SCOTTI, Antonio
– Nacque nel 1866, il 25 gennaio a Napoli (come risulta da un articolo del New York Post pubblicato in occasione della sua beneficiata d’addio dal Metropolitan Opera House il 20 gennaio 1933) oppure il 2 giugno a Sarno, nel Salernitano (cfr. Celletti - Kenyon, 1964, p. 755; Celletti, 1988), da Tommaso Scotti e da Antonia Gaito.
Studiò canto a Napoli, sotto la guida di Ester Triffani Paganini ed esordì nella parte di Cinna nella Vestale di Gaspare Spontini al Circolo Filarmonico di Napoli nel marzo del 1889, mentre il debutto sulle scene avvenne nello stesso anno a Malta nell’Aida (nel ruolo di Amonasro).
Nei primi anni di carriera Scotti si affermò soprattutto nel repertorio del primo Ottocento (La favorita, I puritani, Lucia di Lammermoor), eseguito a Milano (Teatro Manzoni) e ripreso tra il 1892 e il 1897 in numerose scritture in Europa (a Madrid per la stagione 1891-92, insieme a Gli Ugonotti, Carmen e Faust) nonché nei teatri sudamericani (nel 1891 a Montevideo, dal 1892 fino al 1897 regolarmente a Buenos Aires) e in Russia (Odessa e Pietroburgo). Al grande repertorio belcantista e verdiano (Ernani, Don Carlo, I vespri siciliani) affiancò già in questi anni spartiti della scuola verista quali Cavalleria rusticana (Verona, Teatro Ristori, 1890), L’amico Fritz e Pagliacci (di cui fu il primo interprete in lingua italiana in Russia, a Mosca nel 1894). Nel novembre del 1894 fu per la prima volta Falstaff a Roma (Teatro Costanzi): a dispetto della giovane età, la sua interpretazione dell’attempato Sir John suscitò grandi consensi; la critica ne lodò le doti sceniche e vocali, giudicandolo persino superiore a Victor Maurel, che aveva ‘creato’ il personaggio sia a Milano (1892) sia nella ‘prima’ romana (1893). Nel 1896 apparve di nuovo nella capitale, stavolta nei Puritani (nel ruolo di Riccardo), mentre nel 1898 riprese Falstaff a Trieste. In quello stesso anno debuttò alla Scala come protagonista dei Maestri cantori di Norimberga diretti da Arturo Toscanini. Secondo una testimonianza di Gatti Casazza, Scotti imparò la parte di Hans Sachs (l’unica di Richard Wagner che avrebbe portato sulle scene) nel giro di un mese, memorizzando per di più in pochi giorni anche i tagli riaperti da Toscanini per la prima versione integrale dell’opera wagneriana alla Scala.
Nel 1899 la sua carriera conobbe una apertura internazionale che lo portò poi a esibirsi quasi soltanto fuori d’Italia: esordì al Covent Garden di Londra (Don Giovanni e Aida) e al Metropolitan di New York (27 dicembre, Don Giovanni, direttore Luigi Mancinelli). Nei panni del libertino mozartiano Scotti impressionò il pubblico inglese e americano per l’eleganza scenica e la finezza dell’interpretazione (in particolare nei recitativi). Oltre che a New York, nella sua prima stagione nordamericana si fece apprezzare a Chicago e Boston, riproponendo il già collaudato repertorio francese e verdiano (Gli Ugonotti, Faust, Carmen, Rigoletto), cui aggiunse una delle prime incursioni nel registro buffo con il Don Pasquale donizettiano (nella parte del dottor Malatesta). L’anno dopo tornò a Londra, dove colse un trionfo personale come Scarpia nella prima londinese della Tosca (luglio 1900, alla presenza di Giacomo Puccini), dando avvio a una lunghissima frequentazione di questo personaggio, ch’egli portò sulle scene per oltre duecento volte. Al Metropolitan si impose come una presenza fissa, comparendo ogni stagione, soprattutto nel repertorio tardo-ottocentesco e verista. Dalle recensioni di questi primi anni statunitensi si desume che l’immedesimazione nei personaggi portasse talvolta Scotti a effetti realistici un po’ sopra le righe: nella morte di Valentino (Faust), per esempio, la maledizione scagliata a Margherita veniva interrotta da rantoli e suoni strozzati (così in una recensione anonima dopo una recita a Filadelfia nel febbraio 1900). Le doti sceniche e il suo temperamento trovarono pieno sfogo soprattutto nella Tosca, interpretata nella prima americana a New York (febbraio 1901) e riproposta l’anno dopo anche a Buenos Aires.
La sempre più intensa frequentazione del repertorio verista finì per lasciare un’impronta sullo stile con cui Scotti continuò a frequentare titoli di tutt’altra temperie stilistica. Così nell’Otello, nella Traviata (1902) e ancor più nell’Ernani (con Enrico Caruso e Marcella Sembrich, 1903) la critica nordamericana avanzò a più riprese perplessità circa l’appropriatezza del suo accento declamatorio e impetuoso. Con l’avvento dell’amico e conterraneo Caruso al Metropolitan, Scotti annodò un sodalizio artistico e umano che sarebbe durato sino alla scomparsa del grande tenore (1921). Nel primo decennio del secolo continuò ad alternare sulle scene del Metropolitan repertorio contemporaneo e tradizionale, personaggi seri e buffi, spesso al fianco di Caruso (il timbro chiaro del baritono si fondeva a meraviglia con il timbro scuro del tenore; cfr. Kesting, 2010, p. 632). Oltre a frequentissime apparizioni in Tosca, nel 1904 impersonò Almaviva nelle Nozze di Figaro di Wolfgang Amadeus Mozart (direttore Felix Mottl) e Alfonso in una ripresa di Lucrezia Borgia di Gaetano Donizetti. Il 28 giugno 1905 al Royal Opera House di Londra fu il primo interprete dell’Oracolo di Franco Leoni (nei panni del sinistro taverniere cinese Cim-Fen, parte concepita per lui), mentre l’anno dopo fu De Siriex nella prima nordamericana di Fedora al fianco di Caruso e Lina Cavalieri, e ancora Don Giovanni (gennaio 1906) per i centocinquant’anni della nascita di Mozart.
Negli anni successivi, dando prova di notevole versatilità, Scotti partecipò a quasi tutte le prime di opere della Giovane Scuola a New York. Nel 1907 fu Lescaut in una Manon alla presenza di Puccini che espresse su di lui un giudizio lusinghiero, Sharpless in Madama Butterfly (assieme a Geraldine Farrar e Caruso), Michonnet nell’Adriana Lecouvreur di Francesco Cilea e Kyoto nell’Iris di Pietro Mascagni. L’anno dopo la sua fama di interprete mozartiano lo impose di nuovo come Don Giovanni (con Fëdor I. Šaljapin come Leporello) e Almaviva nelle Nozze di Figaro, direttore Gustav Mahler. Inaugurata nel novembre del 1908 la gestione di Giulio Gatti Casazza al Metropolitan, Scotti fu chiamato a partecipare a diversi allestimenti sotto la bacchetta di Toscanini, che lo volle per Jago nell’Otello e soprattutto per Falstaff (1909, poi ripreso in un’isolata apparizione alla Scala nel 1913). In quest’ultima opera, in particolare, ottenne vivissimi apprezzamenti per la bravura scenica e la cura del trucco (che eseguiva personalmente). Nel 1910 apparve a Parigi (Opéra-Comique) in alcune trionfali recite di Tosca al fianco della Farrar (direttore Gino Marinuzzi), e in una tournée del Metropolitan nella stessa città cantò di nuovo Falstaff e La bohème sotto Toscanini.
Sebbene la voce cominciasse a dare qualche segno di stanchezza, Scotti continuò a incarnare sulle scene americane i consueti cavalli di battaglia pucciniani (Tosca, Butterfly e La bohème) con qualche più rara incursione in spartiti ancora inediti per l’America (nel 1912 la prima delle Donne curiose di Ermanno Wolf-Ferrari in italiano, nel 1915 L’oracolo di Leoni) nonché in titoli più o meno noti del repertorio buffo ottocentesco: nella stagione 1913-14, ad esempio, fu per l’ultima volta Malatesta in un Don Pasquale diretto da Toscanini, mentre tra il 1918 e il 1920 fu ripetutamente Belcore nell’Elisir d’amore accanto a Caruso. Nel 1919 Scotti si impose ancora come acclamato protagonista nella riscoperta di Crispino e la comare dei fratelli Federico e Luigi Ricci. Tra il 1919 e il 1921 tentò di costituire una compagnia d’opera in proprio (The Scotti Opera Company), ma un contratto avventato con il soprano Geraldine Farrar ne compromise gravemente gli introiti, causandogli gravi danni economici. Sebbene la critica nordamericana continuasse a evidenziare la bravura dell’interprete, le apparizioni di questi anni furono non di rado accompagnate da rilievi sull’innegabile usura dello strumento vocale (in particolare in occasione di una Tosca del 1929). Congedatosi dal pubblico di New York a sessantasette anni con una recita dell’Oracolo il 20 gennaio 1933, Scotti si ritirò poi a Napoli.
Qui morì, in condizioni di ristrettezza economica, il 26 febbraio 1936.
Le prime incisioni di Scotti per case inglesi e nordamericane risalgono al 1902-05 (con il pianoforte); negli stessi anni la sua voce venne fissata anche da rudimentali incisioni su cilindro realizzate da Lionel S. Mapleson durante alcune recite dal vivo al Metropolitan (frammenti da Ernani, Pagliacci e Tosca, 1903). In America, Scotti fu tra i primissimi a incidere la propria voce, prendendo parte alla pionieristica serie di dischi messa in vendita nel 1903 dalla Columbia con il titolo di Grand Opera Records (arie da Carmen, Pagliacci e Don Giovanni). Tra il 1906 e il 1912 una seconda serie (per la Victor, con orchestra) lo vide impegnato, oltre che nella canzone napoletana, in arie, duetti e concertati del repertorio coltivato negli stessi anni al Metropolitan, spesso con Caruso, Farrar e Sembrich. Dopo il 1912 non effettuò più incisioni, pur proseguendo la carriera per oltre vent’anni sulle scene nordamericane. Educato alla scuola del canto legato e fiorito di gusto ottocentesco – lo dimostrano le esecuzioni di arie donizettiane dal Don Pasquale e dall’Elisir d’amore –, Scotti non possedette mai una voce particolarmente potente né timbricamente fascinosa, il che spiega il progressivo ripiegamento (quando al Metropolitan si affacciarono baritoni del calibro di Giuseppe De Luca e Titta Ruffo e già si affermava l’americano Lawrence Tibbett) su parti di attore-cantante meno esigenti sotto il profilo tecnico, come Scarpia e Falstaff, ma in cui egli poté valorizzare l’eleganza del portamento, la varietà di accenti e in generale quella fantasia interpretativa più volte vantata dalla critica, che però lo studio fonografico non ha potuto degnamente testimoniare.
Fonti e Bibl.: G. Gatti Casazza, Memoirs of the opera (1941), in A. Triola, Giulio Gatti Casazza, una vita per l’opera, Varese 2013, pp. 312-314; R. Celletti - J.P. Kenyon, S., A., in Le grandi voci. Dizionario critico-biografico dei cantanti, Roma 1964, pp. 755-759 (con discografia); J. Briggs, Requiem for a yellow brick brewery. A history of the Metropolitan Opera, Boston-Toronto 1969, p. 91; M.F. Bott, On tour with S., in Opera, XXVII (1976), pp. 1101-1107; M. Scott, The record of singing, I, Boston 1977, pp. 110-112; C. Bishop, Scotti Grand Opera Company, Santa Monica (Cal.) 1982; R. Celletti, A. S., in Musica, XI, 50 (giugno-luglio 1988), pp. 50 s.; J.-P. Mouchon, Le baryton A.S., in Bulletin de l’Association internationale “Titta Ruffo”, XXII (2003), pp. 3-9; J. Kesting, Die großen Sänger, Kassel 2010, pp. 631-633.