SACCHINI, Antonio
Musicista, nato a Firenze il 14 giugno 1730, morto a Parigi l'8 ottobre 1786. Studiò con F. Durante nel conservatorio napoletano di Loreto. Le maggiori città dell'Italia settentrionale sollecitarono le sue primizie, qualcuna comica, qualche altra metastasiana. Venezia gli affidò la direzione di un conservatorio. Chiamato a Stoccarda, vi fece rappresentare la Calliroe (1770). Scontento dei compensi economici, accolse un invito a Londra, e, nel recarvisi, si fermò a Monaco di Baviera, dove Scipione in Cartagena fu applaudito. Accettò l'invito di Parigi, poiché Maria Antonietta gli ebbe ottenuto larghe garanzie. Vi giunse nel 1781, essendo già noto per l'olimpiade, che i piccinnisti avevano applaudita e sostenuta, nella speranza che egli avrebbe rafforzato il partito antigluckista. La sua partitura di Renaud (1783) mostra un'elaborazione, un'abbondanza di ricerche drammatiche e teatrali tali da rivelare un artista espertissimo del teatro. Vi si può avvertire l'influenza di Gluck, ma debole, sia nella concezione estetica del dramma, sia nel gusto melodico e armonico. Vi predomina il carattere del melodramma italiano, acclimato nella Parigi gluckiana. Il virtuosismo belcantistico è scomparso; tuttavia la vocalità, che non è intieramente a servigio del dramma e della poesia, rivendica ancora una parte importante. I recitativi, nobilissimi e varî nel corso delle frasi, sono sorretti o intercalati da accenti, da ritmi, da frasi strumentali, raramente abbandonati alle consuete formule declamatorie e armoniche. La cura del particolare è assidua. L'orchestra è attiva sia nell'accentuare il dramma sia nell'accompagnare cori e solisti. Le melodie, distinte in eroico enfatiche e in patetiche, non sono originali, ma sempre nobili e aderenti all'episodio scenico. Variamente giudicato dai gluckisti e dagl'italianizzanti, il S. ebbe forse critico meno ingiusto in colui che lo riconobbe melodico quanto il Piccinni, ma più energico, "sans être jamais monotone et soporatif comme lui". E tale riconoscimento, divulgatosi, determinò un nuovo partito, opposto a Gluck e a Piccinni, quello dei sacchinisti. Ma il S. non progredì nel comporre Chimène ou le Cid (1785). Questa partitura resta inferiore alla precedente per il contenuto drammatico, per l'adesione al testo, per la bellezza delle melodie. Più d'una volta il S. si giovò pigramente di pezzi già composti. Delle opere seguenti alcune recarono una o più arie improntate d'un più fine patetico, altre una o più pagine complesse ed elaborate. Il pensiero del dramma sfuggiva a lui come ad altri contemporanei. Le partiture, freddamente accolte nella loro integrità, venivano scucite e sezionate; i migliori pezzi raccolti antologicamente. Dardanus fu l'ultima opera che il S. vedesse sulle scene. Dopo la morte, la rappresentazione di Ødipe à Colone (1787) recò una non effimera riparazione all'ingiustizia degli avversarî, appassionati nelle polemiche più che desiderosi di critiche feconde. Nel 1788 fu rappresentata Arvire et Évéline, rimasta incompiuta nelle ultime tre scene.
Bibl.: A. Jullien, La Cour et l'Opéra, ecc., Parigi 1878; J.-G. Prod'homme, L'héritage de S., in Rivista musicale italiana, XV; i; id., A. S., in Le ménestrel, 1925.