SCIALOJA, Antonio
– Nacque il 1° agosto 1817 a San Giovanni a Teduccio (all’epoca Comune autonomo) presso Napoli, da Aniello, ispettore di pubblica sicurezza, e da Raffaella Madia.
Fin dai primi anni mostrò vivacità di ingegno e acutezza di mente. Dopo l’educazione letteraria, si volse allo studio dell’economia e del diritto sotto la guida di due maestri del tempo: Matteo De Augustinis, che oltre a esercitare la professione forense, aveva fondato una scuola privata di economia; Pasquale Borrelli, avvocato e filosofo di vaste cognizioni.
Dopo essersi dedicato a diversi scritti minori, scientifici e letterari, Scialoja pubblicò nel 1840, a Napoli, I principi della economia sociale esposti in ordine ideologico. Una seconda edizione dell’opera, con aggiunte e correzioni, fu pubblicata a Torino nel 1846. I principi – che ebbero diverse edizioni, tra cui una traduzione francese, e autorevoli recensioni – furono il contributo più rilevante di Scialoja in campo economico. La prima edizione de I principi fu pubblicata quando il loro autore non aveva ancora conseguito la laurea in giurisprudenza, che gli fu concessa dall’Università di Napoli, l’anno successivo, ‘gratuita e senza esami’, per i meriti scientifici conseguiti.
Dal punto di vista teorico, l’opera si focalizzava sul concetto di valore interpretato in modo diverso sia da Adam Smith che da David Ricardo. L’analisi considerava i concetti di rendita, accumulazione del capitale, attività imprenditoriale, innovazione, divisione del lavoro, non tralasciando i problemi monetari e dell’imposizione. Emergeva la condivisione della ‘legge degli sbocchi’ e del ‘teorema dei costi comparati’. Vi era un giudizio positivo per alcune forme di intervento dello Stato in economia, specie per gli investimenti di natura infrastrutturale, ed erano presenti riferimenti alla realtà del Regno di Napoli.
Scialoja fu un economista che operava in un periodo in cui alle visioni precedenti si cercava di sostituire le dottrine dell’economia classica, ma si manifestavano diversi dubbi sulla validità del modello di sviluppo classico, incentrato sulla ottimistica visione di Smith. In Scialoja questa visione era informata al pensiero economico italiano risalente al Settecento riformatore che lo spingeva ad affermare una personale posizione su questioni controverse, quali quelle riguardanti il valore e la distribuzione, la crescita economica e l’imposizione fiscale. Le dottrine mercantiliste erano ritenute da Scialoja le principali responsabili della situazione di sottosviluppo del suo tempo, che necessitava di un processo di graduale liberalizzazione del mercato per avviarsi su un sentiero di crescita della ricchezza. Tuttavia, riconosceva l’importanza del ruolo dello Stato in alcuni settori dell’attività economica, in un contesto volto a rafforzare il sistema economico concorrenziale, non trascurando la necessaria dimensione etica e le considerazioni di natura distributiva.
Dopo la pubblicazione de I principi, aggiunse all’insegnamento l’esercizio della professione forense. Nel 1844, per incarico di alcune case commerciali napoletane, si recò a Parigi e a Londra, ed ebbe così modo di entrare in contatto con alcuni esponenti dell’emigrazione italiana (Terenzio Mamiani e Pellegrino Rossi), con economisti di rilievo (Frédéric Bastiat e Michel Chevalier), con importanti politici (lord Russell e lord Palmerston). Sempre nel 1844 partecipò al concorso per la cattedra di economia politica bandito dall’Università di Napoli. Per ragioni di anzianità, e forse anche di fedeltà al regime borbonico, la cattedra fu assegnata a Placido De Luca, che già la ricopriva all’Università di Catania.
Nel 1845 sposò Giulia Achard, figlia di un commerciante francese residente a Napoli, con la quale ebbe cinque figli: Enrico (1846), Maria (1847), Paolo Emilio (1850, presto scomparso), Cesarina (1854), Vittorio (1856). Nello stesso anno partecipò a Napoli al VII Congresso degli scienziati italiani. Iscritto alla sezione di agronomia e tecnologia, si distinse per le opinioni sostenute, che contribuirono ad accrescere la sua fama già fondata sulla pubblicazione di varie monografie giuridiche ed economiche.
Agli inizi del 1846 fu chiamato a coprire la cattedra di economia politica all’Università di Torino, e pubblicò, oltre la già menzionata seconda edizione dei Principi, anche il saggio Industria e protezione, ossia intorno alle riforme di Robert Peel applicate alle condizioni dell’industria napolitana (Livorno 1846).
Un derivato delle sue lezioni a Torino fu Il trattato elementare di economia sociale, pubblicato nel 1848, in cui l’esposizione, in forma sintetica, era focalizzata sulla ricchezza di una nazione, esaminata alla luce sia della tradizione italiana sia dell’economia classica, in vista di uno sviluppo equilibrato, regolato da un’attiva politica economica.
Gli anni dal 1846 al 1848, trascorsi da Scialoja a Torino, furono importanti per la sua maturazione politica e per l’adesione alle idee del liberalismo moderato. Dopo la proclamazione della costituzione del Regno delle Due Sicilie, ritornò a Napoli, dove, tra l’aprile e il maggio del 1848, fu chiamato a far parte, come ministro di Agricoltura e Commercio del governo costituzionale presieduto da Carlo Troya. In tale veste, si adoperò a sostegno dell’intervento a fianco del Regno di Sardegna nella guerra contro l’Austria. Fu anche eletto deputato e collaborò al periodico Riscatto italiano diretto da Pasquale Stanislao Mancini. Dopo la sconfitta dei moti rivoluzionari, nel settembre 1849 fu arrestato con l’accusa di cospirazione contro la sicurezza interna. A seguito di un lungo processo, nel febbraio 1852 fu condannato a nove anni di reclusione, pena che gli venne poi commutata nell’esilio perpetuo.
Rifugiato a Torino, dove si era già fatto stimare, Scialoja ricevette subito attestazioni di stima e benevolenza, potendo così riprendere la sua vita di studioso e di docente. Essendo la sua cattedra universitaria allora ricoperta da Francesco Ferrara, la Camera di agricoltura e commercio gli affidò, nel dicembre 1852, l’incarico di tenere un corso di diritto commerciale e di economia industriale. Cavour gli conferì l’incarico di consultore legale, economico e amministrativo presso la segreteria del ministero delle Finanze.
Nel 1853 pubblicò a Torino il saggio Carestia e governo, in cui difese la politica economica del governo cavouriano che, di fronte a una grave carestia, per evitare la fame nel Paese, scelse una politica di graduale riduzione del dazio sui cereali, invece di liberalizzarne totalmente il commercio, come avrebbe fatto l’anno successivo. Nel saggio si manifestava chiaramente la visione economica e politica di Scialoja, basata su una graduale e cauta applicazione dei principi teorici.
Nel 1854 Scialoja focalizzò sulla scienza delle finanze il corso tenuto presso la Camera di agricoltura e commercio, mettendo in evidenza un aspetto su cui si era già soffermato nei corsi precedenti, cioè il ruolo dello Stato come fattore di sviluppo economico. Nel 1855 iniziò a collaborare alla compilazione del Commentario del codice di procedura civile degli Stati Sardi. Nel 1856 partecipò, come rappresentante del Regno di Sardegna, al Congresso internazionale per le riforme doganali di Bruxelles. Nel periodo tra il 1852 e il 1859, in cui lavorò alla segreteria del ministero delle Finanze, si occupò anche dell’elaborazione di progetti di legge, sia di natura economica e finanziaria, sia riguardanti privative industriali, marchi e segni distintivi d’industria.
Nel periodo dell’esilio a Torino, nel 1857 pubblicò il saggio I bilanci del Regno di Napoli e degli Stati Sardi, che suscitò polemiche e critiche, tra le quali le più note furono quelle contenute in uno scritto (Della condizione finanziera del Regno di Napoli) di Agostino Magliani, all’epoca funzionario del governo borbonico, e destinato poi a diventare ministro delle Finanze italiano.
Magliani criticò il saggio di Scialoja come opera di natura meramente politica e non economica. La preliminare materia del contendere non era l’onestà nella gestione del pubblico denaro, ma la pubblicità dei documenti finanziari, diritto esistente nel Regno di Sardegna, ma negato nel Regno di Napoli. Scialoja, inoltre, criticava il sistema tributario del Regno borbonico che, basato sulle imposte sui consumi, trascurava le imposte sulle professioni, sui commerci e sulle industrie. Poneva poi l’accento sulla funzione produttivistica della spesa pubblica, in grado di innescare un processo di accumulazione. Indubbiamente, il bilancio del Regno di Sardegna mostrava una tendenza all’incremento del deficit, ma ciò era dovuto alle spese sostenute per le guerre per l’indipendenza italiana e per gli investimenti in infrastrutture diretti ad aumentare la crescita del Paese.
A partire dal 1860, Scialoja, per cultura e per esperienza, diventò un importante esponente politico del nuovo corso dell’Italia unificata. Richiamato a Napoli, nel settembre 1860 fu ministro delle Finanze nel governo dittatoriale di Giuseppe Garibaldi. Nell’ottobre dello stesso anno fu chiamato a ricoprire la cattedra di economia politica all’Università di Napoli, ma vi rinunciò dopo qualche mese, limitandosi ad accettare la nomina a professore onorario. Dal novembre 1860 al gennaio 1861 fu consigliere durante la luogotenenza di Luigi Carlo Farini, disponendo l’estensione della tariffa sarda alle Province napoletane. Eletto deputato nelle elezioni del 1861, ritornò a Torino, dove nel giugno dello stesso anno fu nominato dal governo Ricasoli segretario generale del ministero di Agricoltura, Industria e Commercio. Tra il settembre e il novembre del 1862 fu prima consigliere della Corte dei conti, poi senatore del Regno. Le due nomine avvennero quando era già ufficialmente impegnato dal febbraio 1862, a Parigi, come guida della delegazione italiana per la stipulazione di un nuovo trattato di commercio e navigazione fra Italia e Francia. Concluso il trattato nel 1863, partecipò in seguito alla discussione per la sua ratifica che si tenne in Senato nel gennaio del 1864, difendendolo sia sotto l’aspetto politico sia per i suoi effetti economico-finanziari con argomenti che confluirono poi nel saggio Sui trattati di commercio e sulle convenzioni di navigazione che l’Italia ha stipulate con la Francia e con gli altri Stati dopo la costituzione del nuovo Regno (in Nuova Antologia, s. 1, 1866, vol. 1, pp. 236-251).
Il 31 dicembre 1865 Scialoja fu nominato ministro delle Finanze nel secondo governo La Marmora. Subito prese l’iniziativa della presentazione di un progetto di legge sul riordinamento delle imposte dirette.
Il progetto riguardava, nella sua vasta concezione, sia la finanza statale sia quella locale. La principale proposta di riforma prevedeva l’istituzione di un’imposta generale sul reddito e il riscatto dell’imposta fondiaria. Questa imposta, secondo Scialoja, aveva in sé due elementi distinti: l’imposizione prediale sulla terra come capitale produttivo e l’imposizione sulla rendita, che era il prodotto congiunto della terra, del capitale e del lavoro. In base a queste premesse teoriche – secondo cui la parte prediale dell’imposizione era diventata un canone fisso sulla proprietà terriera, poiché nelle compravendite il valore capitale risultava ridotto per l’ammortamento dell’imposta – Scialoja ne deduceva che l’imposta, al pari di qualsiasi altro canone, poteva essere riscattata dal proprietario del fondo pagando all’erario una corrispondente somma in rendita pubblica capitalizzata al cinque per cento. In questo modo, attraverso il riscatto, il proprietario si sarebbe liberato dell’imposta prediale sul capitale produttivo, mentre l’imposizione sulla rendita sarebbe entrata a far parte dell’imposta generale sul reddito (o sull’entrata, come più precisamente veniva denominata nel progetto di riforma). La commissione parlamentare, esaminato il progetto di Scialoja, respinse l’idea del riscatto dell’imposta fondiaria (già gravosa e mal ripartita), togliendo in tal modo la base fondamentale al progetto di riforma. L’ordinamento dell’imposizione diretta rimase invariato, eccetto la trasformazione (con r.d. 28 giugno 1866 n. 3023) dell’imposta sul reddito di ricchezza mobile da imposta di contingente, quale era secondo la legge del 1864, in imposta di quotità, quale divenne su richiesta della commissione parlamentare.
Il forte deficit del bilancio statale, le precarie condizioni degli istituti di credito e la diffusa crisi economica a livello europeo, spinsero Scialoja, alla vigilia della guerra con l’Austria, all’adozione di tre provvedimenti. Con la legge 1° maggio 1866 n. 2872, il governo fu autorizzato a effettuare le spese necessarie per la difesa dello Stato e a provvedere ai bisogni straordinari del Tesoro. Contemporaneamente, fu varato il decreto 1° maggio 1866 n. 2873 che, introducendo il corso forzoso, con la sospensione della convertibilità delle banconote della Banca nazionale, rese possibile la concessione di un prestito allo Stato da parte della stessa banca, per un ammontare di 250 milioni di lire (in seguito elevato a 600 milioni). Con l’introduzione del corso forzoso (che sarebbe durato fino al 1883), la Banca nazionale, unico istituto autorizzato a emettere moneta non vincolata alla riserva aurea, assunse un ruolo centrale nell’ambito del sistema creditizio. Con il terzo provvedimento (il decreto 27 maggio 1866 n. 2966) fu istituito un organo di controllo delle società commerciali, con il compito di esercitare anche una funzione di vigilanza sugli istituti di credito.
Il 17 gennaio 1867, in qualità di ministro delle Finanze del secondo governo Ricasoli, Scialoja presentò un disegno di legge relativo ai rapporti tra Stato e Chiesa e alla liquidazione dell’asse ecclesiastico (La Chiesa, lo Stato, e la liquidazione dell’asse ecclesiastico, in Nuova Antologia, s. 1, 1867, vol. 5, pp. 741-764). L’assetto previsto era nettamente separatista, con la Chiesa trasformata in un complesso di enti di diritto privato, senza personalità giuridica, e con il divieto di possedere immobili per impedire il risorgere della manomorta. La liquidazione dei beni ecclesiastici non era condizionata all’accordo con la Chiesa, dovendo lo Stato perseguire il fine politico del pareggio del bilancio.
Il 17 febbraio 1867 Scialoja fu indotto a dimettersi da ministro delle Finanze non solo per la mancata accettazione della sua proposta relativa ai problemi fra Stato e Chiesa, ma principalmente per la sfiducia esistente in Parlamento verso la sua politica finanziaria, specie riguardo all’attuazione del corso forzoso.
Nel 1867 Scialoja proseguì la sua collaborazione alla rivista Nuova Antologia (iniziata nel 1866 e che si sarebbe protratta fino al 1871) con il saggio Le Camere di commercio ed il loro congresso (s. 1, vol. 6, pp. 551-594), che, frutto della sua diretta partecipazione all’evento, ne evidenziava l’utilità per la rilevanza dei temi trattati, attinenti alla finanza pubblica, al credito e al buon andamento dello Stato. Nel 1868 pubblicò nella Nuova Antologia due saggi in tema di finanza pubblica – Brevi considerazioni intorno ad alcuni punti principali della esposizione finanziaria del conte Cambray Digny (s. 1, vol. 7, pp. 362-380), Speranze, timori e suggerimenti relativi alla riforma della tassa sull’entrate (s. 1, vol. 8, pp. 380-401) – che gli servirono anche per ribadire la sua visione della politica finanziaria e per precisare punti del suo operato come ministro delle Finanze.
Il 1868 fu anche l’anno in cui la sua decretazione del corso forzoso fu oggetto di una inchiesta parlamentare e in cui fu eletto vicepresidente della Società di economia politica italiana, costituitasi a Firenze. Nel 1870 fu nominato presidente della commissione governativa incaricata di analizzare la situazione dell’industria nazionale e di indagare sugli effetti della liberalizzazione degli scambi commerciali con l’estero. La sua collaborazione alla Nuova Antologia proseguì con un saggio politico e con un saggio economico-finanziario.
Nel saggio politico, Della mancanza di veri partiti politici in Italia e come potrebbero sorgere (s. 1, 1870, vol. 13, pp. 54-88), si sottolineava che un governo costituzionale soddisfacente necessitava di grandi partiti politici che si contendessero l’indirizzo della cosa pubblica. Nel saggio economico-finanziario, La città di Napoli, il suo passato ed il suo presente (s. 1, 1870, vol. 14, pp. 441-462; 1871, vol. 15, pp. 787-806), l’autore poneva l’accento sui dati statistici che evidenziavano un sostanziale rinnovamento nell’ordine economico, politico e civile, ma richiamava anche il proprio saggio I bilanci del Regno di Napoli e degli Stati Sardi, oggetto al momento della pubblicazione di forti critiche per il mancato riconoscimento delle presunte realizzazioni del governo borbonico, di fatto smentite dalla successiva plebiscitaria adesione della popolazione delle province napoletane al nuovo Stato italiano.
Nel 1871 Scialoja fu eletto vicepresidente del Senato e terminò la sua collaborazione alla Nuova Antologia con due saggi – Il Congresso delle Camere di commercio e la inchiesta industriale (s. 1, 1871, vol. 17, pp. 894-932), Il Congresso internazionale marittimo di Napoli e le materie in esso trattate (s. 1, 1871, vol. 18, pp. 483-516) – che mostrarono il suo interesse, non tanto per le assemblee scientifiche e per le dispute accademiche, quanto per riforme e leggi nuove destinate a incentivare l’attività economica privata con adeguate misure pubbliche.
Nell’agosto del 1872 fu chiamato a ricoprire la funzione di ministro dell’Istruzione pubblica nel governo Lanza, carica in cui fu confermato nel successivo secondo governo Minghetti. In tale veste, si occupò in particolare dell’istruzione obbligatoria e dell’ordinamento universitario, e istituì una commissione di inchiesta sull’istruzione secondaria. Nel gennaio del 1874 si dimise dopo il rigetto della Camera del suo disegno di legge sull’istruzione obbligatoria. Nel settembre 1874 – insieme a Luigi Cossa, Fedele Lampertico e Luigi Luzzatti – sottoscrisse la cosiddetta circolare di Padova, in cui si sosteneva che l’economia politica avrebbe dovuto occuparsi anche del ruolo economico dello Stato.
Nel 1875 partecipò alla fondazione dell’Associazione per il progresso degli studi economici, di cui fu nominato presidente onorario. Nel dicembre dello stesso anno, il governo italiano lo inviò presso il governo egiziano con la funzione di consulente per il riordino delle finanze statali, incarico da cui si dimise verso la fine dell’anno successivo. Sempre nel 1875 fu eletto socio dell’Accademia nazionale dei Lincei. Morì a Procida il 13 ottobre 1877.
Scialoja fu certamente un importante politico del periodo preunitario e dei primi anni postunitari, ma non fu un teorico dell’economia. Troppo breve fu il periodo dedicato all’economia come professione per permettergli di acquisire una compiuta padronanza degli sviluppi teorici. Tuttavia, non fu digiuno del pensiero economico rilevante, che si sforzò di applicare all’esame dei problemi di politica economica del mondo reale, ma non rimanendo sempre coerente con le sue stesse premesse teoriche. Lasciò qualche traccia del suo pensiero negli economisti successivi poiché cercò di cogliere il nesso tra economia politica ed economia sociale. Nel tentativo di conciliare visioni diverse, però, spesso non giunse a una sintesi teorica significativa.
Opere. Oltre ai testi citati si segnalano: Lezioni di economia politica - Torino 1846-1854, a cura di E. Pesciarelli et al., Milano 2006; I principi di economia sociale esposti in ordine ideologico [1846], a cura di G. Gioli, Milano 2006; Trattato elementare di economia sociale [1848], a cura di A. Magliulo, Milano 2006; Scritti di politica economica durante il processo d’unificazione italiana (1846-1861), a cura di F. Bientinesi - G. Gioli, Milano 2012. Inoltre: Sulla sistemazione delle imposte dirette e sulla introduzione e modificazione di alcune altre imposte [1866], in Documenti e discussioni sulla formazione del sistema tributario italiano, a cura di S. Buscema - N. D’Amati, II, Padova 1961, pp. 129-169; Dei tributi diretti e della loro sistemazione in Italia, in Nuova Antologia, s. 1, 1867, vol. 5, pp. 93-118, 292-326, 527-542 (ristampato in Documenti e discussioni sulla formazione del sistema tributario italiano, a cura di S. Buscema - N. D’Amati, I, Padova 1961, pp. 57-117).
Fonti e Bibl.: C. De Cesare, La vita, i tempi e le opere di A. S., Roma 1879 (ristampato a cura dell’Istituto italiano per gli studi filosofici, Napoli 2007); E. Pessina, A. S., in Annuario della R. Università degli Studi di Napoli, anno scolastico 1879-80, Napoli 1879, pp. 124-127; L. Einaudi, Di una controversia tra S. e Magliani intorno ai bilanci napoletano e sardo, in Rivista di storia economica, IV (1939), 1, pp. 78-88 (ristampato in Id., Saggi bibliografici e storici intorno alle dottrine economiche, Roma 1953, pp. 213-227); P. Barucci et al., Primo inventario dell’archivio di A. S., Firenze 1976; G. Gioli, Il pensiero di A. S., Pisa 1989; F. Assante, A. S. tra economia e politica, in Archivio storico per le province napoletane, 1999, vol. 117, pp. 103-141; M.F. Gallifante, A. S. filopiemontese, ibid., pp. 143-192; G. Gioli, Commercio, finanza e istituti di emissione nell’attività parlamentare di A. S., in Una storia dell’economia politica dell’Italia liberale, II, Gli economisti in Parlamento 1861-1922, a cura di M.M. Augello - M.E.L. Guidi, Milano 2003, pp. 1-30; A. S. e la politica economica del Risorgimento, a cura di P. Barucci - G. Gioli - P. Roggi, Napoli 2009; M.M. Augello, A. S. (1817-1877), in Id., Gli economisti accademici italiani dell’Ottocento. Una storia “documentale”, I, 3, Roma 2012, pp. 1445-1475 (contiene una biografia scientifica e l’indicazione della letteratura sia primaria sia secondaria); G. Gioli, A. S., in Il contributo italiano alla storia del pensiero. Economia, Roma 2012, pp. 705-709; Archivio storico del Senato, Banca dati multimediale I senatori d’Italia, II, Senatori dell’Italia liberale, sub voce, http://notes9.senato.it/ Web/senregno.NSF/A_l2?OpenPage.