RUSCA (Ruschis), Antonio
RUSCA (Ruschis), Antonio (in religione Giovanni Alessandro). – Nacque a Torino nel 1616, primo dei tre figli di Giovanni Angelo, colonnello delle milizie ducali ed esponente del patriziato torinese.
Avviato alla vita religiosa (come il fratello Giovanni Angelo, frate carmelitano) nell’Ordine domenicano, professò nel convento di Torino nel marzo del 1635. Nel 1640 andò a Salamanca, dove approfondì gli studi teologici. Tornato in Piemonte quattro anni dopo, gli venne affidata la cattedra di filosofia nello studio conventuale di Torino.
In breve Rusca, che aveva consolidato il suo prestigio accademico, acquisì fama e reputazione che gli consentirono di arrivare, nel 1654, al vertice della provincia di S. Pietro Martire, estesa sui territori lombardi, liguri e piemontesi. Nel 1656, terminato il biennio del suo incarico (a seguito del quale rimase tuttavia vicario provinciale per il Piemonte), gli fu assegnata la guida del convento torinese di S. Domenico, che lasciò qualche mese dopo per dedicarsi all’attività omiletica e a quella accademica. Nel 1656 l’ateneo torinese lo aveva infatti chiamato a ricoprire la cattedra di Sacra Scrittura, che Rusca mantenne sino a quando, nel 1661, non fu nominato inquisitore a Vercelli.
In realtà, dopo il trasferimento al S. Uffizio di Vercelli (che aveva competenza anche sulle diocesi di Ivrea e di Aosta) conservò il titolo cattedratico, e per qualche tempo anche lo stipendio. Tale privilegio, concesso per intercessione di Carlo Emanuele Giacinto di Simiana (il potentissimo marchese di Pianezza, con il quale Rusca mantenne sempre ottimi rapporti), venne messo in discussione nel 1666 da parte di quanti (in primo luogo i carmelitani, a lungo lettori di Sacra Scrittura prima della loro sostituzione con i domenicani) aspiravano a occupare un posto lasciato di fatto vacante da Rusca. Quest’ultimo, rivendicando i suoi diritti e quelli del suo Ordine, ottenne da Carlo Emanuele II – che, nel frattempo, già aveva individuato un carmelitano come lettore – di destinare alla cattedra di Sacra Scrittura il predicatore Domenico Ferrari.
Nelle intenzioni di Rusca l’attività inquisitoriale (da lui già praticata a metà degli anni Cinquanta come vicario del S. Uffizio di Torino) avrebbe dovuto avere un carattere transitorio, essendo rivolti i suoi pensieri «al leggere e predicare» (lettera del 25 luglio 1662, in Archivio di Stato di Torino, Materie politiche per rapporto all’Interno, Lettere di Particolari, R, m. 70). Il frate, di cui è attestata l’intensa attività omiletica in diverse città piemontesi (Chieri, Mondovì, Cherasco) e del Nord Italia (Milano, Genova, Venezia), aveva perciò manifestato alla corte la volontà di tornare nella capitale sabauda per riprendere l’insegnamento, possibilmente con un cospicuo aumento di stipendio. In più di un’occasione, fra il 1665 e il 1670, Rusca aveva accarezzato l’idea di fare ritorno a Torino per ricoprire lì la carica di inquisitore. Il titolare della sede torinese era Tommaso Camotti, di cui si ipotizzava una possibile promozione – come procuratore o, addirittura, come generale – ai vertici dell’Ordine, che avrebbe reso vacante il suo posto. La mancata elezione di Camotti vanificò anche il piano di Rusca di passare al S. Uffizio di Torino. Il desiderio del frate di lasciare Vercelli, il cui convento appariva desolato (al punto che negli ultimi dieci anni «niuno vercellese ha preso l’habito domenicano, e due frati che vi sono vercellesi figli di quel convento, oltre l’esser di umilissima nascita, sono insieme di qualità tali che sono ben degni di compassione ma non di governo», lettera del 13 luglio 1670, ibid.), si era già manifestato un paio di anni prima in occasione della prematura morte del titolare della provincia di S. Pietro Martire. Rusca aveva allora fatto intendere la volontà di ricoprire nuovamente quella carica rinunciando all’ufficio di inquisitore. Tuttavia, pochi mesi dopo il frate informava la corte di non essere più disponibile al provincialato, sia per la precaria salute, sia per evitare la contrarietà dei padri milanesi che, in virtù del principio di alternanza fra lombardi e piemontesi alla guida della circoscrizione provinciale, avrebbero ritenuto abusiva la sua nomina.
Lo scrupolo di non urtare la sensibilità della componente milanese del suo Ordine va letto alla luce degli intensi legami che Rusca stabilì con molte città lombarde, nelle quali veniva regolarmente invitato come predicatore quaresimalista. Il frate aveva del resto cercato di conferire prestigio alla propria famiglia – di cui soleva far dipingere le armi «in tutte le celle dei conventi da lui abitate» (Manno, 1895-1918, p. 623) – presentandola come derivazione di un antico lignaggio lombardo, i Rusca di Como, di cui un monaco cistercense, Roberto Rusca, aveva nel 1610 composto la storia. Di tale opera erano uscite (a partire dal 1657) nuove edizioni con aggiunte curate dal priore del convento domenicano di Torino, Girolamo Maria Fasiano, nelle quali si ricostruivano – non senza forzature e invenzioni – le vicende del (presunto) ramo torinese dei Rusca, di cui l’inquisitore di Vercelli veniva presentato come il più illustre esponente.
L’interesse per la celebrazione delle origini lombarde del suo casato contribuisce a spiegare la scelta del frate di attraversare il Sesia per stabilirsi nello Stato di Milano quando, nel febbraio del 1680, fu improvvisamente costretto ad abbandonare i domini sabaudi. Era stata la stessa reggente, la duchessa Maria Giovanna Battista di Savoia Nemours, «mal soddisfatta» dell’inquisitore (lettera dell’8 marzo 1679, in Archivio di Stato di Torino, Materie politiche per rapporto all’Interno, Lettere di Particolari, R, m. 70) – forse perché un intervento di quest’ultimo su di un canonico vercellese era apparso un indebito abuso di giurisdizione – a ordinare l’espulsione di Rusca. Amareggiato da tale provvedimento, il frate aveva cercato di fare leva sulle sue conoscenze nella Curia romana e nella corte torinese (dove, come confessore della duchessa, si trovava allora un suo cugino, il carmelitano scalzo Agostino Lodi) per ottenere il perdono dalla sovrana e la riabilitazione.
Anche la città di Vercelli era intervenuta invocando il ritorno dell’inquisitore, ingiustamente allontanato, a suo dire, «per calunnie e falsità» (lettera del maggio 1680, ibid., Lettere di città e comuni, corpi ecclesiastici e secolari, m. 27, f. Vercelli). Rientrato in Piemonte (dapprima si stabilì a Rivoli, poi a Torino), nella primavera del 1682 Rusca tornò a Vercelli dove fu reintegrato nel ruolo di inquisitore. In tale veste egli aveva dovuto affrontare il dissenso ereticale (tanto più insidioso quando si annidava anche fra i comandanti delle milizie di stanza a Vercelli), vigilare per impedire o ridurre i contatti con gli ebrei, intervenire nei confronti di ecclesiastici – come nel caso di un minore osservante accusato di aver pronunciato parole censurabili durante una predica – i cui comportamenti potevano risultare devianti. In una delle ultime lettere inviate a corte prima della morte, Rusca ribadiva la valenza pubblica, oltre che spirituale, del suo ruolo, affermando che «dall’inquisitor si fa non meno il servigio del principe che quello di Dio, ma conviene che il principe autorizzi col suo palese patrocinio li inquisitori, che così più presto si viene in cognitione de’ delitti e non si lasciano dilatare» (lettera del 20 febbraio 1684, ibid., Materie politiche per rapporto all’Interno, Lettere di Particolari, R, m. 70).
Morì a Vercelli nel luglio del 1684.
Opere. Brevis summa totius philosophiae, Taurini 1658 (anche Mediolani 1663); Discorsi morali sopra tutti li vangeli della Quadragesima, et alcuni sermoni de santi, Pavia 1668; Sermoni nelle festività di alcuni santi, Torino 1677.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Torino, Materie politiche per rapporto all’Interno, Lettere di Particolari, R, m. 70; Lettere di città e comuni, corpi ecclesiastici e secolari, m. 27, f. Vercelli; Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede, S. O., St. St., SH 3-o, f. 1, Plures inquisitores...; M 6-h, f. 1661, Vercelli; GG 1-h, f. Monferrato. Lettere, conti ed altro...; O 4-e, f. 1686 Calumniator extractus.
R. Rusca, Il Rusco, overo dell’historia della famiglia Rusca libri tre [...] ristampata per mandato del M. R. padre fr. Girolamo Maria Fasiani, Venetia-Torino-Vercelli 1664 e 1675, p. 204; A. Manno, Il patriziato subalpino, dattiloscritto composto tra il 1895 e il 1918, XXIII, pp. 623 s.; S. Vallaro, I professori domenicani nell’Università di Torino, in Archivum Fratrum Praedicatorum, VII (1937), pp. 144-146; G. Tibaldeschi, “Persecutori de’ christiani et veri ministri dell’Anticristo”. Gli inquisitori di Vercelli: schede per una ricerca, in 1899: il ritorno dei domenicani a Vercelli. Occasione per una memoria, Vercelli 2002, pp. 178-183; A. Merlotti, Le nobiltà piemontesi come problema storico-politico: Francesco Agostino Della Chiesa tra storiografia dinastica e patrizia, in Nobiltà e Stato in Piemonte. I Ferrero d’Ormea, a cura di A. Merlotti, Torino 2003, pp. 51 s.; V. Lavenia, Vercelli, in Dizionario storico dell’inquisizione, a cura di A. Prosperi, III, Pisa 2010, p. 1664; G. Tibaldeschi, “Silentium et archiva”. L’Inquisizione, in Storia di Vercelli in età moderna e contemporanea, a cura di E. Tortarolo, I, Torino 2011, pp. 214, 227, 229, 237, 244.