PORRO, Antonio
PORRO, Antonio. – Figlio di Stefano e di Caterina Figini, ebbe due fratelli, Galeazzo e Giovannolo, e tre sorelle delle quali sono ignoti i nomi. Nacque, probabilmente a Milano, attorno alla metà del XIV secolo.
Dalla moglie Violante, figlia di Federico II di Saluzzo, con la quale contrasse matrimonio nel 1389, ebbe almeno due discendenti: Giovanni e Costanzo Federico (Muletti, 1830, p. 167; I registri viscontei, 1915, pp. 19 s.).
Sulle orme del padre, Antonio costruì una rilevante carriera alla corte viscontea, estendendo il prestigio politico e i beni familiari. Le prime attestazioni sul suo conto, risalenti al 1378, lo mostrano già pienamente inserito nell’entourage di Gian Galeazzo Visconti, con il ruolo di consigliere del dominus (Santoro, 1976, pp. 317, 334).
All’inizio degli anni Ottanta fu premiato dalla politica feudale del principe con diverse concessioni: ottenne Torrione, Vinzaglio, Robbio e più a sud Motta, località poste lungo il corso del fiume Sesia. In seguito fu investito dal vescovo di Novara (dietro pressioni di Gian Galeazzo) del castrum di Vespolate (I registri viscontei, 1915, pp. 19 s.; Grillo, 2007, p. 300). La concessione più importante fu quella relativa a Pollenzo e Santa Vittoria, separate dalla giurisdizione del Comune di Bra, peraltro dando luogo a una lunga controversia che si risolse il 4 giugno 1384, quando Porro, conte di Pollenzo, investì i braidesi delle terre di loro proprietà, riservandosi i diritti pubblici e i pedaggi (Grillo, 2007, p. 298). Ebbe modo di estendere la propria influenza anche in territorio alessandrino, come testimonia un atto del 1379 quando, su richiesta di Antonio, Gian Galeazzo concesse al Comune di Piovera l’immunità da qualsiasi onere (Repertorio diplomatico visconteo, 1918, p. 307).
All’inizio della carriera, Porro fu attivo principalmente nel quadrante dell’Italia nord-occidentale: nel 1378 presenziò alla pace tra Amedeo VI di Savoia e Gian Galeazzo, nel 1379 alla dedizione di Asti al principe, nel 1382 «pro se et castris Pioperae, Sanctae Victoriae et aliis terris et locis suis» figurò tra gli «adherentes, colligati et sequaces» di Gian Galeazzo elencati nel trattato di pace stilato con il marchese del Monferrato (Santoro, 1976, p. 334; de Missy, 1726, pp. 125, 168).
Gli orizzonti geografici della carriera di Porro conobbero un deciso allargamento dopo la riunificazione del dominio visconteo da parte di Gian Galeazzo. Nel 1385 ebbe una parte decisiva (assieme a Jacopo dal Verme) nello sviluppo delle trame che portarono all’imprigionamento di Bernabò Visconti (Cronaca Carrarese, 1931, p. 233): nelle settimane seguenti, in qualità di capitano, Porro prese il controllo di Bergamo e operò per la pacificazione dei distretti bergamasco e bresciano nella veste di deputatus a ricevere in consegna le fortezze del territorio (Chronicon Bergomense, 1926-1940, pp. 24-27; Santoro, 1968, p. 237).
Sul finire degli anni Ottanta anche i fratelli di Porro fecero la loro comparsa sullo scenario politico. Galeazzo partecipò a diverse spedizioni militari in Italia centro-settentrionale (Cronaca Carrarese, 1931, pp. 256, 375 s.); più defilato invece Giovannolo, di cui è nota solo una concessione feudale relativa alla metà dei beni di Dovera (Il registro di Giovannolo Besozzi, 1937, p. 47).
L’impegno di Porro a corte fu decisamente articolato. Assunse diversi compiti di procura per conto del principe, tra i quali quello del febbraio 1393, quando ebbe parte alle trattative matrimoniali (poi fallite) tra Agnelesia, una delle figlie di Bernabò, e Federico I di Brandeburgo (Milano, Biblioteca Ambrosiana, Mss., D.59 suss, cc. 5v, 110r; Romano, 1891, p. 55). Fu in campo diplomatico che Porro, pur senza eguagliare per importanza e centralità figure del calibro di Niccolò Spinelli, seppe distinguersi per intensità di impiego, soprattutto tra il 1390 e il 1394, quando seguì le trattative con Stefano III relative alla conquista di Padova, la pacificazione tra Milano e le città della lega antiviscontea e infine l’alleanza con Teodoro del Monferrato (Cronaca Carrarese, 1931, p. 430; Romano, 1902, p. 401; Milano, Biblioteca Ambrosiana, Mss., D.59 suss, c. 7v).
Oltre all’impegno diplomatico, Porro ebbe l’occasione di mettere a frutto l’esperienza precedentemente maturata nel contesto politico interno al dominio: nel 1392, ad esempio, orchestrò una tregua tra le fazioni bergamasche guidate dai Rivola e dai Suardi (Chronicon Bergomense, 1926-1940, p. 35). Il suo nome figura per primo nell’elenco dei nobili, familiari e ufficiali della corte di Gian Galeazzo redatto attorno al 1395, a testimonianza della centralità raggiunta dalla sua persona in seno all’entourage del principe (I registri dell’ufficio di provvisione…, 1929, p. 648). Già nel 1388, del resto, Porro era stato nominato tra gli esecutori del testamento dettato dal conte di Virtù (Gamberini, 2005, p. 85).
La fine del Trecento fu segnata da alcuni successi personali: tra il 1398 e il 1399 seguì personalmente le delicate operazioni che portarono Pisa sotto il controllo del duca di Milano, divenendo egli successivamente governatore della città toscana (I registri viscontei, 1915, p. 3; Santoro, 1968, p. 236). Nel 1398 accompagnò alla cresima i due eredi di Gian Galeazzo, Giovanni Maria e Filippo Maria (Registri viscontei, 1915, p. 3).
Il quadro venne sconvolto dalla crescente rivalità che finì per dividere Porro e il potente consigliere Francesco Barbavara, che condusse (forse nel 1401) all’esclusione del primo dal Consiglio ducale. Da quel momento si scavò una frattura netta tra i due, tanto che Porro «operava de farlo morire» (Corio, 1856, p. 984). Non sono chiare le ragioni della rivalità: il fiorentino Giovanni di Pagolo Morelli addusse che mentre Porro era «grande cittadino e di gran famiglia di Milano», Barbavara «era uomo di vile nazione» (Ricordi, 1956, pp. 403 s.).
Di fronte al successo di Barbavara, più che il livello sociale e di ricchezza, giocò forse l’origine non milanese di questi rispetto al profondo radicamento vantato dai Porro in città. I dissidi con Barbavara furono la ragione probabile della clamorosa assenza di Porro e dei fratelli alle cerimonie funebri in onore del duca: i Porro aspettavano forse il momento propizio per tornare in sella al Consiglio ducale. L’occasione si presentò nel 1403, quando l’opposizione di parte dei ghibellini milanesi a Barbavara, sapientemente alimentata anche da altre famiglie (Aliprandi, Arese, Baggio, alcuni rami cadetti dei Visconti) portò al suo allontamento dalla città (25 giugno 1403). Porro ebbe un ruolo centrale nel «romore» contro il potente consigliere, grazie ai legami con il popolo e al ruolo di spicco attribuitogli dagli altri artefici della rivolta, tra i quali era riconosciuto come «il maggiore di tutti, anzi quasi signore» (Cronica volgare, 1915-1939, p. 291).
Interessante la testimonianza ‘in presa diretta’ (poiché redatta nel 1403) che di questi fatti diede Angela Nogarola, poetessa della corte viscontea protetta da Barbavara: nella sua Egloga il pastore Mecenate, schermo proprio del Barbavara, racconta come la sua permanenza nella «silva» (la città), all’ombra dei due piccoli virgulti (gli eredi del duca defunto) alla cui difesa egli provvedeva personalmente, fosse stata stravolta dall’irruzione del pastore Porreus e da altri pastori, che avevano depredato le sue greggi e usurpato le sue ombre, allontanandolo da esse, con evidente allusione ai disordini dell’estate del 1403 (Piacentini, 2014, pp. 508-514).
Tornato in seno al Consiglio ducale, ottenne la conferma di tutte le investiture feudali (Il registro di Giovannolo Besozzi, 1937, pp. 42 s., 45, 47), imbrigliò qualsiasi azione della duchessa Caterina Visconti e fomentò il ritorno in città di Francesco Visconti che, con il fratello Antonio, aveva rappresentato in anni precedenti la più ferma opposizione al dominio di Gian Galeazzo (Corio, 1856, p. 988).
Ormai, il nuovo Consiglio ducale rispecchiava in larga parte il successo della fronda ghibellina contro Barbavara; la situazione era tuttavia destinata a mutare repentinamente. Un moto coordinato dalla duchessa e dai fautori di Barbavara, orchestrato il 7 gennaio del 1404, portò all’arresto di Porro, del fratello Galeazzo e di altri ghibellini tra i quali Giovanni e Galeazzo Aliprandi, e Giovanni da Baggio. Francesco Visconti riuscì a fuggire dalla città, mentre per i fratelli Porro non ci fu scampo. Furono decapitati e il giorno seguente i loro corpi vennero esposti, con le teste accanto, presso il Broletto. Erano «vestiti de vestimente lucubre per la morte di Giovanne Galeazo», esplicito richiamo al fatto che avevano tradito l’eredità del duca defunto; i loro corpi furono tumulati nella chiesa di San Marco (Corio, 1856, p. 1000).
Fonti e Bibl.: Milano, Biblioteca Ambrosiana, Mss., D.59 suss., cc. 5v, 7v, 110r; J. Rousset de Missy, Corps universel diplomatique du droit des gents, II, Amsterdam 1726; Ordo funeris Iohannis Galeatii Vicecomitis ducis Mediolani, in RIS, XVI, Mediolani 1730, coll. 1025-1036; D. Muletti, Memorie storico-diplomatiche appartenenti alla città ed ai marchesi di Saluzzo, IV, Saluzzo 1830; B. Corio, Storia di Milano, a cura di E. De Magri, Milano 1856; I registri viscontei, a cura di C. Manaresi, Milano 1915; Cronica volgare di anonimo fiorentino: dall’anno 1385 al 1409, gia attribuita a Piero di Giovanni Minerbetti, a cura di E. Bellondi, in RIS, XXVII, 2, Città di Castello-Bologna 1915-1939; Repertorio diplomatico visconteo, t. 2, 1368-1385, Milano 1918; Chronicon Bergomense guelpho-ghibellinum, a cura di C. Capasso, in RIS, XVI, 2, Bologna 1926-1940; I registri dell’ufficio di provvisione e dell’ufficio dei sindaci, a cura di C. Santoro, Milano 1929; Cronaca Carrarese di Galeazzo e Bartolomeo Gatari, confrontata con la redazione di Andrea Gatari, a cura di A. Medin - G. Tolomei, in RIS, XVII, 1, Bologna 1931; Il registro di Giovannolo Besozzi cancelliere di Giovanni Maria Visconti, a cura di C. Santoro, Milano 1937; Giovanni di Pagolo Morelli, Ricordi, a cura di V. Branca, Firenze 1956.
G. Romano, Gian Galeazzo Visconti e gli eredi di Bernabò, in Archivio storico lombardo, VIII (1891), pp. 5-59; Id., Niccolò Spinelli da Giovinazzo diplomatico del secolo XIV, Napoli 1902; F. Cognasso, Il ducato visconteo da Gian Galeazzo a Filippo Maria, in Storia di Milano, VI, Il ducato visconteo e la repubblica ambrosiana (1392-1450), Milano 1955, pp. 3-383; G. Zimolo, Il ducato di Giovanni Maria Visconti, in Scritti storici e giuridici in memoria di Alessandro Visconti, Milano 1955, pp. 389-440; C. Santoro, Gli offici del comune di Milano e del dominio visconteo-sforzesco (1216-1515), Milano 1968; Ead., La politica finanziaria dei Visconti, I, Milano 1976; A. Gamberini, Il principe e i vescovi. Un aspetto della politica ecclesiastica di Gian Galeazzo Visconti, in Id., Lo Stato Visconteo. Linguaggi politici e dinamiche costituzionali, Milano 2005, pp. 69-136; P. Grillo, Pollenzo feudo visconteo, in Storia di Bra. Dalle origini alla rivoluzione francese, a cura di F. Panero, I, Savigliano 2007, pp. 298-304; Id., La fenice comunale. Le città lombarde alla morte di Gian Galeazzo Visconti, in Storica, LIII (2012), pp. 39-62; A. Piacentini, L’egloga di Angela Nogarola a Francesco Barbavara, in Aevum, LXXXIII (2014), pp. 503-531; F. Del Tredici, Il partito dello stato. Crisi e ricostruzione del ducato visconteo nelle vicende del Milanese (1402-1417), in Seicento anni dall’inizio del ducato di Filippo Maria Visconti, 1412-1447, economia, politica, cultura, a cura di F. Cengarle - M.N. Covini, Firenze, in corso di stampa.