PIAZZA, Antonio
PIAZZA, Antonio. – Figlio di Giacomo e di una donna di cui non si conosce il nome, nacque a Venezia presumibilmente fra gennaio e metà febbraio del 1742.
Le notizie sui suoi primi vent’anni provengono dalla prefazione al suo primo romanzo, L’omicida irreprensibile (Venezia 1762-63) in cui dichiarò di non aver compiuto studi regolari – ma di aver frequentato la scuola solo per breve tempo per poi continuare da autodidatta – e di aver scritto molti versi. Stando alle sue stesse testimonianze, grande influenza sulla sua giovinezza ebbero le gare teatrali fra Carlo Goldoni e Pietro Chiari, che interessandolo alle contese letterarie lo esortarono prima agli studi e poi alla scrittura. Di esse Piazza fornì in seguito preziosi ragguagli, molto significativi perché basati su esperienza diretta, sebbene condizionati dalle polemiche legate alla sua personale attività artistica.
A partire dal 1762 si dedicò con assiduità alla narrativa di consumo, componendo anche più romanzi in uno stesso anno. In un primo momento seguì da vicino il modello di Pietro Chiari, pubblicando testi molto ampi, in più volumi, di impostazione pseudoautobiografica.
Appartengono a questa fase L’omicida irreprensibile, cit., L’italiano fortunato (Venezia 1764), L’innocente perseguitata (Venezia 1764), L’amante disgraziato (Venezia 1765), La Turca in cimento (Venezia 1765), La moglie senza marito (Venezia 1766), L’incognito (Venezia 1767), Il merlotto spennacchiato (Venezia 1767), La storia del Conte d’Arpes (Venezia 1768), L’amico tradito (Venezia 1769) e L’Ebrea (Venezia 1769). A giudicare dalle premesse al lettore, dalle dediche e dai passaggi metaletterari inseriti nelle opere, fin dagli esordi la sua scrittura ottenne un discreto riscontro di pubblico, cui non corrispose però analogo apprezzamento da parte dei letterati. In particolare una recensione apparsa nel Nuovo Corrier letterario del 6 febbraio 1769 al romanzo L’Ebrea diede avvio a una polemica che finì per trapelare anche nella sua attività creativa. In risposta all’articolo, infatti, Piazza prima indirizzò al compilatore del periodico, Cristoforo Venier, una dedica ironica del secondo volume dell’Ebrea, interessando i riformatori dello Studio di Padova che lo pregarono di smorzare i toni (Archivio di Stato di Venezia, Riformatori dello Studio di Padova, filza 366); in seguito inserì una caricatura di Venier in due distinte opere letterarie, il romanzo La virtuosa (Venezia 1770), in cui prendeva di mira anche Francesco Griselini, e la raccolta di novelle I castelli in aria (Venezia 1773).
Con gli anni Settanta, Piazza impresse un notevole cambiamento alla sua produzione: a opere di vasta mole vennero sostituendosi romanzetti più agili, privi di episodi secondari e asciutti nella scrittura, talvolta legati l’uno all’altro, come accade, ad esempio, per I zingani (Venezia 1769) e Il romito (Venezia 1770). Contestualmente assunse rilievo nelle sue ambientazioni il mondo dello spettacolo, cui dedicò la citata Virtuosa e soprattutto la trilogia composta da L’impresario in rovina (Venezia 1770), Giulietta e La pazza per amore (entrambe, Venezia 1771), che descrive la storia di un’orfanella educata al canto in uno degli ospedali veneziani e del suo protettore Patagiro, probabilmente ispirata alle vicende reali di Demetrio Teodosio, governatore della Congrega de’ Derelitti.
Caratterizzati da una maggiore definizione psicologica dei personaggi e da un più accentuato carattere lacrimoso, sul modello di Baculard d’Arnaud, furono poi I deliri dell’anime amanti (Venezia1771) e Le stravaganze del caso (Bergamo 1772). Nella prefazione a quest’ultimo si consumò in modo nettissimo il distacco dal modello chiariano, perché vi affermò di aver avuto fino a quel momento «un cieco per guida».
Il 1773 fu un anno cruciale nella vita di Piazza: pubblicò L’amor tra l’armi (Venezia), su una coppia di innamorati coinvolta nelle vicende belliche nella Corsica di Pasquale Paoli, e la citata raccolta di novelle I castelli in aria in cui, fra le altre cose, comparve una caricatura di Elisabetta Caminer, fondatrice del Giornale enciclopedico; ma soprattutto incontrò a Genova l’impresario Onofrio Paganini che impresse una svolta nella sua carriera. Stando a quanto lui stesso dichiarò più tardi nella prefazione all’Amicizia in cimento (Commedie, I, Venezia 1786) si era recato a Genova con l’idea di passare a Parigi, quando Paganini lo esortò a scrivere per lui. Ebbe inizio così una carriera teatrale che lo portò a comporre sette commedie (cui si deve aggiungere la tarda Chi la dura la vince del 1811) e vari drammi per musica e a seguire per alcuni anni le peregrinazioni delle compagnie fra Genova, Bologna, Mantova, Milano e Firenze.
L’esperienza diretta di quel mondo teatrale che aveva sempre guardato con interesse, si rivelò però deludente, come testimonia il suo ritorno alla narrativa, con un testo Il teatro ovvero fatti di una veneziana che lo fanno conoscere (I-II, Venezia 1777-78), in cui tracciò un quadro impietoso delle scene postgoldoniane, attingendo abbondantemente alla sua personale esperienza.
Durante una sosta in Toscana, nel 1776, intraprese una polemica contro il poligrafo francese Ange Goudar che lo portò forse a collaborare con Giacomo Casanova.
Tornato a Venezia, negli anni Ottanta la sua attività romanzesca divenne sporadica – con Il vero amore (Venezia 1779) o Narcisa (Venezia 1780) – e si dedicò con crescente attenzione al giornalismo: al 1781 risale La tacita società dello spirito (Venezia), una pubblicazione in tre volumi composta di articoli tradotti; del 1782 è invece L’ozio ingannato fra le gare del diletto e dell’utile (Venezia), anch’essa in tre volumi, in cui alternava pezzi originali e traduzioni; ma soprattutto il 2 giugno 1787 prese avvio la Gazzetta urbana veneta, un periodico cittadino su modello gozziano da lui redatto con continuità fino al 30 giugno del 1798, che gli garantì un notevole successo (nel suo necrologio si parla di oltre 2000 associati) ma gli procurò anche diversi problemi con la giustizia. Nel dicembre 1788 il conte Carlo Pochini presentò una supplica al Consiglio degli undici per un articolo in cui pensava si alludesse a una sua vicenda personale; analogamente nel settembre 1792 fu Giacomo Spineda di Treviso a risentirsi per un articolo. Se nel primo caso non sappiamo se vi furono conseguenze giudiziarie, il secondo diede adito a un processo a suo danno e alla sua reclusione ai Piombi da metà novembre alla vigilia di Natale del 1792 (ne parla lui stesso nei Lamenti della disperazione, 1819, p. XIII). Nelle carte processuali troviamo un prezioso ritratto di Piazza cinquantenne, descritto come un uomo «di statura piuttosto alta, di capigliatura castagna, oscura, di colorito piuttosto rossiccio, una barba nera al mento, di guardatura non interamente perfetta» (Archivio di Stato di Venezia, Inquisitori di Stato, Processi criminali, 1174).
A fronte di questa dettagliata descrizione fisica, abbiamo scarse notizie sulla sua vita personale: sappiamo che si sposò ed ebbe dei figli, e che il mantenimento della famiglia fu una delle costanti preoccupazioni della sua vita. Dalle tracce epistolari studiate da Claudio Chiancone è possibile però ricostruire almeno in parte le sue frequentazioni: ebbe familiarità con il gruppo di Vincenzo Dandolo, con Giorgio Ricchi e con altri esponenti del giacobinismo veneziano. Nel 1797 accolse l’arrivo dei francesi a Venezia e la caduta del governo oligarchico con un’iniziale prudenza cui si sostituì a poco a poco una netta ed entusiastica approvazione. E infatti gli austriaci, giunti nella città lagunare dopo Campoformio, il 9 febbraio 1799 respinsero la sua richiesta di proseguire la pubblicazione della Gazzetta, interrotta il 31 dicembre del 1798, perché egli «sotto la democrazia scrisse il foglio più democratico, ed allarmante della Nazione con scandalo Universale» (Archivio di Stato di Venezia, Governo 1798-1806 (c.d. Prima dominazione), b. 287, 1799/III, f. 1). Sebbene non avesse più un impiego e la situazione politica non gli fosse favorevole, rimase a Venezia, dove riprese l’attività narrativa e avviò una ristampa dei suoi vecchi romanzi.
A causa delle persecuzioni antigiacobine che si verificarono nella Repubblica veneta, fu incarcerato nel 1801 insieme ad altre trentatré persone, e portato dapprima «all’isoletta di S. Cristoforo, poi a quella di S. Giorgio in Alga, indi nel castello del Lido, e finalmente a S. Servillo» (Lamenti della disperazione, cit., p. XIV, e Archivio di Stato di Venezia, Governo 1798-1806 (c.d. Prima dominazione), Atti, b. 158, f. 135, cc. 103 e 108). La prigionia durò questa volta cinque mesi, al termine dei quali fu «tra i primi ad essere liberato, senza veder faccia di giudice» (Lamenti della disperazione, cit., p. XIV). In questa circostanza, nella casa di Piazza a San Leonardo «venne rinvenuto, a detta della Polizia, non poco materiale appartenente alle logge segrete» (Gottardi, 1993, p. 195).
In seguito a questo episodio si trasferì a Milano, dove si stabilì nel quartiere di San Marco, seguito pochi mesi dopo dalla sua famiglia. Qui si dedicò alla traduzione (fra le altre cose del Ritratto di Filippo II re di Spagna di Louis-Sébastien Mercier), alla composizione di versi (fra cui La Bissona a Milan, del 1802, su una nostalgica parata di una imbarcazione veneziana fatta trasportare a Milano dagli esuli veneti) e soprattutto alla stesura di un romanzo patriottico, Il Teodoro o la forza dell’amor patrio (Milano 1803), sui rivolgimenti politici a Venezia fra il 1792 e il periodo dopo Campoformio.
Nell’estate del 1803 Piazza passò a Brescia; poi non abbiamo notizie fino al 1809, quando lo ritroviamo a Treviso. Nel 1810 pubblicò poesie in lode di Napoleone.
Ai primi di ottobre del 1812 tornò a Venezia, dove trascorse una vecchiaia funestata da problemi economici e dalla difficoltà di trovare nuovi impieghi per sé o per il figlio Giuseppe, che intorno al 1817 aveva preso ad affiancarlo nella redazione di almanacchi, come testimoniano alcune lettere conservate presso la Biblioteca del seminario patriarcale di Venezia. Continuò a comporre versi encomiastici e almanacchi, oltre a lettere ad amici e protettori in cui implorava aiuti economici. Dopo la morte della moglie, scomparsa nel 1817, come lui stesso scrive in una lettera del 31 maggio 1817 a Giuseppe Monico (cfr. Venezia, Biblioteca del seminario patriarcale, ms. 1021, f. 11: Lettere di A. P.), continuò a trascinare una difficile vecchiaia, facendo diventare le sue sciagure argomento poetico con I lamenti della disperazione (Venezia 1819) e annunciando la stesura di un’autobiografia che però non fu mai pubblicata e di cui si sono perse le tracce (Il mondo comico, p. 6).
Morì a Venezia la sera del 17 marzo 1825.
Opere. Oltre a quelle citate nel testo: Amor tra l’armi - Eugenia, o sia il momento fatale, a cura di E. Villa, Genova 1980; L’attrice, a cura di R. Turchi, Napoli 1984; Amor tra l’armi, a cura di I. Crotti, Milano 1987.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Inquisitori di Stato, Processi criminali, 1174; Governo 1798-1806 (c.d. Prima dominazione), Atti, b. 158, f. 135, cc. 103 e 108; Venezia, Biblioteca del seminario patriarcale, ms. 1021, f. 11: Lettere di A. P.
A. C. [Antonio Caminer], P. A., in Gazzetta privilegiata di Venezia, 30 marzo 1825; R.M. Colombo, A. P.: la «Gazzetta urbana veneta» e lo «Spectator», in Ead., Lo «Spectator» e i giornali veneziani del Settecento, Bari 1966, pp. 201-240; M. Berengo, Intellettuali e librai nella Milano della Restaurazione, Torino 1980; A. Mazza Tonucci, La «Trilogia di Giulietta» di A. P., Azzate 1983; G. Marchesi, Romanzieri e romanzi del Settecento, Manziana 1991 (ripr. anast. dell’ed. Bergamo 1901); M. Gottardi, L’Austria a Venezia. Società e istituzioni nella prima dominazione austriaca 1798-1806, Milano 1993, ad ind.; M.F. Luna, Casanova et Ange Goudar, in Hommage à Suzanne Roth, Dijon 1994; G. Antonelli, Alle radici della letteratura di consumo. La lingua dei romanzi di Pietro Chiari e A. P., Milano 1996; P. Tomba, Il teatro di A. P., in Quaderni veneti, 1997, 26, pp. 125-178; P.G. Gillio, Governatori e “figlie del coro” negli ospedali di Venezia: verità e finzione letteraria in un romanzo di fine ’700, in Rassegna veneta di studi musicali, XV-XVI (1999-2000), pp. 123-137; A.M. Morace, Il prisma dell’apparenza. La narrativa di A. P., Napoli 2002; A. Motta, I cambiamenti della forma-romanzo fra Illuminismo e Romanticismo: il caso P., in Letteratura italiana e cultura europea tra Illuminismo e Romanticismo, a cura di G. Santato, Ginevra 2003, pp. 253-273; P. Rambelli, Autori e lettori nel secondo settecento. Il caso di A. P., in I margini del libro. Indagine teorica e storica sui testi di dedica, a cura di M.A. Terzoli, Padova 2004, pp. 239-262; I. Crotti, Immagini di Aspasia nella narrativa di A. P., in «E’ n guisa d’eco i detti e le parole». Studi in onore di Giorgio Bàrberi Squarotti, I, Alessandria 2006, pp. 583-611; V.G.A. Tavazzi, “Giornalisti... romanzieri... e foglivolantisti dell’Adria”: il «Nuovo corrier letterario» e A. P. nelle polemiche editoriali di Carlo Gozzi, in Parola, musica, scena e lettura. Percorsi nel teatro di Carlo Goldoni e Carlo Gozzi, a cura di G. Bazoli - M. Ghelfi, Venezia 2009, pp. 583-606; C. Chiancone, A. P. Una vita attraverso le lettere, in Archivio veneto, CXXXX (2009), pp. 19-58; V.G.A. Tavazzi, Il romanzo in gara. Echi delle polemiche teatrali nella narrativa di Pietro Chiari e A. P., Roma 2010; Ead., «Un foglio difensore de’ diritti del pubblico»: la «Gazzetta urbana veneta» di A. P. archivio del teatro del Settecento, in Memoria della modernità. Archivi ideali e archivi reali, a cura di C. Borrelli - E. Candela - A.R. Pupino, III, Pisa 2013, pp. 625-636.