RINALDI, Antonio
RINALDI, Antonio. – Nacque a Palermo nel 1709 (Buccaro - Kjučarianc - Miltenov, 2003, pp. 85 s., n. 91). Il padre Alessandro apparteneva a una famiglia romana di buon livello sociale.
Ancora adolescente, Rinaldi si trasferì a Roma presso lo zio, il pittore Marco Benefial, formandosi e lavorando con lui per otto anni. Fece il proprio esordio nell’ambiente architettonico della capitale pontificia con Luigi Vanvitelli, dal cui epistolario è possibile trarre notizie sulla personalità di Antonio e sugli aspetti più significativi dell’attività svolta tra Roma, Caserta e San Pietroburgo.
A Roma egli seppe guadagnare la stima del maestro, inserendosi nel fervido dibattito che vedeva, da un lato, gli ultimi fermenti rococò, dall’altro, le tendenze classicistiche e neocinquecentiste; ma, come Vanvitelli, egli si mantenne estraneo sia alle stravaganze barocche, sia al razionalismo e allo scientismo più spinto, mirando piuttosto all’acquisizione di un austero stile internazionale, che gli avrebbe fruttato solide credenziali per la lunga trasferta russa.
A partire dal 1740 curò il miglioramento della rete degli acquedotti romani; fu poi a Pesaro, ove fino al 1747 diresse i lavori per la chiesa vanvitelliana della Maddalena: l’impronta rinaldiana è evidente nell’opera realizzata, il cui interno mostra scelte autonome, ispirate alla ricerca spaziale tardobarocca, mentre il tema della facciata concava sarebbe riapparso in seguito nelle sue opere. Tra il 1748 e il 1749 collaborò agli studi di Vanvitelli per la facciata del duomo di Milano, per il consolidamento della cupola di S. Pietro e per la trasformazione del convento di S. Agostino in Roma (da lui eseguita in collaborazione con Carlo Murena).
Rinaldi operò in ambito romano fino a tutto il 1750, con la direzione dei lavori per l’acquedotto dell’Acqua Vergine e il disegno per l’altare maggiore della chiesa di S. Francesco a Ripa. Dal 1751 fu quindi a Caserta, ove si occupò della misurazione dell’area destinata alla costruzione della Reggia vanvitelliana, potendo così acquisire un metodo progettuale finalizzato a opere di vaste proporzioni dai particolari effetti prospettici e scenografici, nonché un linguaggio architettonico di respiro europeo.
Nel 1751, all’interno del programma posto in atto da Vanvitelli per la diffusione dei propri epigoni nei principali Stati del continente, l’architetto ricevette l’invito a recarsi in Ucraina, nella Russia di Elisabetta I, ove fu al servizio del conte Razumovskij, per il quale progettò la residenza di Cozel′ca presso Kiev: qui ebbe modo di ammirare, oltre alle opere dei principali architetti locali, la cattedrale di S. Andrea, eretta su progetto di Francesco Bartolomeo Rastrelli (1747-53), aprendosi alla tradizione artistica e alla natura dei luoghi russi e mostrando sin dall’inizio il rispetto delle peculiarità dei materiali locali. Razumovskij gli commissionò anche la trasformazione urbanistica di Baturin: il progetto di Rinaldi, comprendente un palazzo «di pietra» e il parco circostante con vari padiglioni, venne limitato alla sola residenza (1752-54). Nella vicina città di Gluchov egli ideò un altro edificio «di pietra», sebbene nella corrispondenza con Vanvitelli si parli anche in questo caso di una «città nuova», poi non eseguita (Buccaro - Kjučarianc - Miltenov, 2003, pp. 66 s.).
Nel 1754 progettò la Sala di Parata nel palazzo di Caterina a Mosca, lavorandovi ancora vent’anni dopo; dal 1755 al 1760 fu impegnato nella tenuta di Voroncov nei pressi di San Pietroburgo, ove realizzò la residenza suburbana, con parco annesso, detta in seguito palazzo Novo-Znamenka (oggi adibito a ospedale), secondo un modello ancora legato alla villa suburbana tardobarocca, ma già ispirato alla nuova tendenza paesaggistica inglese.
Nominato da Caterina Alekseevna (poi zarina con il nome di Caterina II) architetto presso la corte del marito, il granduca Pietro Fëdorovič (futuro zar Pietro III), fino al 1762 Rinaldi lavorò a Oranienbaum per la costruzione della fortezza Peterštadt e del parco Petrovskij: in queste opere si nota uno sforzo di aggiornamento nella direzione della nuova architettura dell’Illuminismo, specie nelle soluzioni planimetriche, pur optando per interni ancora rococò. L’architetto soggiornò diversi anni a Oranienbaum, lavorandovi anche dopo il 1762: le lettere di Vanvitelli al fratello Urbano (1762-68) raccontano dell’aiuto fornito a Rinaldi dal maestro, il quale più di una volta gli fece inviare da Roma materiali e strumenti. Il disegno del parco di Oranienbaum subì grandi cambiamenti sotto Caterina II, per la quale Rinaldi realizzò la Dacia Privata a occidente del Palazzo Grande di Rastrelli, ispirandosi al gusto inglese per il giardino pittoresco per volontà della stessa zarina. L’architetto disegnò quindi il parco fondendo i canoni del giardino geometrico barocco con quelli tipici del pittoresco.
Tra le architetture eseguite da Rinaldi nella Dacia sono sopravvissuti alle distruzioni della seconda guerra mondiale soltanto il Palazzo Cinese e il Padiglione della Montagna Scivolante.
Nel primo, se numerosi particolari decorativi esterni vanno ricondotti al rococò francese, con una continua osmosi tra la fabbrica e il verde circostante, gli interni risentono dell’ormai diffuso ‘stile cinese’: un effetto particolare è affidato ai raccordi in curva tra pareti e soffitto, anche grazie all’impiego di apparati rocaille, di cineserie e dei raffinatissimi parquet, riconoscendosi quell’unione armonica delle arti di cui Rinaldi fu certamente maestro.
Il Padiglione della Montagna Scivolante è una delle costruzioni più originali del parco, dotata, davanti al balcone-terrazza, di una montagnola artificiale che permetteva ai cavalieri e alle dame di effettuare discese sbalorditive, usando slitte d’inverno e piccoli carrozzini d’estate (le note ‘Montagne Russe’): dopo aver effettuato la discesa, gli ospiti potevano riposare nella grande sala rotonda del padiglione, costituito da un corpo cilindrico a due piani con cupoletta di tipo ‘cinese’, in cui si innestano tre corpi quadrati cinti da una galleria colonnata; l’invito al piano nobile è segnato da una voluttuosa scala esterna con due rampe a semicerchio. Si notano in questa architettura l’influenza delle scelte di Rastrelli per l’analoga struttura di Carskoe Selò o di Juvarra per Stupinigi ma, soprattutto, la ricerca compositiva che fu tipica degli allievi di Vanvitelli, con un’evoluzione già neoclassica.
Rinaldi intervenne anche sul vicino Palazzo Grande, dotandolo di ali curve terminanti con la chiesa e il Palazzo Giapponese, entrambi a pianta centrale.
Per San Pietroburgo egli redasse, tra il 1760 e il 1762, il progetto per il rifacimento delle Scuderie Imperiali e quello per il palazzo Černyšev sul canale Mojka, destinati però a restare ineseguiti (Buccaro - Kjučarianc - Miltenov, 2003, p. 69). Il palazzo si sarebbe collocato sulla piazza della cattedrale di S. Isacco, nel luogo ove lo realizzò qualche anno dopo Jean-Baptiste Vallin de La Mothe: nel disegno di Rinaldi si nota ancora una volta come, partendo dalla maniera rastrelliana, egli intendesse liberarsi dei preziosismi rococò per aderire alle nuove tematiche.
Nel 1764 gli fu affidata, nel quartiere Penkovyi della capitale, la costruzione dei magazzini della canapa.
La fabbrica assunse sin dall’inizio una collocazione strategica lungo la riva della piccola Neva; in parte trasformata in seguito a un incendio nel 1780, nel corso dell’Ottocento essa acquisì una posizione centrale all’interno del nuovo quartiere operaio sorto nell’immediato intorno. Il complesso, detto Tučkov Bujan, è costituito da due lunghi corpi simmetrici ospitanti i magazzini, che si collegano mediante passaggi arcuati all’edificio centrale della direzione. Quest’opera offre una chiara idea di come Rinaldi affrontasse il tema dell’edificio industriale secondo una logica funzionalista che rimanda alla tradizione romana di Carlo Fontana e Ferdinando Fuga.
Si annovera pure in questi anni il progetto per la galleria dei Mercanti (Gostinyj Dvor) sul Nevskij Prospekt, anch’esso realizzato intorno al 1770 da Vallin de La Mothe: dopo un primo disegno di Rastrelli del 1752-57, l’incarico fu dato a Rinaldi che, come si evince dai grafici conservati presso il Museo di Stato dell’Ermitage (inv. nn. 23554 e 23555), tornò su un linguaggio semplificato e funzionale. Va inoltre attribuito a Rinaldi il palazzo Petrovskij sull’omonima isola (distrutto da un incendio nel 1912), una vera e propria ‘casa per divertimenti’ di legno, composta da una rotonda centrale con quattro bracci perpendicolari.
Nel campo dell’architettura religiosa, dopo le prime esperienze degli anni Cinquanta in Ucraina, ove progettò la chiesa della Resurrezione a Počep, Rinaldi realizzò a nord di San Pietroburgo la chiesa madre di Jamburg, oggi Kingisepp (1762-82), adottando il tipico impianto russo a croce greca di derivazione bizantina, con campanile sull’ingresso. Nella capitale, oltre a redigere nella stessa epoca un progetto di ricostruzione della cattedrale dei Ss. Pietro e Paolo, distrutta da un incendio nel 1756, egli portò a termine la chiesa di S. Caterina sul corso Nevskij, dalle forme di ispirazione albertiana; nel 1766 gli fu pure affidato il rifacimento della cattedrale del principe Vladimir sull’isola Petrovskij, in cui insistette sullo schema a pianta centrale tratto dalla tradizione locale.
Dal 1764 Rinaldi fu impegnato nel progetto per il palazzo e il parco di Gatčina, una residenza di campagna ispirata da un lato alla semplicità del modello rinascimentale italiano, dall’altro alla tendenza paesaggistica.
Il palazzo – oggetto di significative trasformazioni dopo la seconda guerra mondiale – mostra una pianta rettangolare con ali curvilinee rivolte verso il cortile, in cui si innestano corpi simmetrici a corte (realizzati dall’architetto Vincenzo Brenna entro il 1780). La fabbrica presenta un rivestimento di blocchi di pietra locale di Pud, dall’inconfondibile colore grigio chiaro: si riconosce nel fronte principale un riferimento alla sintassi manieristica, mentre la facciata verso il parco mostra evidenti influenze dell’architettura medievale inglese. Il meraviglioso parco è il primo sorto in Russia in puro stile paesaggistico: non è casuale che il conte Orlov abbia voluto invitare qui Jean-Jacques Rousseau, promotore della diffusione di quel modello di giardino in Europa.
A partire dal 1768, tornato nella capitale, Rinaldi si occupò della nuova cattedrale di S. Isacco di Dalmazia. Il progetto ci è noto attraverso il modello e i disegni (probabilmente di mano di Brenna) conservati presso il Museo dell’Accademia russa delle arti di San Pietroburgo (inv. nn. A.14773 e A.14774), oltre a un’incisione in prospettiva di August de Montferrand, autore dell’opera finale compiuta nel corso dell’Ottocento.
Nell’idea di Rinaldi, criticata da alcuni per l’interpretazione dello stile russo tutta in chiave decorativa o per l’imitazione dello schema compositivo di Bramante per S. Pietro, l’edificio avrebbe dominato la Neva con la maestosa cupola centrale ispirata al barocco romano e il grande campanile a logge degradanti posto sull’ingresso, risaltando anche per gli originali rivestimenti marmorei. Confrontando il progetto con la chiesa realizzata, si riconosce in quest’ultima la rinuncia alle qualità cromatiche e all’originale articolazione stereometrica presente nell’idea di Rinaldi, in tono con la tradizione russa della pianta centrale bizantina e con l’esperienza di Rastrelli per la cattedrale del monastero Smol′nyj.
Il famoso Palazzo di Marmo, realizzato da Rinaldi dal 1768 al 1785, anch’esso sulle rive della Neva, fu voluto da Caterina II per il conte Orlov. L’edificio doveva costituire una lussuosa residenza invernale, unica nel suo genere in Russia per il materiale di costruzione (ben trendadue tipi di marmo).
La fabbrica si distinse quale primo importante esempio di neoclassicismo nella capitale: il fronte prospiciente il fiume e quello su via Millionnaja presentano una scansione di lesene giganti corinzie che si alternano alle finestre del primo e del secondo piano, secondo lo schema vanvitelliano. Nel contesto della quinta edilizia sulla Neva, la funzione dell’opera appare quella di equilibrare visivamente la mole del Palazzo d’Inverno di Rastrelli. Sin dal principio venne attribuito all’opera un particolare significato ‘trionfale’, atto a esaltare la gloria della Russia al pari delle opere di Carskoe Selò: qui infatti, negli stessi anni, Rinaldi realizzò alcune costruzioni commemorative all’interno del parco, come il Villaggio Cinese, il Teatro Cinese, il Padiglione Cinese e il Padiglione Gotico, nonché numerosi disegni di ponti, in cui l’architetto sembra fondere le istanze orientaleggianti della zarina con quelle della tradizione cromatica russa.
In seguito, scomparso Orlov e venuto quindi meno per Rinaldi l’appoggio del conte, Caterina si rivolse sempre più spesso a Giacomo Quarenghi e allo scozzese Charles Cameron, non affidando nuovi incarichi al nostro architetto.
Nel 1790 egli rientrò in Italia, spegnendosi a Roma il 10 febbraio 1794 (Buccaro - Kjučarianc - Miltenov, 2003, p. 89 n. 150).
L’opera di Rinaldi va riferita alla fase di passaggio dell’architettura russa dal tardobarocco rastrelliano a quella dell’Illuminismo di ispirazione francese. Se è vero che, specie nelle opere di Oranienbaum, egli mostrò di avere particolari simpatie per il rococò, ciò si manifesta specialmente negli interni, mentre le soluzioni planimetriche preludono a interessanti innovazioni. Igor E. Grabar (1912) colloca infatti Rinaldi nel periodo di «rivolgimento al classicismo» dell’architettura di San Pietroburgo, mentre Anna Maria Matteucci (1996), nello scenario degli allievi di Vanvitelli operanti in Europa, individua nel suo distacco dal «fare pittoresco» di Rastrelli e nella frequente scelta della sovrapposizione degli ordini in facciata una sintonia con Giuseppe Piermarini.
Sebbene in architetture come la residenza di Gatčina o il Palazzo di Marmo siamo ormai in un ambito decisamente neoclassico, negli interni si perpetua quell’opulenta ‘sintesi delle arti’ che fu per Rinaldi la chiave con cui costantemente affrontò il tema dell’abitazione nobiliare e di corte. Da un punto di vista strettamente stilistico, Giulietta Kjučarianc (1976) individua nel suo uso dell’ordine classico un ‘canone’ fisso nei rapporti tra le parti, oltre a motivi decorativi costanti, come il «fiore di Rinaldi», il capitello corinzio di Epidauro e così via. La sua architettura, come del resto la progettazione del verde, in cui egli passa da schemi legati al classicismo barocco a quelli del pittoresco inglese, è regolata da un costante rapporto con i caratteri ambientali, materici e cromatici del paesaggio russo: Rinaldi seppe porsi in perfetta continuità e sintonia con la tradizione artistica del Paese ospite – si veda la gamma di colori dei marmi, coerenti con il cielo e con il paesaggio del territorio pietroburghese – senza mai cercare una ‘forzatura’ nei termini di un’influenza occidentale sull’architettura locale.
Fonti e Bibl.: San Pietroburgo, Biblioteca nazionale russa, A. Rinaldi, Pianta generale ed elevazione delle fabbriche esistenti nel nuovo Giardino di Oranienbaum eseguite per ordine di S.M. Caterina II imperatrice di tutte le Russie, Roma 1796, tavv. 1-29; I.E. Grabar, L’architettura di Pietroburgo nel XVIII e XIX secolo, in Storia dell’arte russa, III, Mosca 1912, pp. 236-243; L. Hautecoeur, L’architecture classique a St. Pétersbourg à la fin du XVIII siécle, Paris 1912, pp. 16, 24, 93; E. Lo Gatto, L’opera del genio italiano all’estero. Gli artisti italiani in Russia, II, Gli architetti italiani del secolo XVIII a Pietroburgo e nelle tenute imperiali, Roma 1935, pp. 51-56, 79, 86, 94; M. Gibellino Krasceninnicova, R., A., in Enciclopedia Italiana, XXIX, Roma 1936, p. 69; G. Kjučarianc, A. R., Leningrado 1976, pp. 18-58; F. Strazzullo, Le lettere di Luigi Vanvitelli della Biblioteca Palatina di Caserta, Galatina 1976-1977, I, pp. 13, 146 s., 378-386, II, pp. 126-128, 142 s., 187-189, 653, 789-855, III, pp. 270-275, 386-388, 404-406; R. Di Stefano, A. R., allievo di Vanvitelli e architetto di Caterina di Russia, in Luigi Vanvitelli e il ’700 europeo. Atti del Congresso internazionale, Napoli-Caserta... 1973, II, Napoli 1979, pp. 101-119; A.M. Matteucci, Architetti italiani alle corti d’Europa, in Gli architetti italiani a San Pietroburgo (catal.), a cura di G. Cuppini, Bologna 1996, pp. 51-86; D. Švidkovskij, L’architettura imperiale russa tra Oriente e Occidente (1600-1760), in I Trionfi del Barocco. Architettura in Europa 1600-1750 (catal., Torino), a cura di H. Millon, Milano 1999, pp. 135-172; A. Buccaro - G. Kjučarianc - P. Miltenov, A. R. architetto vanvitelliano a San Pietroburgo, Milano 2003, pp. 19-89; G. Colmuto Zanella, L’illustrazione delle “fabbriche” di A. R. nel “nuovo Giardino” di Oranienbaum (1796), in La cultura architettonica italiana in Russia da Caterina II ad Alessandro I, a cura di P. Angelini - N. Navone - L. Tedeschi, Mendrisio 2003, pp. 10-34; A. Buccaro, Nascita e rappresentazione di una capitale: i primi cinquant’anni di San Pietroburgo (1703-1753), in Tra oriente e occidente. Città e iconografia dal XV al XIX secolo, a cura di C. de Seta, Napoli 2004, pp. 93-103.