PLANELLI, Antonio
PLANELLI, Antonio. – Nacque a Bitonto il 17 giugno 1737, figlio di Giovan Battista e di Livia Sylos, di antica e nobile famiglia.
Ricevuta la tonsura, studiò in patria con padre Gaspare de Angelis e dai tredici anni all’Università di Altamura. Rimasto orfano, nel 1755 si stabilì a Napoli, dove studiò con Giuseppe Vairo, professore di chimica e medico di corte.
Talento poliedrico, si integrò nel tessuto aristocratico e intellettuale napoletano, accedendo a corte. Il 21 novembre 1767 fu ricevuto nel Sacro Militare Ordine di S. Giovanni di Gerusalemme, assumendo il priorato di Barletta. Quell’anno stesso inaugurò la serie delle tre pubblicazioni certe. Nel 1775 soggiornò presso l’abbazia di Montecassino per approfondire gli antichi.
Villarosa, che lo frequentò, lo dice «non infelice poeta [...] specialmente nello scriver bernesco» (1834, p. 270); della musica, sostiene l’avesse «profondamente studiata secondo i veri principj, e l’aveva per molti anni esercitata, in guisa che gli si rendé facile eziandio di comporla. Il suo stile era facile, ma armonioso e toccante» (ibid.). Delle «molte cose» che Villarosa (1840 b, p. 258) asserisce composte da Planelli non v’è traccia, così come d’una fantomatica opera di chimica (Mondolfi, 1961, col. 219) e d’un trattato sul ballo, rimasto a quanto pare nelle intenzioni (Villarosa, 1834, pp. 272 s.).
Lavoro d’esordio fu la traduzione anonima dei Principj elementari delle belle-lettere di Jean-Henri-Samuel Formey. Dedicata a Pinto de Fonseca, gran maestro dell’Ordine di Malta, per l’ingresso di Planelli nell’ordine, è «corredata di note e di appendici», i più antichi testi planelliani noti. Fu riedita a Venezia (1785 e 1805) e a Napoli (1829).
Nel 1772 a Napoli venne pubblicato il titolo forse più memorabile: il saggio Dell’opera in musica (ed. a cura di F. Degrada, Fiesole 1981), fra i testi teorici più originali, complessi e influenti del melodramma settecentesco.
Planelli si concentra sugli spettacoli, «oggetti tenuissimi agli occhi del volgo, che non discerne in essi che il divertimento e ’l sollazzo», ma «agli occhi d’un filosofo vasti e importantissimi oggetti» (Dell’opera in musica, 1772, p. 5). Con moderna sensibilità intellettuale e morale, il trattato vuol «dimostrare quanta dipendenza abbiano dagli spettacoli, e massimamente da quello dell’opera in musica, il gusto delle arti e ’l costume delle nazioni» (p. 9). Muovendo dal Saggio sopra l’opera in musica di Francesco Algarotti (1755, 1763), l’autore discute in vista d’un fine etico ed estetico temi che vanno dalla versificazione alla politica culturale. Auspica la figura d’un direttore del teatro che, con assolutismo illuminato, freni la libertà degli impresari: ruolo immaginato da Planelli forse per sé. Estimatore dell’Alceste di Calzabigi e Gluck (1767), traccia una rotta autonoma, in cui è cruciale l’apporto del ballo pantomimo.
In un decennio il trattato si impose come testo di riferimento, «il Codice delle leggi del teatro, dalla di cui esecuzione può solamente sperarsi il principio di una nuova epoca di costumatezza e di gusto» (Novelle letterarie, 25 settembre 1772, col. 617; tradotto nel 1778 nella Musikalisch-kritische Bibliothek di Johann Nikolaus Forkel: I, pp. 259-267). Per Stefano Arteaga è «più erudito, più universale, più ragionato e per conseguenza più utile» del Saggio di Algarotti, anzi «il migliore di quanti siano usciti sinora alla luce» (1783, I, pp. 24 s.); lo possedeva Giuseppe Parini, che ne condivide l’impianto nei Principî di belle lettere (Fedi, 2000, p. 980, e 2004, p. 14). Tanta eco gli ottenne però soltanto la cooptazione nel 1779 nella commissione per i libretti del teatro di S. Carlo (Amaduzzi - Bertòla de’ Giorgi, 2005, p. 346).
Cruciale per Planelli fu l’ambiente riformatore e massonico. Villarosa (1834, pp. 270, 273) lo dipinge come il beniamino delle consorterie scientifico-letterarie, «essendo i suoi discorsi sempre conditi di Attico lepore». Cuore dell’attività era il salotto di Antonio di Gennaro duca di Belforte, aperto tra il 1776 e il 1787 circa a Mergellina. Alla libera muratoria Planelli aderì nel 1780 circa (nelle liste del 1782 e 1784 della loggia ‘La vittoria’ è terzo maestro). Gli ambienti massonici, apprezzati dalla regina Maria Carolina e dal segretario di Stato John Acton, furono lo sfondo dei rapporti con Ippolito Pindemonte, dal 1779, e soprattutto con Aurelio de’ Giorgi Bertòla, che a Planelli dedicò le Odi XXIII e XXIV (1777) e la IV delle Lettere campestri (1783; Bertòla de’ Giorgi, II, 1785, pp. 81-85, 164-176; vivaci memorie di quei giorni nel carteggio Amaduzzi - Bertòla de’ Giorgi, 2005, ad ind., ma cfr. anche Bertòla de’ Giorgi, 1982, p. 112; Luzzitelli, 1987, pp. 25, 209, 212; e Fedi, 2004, pp. 78 s., 90 s.).
Luogo eminente del dibattito culturale fu dal 1778 la Reale Accademia delle scienze e belle-lettere; Planelli fu fra i primi soci e nel 1784 fu candidato alla segreteria.
Vicino al progetto dell’Accademia è il Saggio sull’educazione de’ principi, inedito fino al 1779, poiché, confidava l’autore nel 1775, «un libro di pericoloso argomento» necessita di «qualche valevole protezione» (cfr. Chiosi, 1989, pp. 448 s.).
Riflessione scientifica sul potere e sull’ordine sociale, il saggio teorizza una politica come «arte di dirigere verso la pubblica felicità le azioni di una società di uomini» (Saggio sull’educazione…, Napoli 1779, p. XII). La formazione del sovrano, «il solo che abbia comuni colla nazione i proprj interessi» (p. 19), vi è affrontata con sistematicità in un’ottica assolutistica (modello è Federico II di Prussia: cfr. Chiosi, 1989, p. 448).
Alla corte si rifà il codice di San Leucio, destinato a normare la vita nell’omonima colonia modello. La redazione del libello, Origine della popolazione di S. Leucio..., pubblicato a Napoli nel 1789 a firma di Ferdinando IV, è stata attribuita a Planelli, con formula più o meno cautelativa, fin dall’Ottocento (De Cesare, 1863, p. 196, dice le leggi «commesse al Planelli, esaminate e corrette dal sovrano»). Senza prove documentarie, l’attribuzione è incerta, ma il filantropismo del testo è congeniale agli orientamenti di Planelli, sicché il coinvolgimento dell’intellettuale, adeguatamente defilato, appare plausibile.
La Corona reclutò Planelli il 24 luglio 1790 nominandolo maestro, cioè direttore, della Zecca. Nell’emergenza della contrapposizione alla Francia, per assicurare liquidità allo Stato nel 1792 Planelli propose al Consiglio delle finanze «di ridurre in verghe l’argento dei privati, di saggiarlo, pesarlo, valutarlo e inviarlo ai banchi perché lo custodissero, in cambio di numerario»: proposta subito accolta (cfr. Maiello, 1980, pp. 32-34).
Accusato nel 1794 di sostegno a una rivolta giacobina, fu assolto e conservò la carica fino al 1802. Rifiutatosi di prestare servizio per la Repubblica, al ritorno dei Borboni, il 28 giugno 1799 fu reintegrato. Il re incaricò Planelli di organizzare e dirigere il Real Museo mineralogico, che aprì nel 1801; nel 1802 Planelli entrò nella giunta per la catalogazione della Biblioteca reale.
Secondo Villarosa (1834, p. 274), «l’aver dovuto dimorare nella casa annessa alla R. Zecca, ove l’esalazione della liquefazione del rame e di altri metalli rende quell’abitazione poco salutare, gli fé accrescere il male ne’ nervi».
Morì a Napoli il 13 marzo 1803 (Bellucci La Salandra, 1935, p. 16; per altri il 6: cfr. Di Castiglione, 2008, p. 376). La salma fu inumata nella chiesa dell’Ordine gerosolomitano di S. Giovanni a Mare.
Fonti e Bibl.: J.-H.-S. Formey, Principj elementari delle belle-lettere, Napoli 1767; Ruolo delli cavalieri viventi... del Sagro Ordine Gerosolimitano, Malta 1770, p. 36; Novelle letterarie, n. 39, 25 settembre 1772, coll. 616-620, n. 40, 2 ottobre 1772, coll. 632-637; G.E. Lessing, Tagebuch der italienischen Reise (1775), a cura di W. Milde, Wiesbaden 1997, pp. 110 s.; J. Bernoulli, Zusätze zu den neuesten Nachrichten von Italien, II, Leipzig 1778, pp. 38, 70 s., 75; J. Forkel, Musikalisch-kritische Bibliothek, I, Gotha 1778, pp. 259-267; Statuti della Real Accademia delle scienze e delle belle lettere, Napoli 1780, p. 100; S. Arteaga, Le rivoluzioni del teatro musicale italiano..., I, Bologna 1783, pp. 24 s., 51, 170, 199 Venezia 17852, pp. XXXIX s., 29, 219, 258-260; Gazzetta universale, n. 103, 25 dicembre 1784, p. 828; A. Bertòla de’ Giorgi, Operette in versi e in prosa, II, Bassano 1785, pp. 81-85, 164-176; Ruolo delli cavalieri... della Sagra Religione Gerosolimitana, Malta 1789, p. 69; C. de Rosa, marchese di Villarosa, Ritratti poetici di alcuni uomini di lettere antichi e moderni del Regno di Napoli, II, Napoli 1834, pp. 269-274; Id., Memorie dei compositori di musica del Regno di Napoli, Napoli 1840 a, pp. 165-167; Id., Notizie di alcuni cavalieri del sacro ordine gerosolimitano illustri per lettere e per belle arti, Napoli 1840 b, pp. 255-258; G. De Cesare, Vita della venerabile serva di Dio Maria Cristina, Roma 1863, p. 196; F. Cavalli, La scienza politica in Italia, IV, Venezia 1881, p. 343; C. Prota, Maestri e incisori della Zecca Napolitana, Napoli 1914, p. 28; G. Tescione, L’arte della seta a Napoli e la Colonia di S. Leucio, Napoli 1932, pp. 155-165; L. 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