ROSMINI Serbati, Antonio
Nacque il 24 marzo 1797 a Rovereto nel Trentino, da nolbile famiglia; morì il 1° luglio 1855 a Stresa. La sua vita fu intensa, profondamente ascetica, dedita allo studio, alla religione, alla patria. Fatti i primi studî a Rovereto e poi a Padova, fu ordinato sacerdote nel 1821, laureato in "divinità e diritto canonico" nell'università di Padova nel 1822. Si volse a tutti i rami del sapere, considerandoli nella genesi storica e teorica e studiandosi di organizzarli al lume di un principio filosofico oggettivo universale. Seguendo la propria naturale inclinazione (diventata per lui un preciso dovere da quando, andato a Roma per la prima volta nel 1823, ebbe colloquî con l'abate Mauro Cappellari, poi papa Gregorio XVI, e con Pio VII), propostosi di restaurare gli studî filosofici, si trasferì a Milano, nel 1826, prendendo dimora presso S. Sepolcro vicino alla Biblioteca Ambrosiana. Intanto preparava l'altra sua grande opera di bene, l'Istituto della Carità (v. rosminiani, congregazione dei). L'una e l'altra opera furono continuate da lui al Calvario di Domodossola, dove si recò nel febbraio del 1828 come a luogo di raccoglimento ed esercizio spirituale. Al Calvario ebbero concreto inizio l'Istituto della Carità e il Nuovo Saggio sull'origine delle idee, che doveva indicare il vero principio filosofico organizzatore dello scibile, ma, desiderando che quest'ultimo venisse pubblicato nella capitale cattolica, il R. si recò una seconda volta a Roma, e, avuto nuovo incoraggiamento dal papa neoeletto Pio VIII, fece uscire colà, nel 1830, quella sua pubblicazione fondamentale, in quattro volumi, anonima, col Nihil obstat dei censori romani (un conventuale e un gesuita) e l'Imprimatur del maestro del Sacro Palazzo. Il Nuovo saggio uscì poi in successive edizioni rielaborate in 3 volumi, e, a partire dalla seconda (Milano 1836), col nome dell'autore. Il resto della vita del R., che si svolse principalmente nel Trentino, a Domodossola e infine a Stresa, fu dedito allo sviluppo del sistema filosofico in numerose opere e alla cura dell'Istituto della Carità, a cui aggiunse un istituto di suore della Provvidenza. Notevoli la persecuzione da parte dell'Austria, da quando il governo di questa ne conobbe i sentimenti rispetto all'indipendenza dell'Italia e della Chiesa, resi noti col Panegirico di Pio VII, letto a Rovereto nel 1823 e potuto pubblicare solo con mutilazioni nel 1831; le polemiche da parte di alcuni teologi, in seguito alla pubblicazione del Trattato della coscienza morale avvenuta nel 1840; e finalmente le avversità di carattere politico, incontrate per gli scritti con cui anch'egli prese a collaborare al Risorgimento italiano, soprattutto dopo che, inviato dal governo piemontese nel 1848 presso Pio IX, principalmente a opera del Gioberti, allo scopo d'incoraggiare il papa nella via intrapresa, questi cambiò direttive. Da questo momento il R., rifiutato ogni incarico politico anche se proposto dal papa, benché l'avesse egli seguito con attaccamento filiale a Gaeta e a Napoli, donde fu cacciato dalla polizia borbonica, tornò a Stresa, ove attese serenamente ai suoi scritti filosofici e, quindi, allo sviluppo della sua dottrina, attaccata dai nemici teologi. Al letto del R. morente, a Stresa, accorsero gli amici ecclesiastici e laici; tra questi il Tommaseo, suo compagno di studî a Padova e a Milano, Gustavo di Cavour e il Manzoni, conosciuto personalmente a Milano già nel 1826, e la cui amicizia influì certamente sullo sviluppo delle idee in entrambi, sempre in senso cristiano e patriottico. Sulla sua tomba, a Stresa, si erge una statua di V. Vela che porta per iscrizione l'alto elogio fattogli da Gregorio XVI nelle Lettere apostoliche con cui nel 1839 approvava l'Istituto della Carità.
Opere principali: Il R. rifuse più volte le numerosissime sue pubblicazioni: per un orientamento e un elenco completo di esse, edite e inedite, fino al 1925, v. C. Caviglione, Bibliografia delle opere di A. R., Torino 1925. Verso il 1850 il R., deliberata una nuova ristampa di tutti i proprî scritti con l'intento di aggiungervi le nuove opere che stava preparando, iniziò la serie con l'Introduzione alla filosofia, Casale 1850 (rist., Torino 1924); seguirono il Nuovo saggio sull'origine delle idee, Torino 1851-52 (5ª ed., con nuovo Preliminare e indici); Logica, Torino 1854; ma, deceduto l'autore, la serie rimase sospesa. Altre opere prima pubblicate sono: Il rinnovamento della filosofia in Italia, Milano 1836; Principio della scienza morale e storia comparativa e critica dei sistemi intorno al principio della morale, ivi 1837 (rist., Torino 1928-29); Antropologia in servizio della scienza morale, Milano 1838; Trattato della coscienza morale, ivi 1839-40; Filosofia della politica, ivi 1839; Filosofia del diritto, voll. 2, ivi 1841-45; Teodicea, ivi 1845; Prose ecclesiastiche, voll. 4, ivi 1838-1850 (importanti le Lezioni spirituali, già pubblicate col titolo di Massime di perfezione nel 1830 e ora inserite nel vol. III, contenenti i principî dell'ascetica rosminiana); La costituzione secondo la giustizia sociale, con appendice sull'unità d'Italia, ivi 1848; Delle cinque piaghe della santa chiesa, Lugano 1848; Psicologia, voll. 2, Novara 1846-50. Opere postume: Del principio supremo della metodica, Torino 1857; Aristotele esposto ed esaminato, ivi 1857 (rist., ivi 1930); Teosofia, voll. 5, ivi 1859-74 (contiene l'Ontologia); Della missione a Roma di A. R. negli anni 1848-1849, ivi 1881; L'introduzione del Vangelo secondo San Giovanni, ivi 1882; Saggio storico critico sulle categorie e la dialettica, ivi 1882; Scritti vari di metodo e di pedagogia, ivi 1883 (contiene molte cose già edite dall'autore, come il Saggio sull'unità dell'educazione, Firenze 1826, e Dell'educazione cristiana, Venezia 1823); Antropologia soprannaturale, voll. 3, Casale 1884; Epistolario completo, voll. 13, ivi 1887-94, ripubblicato nel 1905; Epistolario ascetico, voll. 4, Roma 1911-13; Carteggio fra A. Manzoni e A. Rosmini, a cura di G. Bonola, Milano 1900. Dal 1924, a Torino, una Piccola Biblioteca Rosminiana diretta da C. Caviglione, va pubblicando, con studî e commenti in piccoli volumi, opere intere e parte di opere edite e inedite del R. e sul R.; dal luglio 1934 vengono ripubblicate tutte le opere edite e inedite a cura della Società filosofica italiana, ma gli inizî non lasciano molto sperare.
La filosofia - Per il R. il principio supremo che dà unità a tutto lo scibile è l'essere in universale; il quale, in quanto è appreso soltanto dalla mente e non dai sensi, che per loro natura raccolgono solo i particolari, egli chiama essere ideale o mentale, ovvero anche idea dell'essere, e, in quanto è conosciuto immediatamente, è detto oggetto di intuizione. Ogni altra cosa si conosce mediante l'essere, riferendola ad esso in qualche maniera almeno sottintesa, collocandola nella classe universale degli enti. Ogni ragionamento, e la filosofia per R. non altro è che ragionamento, suppone un primo giudizio, ma ogni giudizio suppone un'idea; ci deve essere una prima idea, che è il "ver primo che l'uom crede". Il R. cercando questo "ver primo" non dimostrato né dimostrabile, perché prima condizione di ogni dimostrazione, conosciuto quindi immediatamente, oggetto perciò d'intuito, lo ravvisò nell'essere universale. Questo pertanto non è solo il principio unificatore e organizzatore dello scibile, ma è anche l'oggetto immediato del conoscere, punto di partenza e mezzo a conoscere le altre cose, poiché intelligente è soltanto chi può dire sì, no; est, non est; cosa che presuppone la nozione dell'essere in universale. E poiché una cosa è vera quando è, tal lume è pure il criterio della verità. Essendo esso la prima condizione che rende possibile i giudizî, corrisponde alle categorie intellettuali kantiane ridotte a una sola; ma in quanto è universale - nel senso che è oggetto comune di tutte le intelligenze, che lo possono tutte a buon diritto predicare di sé e di tutte le cose create e increate - è l'ens communissimum della Scolastica; non è un primo psicologico, ma ontologico e permette alle intelligenze, create da esso, di comunicare in qualche modo tra loro; anzi esso fa delle intelligenze tutte un organismo solo, una società che il R. chiama teocratica. E, poiché l'essere è la verità, ogni intelligenza, per il solo fatto che è tale, è informata, come si dice in linguaggio aristotelico-scolastico, dalla verità. Così, a mente del R., è confutato lo scetticismo, e non vale più il dire che non conosciamo le cose come sono in sé stesse, poiché la loro intelligibilità coincide col loro essere. E in questo punto, secondo il R., c'è una differenza sostanziale tra lui e il Kant. Però l'innata nozione dell'essere in universale o comunissimo è, perché tale, indeterminata; e, quindi, sebbene necessaria, non è sufficiente a conoscere questo o cotesto; rispetto alle cose nella loro singolarità ci dà solo la potenza di conoscere, e nulla più. Infatti, dell'indeterminato non si può parlare senza aggiungervi qualche cosa che lo determini; occorre quindi una sintesi. La conoscenza in atto è sintesi di "forma" e di "materia" di "oggetto" e di "soggetto"; la forma è costituita dall'essere in universale che e anche l'oggetto del conoscere; la materia è fornita dal sensibile, che è sempre soggettività. Nell'esperienza il sensibile viene riferito all'essere che è l'unico vero oggetto per sé stesso sempre presente ed è il "primo noto"; e cosi il sensibile viene oggettivato, cioè conosciuto; e d'altra parte il primo oggetto noto o, per sé indeterminato, è veduto nel rapporto col sensibile e cosi viene determinato, onde si formano i molteplici concetti, unificati per il loro fondo comune che è sempre l'essere intuito. Il sensibile allora appare come realizzazione o attuazione di ciò che la mente intuisce come possibile o attuabile. In questo senso il R. dice che l'oggetto della mente umana è l'essere possibile; parola che indica solo una relazione dell'idea con la realtà, non già che l'oggetto naturale della mente umana sia soltanto un possibile per sé stesso; esso, anzi, necessariamente è come prima condizione dell'essere e del conoscere, onde prende anche nome di "essere iniziale". Però i dati dell'esperienza sensibile sono e appaiono solo come limitate attuazioni dell'essere in universale veduto dalla mente, essere che per suo conto rappresenta invece una possibilità senza limiti; l'attuazione totale di siffatta possibilità è ciò che corrisponde al concetto di Dio, il quale quindi resta fuori dalla nostra esperienza naturale.
L'essere in universale, oggetto dell'intuito rosminiano, non solo non è Dio, ma nemmeno il concetto di Dio, poiché il concetto di Dio implica determinazione, e l'adeguata determinazione esigerebbe un'esperienza che in natura non si dà. Il R. perciò, con i suoi principî fondamentali e caratteristici, combatte l'ontologismo e il panteismo, e vuole costantemente distinti l'ordine naturale e l'ordine soprannaturale dell'esperienza, e, pur conservando un ultimo residuo di innatismo o di apriorismo, aderisce alla concezione galileiana della necessità dell'esperienza sensibile per tutto ciò che riguarda i modi dell'essere, ponendo come principio e metodo, non solo della scienza positiva, ma anche della filosofia, l'osservazione integrale e anzitutto l'osservazione interiore. Interiore, cioè non percepibile con i sensi, è infatti per lui l'unico vero oggetto immediato del conoscere, e lo sviluppo della conoscenza è un cogliere i rapporti tra il sensibile, sia interno sia esterno, con tale oggetto interiore o mentale. L'uomo, secondo il R. è potenzialmente infinito, in grazia dell'intelletto che coglie l'essere, è effettivamente limitato per l'esperienza, che fornisce i modi; e rispetto a questi può ripetere il detto di Galileo: "i modi non li conosceremo mai tutti". La sua distinzione tra naturale e soprannaturale non intacca l'intelletto; la logica è sempre la stessa, perché è imposta dalla forma del conoscere, che è unica e assoluta; le leggi logiche per lui hanno applicazione universale senza distinzione di fenomeni e noumeni o altro; distinzioni che derivano dalla diversa materia del conoscere, cioè dall'esperienza; il soprannaturale è una specie di esperienza che non sfugge alla logica, ma implica una sensibilità nuova nell'uomo, sensibilità di realtà infinita, e perciò trascendente la natura che è tutta limitata ed esclusiva. Pertanto la logica essendo sempre la stessa, variando solo la materia cui si applica, il R. non esclude il soprannaturale dall'ambito della sua sistemazione unitaria dello scibile, ma anzi se ne vale anche a meglio intendere e determinare l'esperienza naturale da quella limitata e distinta. Egli disse che i due più grandi doni che Dio abbia fatto all'uomo sono la logica e il Vangelo, quale rivelazione del soprannaturale, esterna con il linguaggio, interna con la grazia; e commentò in maniera mai più usata il principio del Vangelo di S. Giovanni, dove è l'accenno all'unico fonte della verità: il Verbo divino che illumina l'intelletto di ogni uomo che viene a questo mondo (di qui la logica), che si dà a percepire sensibilmente in qualche maniera ineffabile alle anime redente per le quali è anche vita (di qui la grazia e l'uomo nuovo), il che produce pure una capacità più vigorosa nel retto uso della logica, che tuttavia è sempre la stessa. In questo punto fondamentale il R. si è ricongiunto a S. Agostino, a S. Bonaventura; ma altresi a S. Tommaso, e con particolare slancio, in quanto fu il filosofo che ha trionfato nel concilio di Trento, interpretando però quest'ultimo Dottore in maniera non puramente aristotelica, associandolo anzi profondamente ai primi due, che sono pure autentici Dottori della Chiesa. La conoscenza umana per il R. non comincia con l'astrazione o con l'analisi, ma con una sintesi primitiva, spontanea, naturale, inconsapevole, dovuta al fatto che lo stesso uomo è a un tempo intelligente e senziente, e non può quindi non riferire il sentito all'inteso, onde con la sintesi primitiva egli colloca il sentito nell'inteso e si attua cosi l'interiore verbo degli antichi col quale si afferma l'esistere del sentito-inteso. Ma il sentito è mutevole e transeunte per cui anche l'affermazione dell'esistenza può venir meno; si può conservare come persuasione, come ricordo, ma può dileguarsi interamente, e rimane allora solamente l'intuizione corrispondente dell'idea determinata o concetto. Questo distacco dall'affermazione il R. chiama "universalizzazione", perché il concetto senza l'affermazione è una pura possibilità o pensabilità, e, come tale, universale; sempre applicabile al singolo sentito, se, p. es., si ripete, ma non necessariamente applicata. E un fatto, dice, che noi abbiamo oggetti mentali o idee che stanno davanti alla mente senza costringerci ad adoperarle e comprometterle con un nostro giudizio, e tali idee o concetti non sono altro che l'innato oggetto dell'intelletto, veduto però con delle determinazioni, cioè con dei rapporti verso realtà, sentite. C'è dunque tutto un conoscere che non è ancora un giudicare, e che egli chiama d'intuizione, nel quale non vi può essere errore, appunto perché con esso non si fa ancora alcun giudizio; cognizione perciò veramente oggettiva; e c'è la cognizione che è fatta di giudizî e questa è soggettiva, passibile di errore. La prima rende possibile la seconda, ma non la necessita mai a errare; l'errore ha un'altra fonte, che sta esclusivamente nell'attività nostra giudicativa. Intuizione e giudizio pertanto si alternano; quella rende possibile questo, ma questo è pur necessario a rendere determinata quella, cioè a formare i singoli concetti. Questi poi non sono necessariamente sempre degli astratti; si può avere il concetto del cavallo tale, della scuderia tale, che quindi ha tutte le determinazioni, ed è perciò concreto pur essendo puro concetto, cioè puro pensato, pura possibilità intuita: l'astrazione, dice il R., non si esercita sul percepito, ma sul concetto intuito, separato già dalla realtà, che è sempre concreta, mediante l'universalizzazione; e, da qualsiasi concetto si parta, concreto o no, si arriva, con l'astrazione, all'idea indeterminatissima dell'essere la quale dunque era in fondo a ogni concetto, ed essendo unica li univa, anche se non ce n'eravamo accorti prima. Tal fondo comune è la ragione per cui il R. parla di giudizî ideali, o possibili, che nient'altro sono se non rapporti, e chi dice rapporto dice in qualche maniera unità tra concetti: in essi il comune essere ideale intuito costituisce il legame, il verbo logico, da non confondere col verbo dell'affermazione interiore soggettiva o giudizio reale, in cui ci può essere errore, e dove l'"è" costituisce una effettiva presa di possesso da parte nostra di quell'unità tutta oggettiva; costituisce, in altre parole, un assenso. Rilevare che c'è un concreto ideale, oltre al concreto reale, e che il primo non può essere un astratto, o peggio un estratto, del secondo, è confermare che l'essere, pur essendo unico, ha due modi: uno ideale, colto dall'intelletto, e uno reale, colto dall'esperienza sensibile. A questi modi poi il R. ne aggiunge un terzo, il morale: l'essere unico, che in quanto intelligibile chiama idea, e in quanto sensibile, realtà, in quanto amabile, bene, prende la denominazione di essenza dell'essere, che, sempre la stessa, è nota per natura a ogni intelligenza; l'essenza dell'essere è lo stesso essere in universale unificatore dello scibile, ma considerato sotto un particolare aspetto e cioè in relazione ai modi fondamentali o categorie, che sono le tre descritte. Le quali sono a loro volta in stretto rapporto tra loro, si che l'una non si intenderebbe senza l'altra. È infatti necessario apprendere qualcosa di reale per accorgersi che l'idea differisce di categoria dalla realtà; ma poi un'ulteriore riflessione filosofica ci renderà consapevoli che la realtà finita non ci potrebbe essere senza l'idea, poiché sta alla prima come l'attuazione sta alla possibilità, e una riflessione più alta ci renderà consapevoli che la possibilità o idealità, essendo oggettività o pensabilità, e come tale, eterna, infinita, necessaria, esige pure necessariamente una realtà o soggetto adeguato che è la mente divina, cui si giunge dunque per ragionamento, non per sola esperienza naturale, e fondandoci sull'a priori del conoscere. In tal punto il R. si collega a S. Anselmo, chiarendo però che altro è Dio e altro il concetto di Dio. Ma dal pensabile o possibile all'atto o all'attuato non c'è passaggio senza l'altro principio che è la libera volontà o amore: occorre la terza forma dell'essere; tre forme tutte originarie e supreme, onde invano si può tentare di catalogare quello del R. in uno dei sistemi storici precedenti.
Il sistema del R. non è idealista più che realista o volontarista; è tutt'insieme queste cose organizzate per l'essenza dell'essere, unica nelle tre forme, tutte primordiali. Ciascuna forma contiene, a suo modo, le altre: c'è, p. es., la realtà dell'idea e l'idea della realtà, ecc., e ciò il R. chiama "insessione delle forme"; mentre il legame, per cui tutto quello che è, è in grazia di tutte le altre entità dell'unico essere nelle tre forme, egli significò con la formula "sintetismo universale". Questi i principî ontologici organizzatori del sistema, il cui sviluppo non è passibile di arresto in quanto non è esauribile l'esperienza nei tre campi liberi della pensabilità, della realtà e della moralità. Ma non è possibile qui entrare nei rami speciali della filosofia in ognuno dei quali le opere del R. contengono una ricchezza mirabile di osservazioni originali, d'ingegnose e accurate ricerche, di considerazioni storiche magistrali: il tutto esposto con lucido ordine, in una prosa semplice insieme e classica, con una passione contenuta e pacata, che è ardore religioso del vero.
Bibl.: N. Tommaseo, A. R., in Rivista contemporanea, Torino 1855 (ristampato col titolo Il ritratto di A. R., ivi 1929); F. Paoli, Della vita di A. R., voll. 2, ivi 1880; P. G. Lochart, Life of the rev. A. R., voll. 2, Londra 1883; trad. it. di L. Sernagiotto, I, Venezia 1888; trad. franc. di M. Segond, Parigi 1889; La vita di A. R. scritta da un sac. dell'Istituto della Carità, voll. 2, Torino 1897; G. Pusineri, R. fondatore dell'Istituto della Carità, Milano 1928; Per A. R. nel I° centenario della nascita, voll. 2, ivi 1897 (il vol. II contiene le Stresiane, dialoghi inediti tra A. R., A. Manzoni, Gustavo di Cavour, R. Bonghi, raccolti da quest'ultimo: rist. anche a parte). Le pubblicazioni sulla dottrina del R. sono numerosissime e rispecchiano interpretazioni e valutazioni molto diverse tra loro, per lo più unilaterali; none siste uno studio storico-critico esauriente, ancorché i più riputati critici affermino di lui un altissimo e sempre attuale valore scientifico, filosofico e morale. A parte esposizioni riassuntive come: A. Pestalozza, in Elementi di filosofia, 2ª ed., Milano 1849-51; G. Buroni, Dell'essere e del conoscere, studi su Parmenide, Platone e R., Torino 1877, op. anche critica e interpretativa; G. Calza e P. Perez, Esposizione ragionata della filosofia di A. R., voll. 2, Intra 1878-79; G. Morando, Corso elementare di filosofia, voll. 3, Milano 1898-1899; e P. M. Ferrè, Degli universali secondo la teoria rosminiana, voll. 11, Casale 1880-86, op. in cui si confronta detta teoria con quella di S. Tommaso, si possono segnalare: P. Paganini, S. Tommaso d'Aquino e il R., Pisa 1857; D. Jaja, Studio critico sulle categorie e forme dell'essere di A. R., Bologna 1878; L. M. Billia, Lo studio critico di Jaja sulle categorie e forme dell'essere di A. R., Venezia 1891; G. Gentile, R. e Gioberti, Pisa 1898; id., Framm. di storia della filos., I, Lanciano 1926; C. Caviglione, Il R. vero, Saggio d'interpretazione, Voghera 1912; L. M. Billia, Quaranta proposizioni attribuite ad A. R. coi testi originali completi dell'autore e con altri dello stesso che ne compiono il senso, Milano 1889; G. Morando, Esame critico delle XL proposizioni rosminiane, ivi 1905; C. Calzi, R. nella presente questione sociale, Torino 1899; F. P. Palhoriès, R., Parigi 1908; F. Perez Bueno, R., Doctrinas etico-juridicas, Madrid 1919. Si occuparono occasionalmente della filosofia di R. con diversi punti di vista: A. Manzoni, Osservazioni sulla morale cattolica, rifacimento del 1855: id., Dialogo dell'invenzione, 1850; R. Bonghi, Le prime armi, Bologna 1894; F. Fiorentino, in La Filosofia contemporanea in Italia, Napoli 1876; S. Spaventa, Da Socrate a Hegel, Bari 1905; id., La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea, ivi 1909 (sono scritti pubblicati dallo Spaventa intorno al 1870, raccolti da G. Gentile); A. Moglia, La filosofia di S. Tommaso nelle scuole italiane, Piacenza 1885, ecc. Le idee del R. furono anche esposte e discusse in riviste apposite: La sapienza, Torino 1879-88; Il R., Milano, 1° gennaio 1887-16 giugno 1889; Il nuovo R., ivi, 15 luglio 1889-31 dicembre 1889; Rivista rosminiana, Lodi 1906 segg. Per più ampie notizie bibliografiche fino al 1890, v. F. Paoli, Bibliografia rosminiana, Rovereto 1884-90; e successivamente: C. Caviglione, Bibl. delle opere di A. R., Torino 1925; D. Morando, Bibl. degli scritti di A. R., in A. R., scritti autobiografici, Roma 1934 (ediz. nazionale, I).