PUCCI, Antonio
Poeta, nato intorno al 1309 a Firenze, dove morì nel 1388. Figlio di un fonditore di campane, fu prima campanaro e successivamente banditore e approvatore del comune, guardiano degli atti presso l'università della mercanzia, e talvolta ambasciatore per il suo comune. Nella giovinezza fu una figura caratteristica fra gli allegri artefici del quartiere popolare di S. Croce, ma già, fin da allora e per tutta la vita, egli consacrava le ore libere alle rime. Nel suo ricco canzoniere, ancora disperso in molti codici, è tuttora la maggior parte dei temi poetici cari agli uomini del Medioevo (per es. le Noie, di cui il P. tratta in un lungo monotono capitolo). Vi hanno assoluto predominio i componimenti gnomici, ma non mancano rime d'amore che cantano, lungi dalla tradizione stilnovistica, l'avventura piacevole e l'amor sensuale, e, fra tutte le composizioni, spiccano, vivaci quadretti, quelle che narrano i piccoli fatti della vita del P. o illuminano usanze della vita privata fiorentina. Il P. è anche uno dei più rappresentativi compositori di quei brevi cantari cavallereschi, che tanto deliziarono le folle (per es., il Brutto di Bretagna, la Madonna Lionessa, il Gismirante, la Historia de la Reina d'Oriente, con altri di dubbia attribuzione) e che, scritti in uno stile limpido e colorito, gli assegnarono un posto non secondario tra i novellatori italiani. Molte poesie storiche, in gran parte serventesi, narrano le guerre di Firenze con gli Scaligeri, la guerra di Lucca, l'eterna inimicizia con Pisa, ecc., e se qualche volta in essi il P. si mostra partigiano, ciò si deve all'affetto grande che porta al suo comune e anche al fatto che egli è un po' il divulgatore officioso degl'intendimenti e delle opinioni del governo. Nel Centiloquio (versificazione, spesso arida, della cronaca di Giovanni Villani) si proponeva di ammaestrare dilettando i Fiorentini; ma, in realtà, la lode di Firenze è l'unico scopo di tutta la prosaica epopea. Questi scritti, e molti altri ancora inediti, ci mostrano il P. uomo bonario e aperto, ingenuo e onesto, artista modesto, ma vivace e sincero, specie nel riflettere la vita e nel rappresentare gli uomini di cui ebbe diretta esperienza.
Ediz.: Delle poesie di A. P., a cura di frate Ildefonso di S. Luigi, voll. 4, Firenze 1772-1775 (voll. III-VI delle Delizie degli eruditi toscani); molti altri componimenti pubblicati sparsamente (cfr. N. Sapegno, Il Trecento, Milano 1934, pp. 451-452); F. Ferri, La poesia popolare in A. P., Bologna 1909; per le Noie, cfr. l'ed. di K. McKenzie, Princeton 1931. - Anche dei cantari esistono molte edizioni, tutte scorrette: tranne quelle del Gismirante, del Bruto, della Madonna Lionessa, della Reina d'Oriente, in E. Levi, Fiore di leggende, cantari antichi, serie 1ª, Bari 1914, pp. 160-289.
Bibl.: A. D'Ancona, La poesia pop. ital., 2ª ed., Livorno 1906, p. 48 segg.; E. Levi, I cantari leggendarî del popolo italiano nei secoli XIV e XV, in Giorn. stor. d. lett. ital., Suppl. XVI (1914); sulle Noie, l'introduz. del McKenzie alla cit. ediz.; sui cantari di materia cavalleresca, E. G. Gardner, The Arturian Legend in Italian Liter., Londra 1930. - In generale sul P., B. Croce, in Critica, XXIX (1931), pp. 252-254, 259-261; N. Sapegno, Il Trecento, Milano 1934, pp. 404-422.