SANTIN, Antonio
SANTIN, Antonio. – Nacque a Rovigno il 9 dicembre 1895 da una famiglia di modesta estrazione, primogenito degli undici figli di Antonio e di Eufemia Rossi, lui marinaio e lei operaia del tabacchificio di Torino.
A Rovigno frequentò le elementari, manifestando una precoce vocazione al sacerdozio. Nonostante le condizioni economiche della famiglia, riuscì a frequentare con profitto dal 1906 il ginnasio di Capodistria. Nel settembre del 1914 ebbe accesso al seminario teologico centrale di Gorizia mentre ancora frequentava l’ottava classe, evitando così di essere richiamato alle armi. Allo scoppio delle ostilità fra Italia e Austria-Ungheria Gorizia divenne zona di operazioni, ciò che portò al trasferimento dei chierici, insieme allo stesso arcivescovo Francesco Borgia Sedej, nel monastero cistercense di Stična (nella parte centrale dell’attuale Slovenia). Qui il 1° maggio 1918 Santin ricevette gli ordini sino al diaconato dallo stesso Sedej e il presbiterato dal vescovo di Trieste Andrea Karlin. Fu incardinato nella diocesi d’origine, Parenzo-Pola. Il 5 maggio 1918 celebrò la prima messa a Vienna, nelle cui vicinanze la famiglia viveva in profuganza. Iniziò nello stesso anno la cura d’anime, per un breve periodo in qualità di cappellano esposto in un villaggio dell’interno dell’Istria (Mormorano/Mutvoran, ora in Croazia), dove iniziò a imparare il croato. Già il 2 novembre dello stesso anno fu però trasferito a Pola come vicario cooperatore del Capitolo, e arrivò proprio nel giorno in cui la città passava sotto la sovranità italiana. Nei tredici anni in cui fu cooperatore si segnalò per zelo pastorale, unito a sollecitudine verso i bisogni materiali della popolazione. In tale chiave vanno letti sia l’impegno che esercitò nel 1921, in occasione delle elezioni politiche, nella propaganda per il Partito popolare italiano (PPI), sia la scelta dell’argomento della tesi (l’atteggiamento della Chiesa antica nei confronti della schiavitù) con cui si addottorò nel 1923 nel Pontificio istituto di scienze sociali di Bergamo.
Nel 1832 divenne canonico e titolare dell’unica parrocchia di Pola. Già il 20 agosto dell’anno successivo fu però nominato vescovo della recentemente istituita diocesi di Fiume. Consacrato il 29 ottobre 1933 dall’ordinario di Parenzo-Pola Trifone Pederzolli, prese possesso della sua sede l’11 novembre successivo. Il carattere plurilingue della diocesi gli diede occasione di esercitare la sua conoscenza dello sloveno e del croato nella predicazione e nelle diverse incombenze della visita pastorale. In questo suo primo episcopato confermò le doti di indefesso lavoratore, particolarmente apprezzate nel contesto del pontificato di Pio XI, che faceva dell’attivismo un punto qualificante dell’attività pastorale.
In linea con un orientamento che la S. Sede aveva inaugurato a partire dal pontificato di Pio X fu anche una delle sue iniziative più controverse, l’emanazione di una serie di circolari contro i cosiddetti abusi liturgici, termine con cui venivano allora indicati la celebrazione della liturgia paleoslava o l’uso dei volgari sloveno e croato nell’amministrazione dei sacramenti e in alcune devozioni al di fuori di un ristretto numero di casi, legittimati da privilegi storicamente attestati. Nel contesto della sempre più pesante campagna di snazionalizzazione promossa dal regime fascista l’atteggiamento del vescovo si prestò a letture di tipo politico, che si fecero particolarmente critiche nel 1936, quando chiese al suo clero di insegnare in italiano nell’ora scolastica di religione, come richiesto dal governo, provocando l’invio di un memoriale alla S. Sede da parte dei sacerdoti sloveni e croati della diocesi.
Il 16 maggio 1938 fu nominato vescovo di Trieste e Capodistria, succedendo a Luigi Fogar, costretto alle dimissioni due anni prima dalle pressioni del regime. Il 4 settembre fece il suo ingresso a Trieste, dove ebbe subito modo di manifestare il suo carattere energico, alieno da riguardi quando riteneva fossero a rischio i diritti della Chiesa. L’occasione venne dall’annuncio delle leggi razziali, che Mussolini fece proprio a Trieste il 18 dello stesso mese: i segnali di disapprovazione del vescovo fecero riscontro al contenuto degli articoli del settimanale diocesano Vita nuova, in sintonia peraltro con l’atteggiamento di condanna manifestato allora da Pio XI. Santin si adoperò in più occasioni a difesa dei suoi fedeli sloveni e croati, sottoposti a pressioni sempre più forti, anche nella consapevolezza, più volte manifestata alla S. Sede, che esisteva il rischio si allontanassero dalla Chiesa, avvicinandosi al comunismo. Nella prima fase della guerra (dal maggio del 1941 al febbraio del 1942 fu anche amministratore apostolico nella vacante diocesi di Parenzo e Pola) fu sua cura intervenire presso le autorità a difesa della popolazione slava oggetto di internamento. Il 15 aprile 1943 firmò assieme agli altri vescovi della Venezia Giulia in tal senso un memoriale a Mussolini. Intervenne frequentemente presso le autorità, prima e dopo l’occupazione seguita all’8 settembre 1943, a difesa di ebrei e antifascisti, italiani e slavi, intrattenendo anche discreti contatti con le diverse espressioni del movimento di liberazione. Il tacito consenso alla presenza di cattolici, e anche di un esponente del clero, nella resistenza non comunista, qui attestata su una linea di attendismo, fece da contrappunto alla linea ufficiale di aperta disapprovazione delle azioni di resistenza guerreggiata, causa di gravi ricadute in termini di rappresaglie. Il complesso della sua azione in quel periodo contribuì a dare alla figura del vescovo un’inedita rilevanza nella società triestina. Fu lui a condurre la trattativa che portò, il 1° maggio 1945, alla resa della forza d’occupazione tedesca.
Il suo anticomunismo, scontato allora in un ecclesiastico (l’enciclica Divini Redemptoris aveva definito il comunismo «intrinsecamente perverso») ebbe modo di rafforzarsi nel dopoguerra, che vide la diocesi (compresa Trieste per i primi quaranta giorni) sottoposta al regime jugoslavo e, successivamente al 1947, una gran parte di essa inserita nella Jugoslavia di Tito. L’aggressione subita nel giugno del 1947 a Capodistria ne fu una manifestazione clamorosa. Meno vistosa, ma pesante, l’opposizione di una parte del clero diocesano in seguito alla sua condanna dell’associazione Sodalizio dei sacerdoti di San Paolo, organo dei sacerdoti di lingua slovena, che portò nel 1946 alla presentazione di un memoriale alla S. Sede. Gli strascichi di due decenni di pressione snazionalizzatrice fascista si fecero sentire nel clima di forti contrapposizioni dell’immediato dopoguerra, e non bastò a compensarli l’attenzione, sempre forte in Santin, per il carattere plurilingue della diocesi, da cui l’organizzazione nel 1947 di una missione cittadina a Trieste, con predicazione in italiano e sloveno, o l’approvazione, un anno più tardi, dell’associazione denominata Duhovska zveva (lega sacerdotale).
Come già in passato, il mondo cattolico triestino andò strutturandosi in settori distinti e impermeabili l’uno all’altro, quando non ostili, soprattutto come ripercussione delle vicende internazionali, di cui la questione di Trieste per più di un decennio fu un nodo cruciale. La contrarietà apertamente manifestata da Santin nei confronti del memorandum di Londra, che di fatto sanzionava l’appartenenza anche dell’Istria settentrionale alla Jugoslavia, contribuì a perpetuare la spaccatura pure nel periodo successivo, relativamente più tranquillo.
L’energia con cui Santin gestì ogni aspetto della vita pastorale gli consentì a ogni modo di mantenere la presa sulla situazione, e anzi di consolidare l’immagine pubblica del vescovo in una città fortemente secolarizzata come Trieste. Nel 1950 riuscì a realizzare il progetto, perseguito sin dal suo ingresso, di aprire a Trieste un seminario, sia minore sia teologico. Nel 1959 celebrò quella che era, in assoluto, la seconda sinodo diocesana della plurisecolare storia della diocesi.
Nel 1962 partecipò al concilio, inizialmente scettico, poi convinto. Comunicò ai fedeli le sue impressioni in una serie di lettere pubblicate dal settimanale diocesano. Il suo stile diretto e a tratti autoritario ebbe modo di manifestarsi negli anni successivi nei confronti di quelle che considerava, alla luce di una cultura ecclesiastica forgiata nella prima metà del secolo, manifestazioni di indisciplina da parte del laicato. Si oppose perciò, con una nota non firmata sul settimanale diocesano, all’apertura dei cattolici al centro-sinistra, che a Trieste produsse nel 1964 la nomina del socialista sloveno Dušan Hreščak nella giunta comunale.
Il 13 luglio 1963 fu nominato arcivescovo, a titolo personale, delle ancora unite diocesi di Trieste e Capodistria. Nello stesso anno iniziò la costruzione sul ciglione carsico di un grande santuario mariano, Monte Grisa, inaugurato nel 1966, in adempimento di un voto formulato durante la guerra. Nel 1971 rinunciò alla carica vescovile per raggiunti limiti d’età, e le sue dimissioni furono accettate il 29 giugno 1975. Nel novembre di quell’anno espresse pubblicamente la sua disapprovazione per il trattato di Osimo.
Morì il 17 marzo 1981 ed è sepolto a Trieste, nella cattedrale di S. Giusto.
Opere. Alzatosi lo seguì, Trieste 1958; Sulle strade di Gesù, Trieste 1958; Trieste 1943-1945. Scritti, discorsi, appunti, lettere presentate, raccolte e commentate, a cura di G. Botteri, Udine 1963; Parole di un pastore, Trieste 1974; Al tramonto: ricordi autobiografici di un vescovo, Trieste 1978; Lettere dal Concilio, Trieste 1982; Questo concilio: lettere alla chiesa tergestina dal Concilio vaticano II, Trieste 1984.
Fonti e Bibl.: Bollettino diocesano delle unite diocesi di Trieste e Capodistria; Vita nuova 1938-1971.
L. Cermelj, Il vescovo A. S. e gli Sloveni e Croati delle diocesi di Fiume e Trieste-Capodistria, Ljubljana 1953; Synodus dioecesana Tergestina diebus 14, 15, 16 septembris anno domini 1959 celebrata, Trieste 1959; B. Milanović, Moje uspomene (1900-1976) (I miei ricordi, 1900-1976), Pazin 1976; P. Zovatto, Il vescovo A. S. e il razzismo nazifascista a Trieste (1938-1945), Quarto d’Altino 1977; L. Jurca, Moja leta v Istri pod fašizmom. Spomini (I miei anni in Istria sotto il fascismo. Memorie), Ljubljana 1978; T. Simčič, Jakob Ukmar (1878-1971) - Sto let slovenstva in krščanstva v Trstu (Jakob Ukman (1878-1971). Cent’anni di presenza slovena e cristiana a Trieste), Trst 1986; L. Škerl, Antonio Santin, in Primorski Slovenski Biografski Leksikon (Dizionario biografico degli sloveni del Litorale), XIII, Gorica 1987, pp. 294-297; P. Blasina, Mussolini, mons. Santin e il problema razziale, in Qualestoria. Bollettino dell’Istituto regionale per la Storia del movimento di liberazione nel Friuli-Venezia Giulia, XIX (1991), 2-3, pp. 189-196; G. Botteri, A. S., Pordenone 1992; P. Blasina, Vescovo e clero nella diocesi di Trieste-Capodistria 1938-1945, Trieste 1993; S. Galimberti, Santin: un vescovo solidale: testimonianze dall’archivio privato, Trieste 2000; Id., La Chiesa, Santin e gli ebrei a Trieste, Trieste 2001; E. Malnati, A. S.: un vescovo tra profezia e tradizione 1938-1975, Trieste 2001; S. Galimberti, A. S.: un vescovo del Concilio vaticano II, Trieste 2004; A. S.: lettere pastorali, 1939-1975, a cura di E. Malnati - S. Galimberti, Trieste 2006.