PICCINNI, Antonio
Pittore e incisore, nato a Trani il 14 maggio 1846, morto a Roma nel gennaio 1920. In patria ebbe il primo insegnamento dallo scenografo Biagio Molinaro. Nel 1863 iniziò i suoi studî nell'Istituto di belle arti in Napoli. Rivelatosi pittore di scarsa levatura in pochi quadri a olio, male arrancando con la sua "pittura di genere" lungo le tracce segnate dal Morelli, seppe trovare una libertà maggiore e una migliore appropriatezza di linguaggio nell'acquerello. Tuttavia il vero P. è da cercare soltanto nella sua pratica dell'incisione, alla quale esclusivamente si dedicò nella maturità degli anni, e soprattutto dal 1901, quando fissò la sua dimora in Roma. Fu maestro nell'acquaforte di riproduzione "a taglio libero"; e fu maestro originalissimo nell'acquaforte di pura immaginazione, manifestando in essa le qualità migliori del suo pittoricismo e la ricchezza del suo spirito di acutissimo osservatore della vita. Iniziò pubblicamente la sua carriera d'incisore nel 1873 con la riproduzione della Rivolta di Masaniello quadro di Domenico Gargiulo; la continuò mirabilmente con riproduzioni di quadri del Toma (Clemente VII a Castel S. Angelo) e del Morelli Tentazioni di S. Antonio, Cristo deposto). Nel 1878, all'Esposizione di Parigi, si decise finalmente, dopo lunga ritrosia, a rivelare la sua opera di "acquafortista d'invenzione", coi Ricordi di Roma, che furono editi in volume da A. Cadart. Il P. era stato sordomuto fino agli anni di prima giovinezza; e, svolgendo le sue prime esperienze artistiche in quelle sue condizioni d'isolamento, aveva contratto l'abitudine di far convergere ogni attività del suo spirito nell'espressione grafica, di aderire alla vita con l'immediato linguaggio dei suoi poteri di visibilità. Mantenne attiva questa consuetudine per tutta la sua esistenza; e quotidianamente visse annotando sui suoi fogli, con incisività di segno rapidamente creativo, tutto ciò che fissava la sua attenzione di osservatore sottilissimo. Quella aneddotica di vita, colta dalle strade cittadine e dalla campagna, dalle chiese e dai caffè, costituì la viva materia delle sue acqueforti pittoresche, ricche di sottintesi cromatici, vivissime per acutezza di visione e libertà di segno. Esse costituiscono una delle maggiori affermazioni (certamente la più cospicua) dell'incisione italiana ottocentesca. Ottimi esemplari dell'arte del P. si conservano nel Gabinetto nazionale delle stampe in Roma e negli Uffizî a Firenze.
Bibl.: Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, XXVI, Lipsia 1932 (con bibl.). Inoltre: A. Petrucci, Incisori pugliesi dell'800, A. P., in Japigia, II (1931), pagine 51-68.