PIGLIARU, Antonio
– Nacque a Orune (Nuoro) il 17 agosto 1922, da Pietro e Maria Murgia, entrambi maestri elementari.
Rimasto orfano di padre in tenera età, si trasferì a Sassari per iscriversi alle scuole medie. Nel 1941 conseguì la maturità classica. Insieme con Giuseppe Melis Bassu diede vita all’organo del Gruppo universitario fascista (GUF) sassarese «Intervento», da cui condusse una battaglia tutta interna al regime contro il conformismo, il burocratismo e la corruzione. Nello stesso anno si iscrisse alla facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Cagliari. All’indomani del crollo del fascismo e della costituzione della Repubblica sociale italiana (RSI), Pigliaru volle caparbiamente restare fedele a quel sistema politico «disperatamente amato». Il 24 maggio 1944 fu arrestato, accusato di gravissimi reati: attentato contro l’integrità, l’indipendenza e l’unità dello Stato, favoreggiamento bellico, spionaggio, cospirazione politica. Il 29 agosto venne condannato dal tribunale militare territoriale della Sardegna a sei anni di reclusione. Rimase in carcere sino al 1946, quando venne scarcerato in seguito all’amnistia Togliatti. Il 5 dicembre 1947 si laureò con una tesi dal titolo «Attualità di Leopardi». Nel 1948-49 apparvero le sue prime pubblicazioni di argomento filosofico, dedicate a Giovanni Gentile e a Gabriel Marcel. Il 10 aprile 1949 venne nominato assistente volontario alla cattedra di filosofia del diritto dell’Università di Sassari mentre, fra il 1949 e il 1953, fu in rapporto con Giuseppe Bottai collaborando con una certa continuità alla sua rivista Abc.
L’attività scientifica di Pigliaru può essere schematicamente suddivisa in tre successivi momenti: il primo, che data dal 1950 al 1954, è caratterizzato dalla piena adesione all’attualismo gentiliano e da un marcato anticrocianesimo; il secondo, che va dal 1954 al 1959, segna la scoperta della filosofia giuridica e cristiana di Giuseppe Capograssi; l’ultimo, infine, mostra una nuova attenzione per il marxismo, in particolare per quello gramsciano.
Il più significativo dei suoi lavori gentiliani è il saggio intitolato Studi sul pensiero di Giovanni Gentile (in Studi sassaresi, s. 2, XXV [1954], n. 2-4, pp. 89-145), in cui si prefigge di dimostrare come il filosofo siciliano fosse in qualche misura il teorico della democrazia e del valore dell’uomo. In vista del concorso per la libera docenza scrisse una monografia su Persona umana e ordinamento giuridico (Milano 1953), suddivisa in tre parti (la persona, l’ordinamento giuridico, persona e ordinamento), che evidenziava un indubbio salto qualitativo nella sua produzione.
Ottenuta nel 1954 la libera docenza in filosofia del diritto, nel 1955 fu incaricato a Cagliari in psicologia e poi in dottrina dello Stato.
Frattanto, nel 1951, si era unito in matrimonio con Rina Fancellu, da cui ebbe tre figli: Giovanni, Francesco (futuro presidente della Regione sarda) e Amelia Maria. Fondamentale in questa fase si rivelò l’incontro con Giuseppe Capograssi: l'opera più importante di Pigliaru, La vendetta barbaricina come ordinamento giuridico (Milano 1959), partiva proprio dal dibattito teorico sul pluralismo giuridico e soprattutto dalle tesi capograssiane sulla unità-molteplicità degli ordinamenti giuridici che gli avevano offerto la soluzione teorica per affrontare il tema della vendetta barbaricina come ordinamento autonomo e distinto da quello statuale.
L’elaborazione della Vendetta fu estremamente complessa, a tratti sofferta, frutto di numerose stesure, dubbi e ripensamenti. Widar Cesarini Sforza, direttore della collana dell’Istituto di filosofia del diritto dell’Università degli studi di Roma «La Sapienza», premeva per un consistente taglio del lavoro, sia per ragioni editoriali, sia per rendere più snello e accessibile il volume. L’ordinamento giuridico espresso dalla vendetta era «un ordinamento perfettamente autonomo ed originale». Sono queste le premesse del “codice”, cioè del tentativo di Pigliaru di tradurre nel linguaggio e nell’impianto logico dell’esperienza codificatoria contemporanea le norme che ispirano il diritto consuetudinario delle genti della Barbagia. Si tratta di un codice estremamente conciso nella sua essenzialità, suddiviso in tre parti (princìpi generali, le offese, la misura della vendetta) e in 23 articoli. Per elaborare la Vendetta Pigliaru si era servito della tradizione orale e delle testimonianze dei pastori delle zone interne dell’Isola. «L’uomo barbaricino» – scrive Pigliaru – «ha una sua filosofia, decisamente pessimistica. Egli considera la natura e il destino come nemici implacabili e la vita, questa vita, come un fatto di resistenza» (per cui v. La vendetta barbaricina come ordinamento giuridico).
Al suo apparire la Vendetta suscitò reazioni contrastanti e, per vie generali, si può affermare che non sia stato nel complesso un libro fortunato. Il mondo accademico restò in qualche misura sconcertato da un’opera che stravolgeva i canoni tradizionali della filosofia del diritto, contaminandoli con i metodi dell’antropologia culturale e della sociologia giuridica. Lo stesso Norberto Bobbio mostrò, in occasione del concorso a cattedra del 1959, alcune perplessità sul metodo seguito dal filosofo sardo. Tuttavia e per converso, la sua lettura del banditismo ha profondamente influenzato l’opinione democratica sarda, che, per debellare la criminalità, fece proprie le sue indicazioni sulla necessità di un profondo intervento riformatore economico, civile, culturale e di scolarizzazione nelle zone interne.
Nel 1956 Pigliaru, insieme a Melis Bassu, fu condirettore della rivista Ichnusa, affrontando temi a lui assai cari come quello del rapporto tra politica e cultura, della lotta contro l’analfabetismo, delle prospettive di sviluppo economico e sociale della Sardegna, divenendo – anche grazie a Ichnusa – il più autorevole intellettuale e organizzatore di cultura della Sardegna del secondo dopoguerra (i suoi editoriali sono stati poi raccolti in A. P. Politica e cultura, a cura di M. Brigaglia - S. Mannuzzu - G. Melis Bassu, Sassari 1971).
Nel 1958 ottenne il primo incarico presso la facoltà di giurisprudenza di Sassari, l’insegnamento di diritto agrario.
Furono anni particolarmente intensi dal punto di vista scientifico: oltre le Meditazioni sul regime carcerario (Sassari 1959), amara riflessione sulla propria esperienza giovanile, La piazza e lo Stato (ibid. 1961), sollecitata dai morti di Reggio nell'Emilia del 7 luglio 1960, Struttura, soprastruttura e lotta per il diritto (Padova 1965), Promemoria sull’obiezione di coscienza (in Studi sassaresi, s. 2, XXXI [1968], pp. 9-75).
Nel 1965 Pigliaru, vinto il concorso a cattedra di dottrina dello Stato bandito dalla facoltà giuridica sassarese, cominciò a lavorare a una monografia su un tema squisitamente marxiano, che apparve postuma e incompiuta: Studio sull’estinzione dello Stato (in A. Pigliaru, Scritti di scienza politica, Cagliari 1975, pp. 331-419). Nel 1966 fu invitato, in occasione del trentennale della morte di Gramsci, a tenere una relazione sul tema L’eredità di Gramsci e la cultura sarda, da presentare al convegno svoltosi a Cagliari (Gramsci e la cultura contemporanea, Atti del convegno… 23-27 aprile 1967, a cura di P. Rossi, Roma 1969, I), in cui sviluppava un’analisi retrospettiva delle peculiarità dell’impegno civile degli intellettuali in Sardegna. Nel 1968 fondò Il Trasimaco, una rivista di dottrina dello stato e di filosofia del diritto.
Morì prematuramente a Sassari il 27 marzo 1969.
Opere. Da ultimo, l'editore nuorese Il Maestrale ha dato vita a una collana intitolata «I Quaderni di A. Pigliaru», in cui sono apparsi: L'eredità di Gramsci e la cultura sarda (2008); Persona umana e ordinamento giuridico (2008); «Promemoria» sull'obiezione di coscienza (2010); Meditazioni sul regime penitenziario italiano (2010); La piazza e lo Stato (2012); Struttura, soprastruttura e lotta per il diritto (2012). Sempre Il Maestrale aveva precedentemente ristampato, inoltre, il Codice della vendetta barbaricina, con introd. di B. Meloni (Nuoro 2006 e 2007).
Fonti e Bibl.: Carte P. sono conservate a Sassari, presso la famiglia; V. Mura, A. P., in Storia dell’Università di Sassari, a cura di A. Mattone, Nuoro 2010, II, pp. 72 s.; Id., A. P., in Diz. biogr. dei giuristi italiani, II, Bologna 2013, pp. 1585 s.; F. Sechi, Bibliografia di A. P., in Studi sassaresi, s. 3, II (1968-69), pp. 661-672; S. Tola, Gli anni di “Ichnusa”, Sassari 1994; M. Puliga, A. P. Cosa vuol dire essere uomini, Sassari-Pisa 1996; A. P. vent’anni dopo (1969-1989), in Ichnusa, s. 3, 1989, n. speciale su A. P.; Gli anni di “Ichnusa”. Mostra documentaria in ricordo di A. P. (catal.), Sassari 1999; L. Caini, Motivi pedagogici e impegno educativo, in A. P., Milano 2000; P. Bifulco, A. P. o dell’irriducibilità dell’individuo alle Ragioni di Stato, in Diritto e società, n.s., IV (2001), passim; P. Carta, A. P. e la lotta per il diritto, in Archivio Scialoja-Bolla, 2010, n. 1, pp. 45-84 ; Id., A. P. Pensiero giuridico e riflessione politica, in Quaderni fiorentini, XXXVII (2008), pp. 349-380; M. Brigaglia, Gli anni di “Ichnusa”: L. Berlinguer e A. P., in Tra diritto e storia…, I, Soveria Mannelli 2008, pp. 183-192; La ricerca di A. P. (1922-1969) sulla vendetta barbaricina, Atti del convegno di studi in memoria del grande filosofo sardo a 40 anni dalla morte… 2009, a cura di Gesuino Piga - Paolo Pulina, Pavia 2010; A. Mattone, Storia della facoltà di giurisprudenza dell’Università di Sassari, Bologna 2016, pp. 933-994.