SOLERA, Antonio
– Nacque a Milano nel 1786 da Giuseppe. Non si conosce il nome della madre. Ebbe due fratelli, Rinaldo e Francesco.
Il padre, la cui famiglia era originaria di Campagnano presso Luino, sul lago Maggiore, aveva ricoperto uffici giudiziari nella Lombardia austriaca e, dopo l’arrivo dei francesi, aveva operato nel Comitato di polizia di Lodi e di Brescia, passando poi a Bergamo come giudice al maleficio penale. Al ritorno degli austro-russi, nei tredici mesi di occupazione della Lombardia aveva scelto di andare con la famiglia in volontario esilio, rientrando nel 1801 a Bergamo come giudice del Tribunale criminale. In quella veste era stato scelto per partecipare ai Comizi di Lione del 1802 convocati da Napoleone per la creazione della Repubblica italiana.
Dopo gli studi politico-legali all’Università di Pavia sotto la guida, tra gli altri, di Giuseppe Mangili, Antonio seguì le orme paterne entrando nella magistratura del napoleonico Regno d’Italia, presso la pretura di Breno, quindi a Vicenza (1808), nella Corte di giustizia di Capo d’Istria (1809), poi a Ferrara (1810), dove rimase anche dopo la caduta del Regno e il passaggio della città allo Stato Pontificio, esercitando la professione di avvocato; qui il giorno di Natale del 1815, dall’unione con Marianna Borni, di Iseo, nacque il figlio Temistocle (v. la voce in questo Dizionario), penultimo di sei figli. Nel 1818 passò come pretore a Lovere, capoluogo del distretto dell’Alto Sebino, nel Regno Lombardo-Veneto.
Inserito nel circuito dello scontento per l’assetto imposto dal Congresso di Vienna ai territori ex napoleonici, a Ferrara si affiliò alla società segreta Guelfia, che agì come componente ideologico-direttiva della carboneria (a quest’ultima, tuttavia, Solera avrebbe dichiarato di non aver mai appartenuto). Le relazioni professionali e la conoscenza di territori divenuti di confine come il Ferrarese e il Rodigino lo introdussero in un’attiva rete cospirativa che, una volta scoperta a seguito della denuncia di Antonio Villa, condusse al suo arresto il 16 gennaio 1820, nell’ondata repressiva a carico degli aderenti di Fratta Polesine, Crespino e Polesella. Contro di essi una Commissione speciale istituita a Venezia aprì l’inquisizione e comminò il 29 agosto 1820 in prima istanza la sentenza di condanna a morte per alto tradimento, letta in piazza S. Marco, confermata in seconda istanza il 22 gennaio 1821 e quindi in terza istanza dal tribunale supremo del Senato lombardo-veneto di Verona, il 18 maggio 1821.
Si trattò del filone processuale, destinato a lievitare a fine dicembre del 1820 con gli arresti del gruppo milanese riunito intorno a Federico Confalonieri, che vedeva imputati membri della prima generazione – quella dei quarantenni del 1820, secondo la definizione di Alfonso Scirocco (L’Italia del Risorgimento, Bologna 1990, p. 107) – di opposizione clandestina all’Austria e ai governi restaurati. Insieme a figure come Felice Foresti, pretore di Crespino, quasi suo coetaneo e collega nella professione legale, Solera per estrazione sociale e formazione esprimeva nell’associazionismo segreto l’inquietudine di quella componente borghese di professionisti e pubblici impiegati attivi nel periodo napoleonico che tanto avrebbe minato dall’interno l’ordine restaurato. Dalle carte processuali emerge com’egli fosse, tra l’altro, l’autore di un Piano d’Italica Confederazione, circolato tra gli aderenti alla società segreta e richiesto dalla Commissione di Venezia al governo pontificio nell’ambito della stretta collaborazione avviata per la fase inquisitoria. La conoscenza del diritto consentì a Solera di tener testa agli inquirenti durante gli interrogatori, ma non valse a evitargli la massima condanna, stante le prove accumulate contro di lui. Tanto più che, verso la categoria dei pubblici impiegati, e degli impiegati di giustizia in particolare, il giudice trentino Antonio Mazzetti, inviato a Venezia con il giovane assistente Paride Zajotti a interrogare gli arrestati ‘eccellenti’, invocò estremo rigore in quanto due pretori come Foresti e Solera, «da S. M. premiati», «con una mano ricevevano il benefizio e coll’altra impugnavano lo Stile Carbonico a danno del loro Benefattore» (Brunet, 2016, p. 199): un argomento destinato a essere ripreso negli anni Trenta durante la stagione processuale a carico degli aderenti alla Giovine Italia.
Commutata tuttavia dall’imperatore, come usava, la condanna a morte in venti anni di carcere duro (11 dicembre 1821), Solera fu destinato alla fortezza morava dello Spielberg: del periodo della detenzione resta l’inventario dei registri dei prigionieri italiani a documentare la quotidianità del suo regime carcerario, le misure, le concessioni e le restrizioni, le condizioni di salute. Nel corso degli anni Venti, il fratello Rinaldo, così come il vescovo di Brescia, si adoperarono per ottenere mitigazioni della pena e la stessa moglie fu autrice di diverse suppliche, tutte respinte, motivate dall’indigenza della numerosa famiglia, una delle quali venne consegnata all’imperatore nel corso di una sua visita a Brescia nel 1825. Nel frattempo, il fratello Francesco, già ascoltante al tribunale di Brescia, ottenne la nomina a cancelliere della pretura di Caprino Veronese, nella logica di un paternalismo compensatore volto a dimostrare come «l’Augusto Sovrano colla mano stessa che abbatte i colpevoli, solleva coloro che, oppressi dalla loro rovina per ragioni di parentela potrebbero vedersi preclusa ogni via di avanzamento» (Processi politici..., 1976, p. 220). Nella stessa logica di soccorso a una famiglia numerosa sull’orlo dell’indigenza, venne concesso un sussidio pari a una quarto dello stipendio da pretore; ai figli, tutti peraltro riconosciuti meritevoli, venne inoltre garantita l’istruzione gratuita in istituzioni imperiali, per la quale la madre aveva fatto richiesta, e fu così che il figlio Temistocle poté frequentare il collegio Maria Teresa a Vienna.
La pena venne infine abbreviata e, trasferito nel 1827 a Vienna con altri prigionieri, tra cui Alexandre-Philippe Andryane, Solera restò rinchiuso per mesi, finché nella primavera del 1828 poté tornare in Lombardia, dove ottenne un impiego comunale in qualità di amministratore dei Luoghi pii di Pavia, con il soldo di 800 lire austriache, passando poi a ricoprire lo stesso ufficio a Brescia, con un aumento. Per gli anni successivi resta traccia di ripetuti tentativi per ottenere il reintegro nel pubblico impiego, motivato dal bisogno di mantenere la famiglia, ma forse anche dal desiderio di attenuare la condizione di marginalità sociale legata alla pesante vicenda processuale. Nel 1829 scrisse una supplica in cui offriva i suoi servigi nella carriera amministrativa e nel 1836 quella per essere ammesso al notariato, per operare nel quale occorreva tuttavia non aver riportato condanne criminali. Con l’autorevole appoggio del viceré e dello stesso magistrato Antonio Salvotti, e con un rapporto favorevole del Senato lombardo-veneto, nell’ottobre del 1837 l’imperatore gli concesse infine quanto richiesto e Solera poté esercitare come notaio a Brescia sino alle dimissioni, forse per motivi di salute, nell’agosto del 1845.
Il recupero di un pieno status professionale si realizzò nello stesso 1838, quando si verificò l’evento destinato a pesare sull’ultima parte dell’esistenza (lo stesso anno, peraltro, dell’amnistia concessa per l’incoronazione di Ferdinando I, che il figlio Temistocle volle celebrare con il componimento L’amnistia). A Parigi uno degli ex compagni di prigionia, Andryane, pubblicò le proprie memorie nelle quali accusò Solera di aver ceduto alla delazione per mitigare la propria situazione. La leggenda ‘nera’ così prodottasi nell’esacerbato milieu dell’esilio giunse a conoscenza di Solera solo nel 1842, quando un amico gli parlò del volume di Andryane e glielo procurò. Citato in giudizio il suo detrattore, anche con l’aiuto della nipote Laura Solera Mantegazza (v. la voce in questo Dizionario), attiva nel circuito patriottico, e affidata la propria difesa a un pamphlet scritto all’inizio del 1843, cercò invano di ottenere dal conte Franz Anton von Kolowrat il permesso di pubblicarlo e dovette limitarsi a distribuirlo manoscritto a Brescia, Milano, Torino, Bologna, Firenze e in Corsica, facendone pervenire una copia, tramite Bianca Milesi Mojon, allo stesso Andryane. Fu dunque solo nella Brescia libera del 1848 che il libello poté vedere la luce e «rompere un silenzio così tormentato e cocente» (Risposta di Antonio Solera alle calunnie..., 1848, p. 4) per una «coscienza senza rimorsi» (p. 5).
Solera respinse le accuse di tradimento e di ipocrisia definendole frutto di un’«immaginazione delirante» (p. 11) che aveva insinuato un suo comportamento non lineare verso il compagno di cella Silvio Moretti, dal quale era poi stato separato, e verso il sacerdote dello Spielberg Stefano Paulovich-Lucich, al quale ammetteva di aver soltanto affidato un’istanza per ottenere da Vienna la revisione del processo. Quelle pagine velenose a suo danno avevano tolto ai suoi figli «l’unico patrimonio ch’io possa legare ad essi, la fama incontaminata del loro genitore» (p. 12). Andryane veniva così controaccusato di non addurre prove, di cui in realtà non disponeva, in quanto durante la carcerazione Solera non aveva mai ricevuto trattamenti preferenziali e aveva interamente condiviso la sorte degli altri prigionieri. Interessanti considerazioni venivano infine riservate a Confalonieri, la cui personalità non aveva trovato a suo tempo un estimatore in Solera, il quale ricordava tra l’altro di essere stato testimone oculare dell’eccidio del ministro Giuseppe Prina nella drammatica giornata milanese del 20 aprile 1814, quella che aveva segnato la caduta del napoleonico Regno d’Italia. In appendice al libretto, venivano pubblicate lettere di sostegno, opera di altri ex prigionieri dello Spielberg e una dello stesso Confalonieri, in cui il conte gli esprimeva indirettamente solidarietà.
La pubblicazione dei Ricordi di Felice Foresti sarebbe tornata tuttavia ad adombrare la figura di Solera. Fu la nipote Laura Mantegazza ad adoperarsi direttamente presso Andryane, rientrato in Lombardia nel 1859, affinché riabilitasse la figura dello zio, ottenendo nel 1860 la ritrattazione, affidata a una lettera a Francesco Regonati, recepita poi nell’edizione del 1861 e del 1862 delle memorie. In essa Andryane affermava di essere stato tratto in inganno sul conto di Solera dall’«infame perfidia» del governo austriaco che alimentava la discordia tra «i martiri dell’indipendenza italiana» (così nel repertorio del senatore Atto Vannucci, 1878, p. 122, n. 2, il quale pareva tirare un sospiro di sollievo nel poter citare documenti che gettavano nuova luce sulla ‘zona grigia’ del Risorgimento).
Già forse in precarie condizioni di salute, morì nella località termale di San Pellegrino, nel Bergamasco, il 15 luglio 1848, nell’ultimo mese di libertà per la Lombardia.
Gabriele Rosa fu autore del necrologio La morte di un martire, pubblicato il 20 luglio 1848 nel giornale L’Unione di Bergamo. La sua vicenda, conosciuta attraverso la lettura di Silvio Pellico, avrebbe ispirato a Pier Paolo Pasolini l’opera teatrale giovanile La sua gloria (1938), composta da studente del liceo Galvani di Bologna per partecipare, vincendoli, ai Ludi juveniles. Il nome del protagonista era cambiato in Guido, in omaggio al fratello minore dell’autore.
Opere. Risposta di Antonio Solera alle calunnie appostegli dal signor Andryane nel suo libro Mémoires d’un prisonnier d’état au Spielberg, Brescia 1848.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Milano, Presidenza di Governo, bb. 57, 63, 90, 111; Processi Politici, ad nomen (tredici buste; inoltre bb. 12 e 91 a nome di Borni-Solera Marianna); Processi Politici del Senato Lombardo-Veneto (1814-1859), ad nomen; Milano, Archivio storico Ricordi, collezione digitale, fondo Temistocle Solera.
P. Maroncelli, Addizioni alle Mie Prigioni, in S. Pellico, Opere compiute di Silvio Pellico da Saluzzo, Lipsia 1834, p. 76; Mémoires d’un prisonnier d’état par Alexandre Andryane, compagnon de captivité de l’illustre comte Confalonieri, Paris 1838 (trad. it. Memorie di un prigioniero di stato nello Spielberg, di Alessandro Andryane, compagno di prigionia di Confalonieri e Silvio Pellico. Unica traduzione italiana coll’aggiunta di documenti inediti e rari compresi nell’originale francese, pubblicato coll’assenso dell’autore dal prof. abate Francesco Regonati, I-IV, Milano 1861); Mémoires d’un prisonnier d’état par Alexandre Andryane, revue par l’auteur et augmentée d’une correspondance inedite de Confalonieri, Paris 1862; A. Vannucci, I martiri della libertà italiana, Milano 1878 (con in appendice F. Foresti, Ricordi, pp. 321-365); Carteggio di Federico Confalonieri ed altri documenti spettanti alla sua biografia, a cura di G. Gallavresi, Milano 1913, ad ind.; P. Guerrini, Memorie biografiche e documenti, in I cospiratori bresciani del ’21 nel primo centenario dei loro processi. Miscellanea di studi, Brescia 1924, ad ind.; Elenchi di compromessi o sospettati politici (1820-1822), a cura di A. Alberti, Roma 1936, ad ind.; M. Rosi, Dizionario del Risorgimento nazionale. Le persone, III, Milano 1937, s.v.; M. Menghini, S. A., in Enciclopedia Italiana di scienze, lettere ed arti, Appendice, I, Roma 1938, p. 1008; G. Antonucci, A. S., in Bergomum, XL (1946), 1, pp. 6-14; Processi politici del Senato Lombardo-Veneto, 1815-1851, a cura di A. Grandi, Roma 1976, ad ind.; M.R. Gorla, I libretti verdiani di Temistocle Solera, tesi di laurea, Università degli studi di Milano, a.a. 1987-88; S. Casi, Prime considerazioni su “La sua gloria”, in G. Guglielmi et al., Su Pier Paolo Pasolini con il testo inedito “La sua gloria”, Bologna 1996, pp. 71-75; G. Monsagrati, Foresti, Felice Euleterio, in Dizionario biografico degli Italiani, XLVIII, Roma 1997, pp. 797-801; La nascita della nazione. La Carboneria. Intrecci veneti, nazionali e internazionali, a cura di G. Berti - F. Della Peruta, Rovigo 2004, ad ind.; B. Luiselli, San Pellegrino 15 luglio 1848: giallo del reduce dello Spielberg. Sulle ali di Va pensiero, in Quaderni brembani, 2006, vol. 4, pp. 17-19; P. Faustini, Vita e melodramma. Temistocle Solera (1815-1878), in Annali online di Ferrara-Lettere, I (2009), pp. 141-169; Spielberg. Documentazione sui detenuti politici italiani. Inventario 1822-1859, a cura di L. Contegiacomo, Rovigo 2010, ad ind.; D. Felisati, I dannati dello Spielberg. Un’analisi storico-sanitaria, Milano 2011, ad ind.; F. Brunet, «Per atto di grazia». Pena di morte e perdono sovrano nel Regno Lombardo-Veneto (1816-1848), Roma 2016, ad indicem.