio, presente anch’egli nei Carmina del 1554 (cc. 15-32v) e i cui versi sono accompagnati dall’indicazione Terminii Senioris, sia con Nicolò Terminio, autore di un Trophaeum in lode di don Pedro de Toledo (stampato non prima del 1551: Toscano, 1992, p. 71 e 2009, pp. 14-15) all’interno del quale si leggono (c. H4v) cinque distici latini di Antonio. Insieme ai Terminio va ricordato, nativo anch’egli di Contursi e presente nei Carmina del 1554 (cc. 52v-56v), Lucio Domizio Brusoni, autore dei Facetiarum exemplorumque libri VII (Roma, Mazzocchi, 1516 e 1518), dedicati al cardinale Pompeo Colonna.
Non è possibile stabilire con precisione l’anno del trasferimento a Napoli di Terminio, che nel 1550 stampò un sonetto (c. 80rv) nel Discorso sopra tutti li primi canti d’Orlando Furioso fatti [!] per la signora Laura Terracina (Venezia, Giolito). Un suo sonetto fu stampato nel 1553 nel Sesto libro delle rime di diversi eccellenti autori allestito da Girolamo Ruscelli (Venezia, al segno del Pozzo, cc. 221v-222). Il primo significativo debutto è legato alla produzione di versi latini stampati in una miscellanea (Venezia, Giolito) del 1554: Antonii Terminii Contursini Lucani, Iunii Albini Terminii senioris, Molsae Bernardini Rotae, equitis neapolitani, et aliorum illustrium poetarum Carmina (cc. 3-16 e 66v-76), in cui furono pubblicate due serie di 20 e 18 componimenti, la seconda delle quali si apre con la ricordata elegia autobiografica al genovese Matteo Montenero, salutato da Ludovico Dolce nella dedica come diligente allievo, nella poesia latina e volgare, di Terminio. Probabilmente il giovane rampollo della ricca famiglia di banchieri genovesi, stabilita a Napoli da tempo, fu il finanziatore della stampa, non spiegandosi diversamente il largo spazio e la posizione di apertura riservati a Terminio, nonostante la presenza di poeti di età e di rango sociale maggiori di lui, quali Berardino Rota e Angelo Di Costanzo. Dopo una fugace apparizione nel Tempio alla divina signora donna Giovanna d’Aragona (Venetia, Plinio Pietrasanta, 1555: un sonetto a p. 170), fu ancora Montenero a patrocinare nel 1556 il lancio di Terminio nella galassia delle antologie di poesia volgare, come appare dal libro settimo delle Rime di diversi signori napolitani e d’altri nuovamente raccolte et impresse (Venezia, Giolito), in cui si leggono (pp. 26-52) una prima serie di 53 sonetti, seguita (pp. 202-224) da altri 19 sonetti e da una serie di ottave del giovane letterato di Contursi non ancora trentenne, elogiato, nella dedica di Dolce a Montenero, come astro nascente della poesia contemporanea, degno sodale, nella scia dei maestri Ludovico Ariosto, Pietro Bembo e Iacopo Sannazaro, della moderna pleiade dei napoletani Di Costanzo, Rota, Luigi Tansillo e Ferrante Carafa, con i quali intrattenne nutrita corrispondenza poetica. Dopo una nuova apparizione (un sonetto a p. 160) nelle Seste rime della Signora Laura Terraccina [sic] stampata in Lucca da Vincenzo Busdraghi nel 1558, nel giugno del 1559 Terminio procurò a Genova presso il tipografo Antonio Belloni l’edizione delle Rime spirituali di Carafa, cui premise un sonetto in argomento di tutta l’opra e una canzone all’autore. Alla fine di alcuni esemplari di questa edizione si trova un Discorso di Antonio Terminio della Miseria humana e della vera felicità, col sommario della vita di Giesù Cristo O. M., un opuscolo di 6 carte non numerate dedicato a Franco Lercari conservador dei regii Sigilli et Cancellaria del Regno di Napoli, che l’autore ricorda di aver conosciuto in Napoli «ha già tre anni» grazie ai buoni uffici di Matteo Montenero (Terminio, 2008, p. 54). Il trasferimento di Terminio a Genova, in base a una notizia riferita da Laura Terracina nella dedica premessa alla seconda edizione delle sue Seste rime (Napoli, Raimondo Amato, 1560), avvenne nei primi mesi del 1557, e fa da pendant con quanto detto da Pier Francesco da Tolentino, curatore nel 1581 dell’edizione postuma dell’Apologia di tre Seggi illustri di Napoli, che legava la partenza da Napoli all’offerta da parte del magnate genovese Lercari di un «honorato stipendio» e l’incarico di continuare «l’historia già cominciata dal Bonfadio» (c. A2v). È probabile che a Genova avesse avviato anche una collaborazione editoriale con Belloni, il quale qualche mese dopo, dedicando al napoletano Pasquale Caracciolo il volgarizzamento di Francesco Baldelli del De re aulica di Agostino Nifo (Napoli, De Caneto, 1534) stampato quello stesso anno con il titolo Cortegiano del Sessa, si rammaricò di non aver potuto stampare «un Ristretto, che egli ha fatto di quanto altri moderni si trovano havere scritto delle cose convegnenti ad huom di corte», perché Terminio, «che non ha potuto venir manco al personaggio che l’ha richiesto» (c. 4v), si trovava al momento in Corsica, dove i genovesi, che avevano riottenuto l’isola con il trattato di Cateau-Cambrésis, dovettero fronteggiare la resistenza capeggiata da Sampiero Corso. Belloni adombrava la possibilità di una stampa a breve di La gloria del cavallo dello stesso Caracciolo (uscito poi nel 1566 da Giolito a Venezia), il cui manoscritto, nella disponibilità di Terminio, era richiesto da vari tipografi. Nel 1563 Terminio fu a Venezia dove curò per Giolito la stampa della Seconda parte delle Stanze di diversi auttori, indirizzandola, con dedica del 20 giugno, alla nobildonna genovese Camilla Imperiali, pubblicandovi di suo due serie di stanze autobiografiche, rispettivamente di 30 e 20 ottave (pp. 479-494) e dando largo spazio ai napoletani Bernardino Martirano, Carafa, Tansillo, Di Costanzo, Lodovico Paterno e Mario Di Leo. Dopo due mesi esatti, il 20 agosto, Gabriele Giolito dedicò a David Imperiali il Secondo volume delle rime scelte di diversi autori, informandolo dell’intenzione di Terminio di dedicargli la propria raccolta di rime, divisa in due parti, avendo promesso al tipografo, cui aveva lasciato la prima parte, un rapido invio della seconda, che tuttavia sembra non essere mai avvenuto.
È fuor di dubbio che nel Secondo volume delle rime scelte del 1563, come e più che nel libro settimo del 1556, l’impronta di Terminio è evidente, essendogli riservata la posizione di apertura (pp. 1-66) e lo spazio per una raccolta di 132 rime, che a lettura ultimata rivelano una chiara organizzazione d’autore, con un’articolazione in tre blocchi (50 + 50 + 32), il primo adibito al ricordo di un infelice amore giovanile risalente al periodo trascorso a Napoli, il secondo al racconto della nascita di un nuovo amore che, dopo una iniziale ritrosia, si rasserena nella dimensione del matrimonio con una donna genovese di casa Fieschi salutato, nello stesso volume (p. 63), dal sonetto Gradisci, alma Giunon, le oneste voglie di Ludovico Dolce. I finali 32 pezzi raggruppano poesie di encomio e di corrispondenza (Toscano, 2004, pp. 147-188). Il confronto con la silloge del 1556, costituita, con qualche eliminazione successiva, dai pezzi che formeranno la ‘prima parte’ del ‘libro’ del 1563, rivela un significativo processo di rielaborazione i cui esiti testimoniano il notevole livello stilistico attinto da Terminio non ancora trentacinquenne (nel sonetto In palagio real, tra via battendo si dichiara, p. 52, v. 10, «del bel viaggio ancor non giunto al mezzo»).
Dopo il 1563 non si hanno notizie di Terminio. Nel 1581 sarebbe apparsa, con l’attribuzione a Terminio, la stampa dell’Apologia di tre Seggi illustri di Napoli (Venezia, Domenico Farri), con dedica senza data a Vespasiano Gonzaga Colonna, duca di Sabbioneta, di Pier Francesco da Tolentino, che riferisce di aver incontrato Terminio a Genova, e invece che «in prospero stato, ché havea già tolta moglie con buona dote», lo trovò «infermo con poca speranza di vita» (c. A2v). Terminio gli consegnò l’Apologia, che una consolidata tradizione attribuisce ad Angelo Di Costanzo (Chioccarelli, 1780, p. 42), «imperfetta con alcuni scartafacci dove havea disegnato il fine, et un libro di sonetti et epigrammi suoi, e ’l dì seguente morì».
Fonti e Bibl.: N. Toppi, Biblioteca napoletana, Napoli 1678; G. Fontanini, Biblioteca dell’eloquenza italiana, Venezia 1737; G.B. Tafuri, Istoria degli scrittori nati nel Regno di Napoli, Napoli 1752, t. III, parte II, pp. 76-78; B. Chioccarelli, De illustribus scriptoribus qui in civitate et regno Neapolis ab orbe condito ad annum usque MDCXXXXVI floruerunt, t. 1, a cura di G. Meola, Napoli 1780; B. Croce, A.T., in Id., Aneddoti di varia letteratura, I, Bari 1953, pp. 366-371; G. Borzellino, Contursi terme. Cenni storici fino al 1750, Contursi Terme 1976; T.R. Toscano, Contributo alla storia della tipografia a Napoli nella prima metà del Cinquecento (1503-1553), Napoli 1992; F. Pignata, In loco ubi dicitur. Gli antichi nomi dei luoghi a Contursi in Principato Citra dal XIII secolo, Materdomini 2000; T.R. Toscano, Un canzoniere in transito: il ‘libro’ di A.T. dalla giolitina dei ‘signori napolitani’ del 1556 al Secondo volume delle Rime scelte del 1563, in Id., L’enigma di Galeazzo di Tarsia. Altri studi sulla letteratura a Napoli nel Cinquecento, Loffredo 2004, pp. 147-188; A. Terminio, Discorso della miseria umana e della vera felicità col summario della vita di Giesù Cristo..., a cura di F. Pagnani, Contursi Terme 2008; T.R. Toscano, A.T. da Contursi poeta umanista del XVI secolo, prefazione di A. Quondam, Contursi Terme 2009.