SCHERILLO, Antonio.
– Nacque a Varese il 21 luglio 1907. Il padre, Michele, nato a Soccavo presso Napoli, era professore di letteratura italiana all’Accademia scientifico-letteraria di Milano, diventata, nel 1923, la facoltà di lettere dell’Università di Milano. La madre, Teresa, era figlia di Gaetano Negri, che dal 1880 al 1886 fu sindaco di Milano.
Padre e nonno furono, oltre che notevoli letterati, importanti uomini politici e senatori del Regno. Antonio, a differenza dei due fratelli, un giurista e un medico, scelse di dedicarsi alle scienze naturali. Si laureò con lode il 6 ottobre 1930, con una tesi eseguita sotto la guida di Giorgio Renato Levi, che dal 1927 era titolare di chimica generale e inorganica all’università, dopo essere stato per alcuni anni il braccio destro di Giuseppe Bruni. Venuto da Padova al Politecnico di Milano, Bruni vi aveva impiantato il primo laboratorio di diffrattometria dei raggi X, una metodologia allora pionieristica in Italia.
Nel laboratorio chimico di Levi e direttamente con lui, che l’aveva assunto come assistente incaricato di mineralogia (cattedra che rimase vacante a Milano fino al 1932, quando vi fu chiamato Emanuele Grill), Antonio Scherillo eseguì ricerche su vari sali dell’acido cloroso che furono pubblicate sulla più importante rivista internazionale di cristallografia dell’epoca (Ricerche cristallografiche sui sali dell’acido cloroso, in Zeitschrift für Kristallographie, Kristallgeometrie, Kristallphysik, Kristallchemie, 1931, 76, pp. 431-452). Nello stesso laboratorio studiò altri importanti composti come il fluoruro di alluminio e l’ossido idrato di manganese (manganite) assieme ad Adolfo Ferrari, allora giovane assistente ma destinato a fondare la scuola cristallografica dell’Università di Parma.
Se avesse continuato così, Scherillo sarebbe diventato un grande chimico strutturista e industriale, come lo divenne Giulio Natta, suo coetaneo e già di poco più avanzato in carriera. Invece, nel 1933, si trasferì a Roma, essendo stato sollecitato a questo passo dal titolare di mineralogia, Federico Millosevich, che lo nominò suo assistente incaricato. Inizialmente, a Roma poté proseguire le ricerche cristallografiche già iniziate a Milano, collaborando con Ettore Onorato che, pur se già in cattedra all’Università di Cagliari, nell’istituto romano gestiva il laboratorio di cristallografia ai raggi X. Quasi subito, però, Scherillo fu spinto da Millosevich a seguire una linea più petrografica, compatibile con vari filoni relativi all’approvvigionamento autarchico di minerali utili e rari, come calamina, vari minerali pegmatitici di berillio, hauerite e nocerite. In particolare, Millosevich lo incaricò di analisi petrografiche di lave in Sicilia (Giuliana, presso Palermo) e nel monte Demavend (Iran), mentre Scherillo stesso, da subito e di sua iniziativa, intraprese lo studio microscopico e chimico delle lave e delle vulcanoclastiti dei dintorni di Roma (valle dell’Aniene, monti Ernici e Cimini). Negli anni successivi allargò lo studio a tutta l’area collinosa a nord di Roma, in quella regione, la Sabazia, dove già aveva compiuto un vasto studio (rimasto però solo preliminare) Giovanni Struever, il rinnovatore della mineralogia all’Università di Roma dopo il 1870.
Non interruppe questi suoi studi il fatto che per due anni fu inviato nella Colonia Eritrea a esaminare numerosi materiali locali, tra cui zeoliti, che diventeranno un decennio più tardi il suo più innovativo argomento di ricerca. Parallelamente egli continuava gli studi sulle piroclastiti dei vulcani sabatini e fu nel 1938 che, per la prima volta, ebbe in lui conferma l’intuizione che il materiale semiamorfo che cementava i ‘tufi’ non era costituito da argille, ma da zeoliti, come già aveva ipotizzato nel 1935 quando esaminava i ‘tufi’ di Vicovaro e della media valle dell’Aniene. Nel concorso per la cattedra di mineralogia bandito dall’Università di Cagliari nel 1938, Scherillo fu ternato per primo e lì prese servizio all’inizio del 1939, lasciando il posto di assistente a Roma a Carlo Lauro. Tuttavia, continuò le sue ricerche sull’area romana e, in particolare, mantenne il suo contatto preferenziale con Federico Millosevich, che gli favorì il trasferimento, nello stesso anno, alla cattedra di mineralogia di Napoli, lasciata libera dal prematuro decesso di Emanuele Quercigh (1885-1939), e alla direzione del relativo museo mineralogico vesuviano.
Scherillo, da romano di adozione, si convertì immediatamente in napoletano verace, senza però perdere nulla della propria efficienza (e pronunzia) milanese e facendosi tuttavia ben volere dalla locale società accademica.
I primi anni di attività a Napoli coincisero con la seconda guerra mondiale e comportarono prima lo sgombero del Real museo mineralogico, la sua messa in sicurezza e, dopo il 1944, il suo ripristino dai danni strutturali subiti e il suo completo riallestimento. In ciò fu coadiuvato da Antonio Parascandola (1902-1977), docente di mineralogia alla facoltà di agraria in Portici, di cui dal 1937 era anche il direttore del museo mineralogico.
Scherillo, per parecchio tempo, non abbandonò la ricerca petrografica intrapresa sulla regione magmatica romana, di cui studiò altre lave e piroclastiti sabazie e condusse un ampio studio di quelle albane. Due pubblicazioni definiscono bene questo filone dei suoi studi. La prima (La differenziazione magmatica nei Vulcani Sabatini (Lazio), in Schweizerische Mineralogische und Petrographische Mitteilungen, 1948, vol. 28, pp. 65-70) fu elaborata riassumendo analisi chimiche vecchie e nuove per il volume speciale in onore dei sessant’anni di Paul Niggli, il massimo rappresentante della scuola mineralogica svizzera del primo Novecento, e secondo il procedimento petrochimico evolutivo su basi normative ideato da questi. La seconda, basata su oltre dieci anni di ricerche originali compiute con Mario Fornaseri e Ugo Ventriglia, entrambi professori a Roma, fu pubblicata come volume speciale dal Consiglio nazionale delle ricerche (La regione vulcanica dei Colli Albani: vulcano laziale, Roma 1963, con carta geologica 1:100.000) e risultò talmente completa, pur nella sua vastità, da meritare agli autori, congiuntamente, il premio del ministero della Pubblica Istruzione per la geologia, la paleontologia e la mineralogia nel 1965. Fornaseri e Scherillo, inoltre, nel 1967 furono cooptati insieme come soci corrispondenti dall’Accademia nazionale dei Lincei, di cui lo stesso Scherillo divenne socio nazionale nel 1971.
La grande memoria del 1963 non esaurì l’interesse di Scherillo per il vulcano laziale, ma i casi della vita e, soprattutto, l’assidua frequentazione delle vulcanoclastiti napoletane, rese visibili dai numerosi interventi edilizi eseguiti nel secondo dopoguerra in tutta la città, finirono con il ritardarne la relazione finale di oltre vent’anni (Problemi di vulcanologia albana: I, in Atti dell’Accademia Pontaniana, 1986, vol. 34, pp. 255-263; II, ibid., 1987, vol. 35, pp. 55-78), senza che le ricerche perdessero nulla della loro vivacità intrinseca, ma molto nell’autorevolezza, poiché lo sviluppo della geochimica isotopica aveva già rese in gran parte obsolete le conclusioni basate solo sugli elementi maggiori.
Una volta assolti i doveri museali che egli portò al successo in una memorabile riunione della Società mineralogica italiana svoltasi proprio nel ricostituito museo nel 1960, il definitivo soggiorno a Napoli comportò per Scherillo un metodico, minuzioso, quasi giornaliero controllo, eseguito in gran parte a piedi e da solo, di tutti gli affioramenti della serie vulcanoclastica della città e dei suoi dintorni, cominciato all’inizio degli anni Cinquanta e continuato per tempi lunghissimi, soprattutto in solitudine dopo il raggiungimento della quiescenza. Ne nacque così una carta del sottosuolo del ‘tufo giallo napoletano’ e della ‘pozzolana’ (inedita) ben superiore per accuratezza di quella descritta a grandi linee nel 1967 (Sulla revisione del “Foglio Napoli” della Carta geologica d’Italia, in Bollettino del Servizio geologico d’Italia, 1954, vol. 76, pp. 581-587; Introduzione alla carta stratigrafica del suolo di Napoli, in Atti dell’Accademia Pontaniana, 1967, vol. 16, pp. 27-37, con E. Franco).
Di pari passo si sviluppò anche un grande approfondimento delle proprietà del legante presente nelle vulcanoclastiti, ormai definitivamente riconosciuto essere una zeolite (cabasite). Scherillo divenne così il maestro di una serie di specialisti di questi minerali e il loro punto di riferimento quando essi si dedicarono alle applicazioni di alta tecnologia delle rocce a zeoliti nel campo dell’ingegneria strutturale (produzione di cementi di miscela con ridotto consumo di energia e basso inquinamento atmosferico).
Presidente della Società mineralogica italiana nel biennio 1967-69, della Società di scienze e lettere di Napoli nel 1974, dell’Accademia Pontaniana dal 1983 al 1990 (poi presidente onorario), fu tra i fondatori dell’Associazione italiana zeoliti (AIZ), che lo onorò come suo presidente e socio onorario e con un articolo speciale di aggiornamento dello studio delle zeoliti in Italia (scritto a quattro mani con Riccardo Sersale: Delle lave, delle piroclastiti, della zeolitizzazione, in Bollettino AIZ, 1993, vol. 1, pp. 6-11).
Gli ultimi decenni della sua vita centenaria furono dedicati a riassumere esperienze accumulate a Napoli e a documentare con disegni en pointillé in nero o a colori i panorami e gli affioramenti del golfo di Napoli.
Morì a Napoli il 19 gennaio 2008.
Fonti e Bibl.: Non esiste una bibliografia completa di Scherillo, che deve essere perciò compilata assommando bibliografie su temi parziali descritti da vari autori in una pubblicazione miscellanea che onorò il suo 100° compleanno (100 anni per la scienza in onore del Prof. A. S. Atti del Convegno..., 2005, a cura di M.R. Ghiara - A. Mottana - C. Sbordone, Napoli 2007). Utile, anche se priva dei dettagli essenziali, è la bibliografia contenuta nella necrologia (R. Sersale, Ricordo del Professore A. S., Napoli 2008).