SANTACROCE, Antonio
– Nacque a Roma il 1° agosto 1599 da Marcello e da Porzia del Drago.
Rimasto orfano del padre nel 1606 e della madre nel 1614, fu posto sotto la tutela del fratello maggiore Valerio. Non si sa molto della sua formazione, fu però certamente allievo del Collegio romano della Compagnia di Gesù e conseguì in data imprecisata la laurea in utroque iure.
Come era d’uso per i figli cadetti delle famiglie nobiliari, fu avviato alla carriera ecclesiastica, nella quale riscosse rapidi e brillanti successi. Ancora prima di ricevere i sacri ordini, fu infatti nominato nel 1620 protonotario apostolico, nel 1622 referendario delle due segnature, e nello stesso anno vicelegato a Viterbo, dove visse dal 1623 al 1625. Ordinato sacerdote nel 1624, l’anno seguente ricevette la nomina a governatore della provincia di Campagna e Marittima, per effetto della quale spostò la sua residenza a Frosinone.
Il 27 febbraio 1627 fu nominato nunzio apostolico in Polonia e contestualmente gli fu conferita la dignità di arcivescovo titolare di Seleucia. Fu di gran lunga il più giovane di tutti i nunzi che fino ad allora erano stati inviati a Varsavia. Tra gli affari più rilevanti che si trovò a disbrigare negli anni della nunziatura polacca (1627-30) vi fu la riforma del clero regolare.
In particolare, si adoperò affinché la vastissima provincia polacca dei minori osservanti fosse ripartita in quattro circoscrizioni (ridotte tuttavia a due nel 1630) e cercò con successo di condurre i minori conventuali a una più rigorosa osservanza della regola, come espressamente voluto da Roma. Sforzi analoghi compì nei riguardi degli agostiniani e delle benedettine. Memore della formazione ricevuta presso il Collegio romano, favorì con molto impegno i gesuiti nella controversia che li contrapponeva all’accademia cracoviense. Quest’ultima aveva infatti contestato la validità del privilegio di Sigismondo III, con cui era stata autorizzata la fondazione del collegio della Compagnia a Cracovia. Grazie al decisivo appoggio di Santacroce, la vertenza si risolse nel 1630 con una sentenza della Sacra Rota favorevole ai gesuiti. Rispetto all’interesse per gli ordini religiosi, di rilievo decisamente inferiore fu quello per il clero secolare e la sua riforma disciplinare, come dimostra, fra l’altro, l’assenza di Santacroce dal concilio provinciale celebrato a Piotrków nel 1628, in cui tale questione fu largamente dibattuta.
Per quanto concerne le questioni di politica internazionale, la sua azione fu costantemente diretta a promuovere un’alleanza fra il Regno di Polonia e l’Impero asburgico, nell’intento di pianificare l’invasione della Svezia e l’ascesa di Sigismondo III sul trono di Polonia. Il progetto, che Santacroce sostenne con tutti i mezzi, non fu accolto dal sovrano polacco, ben consapevole che un attacco alla Svezia avrebbe avuto scarse possibilità di successo. Coerentemente con questa politica ‘bellicista’, il nunzio si sforzò di scongiurare una tregua nella guerra in corso fra Polonia e Svezia, con lo scopo di mantenere impegnato in tale scontro l’esercito svedese e di impedirne il coinvolgimento nelle operazioni belliche contro l’Impero. L’azione in questa direzione non fu tuttavia coronata da successo e fra Polonia e Svezia fu concluso nel 1629 l’armistizio di Altmark.
Un’altra questione cui dedicò considerevoli energie fu la promozione al cardinalato del suo predecessore nella nunziatura polacca, Giovanni Battista Lancellotti. Probabilmente l’affare gli stava tanto a cuore poiché poteva costituire un precedente per ottenere un riconoscimento analogo per se stesso: sta di fatto che circa un quarto delle sue superstiti lettere relative agli anni della nunziatura sono dedicate a patrocinare la causa di Lancellotti.
Grazie soprattutto all’intercessione di Sigismondo III, anch’egli ottenne il conferimento della prestigiosa carica. Il 19 novembre 1629, ad appena trent’anni di età, Santacroce fu infatti creato cardinale, e nell’aprile dell’anno successivo, salutata con una solenne cerimonia la sua promozione al cardinalato, egli lasciò Varsavia, dove aveva sempre soggiornato nel corso del suo mandato (salvo che alla fine del 1629, quando fuggì dalla città invasa da una pestilenza) e fece ritorno in Italia. Qui lo attendevano nuovi importanti riconoscimenti: nel marzo del 1631 fu infatti nominato arcivescovo di Chieti e quasi contestualmente (nel giugno dello stesso anno) ricevette l’incarico di legato pontificio a Bologna, dove spostò la sua residenza. Vi rimase fino all’agosto 1634, quando, dopo la nomina del suo successore, si trasferì nella sua diocesi di titolarità, alternando la presenza a Chieti con soggiorni in altri luoghi della diocesi, quali Vasto e Francavilla.
Il suo governo episcopale è ricordato principalmente per due aspetti: il decreto del 4 ottobre 1634 e il sinodo diocesano del 1635. Con il primo, egli corresse un’evidente stortura dell’organizzazione parrocchiale chietina, creando tre nuove parrocchie (Ss. Trinità, S. Antonio e S. Agata) oltre a quella della cattedrale, che era l’unica fino ad allora esistente. Il sinodo diocesano fu celebrato con particolare solennità, e fu anche il primo dell’epoca postridentina le cui costituzioni fossero date alle stampe. Oltre a ciò, va ricordato l’atteggiamento di proficua collaborazione che il presule instaurò con i gesuiti, di cui promosse in modo particolare le missioni popolari sia in città sia nella diocesi.
Santacroce fu a Chieti fino al 1636. Nell’estate di quell’anno, nominato titolare dell’arcidiocesi di Urbino, si trasferì nella città marchigiana. Tra gli atti più rilevanti del suo episcopato vi furono la visita pastorale dell’arcidiocesi, che condusse personalmente, e la celebrazione del sinodo diocesano nel 1639. Nell’intento di favorire l’educazione religiosa dei fedeli, promosse a Urbino l’istituzione della Congregazione della Dottrina cristiana e la fondazione di un convento dei padri filippini (1637). Sotto il suo governo pastorale, inoltre, ebbe termine una plurisecolare controversia riguardante la giurisdizione spirituale dei territori nullius di Casteldurante, Sant’Angelo in Vado e Sassocorvaro, che furono costituiti in diocesi autonoma nel 1636. Il suo governo della Chiesa urbinate si protrasse fino al 1639, quando si dimise dal suo incarico per ragioni di salute e tornò a Roma. Qui ebbe fra l’altro l’incarico di protettore dell’Ordine dei minimi di S. Francesco di Paola.
Morì di tubercolosi a Roma il 25 novembre 1641.
Fonti e Bibl.: Synodus dioecesana teatina ab eminentiss. ac reverendiss. D. Antonio S. R. E. Tit. SS. Nerei et Achillei presbytero cardinali Sanctacrucio, archiepiscopo et comite teatino. Celebrata anno Domini 1635, Maceratae 1636.
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