PUCCI, Antonio
PUCCI, Antonio. – Nacque l’8 marzo del 1418 da Puccio di Antonio e dalla sua prima moglie Nanna di Piero Mattei.
La famiglia era di origini modeste: il padre, come già prima l’omonimo avo, era stato membro dell’arte minore dei maestri di pietra e legname. L’accesso dei Pucci alle arti maggiori e alle cariche pubbliche, e la complessiva ascesa a una condizione sociale di più alto rango, sono da imputarsi principalmente al consolidarsi del potere mediceo in città.
Cosimo de’ Medici parlava di Puccio, il padre di Pucci, come di uno dei suoi amici più stretti: a conferma di tale fedeltà, nel 1433 Puccio e suo fratello Giovanni furono esiliati poco dopo i Medici e anche la loro famiglia venne privata di ogni diritto politico. Con il rientro di Cosimo dall’esilio, l’anno successivo, e il ripristino della sua influenza, anche la crescita sociale dei Pucci ebbe una rapida impennata, resa evidente da un primo passaggio di status con l’ingresso in una delle principali arti maggiori, quella del Cambio.
Pucci prese in moglie, ad appena 25 anni, Maddalena di Betto di Giuliano Gini proveniente da una ricca famiglia del quartiere di Santo Spirito, che gli portò in dote la somma cospicua di 1550 fiorini. Dal matrimonio nacquero, tra il 1447 e il 1458, sette figli: Lucrezia, Giovanni, Selvaggia, Puccio, Alessandro, Oretta e Lorenzo.
Rimasto vedovo di Maddalena, morta nel partorire il settimo figlio Lorenzo, Pucci possedeva ormai un’acquisita autorità in campo politico ed economico, avendo da almeno una decina di anni ricoperto una serie di incarichi pubblici. Estratto agli uffici di Gonfaloniere di Compagnia e dei Dodici Buonuomini rispettivamente nel 1436 e nel 1441, quando non aveva ancora raggiunto l’età richiesta, ebbe effettivamente accesso al Gonfalonierato per la prima volta nel 1448; fu membro della Balìa del 1452, e Priore nel 1453 e nel 1457; nel 1458 prese parte alla speciale balìa istituita per condannare Girolamo Machiavelli responsabile di avere tramato contro il governo di Cosimo.
In seguito alla morte della prima moglie, fu Cosimo de’ Medici ad agire come mediatore per le sue seconde nozze celebrate nel 1459 con Piera di Giannozzo Manetti. La contestuale circostanza della vedovanza di Pucci e della ricerca, da parte di Manetti, di partiti adeguati da maritare alle proprie figlie, fu adeguatamente sfruttata da Cosimo che sistemò una delle figlie di Giannozzo con Francesco di Alamanno degli Albizzi e l’altra appunto con Pucci: quando, pochi mesi dopo, nell’ottobre del 1459 Manetti morì, i rapporti di alleanza tra le due famiglie si mantennero vivi nella vicinanza che Pucci e i suoi figli conservarono con suo figlio Bernardo; inoltre il primo figlio che Pucci ebbe da Piera, nel 1460, fu chiamato Giannozzo proprio in ricordo del nonno materno. Da Piera Manetti nacquero, successivamente, anche Roberto, Piero, Lena, Nannina e Alessandra.
La stretta familiarità con i Medici di cui Pucci si fregiava era a tutti nota: Alessandra Macinghi Strozzi scrivendo nel gennaio del 1464 al figlio che si trovava a Napoli, a proposito della rete di amicizie che legava Piero de’ Medici a Ferdinando re di Napoli indicava Pucci come colui «che quello vuole, tutto è fatto e può più che veruno» (Lettere, lett. LXI, p. 360). La storiografia ha in particolare attribuito a Pucci uno straordinario talento nell’intessere relazioni e nel promuovere strategie matrimoniali tra i suoi numerosi figli e quelli delle casate più importanti dell’élite fiorentina.
Che la posizione di Pucci si sia consolidata grazie ai matrimoni dei figli risulta indiscutibilmente da una serie di dati. La maggiore delle figlie di primo letto, Lucrezia, si sposò con Francesco di Jacopo Degli Agli; Selvaggia con Luca di Giorgio Ugolini nel 1469; Oretta andò in moglie nel 1471 a Michele di Bernardo di Lapo Niccolini, e Lena a Girolamo di Niccolò Capponi nel 1481. Nello stesso anno il figlio Alessandro prendeva in sposa Sibilla, figlia del noto banchiere filomediceo Francesco Sassetti. Quando poi Giannozzo (primo dei figli di secondo letto) nell’agosto del 1482 rimase precocemente vedovo della prima moglie Smeralda di Ugolino del marchese di Monte Santa Maria, Pucci immediatamente avviò le trattative per una nuova relazione matrimoniale del figlio con un’erede della casa Bini: le nozze tra Giannozzo e Lucrezia di Piero di Giovanni Bini si celebrarono, infatti, nel 1483, a neanche un anno dall’avvenuta vedovanza.
È a tale matrimonio che si fanno risalire, per commissione e realizzazione, i quattro pannelli decorativi provenienti dalla bottega del Botticelli ricordati da Giorgio Vasari e può darsi che fossero stati commissionati proprio da Pucci, capofamiglia più anziano. Siglano l’alleanza tra le due famiglie Pucci e Bini, i cui stemmi sono rappresentati insieme, ma recano anche le armi della famiglia Medici, confermando la fede costante che sosteneva i committenti (Lee Rubin, 2007, pp. 232 s.). L’ambiente raffigurato da Botticelli è quasi certamente frutto di un’invenzione, ma tra i membri del banchetto nuziale sono raffigurati Pucci e i suoi accoliti, tra cui anche Sassetti committente del Ghirlandaio per gli affreschi di S. Trinita e consuocero di Pucci. L’anno successivo, nel 1483, anche Puccio, fratellastro di Giannozzo e figlio di primo letto di Pucci, prese in sposa Geronima di Pierluigi Farnese, ricca famiglia dell’aristocrazia romana (il giovane fratello di Geronima, Alessandro, era già avviato a una promettente carriera che lo avrebbe condotto nel 1534 a sedere sul soglio pontificio). Queste nozze consentivano dunque a Pucci di nutrire l’ennesima ambizione, stavolta in ambito ecclesiastico, per la carriera del figlio Lorenzo, ultimo tra i nati dalla prima moglie.
A conferma del ruolo che ormai si riconosceva alle alleanze matrimoniali benedette dai Medici, all’interno della famiglia perfino il più giovane dei figli di Pucci, Piero, scrivendo a Giannozzo che si trovava a Roma, a proposito dello sposalizio tra un terzo fratello, Roberto, e Dianora di Lorenzo Lenzi, esprimeva l’auspicio che il Magnifico potesse trovare anche per lui un partito adeguato.
Nel frattempo la partecipazione all’esecutivo da parte di Pucci proseguiva senza interruzioni: gonfaloniere di Giustizia nel 1462 e nel 1481, membro della Balìa nel 1466 e nel 1471, gonfaloniere di compagnia nel 1470 (una precedente estrazione del 1465 era stata vanificata poiché il suo nome era ‘a specchio’ cioè non in regola con il fisco), priore, per la terza volta, nel 1475 e, infine, dei Dodici Buonuomini nel 1478. Pucci fu inoltre eletto alla Mercanzia nel 1472 e nel 1482, e fu chiamato numerose volte a ricoprire cariche per le arti. Fu inoltre socio di Luca Pitti nella sua bottega di setaiolo. Molti anche gli incarichi che ricoprì nel territorio: podestà di Pistoia nel 1458, vicario di Certaldo e della Valdelsa tra il 1461 e il 1462, capitano di Pisa nel 1467 (v. Archivio di Stato di Firenze, Mediceo Avanti il Principato, filza XXIII, nn. 47, 131, 135), vicario di Poppi e del Casentino nel 1472 (da dove si conosce anche una lettera inviata a Lucrezia Tornabuoni, Archivio di Stato di Firenze, Mediceo Avanti il Principato, filze XXIV, nn. 347, 370; XXV, n. 255), podestà di Prato nel 1479 (ma, nell’ultima parte del mandato, nell’aprile del 1480, fu sostituito dal figlio Alessandro). Nel 1472 era stato uno dei venti cittadini deputati a riportare l’ordine a Volterra ribellatasi per le allumiere (Landucci, 1969, p. 49).
Gli ambiziosi progetti che Pucci coltivava per i suoi eredi furono tuttavia imprevedibilmente stroncati. Morì infatti nel novembre del 1484 a Pisa, per gli effetti di una violenta febbre, al tempo dell’assedio di Pietrasanta, dove si trovava come commissario con compiti finanziari: «E a dì 6 di novenbre 1484, venne in Firenze morto Antonio Pucci, ch’era comessario a Pietrasanta».
Un inventario redatto il 10 novembre del 1489, a cinque anni dalla sua scomparsa, rende conto in dettaglio della ricchezza della sua abitazione (provvista di una loggia, diverse cucine, camere e anticamere) e degli arredi, nonché del cospicuo patrimonio immobiliare in beni e poderi la cui corposa tenuta amministrativa era documentata dai numerosi strumenti pubblici, libri e registri che Antonio Pucci conservava (Archivio di Stato di Firenze, Carte Strozziane, serie I, CCCXLI, cc. 35r ss.).
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Carte Strozziane, serie I, CCCXLI, cc. 35r-39v; Catasto, 81, cc. 47 s.; 833, c. 973; Manoscritti, 600; Mediceo Avanti il Principato, filze VIII, n. 100; XIV, n. 212; XVII, nn. 580, 584, 613; XXIII, nn. 47, 131, 135; XXIV, nn. 347, 370, XXV, n. 255; Raccolta Sebregondi, 4334; C. de’ Medici, Ricordi, in A. Fabroni, Magni Cosmi Medicei vita, Pisis 1789, p. 100; A. Macinghi Strozzi, Lettere di una gentildonna fiorentina del secolo XV ai figliuoli esuli, a cura di C. Guasti, Firenze 1877, pp. 359 s.; G. Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori scultori e architettori nelle redazioni del 1550 e 1568, a cura di R. Bettarini - P. Barocchi, I-VI, Firenze 1966-1987, III, p. 514; L. Landucci, Diario fiorentino dal 1450 al 1516, a cura di I. Del Badia, Firenze 1969, p. 49.
P. Litta, Le famiglie celebri italiane, Milano 1868, Pucci, tav. V; N. Rubinstein, Il Governo di Firenze sotto i Medici (1434-1494), Firenze 1971, pp. 4, 261, 366, 376, 392, 402; D. Kent, The rise of Medici. Faction in Florence, Oxford 1978, pp. 122 s.; R. Goldthwaite, La costruzione della Firenze rinascimentale, Bologna 1984, p. 396; P. Lee Rubin, Images and identity in fifteenth century Florence, New Haven-London 2007, pp. 235-271.