PORTO, Antonio
PORTO (Porta, Porti), Antonio. – Nacque a Fermo intorno al 1531 da Giovanni Battista, esponente della nobile famiglia cittadina degli Antonucci, e da Elisabetta de Acetis.
Studiò medicina presso lo Studio firmano, quindi dovette esercitare per alcuni anni la professione nella sua terra d’origine per poi trasferirsi a Roma alla metà degli anni Sessanta al seguito di Mark Sittich von Hohenems Altemps, già governatore di Fermo e Ascoli e legato della Marca d’Ancona.
A Roma divenne ben presto un medico stimato e ottenne la cittadinanza il 19 ottobre 1573. Nel 1580 entrò a far parte del Collegio dei medici romani, istituzione all’interno della quale fu molto attivo e ricoprì diverse cariche, come esaminatore, ispettore delle farmacie, consigliere. Nel 1584 venne eletto protomedico. Il suo mandato si caratterizzò per una forte spinta normativa e regolamentatrice. All’indomani della sua elezione promulgò un bando volto a regolare «l’esercizio della medicina, della chirurgia e della spezieria nello stato pontificio» (Archivio segreto Vaticano, Arm. IV-V, t. 68, f. 19), introducendo una prassi che sarebbe stata seguita da tutti i suoi successori. Fu proprio su impulso di Porto che il Collegio procedette a un’importante riforma dei propri Statuti volta ad adeguare la normativa a un mercato medico in profonda trasformazione. Anche se gli Statuti del 1584 non furono mai pubblicati, né ricevettero l’approvazione pontificia, essi furono tramandati da un protomedico all’altro fino almeno al 1595. Nel 1585 il Collegio propose di rinnovare il mandato a Porto, che divenne il primo membro dell’istituzione a essere protomedico per due anni consecutivi. La stessa carica la occupò ancora nel 1592 e nel 1600.
Un’altra carica che rese Porto uno dei pilastri del sistema medico romano degli ultimi decenni del Cinquecento fu quella di archiatra di Sisto V. Egli fu infatti 'medico secreto' del pontefice dal 1587 almeno, fino la fine del pontificato nel 1590.
Una costante del suo soggiorno romano fu il suo rapporto con Filippo Neri, che conobbe intorno al 1575 presso la Confraternita di S. Girolamo della Carità e che continuò a frequentare presso l’Oratorio della Vallicella. Nel corso del processo di beatificazione di Neri fu a più riprese chiamato a fornire pareri su alcune particolarità medico-anatomiche del corpo di Filippo. In particolare, il 1° luglio 1595 presentò al cardinale Federico Borromeo un parere medico sulla sollevazione delle costole e degli episodi di palpitazioni del futuro santo associati a una sorta di lievitazione, che venne registrato il 15 ottobre 1597 tra le deposizioni extra urbem (Il primo processo…, a cura di Incisa della Rocchetta - Vian, 1957, III, pp. 439-445). All’interno di questa lunga relazione, Porto confrontò ciò che aveva riscontrato nel corso dei suoi incontri con Filippo con i risultati dell’autopsia sul suo cadavere e li interpretò secondo i precetti delle autorità classiche e medievali della medicina ma anche secondo le affermazioni di diversi suoi contemporanei, tra cui il medico francese Jean Fernel e l’anatomista cremonese Realdo Colombo. Attraverso una sofisticata argomentazione dimostrò il carattere soprannaturale delle particolarità fisiche di Filippo e le interpretò come dei chiari segni divini.
Il suo apporto alla canonizzazione non si limitò a questo: nel maggio del 1599 venne chiamato assieme ai colleghi Andrea Cesalpino e Rodolfo Silvestri a testimoniare sullo stato del corpo di Filippo recentemente riesumato, giungendo alla conclusione che il suo ottimo stato di conservazione era anch’esso un fenomeno soprannaturale (II, pp. 225-227).
Quelli sul corpo di Filippo Neri non furono gli unici expertise forniti da Porto ai tribunali romani. Egli venne ad esempio convocato dal governatore di Roma nel corso di un processo per avvelenamento nel 1597 (Archivio di Stato di Roma, Tribunale del governatore di Roma, Processi del XVI secolo, b. 307).
L’unica opera pubblicata da Porto è un trattato sulla peste indirizzato al cardinale Marco Sittico di Altemps «ob receptorum beneficiorum cumulum grati animi causa dicati» (De Peste libri tres. De morbillis liber unus recenter recogniti et copiosus aucti, Venezia 1580). Esso doveva costituire il primo di una serie di trattati che l’editore veneziano Pietro Deuchino intendeva pubblicare sul tema della peste.
L’opera è divisa in quattro parti. La prima, più teorica, riguarda l’essenza della peste, le sue cause e i suoi segni, la seconda la sua prevenzione, la terza la cura, mentre l’utlima è invece dedicata al vaiolo e al morbillo.
All’interno del trattato Porto passa al vaglio e confronta con la propria esperienza diretta il sapere antico e medievale sulla peste, ma anche le opinioni di alcuni suoi contemporanei, mostrando di conoscere perfettamente il dibattito che il tema suscitava negli ambienti medici del tempo. Tra gli autori contemporanei citati da Porto, Antonio Altomare, Girolamo Cardano e soprattutto Girolamo Fracastoro, la cui opera egli sembra conoscere dettagliatamente e apprezzare e dal quale riprende la nozione di contagio teorizzata nel suo trattato sulla sifilide. I capitoli VI-VIII del De peste sono infatti proprio dedicati alla teoria del contagio e alla definizione della peste come morbo contagioso. Particolarmente interessanti e legate probabilmente al suo ruolo all’interno del Collegio dei medici sono le indicazioni che Porto fornisce alle autorità politiche, sanitarie e religiose su come amministrare una città in tempo di peste.
L’opera ebbe un discreto successo e venne ristampata, con aggiunte e correzioni, a Roma nel 1589 presso i tipi di Domenico Basa e dedicata stavolta a Sisto V e ad Alessandro Peretti.
ll ruolo centrale di Porto nell’ambiente medico romano si evince anche dalle numerose dediche ed elogi che egli ebbe da parte di altri medici attivi nella Roma del tempo, come Giovanni Zecchi (1588) o Castore Durante, che lo elogiò per il suo ruolo di medico pontificio – nella dedica alla sorella di Sisto V, Camilla Peretti – del suo Tesoro della Sanità.
A Roma, Porto visse nella parrocchia di S. Lorenzo in Lucina. Morì in quella città il 15 gennaio 1601 e fu sepolto nella basilica di S. Giovanni in Laterano.
Ebbe tre figli: Fabio, morto nel 1579, Alessandro e Bernardino, deceduti nel 1596. Bernardino fu referendario della Segnatura di giustizia, protonotario apostolico e canonico lateranense.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Roma, Università, bb. 48, cc. 172r-173r, 175r, 49, cc. 22v-23v, 61, cc.190r-228v; Tribunale del governatore di Roma, Processi del XVI secolo, b. 307; Archivio segreto Vaticano, Arm. IV-V, t. 68, f. 19; Biblioteca apostolica Vaticana, Ruoli, 65-99; C. Durante, Il Tesoro della Sanità, nel quale si da il modo da conservar la sanità e prolungar la vita… e si tratta della natura de' cibi, Roma 1586 (dedica); G. Zecchi, Praelectio, in celeberrimo Gymnasio Romano, Roma 1588 (dedica); G. Panelli, Memorie degli uomini illustri, e chiari in medicina del Piceno, II, Ascoli 1578, pp. 231-234; G. Marini, Degli archiatri pontifici, I, Roma 1784, pp. 462-464; V. Forcella, Iscrizioni delle chiese e d’altri edifici di Roma dal secolo XI fino ai giorni nostri, VIII, Roma 1876, p. 47, n. 124; Il primo processo per San Filippo Neri, a cura di G. Incisa della Rocchetta - N. Vian, I, Città del Vaticano 1957, pp. 185-6, 265-266; II, pp. 225-227; III, pp. 439-445.
L. Belloni, L’aneurisma di San Filippo Neri nella relazione di A. P., in Rendiconti dell’Istituto lombardo di scienze e lettere. Classe di scenze matematiche e naturali, s. 3, LXXXIII (1980), 14, pp. 665-680; N. Siraisi, Medicine and the Italian Universities 1250-1600, Louvain 2001, pp. 364-365; A. Pastore, Veleno. Credenze, crimini e saperi nell’Italia moderna, Bologna 2010, pp. 142-144; E. Andretta, Roma medica. Anatomie d’un système médical au XVIe siècle, Roma 2011, passim; J. Touber, Law, medicine, and engineering in the cult of the saints in Counter-Reformation Rome. The hagiographical works of Antonio Gallonio, 1556-1605, Leiden-Boston 2014, pp. 182-185.