STASSANO, Antonio
– Nacque a Campagna, in Principato Citra, il 3 marzo 1771 da Giuliano, proprietario, e da Margherita Colino.
La famiglia apparteneva alla borghesia rurale che possedeva nella piccola città del Salernitano, che era sede vescovile, il proprio palazzo nel quartiere Zappino. Tra i suoi antenati si erano distinti Agostino, canonico della cattedrale nel 1599, e Antonino che fu più volte giudice della bagliva.
Rimasto in giovane età orfano del padre e forse, poco dopo, anche della madre, Antonio studiò nel locale seminario vescovile e condusse tutta la sua vita nella cittadina natale, di cui fu a più riprese protagonista delle vicende militari e amministrative nel turbolento periodo compreso tra la rivoluzione napoletana del 1799 e le vicende del 1820-21. La prima notizia su di lui risale proprio ai rivolgimenti del 1799, a cui aderì più per la profonda contrarietà all’antico sistema feudale che per vicinanza ideale ai propositi rivoluzionari. Infatti sarebbe sempre rimasto un uomo d’ordine e un moderato, lontano sia dagli eccessi della rivoluzione sia dalla reazione sanfedista e, poi, dalle iniziative carbonare. Giurata fedeltà alla Repubblica, fu eletto giudice di pace dal parlamento locale, che il 4 febbraio 1799 lo nominò comandante capo di battaglione e lo pose alla guida delle tre compagnie della guardia civica costituite a Campagna, ritenendolo l’uomo migliore per garantire l’ordine pubblico. Quando la cittadina si trovò in pericolo perché i sanfedisti avevano preso il controllo della vicina Eboli, fu proprio Stassano a organizzarne la difesa, disponendo i presidi dei vari punti di accesso. Successivamente, quando Campagna rimase l’unico comune della zona ancora repubblicano, egli fece parte della delegazione inviata a Eboli presso il vescovo Ludovico Ludovici, plenipotenziario sanfedista, per cercare di dilazionare il pagamento della consistente somma da lui richiesta per accordare l’indulto alla comunità campagnese, poi ottenuto nel giugno del 1799. In realtà, nonostante la concessione del vescovo, a Campagna non mancarono arresti e ritorsioni contro le famiglie schieratesi a favore della Repubblica e lo stesso Stassano fu costretto a nascondersi in casa d’altri per evitare l’arresto. La situazione si tranquillizzò soltanto dopo l’indulto generale emesso dal sovrano il 23 aprile 1800.
A seguito della conquista francese del Regno di Napoli, nel febbraio 1806 Stassano fu confermato dall’università campagnese alla guida delle sette pattuglie della guardia civica cittadina, e nel luglio di quell’anno contribuì con le sue indagini a vanificare una congiura antifrancese che si stava lì organizzando. Quando la guardia civica confluì nella legione provinciale di appartenenza, Stassano ebbe l’incarico di capobattaglione e il 20 gennaio 1809 fu nominato da re Gioacchino Murat prima capitano della legione di Campagna e poi maggiore delle milizie provinciali. Membro del locale decurionato, all’inizio del 1809 fu inviato a Napoli presso il ministero dell’Interno per risolvere la questione della istituenda sottointendenza che, grazie alla sua opera, fu istituita nel maggio del 1811 a Campagna, che ne avrebbe tratto notevoli benefici dopo averla contesa a lungo alla vicina Eboli.
Tra il 1809 e il 1810 fu impegnato in una serie di efficaci operazioni di contrasto al brigantaggio nelle province di Principato Citra e Basilicata. Insieme ai suoi uomini fu tra i protagonisti, in particolare, della cattura del brigante Giuseppe Paterna, che agiva nei territori circostanti a cavallo delle due province, e di Michele Pezza detto fra’ Diavolo. A seguito di alcuni reclami, presentati anche personalmente al re, perché gli venisse riconosciuta una ricompensa per il suo impegno contro le bande brigantesche, il 31 dicembre 1809 Murat lo decorò di una medaglia commemorativa istituita in occasione dell’inaugurazione delle bandiere e gli concesse una ricompensa in proprietà e beni requisiti. L’8 gennaio 1812 fu nominato capobattaglione dei legionari del distretto di Campagna e, successivamente, fu promosso a tenente colonnello e nel 1814 a comandante del primo battaglione della legione provinciale. Dopo la restaurazione borbonica, il 26 agosto 1818 fu nominato nuovamente maggiore delle milizie provinciali del distretto di Campagna.
Non mancarono per lui anche ricompense e onorificenze: il 3 luglio 1814 ottenne la nomina a cavaliere dell’Ordine reale delle Due Sicilie ed il 31 ottobre 1819 l’inclusione tra i cavalieri di diritto dell’Ordine di S. Giorgio della Riunione.
Nel 1819, per incarico ricevuto direttamente da re Ferdinando I, Stassano fu protagonista della cattura di alcuni cacciatori che, scoperti nella tenuta reale di Persano, avevano ucciso un guardiacaccia e fino ad allora erano sfuggiti alla giustizia, perché nascosti dalla carboneria, a cui erano affiliati. Nella campagna militare del febbraio-marzo del 1821 ebbe il comando di una compagnia di militi impegnati sul fronte di Pontecorvo, poi costretti a ripiegare a Mignano e Capua. Nel novembre di quello stesso anno, quale capitano del battaglione di Campagna, insieme ad altri fu protagonista dell’arresto di alcuni disertori rifugiatisi nel territorio campagnese. La fine dell’esperienza costituzionale, con cui Stassano si era schierato in quanto in quei frangenti legittima espressione del potere costituito, e il ritorno dei Borbone a una politica reazionaria segnarono definitivamente le sue sorti: sciolte le milizie provinciali, nell’ottobre del 1823 fu arrestato con l’accusa, da cui pochi mesi dopo sarebbe stato completamente prosciolto, di avere aderito alla carboneria e di essere stato un attivo sostenitore dei liberali.
Rientrato brevemente tra i membri del Decurionato della sua città alla fine degli anni Trenta, successivamente si ritirò a vita privata per dedicarsi alla sua famiglia e all’amministrazione del suo patrimonio che si era quasi del tutto esaurito nel corso della sua lunga attività militare, sia perché non aveva disdegnato di ricompensare spesso in proprio i soldati al suo comando, sia per l’inevitabile trascuratezza riservata agli affari di famiglia a causa delle sue battute militari nelle varie zone della provincia. A più riprese, perciò, tra il 1824 e il 1844 presentò invano istanze al sovrano per ottenere il riconoscimento del lungo servizio nelle milizie provinciali e un impiego nell’amministrazione o almeno una pensione, che gli consentissero di mantenere la sua famiglia.
Forse anche per documentare la sua opera a favore del potere governativo, a circa settant’anni, dopo il 1840, Stassano decise di scrivere le proprie memorie, che gli dettero notorietà.
Nonostante alcuni evidenti limiti, la sua opera memorialistica risulta fondamentale per ricostruire gli eventi che coinvolsero e videro protagonista una provincia del Regno di Napoli, il Principato Citra, nel travagliato periodo compreso tra la rivoluzione napoletana del 1799 e la restaurazione borbonica successiva ai moti costituzionali del 1821, attraverso il particolare e importante punto di vista della borghesia provinciale. L’opera è tradita da due manoscritti posseduti dalla Società napoletana di storia patria: l’originale fu donato alla Società nel 1919 da Ernesto Antonio Pietro Stassano, nipote dell’autore, mentre una sua copia mutila era già pervenuta in precedenza per donazione di Giuseppe De Blasiis.
Antonio Stassano morì a Campagna il 4 dicembre 1858.
Nel 1802 aveva sposato Caterina Barone, sorella di Michele, futuro vescovo di Capaccio, con la quale aveva avuto undici figli: Antonino, Filippo, Nicola, Rocco, Domenico, Giuliano e Pietro Paolo, Maria Cecilia, Concetta, Maria Apollonia e Margherita.
Nicola divenne un affermato architetto a Napoli, dove sposò Clorinda, figlia del collega Pietro Valente, mentre il fratello Filippo esercitò la stessa professione nella città natia, di cui nel 1875 estese una planimetria acquerellata. Giuliano si dedicò alla professione legale, Antonino divenne medico, mentre Domenico seguì al pari del padre la carriera militare – nel 1845 fu alfiere nel I battaglione cacciatori e dal febbraio del 1850 ebbe il grado di primo tenente nel reggimento carabinieri di fanteria – e l’8 marzo 1852 sposò a Napoli Maria Ducarne, figlia di un colonnello di Marina.
Opere. Memorie storiche del Regno (1799-1821), a cura di A. Cestaro, Venosa 1994; Cronaca. Memorie storiche del Regno di Napoli dal 1798 al 1821, a cura di R. Marino - M. Themelly, Napoli 1996.
Fonti e Bibl.: Campagna, Archivio comunale, Catasti onciari, b. 429; Archivio capitolare, b. 158, c. 115v; Archivio di Stato di Napoli, Stato civile, Montecalvario, Matrimoni, 1852, n. 28; Gabinetto di Polizia, b. 351/1478; Società napoletana di storia patria, Manoscritti, XXIII.C.17 e XXVI.A.17; Archivio di Stato di Salerno, Intendenza, bb. 2723/91 e 100; Tribunale di Salerno, Stato civile, bb. 787, 792, 794, 797, 804, 808.
Ruoli de’ generali ed uffiziali attivi e sedentanei del reale esercito e dell’armata di mare di sua maestà il Re del regno delle Due Sicilie redatti al 1° gennaio 1846, Napoli 1846, p. 98; Ruoli de’ generali ed uffiziali attivi e sedentanei del reale esercito e dell’armata di mare di sua maestà il Re del regno delle Due Sicilie redatti al 1° gennaio 1855, Napoli 1855, p. 69; C.N. Sasso, Storia de’ monumenti di Napoli e degli architetti che li edificavano dal 1801 al 1851, II, Napoli 1858, p. 198; A.V. Rivelli, Memorie storiche della città di Campagna, II, Salerno 1895, pp. 16-19; M. Schipa, Una cronaca inedita del Risorgimento, in Rendiconti della Reale Accademia dei Lincei. Classe di scienze morali, storiche e filologiche, XXVIII (1919), pp. 413-425; A. Sorrentino, Di una cronaca inedita del Salernitano, in Archivio storico della provincia di Salerno, IV (1924), 3-4, pp. 144-160, V (1926), 1-2, pp. 132-158, VI (1927), 1, pp. 34-62; R. D’Ambrosio - G. D’Ambrosio - A. D’Ambrosio, Campagna nell’Ottocento, Cava de’ Tirreni 1975, ad ind.; P. Ebner, Chiesa, baroni e popolo nel Cilento, I, Roma 1982, p. 370.