SPINELLI, Antonio
– Nacque a Capua il 23 marzo 1795, primo dei sei figli (quattro maschi e due femmine) di Francesco e di Maria Giuseppa Caterina Ungaretti.
Pochi anni dopo la sua nascita, da Capua, la famiglia si trasferì a Napoli, dove il padre morì nel 1807.
Apparteneva al ramo Scalea degli Spinelli, una grande famiglia patrizia, tra le più significative del Mezzogiorno, che raggiunse il culmine della potenza politica nella seconda metà del Settecento conquistando un peso significativo alla corte di Carlo III di Borbone. Era quella che Bernardo Tanucci definì ‘la Spinelleria’, consacrata dalla nomina di Giuseppe Spinelli (del ramo dei Fuscaldo) a cardinale arcivescovo di Napoli.
Spinelli visse la sua giovinezza nell’ambiente intensamente politicizzato e modernizzante del Decennio francese. Iniziò presto la carriera burocratica, anche per provvedere al sostentamento del ramo paterno, rimasto privo di redditi in seguito ad alcune vicende familiari. La sua ascesa iniziò con la Restaurazione borbonica. Negli anni dell’amalgama fu favorito dalla politica di Luigi de’ Medici che voleva governare il nuovo Regno delle Due Sicilie mantenendo un clima di collaborazione con le élites affermatesi negli anni dell’Impero napoleonico. In quel contesto, Spinelli assunse quel profilo di moderato, liberaleggiante ma legato alla dinastia, mite e riservato, che avrebbe conservato per tutta la vita.
A partire dal 1817 fu referendario del Supremo Consiglio di cancelleria.
Il 2 febbraio 1818 sposò a ventitré anni Mariateresa Marulli, con la quale ebbe quattro figli: Giuseppina, Vincenzo Marcello, Carlo Pasquale e Francesco.
Con il decreto reale del 12 aprile 1820 venne nominato direttore del Grande Archivio di Napoli e, nel 1826, sovrintendente generale degli Archivi del Regno. Si integrò sempre di più nelle istituzioni del regime borbonico, senza sposare mai le tendenze radicali dell’assolutismo. Poco dopo la salita al trono di Ferdinando II, nel gennaio del 1832, ottenne, come riconoscimento per il suo operato, la nomina a commendatore del Real Ordine di Francesco I. In tale veste, si oppose energicamente al progetto di affidare la gestione di tutti gli Archivi dello Stato ai monaci di Montecassino e promosse quella che lui stesso chiamò «la grande organizzazione degli Archivi del Regno» (A. Spinelli, Scritti..., 1860, p. 22).
Questo suo impegno come uomo delle istituzioni raggiunse il culmine nel 1845 quando, in occasione del VII Congresso degli scienziati italiani, che si tenne a Napoli, presentò il suo Ragionamento degli Archivi napoletani, pubblicato dalla Stamperia reale, ottenendo anche il trasferimento dell’Archivio di Stato dalla vecchia sede di Castel Capuano alla nuova sede nel monastero dei Ss. Severino e Sossio, dove ancora oggi si trova.
In quell’occasione non solo marcò, anche personalmente, quella che fu tra le tappe più importanti del processo di rifondazione del patrimonio del Regno, ma colse anche l’opportunità per descrivere i tesori dell’Archivio napoletano, le leggi che lo regolavano e l’edificio in cui era ospitato. Il tutto accompagnato da una velata, ma chiara, affermazione di una posizione politica che celebrava l’impegno della monarchia, che aveva sostenuto e consentito la realizzazione di quell’impresa, ma anche la sua versione modernizzante. L’operazione del trasferimento, connessa alla pubblicazione del Ragionamento, fu molto apprezzata dai contemporanei e valse a Spinelli fama e considerazione sia negli ambienti culturali sia in quelli politici. Francesco Trinchera lo ricordò come scrittore «purgato ed elegante» e definì il Ragionamento un lavoro «assai pregevole [...] nel quale, se abbonda l’erudizione, non manca la critica discreta ed appropriata» (Trichera, 1872, p. 205). L’opera, di fatto, fu il suo risultato edito più importante e riconosciuto, tanto da fargli ottenere, tra gli altri, la grande stima di Carlo Troya.
La sua carriera politico-amministrativa, intanto, si era arricchita di nuove esperienze. Per due bienni (1833-35 e 1840-42), Spinelli era stato decurione della città di Napoli, unendo alla carica già ricoperta di soprintendente quella di membro della Consulta dei reali domini di qua dal Faro. In questo ufficio prese parte anche alla discussione sulla censura. La sua vocazione moderata e liberaleggiante emerse quando, tra il 1845 e il 1848, spinse per la stipula dei trattati di commercio e di navigazione fra il Regno delle Due Sicilie e diversi Paesi (Regno Unito, Francia, Impero russo, Isole Ionie, Danimarca, Sardegna, Stati Uniti d’America, Impero austriaco, Prussia, Paesi Bassi, Belgio).
Nei suoi Scritti, Spinelli accennò alle difficoltà e alle resistenze incontrate all’interno del ministero rispetto ai principi liberisti da lui sostenuti e, a testimoniare il suo impegno e la sua dedizione nell’operare al servizio dello Stato, raccolse in quel volume una copia di tutti i trattati siglati.
Nonostante queste divergenze avessero marcato una distanza tra la sua visione e quella del governo, Spinelli ricevette numerosi altri riconoscimenti. Nel 1846 fu nominato socio onorario del Real Istituto d’incoraggiamento di Napoli, organo assai influente per lo sviluppo dell’economia del Regno. Alla fine del 1847, già consultore e intendente della provincia di Napoli, ottenne anche la nomina a ministro dell’Agricoltura e del Commercio.
Tali settori, che cessarono di far parte della competenza del ministero dell’Interno, confluirono in un incarico prestigioso che abbracciava ambiti molto vari (manifatture, istituti di incoraggiamento, società economiche, miniere, pesca e annona, pesi e misure, salute pubblica, pastorizia). Inoltre spettava al nuovo ministero anche occuparsi di materie diverse come musei, scavi archeologici, belle arti, pubblica istruzione, scienze, scuole, accademie, biblioteche.
L’impegno cessò con la rivoluzione del 1848, quando, insieme ad altri consiglieri e ministri, Spinelli si dimise per poi essere reintegrato come membro della Camera dei pari e come consigliere ordinario della Commissione dei titoli di nobiltà durante il secondo tentativo costituzionale borbonico. Sciolte le Camere l’anno successivo, si ritirò a vita privata e non assunse più alcun incarico fino al 1860, mantenendo un profilo riservato ed evitando qualsiasi coinvolgimento nelle repressioni e nella reazione anticostituzionale di Ferdinando II.
La crisi del Regno delle Due Sicilie lo fece rientrare nell’agone politico. Con la svolta costituzionale del 25 giugno 1860, Francesco II lo nominò segretario di Stato e presidente del Consiglio proprio nel momento più critico per il Regno. Vissuto per dodici anni fuori dalla vita pubblica, Spinelli, per il suo profilo moderato, capace di dialogare o interpretare l’area liberale autonomista, sembrò il più idoneo (e tra i pochi disponibili) a ricoprire una carica così delicata, che avrebbe dovuto traghettare la monarchia oltre la crisi della guerra e la minacciosa sfida del progetto unitario italiano dei rivoluzionari meridionali. Non senza scetticismi e perplessità, accettò l’incarico confermando un attaccamento alla monarchia borbonica e al Regno, che prescindeva da opportunità e orientamenti politici: «ove mai la rivoluzione trionfasse, egli non sarebbe venuto mai meno agli obblighi morali che lo legavano alla dinastia pericolante» (De Cesare, 1909, p. 296). A queste convinzioni e all’indiscusso prestigio personale non accompagnò, però, una personalità sufficientemente esperta delle logiche di potere, abile nella gestione politica e carismatica nei rapporti con i colleghi.
Nell’agosto del 1860, mentre Giuseppe Pianell, ministro della Guerra, fallendo nella riorganizzazione dell’armata sul continente, assisteva al collasso dell’esercito in Calabria senza riuscire a imporre misure adeguate, Spinelli non fu in grado di opporsi all’azione di Liborio Romano. L’ex carbonaro, diventato ministro dell’Interno, epurando dall’amministrazione tutti gli uomini più vicini alla dinastia, disarticolò la struttura istituzionale del vecchio Stato e rese del tutto ininfluente l’azione del resto dell’esecutivo, a parte il suo ministero. Spinelli finì per incarnare perfettamente il destino dell’autonomismo napoletano, stritolato tra i partigiani dell’assolutismo e i rivoluzionari filounitari. Fu incapace di districarsi tra l’impopolarità e la sfiducia del governo, la debolezza del re e le trame tessute dal suo stesso ministro dell’Interno. Nell’ultima fase, provò invano a spostare il suo operato sul terreno diplomatico, ma senza nessun risultato.
Rinunciò al mandato sul finire di agosto, anche se il sovrano non volle accettare le sue dimissioni. Le accolse ufficialmente solo quando arrivò a Gaeta, decorandolo con la croce di cavaliere dell’Ordine di S. Gennaro. Prima di abbandonare la capitale, Francesco II, che ne aveva grande stima, si rivolse a lui perché scrivesse il proclama del 6 settembre 1860, con cui avrebbe lasciato, per sempre, Napoli. Spinelli girò l’incarico a Romano e modificò il testo solo in alcuni punti, redigendone un’ultima versione.
Con la fine della guerra, si ritirò a vita privata, rifiutando incarichi istituzionali e politici, tra cui diverse onorificenze e la nomina a senatore. Il 26 aprile 1861, negli sviluppi di una protesta contro il ministro di Polizia della Luogotenenza napoletana, Spinelli, scambiato per Silvio Spaventa, fu bastonato dalla folla insieme al suo cocchiere. Successivamente, solo in un’altra occasione tornò a far parlare di sé. Con l’entrata in vigore della tassa sul macinato si dedicò alla compilazione di un’argomentazione molto dura nei confronti di quella misura, di cui evidenziò gli abusi e i possibili danni per l’economia del Paese.
Al contrario, la sua famiglia si integrò progressivamente nelle istituzioni del nuovo Stato e interpretò la definitiva scelta unitaria delle élites meridionali. Il figlio Francesco (1820-1897) fu prima sindaco di Napoli, tra il 1872 e il 1874, e poi senatore del Regno d’Italia.
Spinelli lasciò una Lettera ai figli..., datata 15 novembre 1860, cui affidò le sue riflessioni circa la fine del Regno borbonico e l’esperienza politica da lui vissuta. In essa tracciò un bilancio della sua vita e degli uffici da lui ricoperti con l’intento dichiarato di trasmetterne memoria a uso esclusivo della famiglia e dei discendenti, essendo stato sempre «avverso all’idea di dare alcuna pubblicità» (Scritti..., cit., p. 5) ai suoi scritti e alle vicende della sua dimensione pubblica. Nel riguardare agli eventi del 1860 riconobbe nella defezione dell’esercito «guasto e corrotto dall’assolutismo più cieco» la vera causa della «rapidissima e quasi incredibile caduta dei Reali di Napoli» (p. 12).
Morì a Napoli il 9 aprile 1884.
Opere. Lettera ai figli Francesco, Carlo, Vincenzo e Giuseppina, in Capua, Museo provinciale campano, Scritti economici e legali editi e inediti, I, c. 11, Napoli 1860; Ragionamento sui gravi danni derivanti dalla tassa del macinato e sui rimedii da apportarvisi, Napoli 1871.
Fonti e Bibl.: Capua, Museo provinciale campano, Scritti economici e legali editi e inediti, 2 voll.; Archivio di Stato di Napoli, Archivio privato Real casa dei Borbone, f. 3, n. 1; Fondo Borbone, f. 1155, nn. 358, 360, 363, 366, 414. Inoltre: A. Granito, Legislazione positiva degli archivi del Regno, Napoli 1855, pp. 123-125; F. Trinchera, Degli Archivi napoletani. Relazione, Napoli 1872; N. Nisco, Francesco II Re, Napoli 1887, passim; G. Del Giudice, Carlo Troya. Vita pubblica e privata, studi, opere, Napoli 1899, passim; R. De Cesare, La fine di un Regno, III, Città di Castello 1909, ad ind.; A. Cutolo, Il Decurionato di Napoli, 1807-1861, Napoli 1932, ad ind.; N. Cortese, I verbali delle sedute dell’ultimo Consiglio dei ministri borbonico e del primo della Dittatura, in Rassegna storica del Risorgimento, VIII (1935), 1, p. 254; G. Ghezzi, Saggio storico sull’attività politica di Liborio Romano, Firenze 1936, ad ind.; A. Saladino, Il Supremo Consiglio di Cancelleria del Regno delle Due Sicilie (1816-1821), in Studi in onore di Riccardo Filangieri, VIII, Napoli 1959, pp. 387 s.; A. Scirocco, Il Mezzogiorno nella crisi dell’unificazione, 1860-61, Napoli 1981, ad ind.; P.G. Jaeger, Francesco II di Borbone. L’ultimo re di Napoli, Milano 1982, ad ind.; B. Ferrante, Introduzione alla ristampa del Ragionamento, in A. Spinelli, Degli Archivi Napoletani. Ragionamento, Napoli 1995, pp. 13-31; C. Di Somma Del Colle, Album della fine di un Regno, Napoli 2006, ad ind.; N. Perrone L’inventore del trasformismo. Liborio Romano, strumento di Cavour per la conquista di Napoli, Soveria Mannelli 2009, ad ind.; A. Spagnoletti, Storia del Regno delle due Sicilie, Bologna 2011, ad ind.; S.A. Granata, Un Regno al tramonto, lo Stato borbonico tra riforme e crisi, Roma 2015, ad ind.; S. Sonetti, Aprile 1860. Stato e rivoluzione prima dei Mille, in Società e Storia, 2018, vol. 159, pp. 53-87.