RAINERI BISCIA, Antonio
RAINERI BISCIA, Antonio. – Nacque a Villa Salto, un podere di famiglia presso Predappio, nell’Appenino forlivese, il 20 gennaio 1780, da Luigi Raineri e da Maria Luigia Biscia.
La famiglia del padre discendeva dai conti di Bleda, che avevano ricevuto il palazzo di Salto dai fiorentini alla fine del XIV secolo. La madre era di nobile discendenza fiorentina. I beni dei Biscia furono ereditati da Luigi Raineri con la clausola che acquisisse il secondo cognome.
Trascorsa l’infanzia a Salto, Antonio Raineri Biscia compì gli studi superiori nel collegio di Classe, a Ravenna, dove fece amicizia con Bartolomeo Borghesi. Agli studi classici accompagnò l’apprendimento delle principali lingue europee: francese, tedesco, inglese e spagnolo. Questo rappresentò per lui l’accesso alla crescente bibliografia intorno alla storia e alle letterature del Vicino e Medio Oriente, di cui parimenti Raineri Biscia si industriò di apprendere le lingue locali, «senza ajuto di precettore» (Ricci Poggi, 1839, p. 16).
Poco interessato al coinvolgimento politico in un’epoca di grandi sommovimenti, fu riluttante a seguire i progetti del padre il quale, impegnato con ruoli amministrativi nella Repubblica Italiana napoleonica, lo voleva avviare alla carriera diplomatica. Riuscì invece a vincere le resistenze familiari, e a partire nel 1804 per un viaggio di qualche anno, conoscendo la Grecia, Istanbul, la parte asiatica della Turchia ottomana, la Persia, poi la penisola arabica fino all’estremità sud-occidentale, quindi l’Egitto e il Sudan, risalendo il corso del Nilo, fino in Etiopia, ultima tappa. Qui, a Gondar, fu imprigionato per insolvenza di alcuni debiti contratti. Fu liberato per l’intervento di una donna etiope, figlia di un ras locale, che ne pagò i debiti con la vendita dei propri gioielli. La giovane offrì a Raineri anche il denaro per imbarcarsi per la Gran Bretagna, da dove, ricevuto denaro dalla famiglia, rimandò alla ragazza la somma prestata, con il dono di una piccola croce di brillanti (Narducci, 1942, p. 1147).
Rientrato in Italia, si stabilì a Dovadola (Forlì), nei possedimenti ereditati dalla famiglia Biscia. Di qui poteva raggiungere facilmente Firenze, dove proseguì lo studio delle lingue orientali, dedicandosi alla lettura di opere manoscritte nella Biblioteca Laurenziana. Secondo il suo Elogio funebre (Ricci Poggi, 1839), Raineri conosceva a quest’epoca l’ebraico e l’arabo, l’assiro e il caldeo (siriaco), il persiano e il turco. Preso in stima dal granduca di Toscana Leopoldo II, ne divenne consulente per le riforme, nonché professore di lingue orientali presso l’Università di Pisa. All’occasione fungeva inoltre da interprete alla corte fiorentina.
Probabilmente sempre dal granduca, per il tramite del segretario di Stato, conte Vittorio Fossombroni, Raineri ebbe l’incarico di tradurre una Storia dei Musulmani di Spagna «di Ahmed Ibn Mohammed al-Mukri al-Magrabi» (Sorbelli, 1926, p. 166. Si tratta della Nafḥ al-ṭīb min ġuṣn al-Andalus al-ratīb wa ḏikr wazīri-hā Lisān al-Dīn al-Ḫaṭīb, opera di Abū ᾽l-ʻAbbās Aḥmad ibn Muḥammad al-Maqqarī, morto nel 1632). Il manoscritto con il testo arabo di quest’opera era stato portato a Roma da Istanbul dal cavalier Andrej Yakovlevich Italinsky, ambasciatore russo, in casa del quale lo copiò Raineri. La traduzione fu completata, ma mai data alle stampe, anche se lo stesso Raineri ne accompagnò una copia in Russia, a San Pietroburgo.
Fu per un periodo a Roma, dove papa Leone XII gli attribuì il titolo di conte con potestà di trasmissione ai discendenti, quale ricompensa per aver letto le iscrizioni di alcuni anelli pontificali. Qui frequentò altri orientalisti, quali Giuseppe Gaspare Mezzofanti, che era stato professore di arabo a Bologna e divenne poi cardinale, e Michelangelo Lanci.
Sembra che in questo periodo Raineri sia stato oggetto di invidie da parte di altri letterati che tentarono di gettare discredito sulla sua opera (Narducci, 1942, p. 1148).
A Roma conobbe la contessa Margherita Fabbri d’Altemps, con cui ebbe un carteggio ora conservato presso la Biblioteca Malatestiana di Cesena. Nel novembre del 1833 fu chiamato a Napoli dal re Ferdinando II di Borbone con la richiesta di decifrare alcuni talismani di famiglia, e in seguito inviato a Palermo a esaminare vari manoscritti arabi, persiani e turchi.
Fu membro di varie accademie, tra cui la Latina e la Tiberina a Roma, quella dei Colombarii a Firenze (nome accademico ‘lo svelato’), quella Valdarnese del Poggio a Montevarchi, quella dei Filergiti a Forlì.
Lasciato l’insegnamento a Pisa, si ritirò nel castello di Dovadola, dove si dedicò esclusivamente allo studio. Da parte della Royal Asiatic Society di Londra gli era stato chiesto di produrre la versione di un Martirologio arabo della chiesa copta d’Egitto, opera di Mikhā᾽īl, vescovo di Aṯrīb e Malīğ (dai mss. Or. 189 e Or. 105 della Biblioteca Laurenziana): vi stava lavorando quando fu colto dalla morte all’alba dell’8 giugno 1839, dopo una notte insonne. Celibe e senza figli, lasciò l’eredità al figlio della sorella Cecilia, Domenico Morini, con la condizione di assumere il cognome Raineri Biscia. Venne sepolto nella chiesa della Ss. Annunziata a Dovadola.
L’opera rimasta di Raineri Biscia consiste principalmente di traduzioni: dal tedesco, dall’inglese ma soprattutto dall’arabo, qualcosa dal persiano e dal turco. Di questi lavori, tre hanno raggiunto la stampa, gli altri sono rimasti in forma manoscritta.
La prima opera pubblicata da Raineri Biscia (Poesie erotiche e morali tradotte dall’araba favella da Antonio Raineri, Firenze 1814), dedicata al barone Ermanno De Schubart, vicepresidente dell’Accademia italiana, era un’antologia di poesie arabe: la trascrizione del testo originale di alcune di esse era stata inviata a Raineri Biscia dal monaco Romualdo Maria Tacci dell’abbazia di Vallombrosa.
Nell’introduzione, Raineri si esprime dubitativamente sull’identità degli autori, Abulcassem (Abū ᾽l-Qāsim), un non meglio identificato poeta valenciano, e Abi Talib (Alī ibn Abī Ṭālib), cugino e genero del profeta dell’islam, Muḥammad. Tuttavia l’analisi tanto del testo arabo quanto del contenuto della versione italiana fa dubitare seriamente che molti dei versi originali fossero opera di un madrelingua arabo: è stato ipotizzato che si trattasse piuttosto di versi arabi composti da Francesco Del Furia, dal 1802 bibliotecario della Laurenziana (Pinto, 1956; Nallino, 1964, p. 180). Lo stesso Raineri, in un lavoro successivo, si professa debitore a Del Furia «di un eccellente Trattato intorno alla versificazione degli Arabi, e d’una bella Corona di Poetici Componimenti da lui stesso composti e stampati in varie Lingue Orientali» (Fior di pensieri sulle pietre preziose di Ahmed Teifascite, Firenze 1818, p. V; con riferimento al trattato F. Del Furia, Saggio di poesia arabica, Firenze 1807). La piccola antologia fu ristampata più volte, con qualche aggiunta: nel 1830 (Saggio di poesie arabiche di Abulcassem recate in versi italiani dal professore A. Raineri Biscia toscano, Firenze), e poi ancora dopo la sua morte, nel 1845, nel 1855 e nel 1867, quale libello per nozze: l’ultimo in onore del matrimonio di Umberto e Margherita di Savoia, con dedica a Vittorio Emanuele II.
Dopo la traduzione dal tedesco all’italiano di un’opera minore dello storico tedesco Cristoph Meiners, Geschichte des Verfalls der Sitten und der Staatsverfassung der Römer (Leipzig 1782), uscita a Firenze nel 1817 come Storia della decadenza dei costumi, delle scienze e della lingua dei Romani, nel 1818 Raineri Biscia pubblicò il suo lavoro più importante e duraturo: l’edizione del testo arabo con versione italiana dell’opera Azhār al-afkār fī ğawāhir al-aḥğār di Aḥmad ibn Yūsuf al-Tīfāšī (morto nel 1253), edito come Fior di pensieri sulle pietre preziose di Ahmed Teifascite. Opera stampata nel suo originale arabo, colla traduzione italiana appresso, e diverse note di Antonio Raineri. La sola traduzione italiana, senza testo arabo, è stata ristampata a Bologna nel 1906, per commissione di Camillo Raineri Biscia, figlio di Domenico.
Il testo arabo dell’opera fu copiato da Raineri dal manoscritto Or. 368 della Biblioteca Laurenziana di Firenze. Per la stampa del testo arabo furono utilizzati i caratteri che erano stati disegnati da Giovanni Battista Raimondi per la romana Typographia Medicea voluta da papa Gregorio XIII e finanziata dal cardinale Ferdinando de’ Medici, futuro granduca di Toscana. I punzoni della Medicea erano approdati alla Laurenziana dopo un tortuoso percorso, e allo scopo di utilizzarli per il volume curato da Raineri fu predisposto un nuovo torchio, ancora presente nella Biblioteca.
È probabilmente da attribuire a Raineri anche la cura, con nota introduttiva anonima, della seconda edizione (1828) di un poemetto naturalistico del padre Luigi Raineri, La coltivazione dell’anice, da questi pubblicato nel 1772 con il nome accademico (dei Georgofili) Arnerio Laurisseo.
I manoscritti inediti di Raineri sono conservati a Forlì (due), a Imola e San Marino (uno e uno), e nella Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna (in ventitré volumi: A. 1724-1746; Sorbelli, 1926, pp. 165-170). In questo materiale sono incluse la versione italiana del romanzo storico The History of Rasselas, Prince of Abissinia, di Samuel Johnson, di una biografia dello stesso Johnson, e di una Vita di Carlo Magno, ma soprattutto le bozze del vasto lavoro orientalistico di Raineri Biscia (per una descrizione dettagliata: Nallino, 1964; Piemontese, 1989, p. 36).
Tra lemmari arabi, persiani e turchi, trascrizioni in lingua originale e abbozzi di traduzione di opere storiografiche e narrative, frammenti poetici in originale e tradotti, si distinguono in particolare: la copia del testo arabo, accompagnata da note e appunti relativi al lavoro sulla storia arabo-spagnola summenzionata (Bologna, Biblioteca dell’Archiginnasio, A. 1726-1728); una prima stesura di una traduzione italiana del poema romanzesco persiano Medjun e Leila Poema di Djami (ossia Leylā-o-Mağnūn di Ğāmī, morto nel 1492), con relativi appunti (A. 1736); alcuni testi relativi alla religione dei Drusi (A. 1745; Branca, 1997, pp. 156 s.); una prima bozza di versione dall’arabo all’italiano della Vita di Alessandro dotato di due corna, figlio di Dario, opera del dotto Schekh Imam Ebrahim Ben Mofreg Gauride (Forlì, Biblioteca comunale, Antico Fondo, 38). Quest’ultimo è un pionieristico lavoro sul testo della Sīrat Iskandar di Abū Isḥāq Ibrāhīm ibn al-Mufarriğ al-Ṣūrī, conservato dal ms. Or. 97 della Biblioteca Laurenziana: l’importante opera araba è ancora in attesa di un’adeguata edizione e versione in lingue europee. In linea di massima tutti questi manoscritti presentano materiali in stato di prima bozza, ancora lontani dall’essere approntati per la stampa.
Gli interessi di Raineri Biscia spaziarono in varie direzioni, seguendo curiosità personali e occasioni. Un giudizio complessivo sulla sua opera non può prescindere dall’esiguo numero di lavori giunti alla pubblicazione, che ha reso anche scarse le menzioni del suo lavoro nel contesto degli studi orientali successivi. Le sue competenze linguistiche più solide sembrano essere concentrate nell’arabo, dalla cui lingua ha prodotto il lascito più significativo con la versione italiana dell’opera di Ahmad Teifascite.
Fonti e Bibl.: D. Ricci Poggi, Elogio funebre del conte cavaliere A. R. B. di Dovadola, professore di lingue orientali, Imola 1839;C. Raineri Biscia, Cenni storici della famiglia Raineri Biscia di Salto, Bologna 1872, pp. 117-129; C. Raineri Biscia, Luigi e A. R. B. Notizie biografiche, Bologna 1872; A. de Gubernatis, Matériaux pour servir à l’histoire des études orientales en Italie, Paris 1876, pp. 206, 252; A. Sorbelli, Inventario dei manoscritti delle Biblioteche d’Italia, XXXVI, Bologna, Firenze 1926, pp. 165-170; G. Narducci, Un grande filologo e viaggiatore italiano dimenticato: A. R. B., in Rivista delle colonie, XVI (1942), pp. 1146-1149; T. Lodi, La vera storia di un presunto cimelio cinquecentesco (il cosiddetto torchio della Tipografia Orientale Medicea), in Studi di bibliografia di argomento romano in memoria di Luigi de Gregori, Roma 1949, pp. 234-253; O. Pinto, Alcuni opuscoli arabistici «per nozze», in Studi orientalistici in onore di Giorgio Levi Della Vida, II, Roma 1956, pp. 365-370; M. Nallino, Un orientalista dei primordi del secolo XIX: A. R. B. (1780-1839), in A Francesco Gabrieli. Studi orientalistici offerti nel sessantesimo compleanno dai suoi colleghi e discepoli, Roma 1964, pp. 175-188; A.M. Piemontese, Catalogo dei manoscritti persiani conservati nelle Biblioteche d’Italia, Roma 1989, p. 36; P. Branca, Some Druze Catechisms in Italian libraries, in Quaderni di studi arabi, XV (1997), pp. 151-164.