PIATTI, Antonio
PIATTI, Antonio. – Nacque a Viggiù (Varese), il 12 giugno 1875 da Domenico (1848-1915), marmista e scultore, e da Maria Buzzi Donelli (1852-1940), primo dei tre figli della coppia.
Negli anni Ottanta dell’Ottocento, il padre si trasferì a Cuneo per eseguire lavori al vicino Santuario di Vicoforte e lì aprì un laboratorio di scultura. Piatti e i fratelli minori, Leonardo (1877-1945) e Luigi (1881-1930), erano intenzionati a proseguire l’attività paterna seguendo la tradizione familiare, che secondo Piatti risaliva sin ai Maestri Comacini medievali (Vita d’artista, s.d. [1957], p. 10). Luigi, dopo un soggiorno milanese in compagnia del fratello maggiore, si stabilì a Roma aprendo un laboratorio presso il Cimitero del Verano, mentre Leonardo ereditò la bottega paterna a Cuneo, nell’attuale Lungogesso Giovanni XXIII, dove si distinse per la realizzazione di monumenti civili e cimiteriali.
Piatti, determinato a seguire le orme paterne e dei suoi avi, fu introdotto a dodici anni nella bottega del genitore; compiuti i diciassette anni lo raggiunse a Cuneo, dove frequentò la Scuola di disegno dell’Istituto tecnico. La sua formazione si consumò all’insegna della plastica ornamentale e in quel campo acquisì una tale abilità tecnica che lo portò a lavorare con Leonardo Bistolfi, per il quale tradusse in marmo, assieme a Edoardo Rubino, La bellezza della morte (1895) per la tomba di Sebastiano Grandis al cimitero di Borgo san Dalmazzo (Cuneo).
Nello stesso torno di anni si iscrisse all’Accademia di Brera a Milano dove, dopo aver seguito i corsi ordinari con successo, entrò nella Scuola speciale di pittura di Cesare Tallone diplomandosi nel 1902; contemporaneamente eseguì copie di dipinti sia antichi, sia di celebri pittori ottocenteschi, quali Mosè Bianchi, Angelo Dall’Oca Bianca, Giacomo Favretto, che gli permisero di ricevere piccoli guadagni. La consuetudine con Tallone, tra i più importanti ritrattisti del tempo, spinse Piatti a indirizzarsi verso soggetti di figura (scene intimiste e dalle intonazioni sentimentali, in particolar modo) e il ritratto, che elaborò con uno stile personale fondato sulla fusione delle pennellate larghe, materiche e sciolte del maestro e l’intonazione intimista di derivazione scapigliata e generalmente lombarda.
Nel ricordo della pittura di Tranquillo Cremona si situano le sue prime prove importanti come Rose e spine (1902, esposto alla Prima Quadriennale di Torino dello stesso anno), Ultimi momenti di Chopin (1903), Supremo dolore (1903), gli ultimi due esposti alla Triennale di Brera del 1903 assieme al paesaggio rustico Vita semplice (rip. in Antonio Piatti, 1921) che raccogliendo consensi unanimi gli permisero di vincere il premio Fumagalli. Nell’ottobre del 1904 riuscì inoltre a ottenere il premio Oggioni, grazie a un’Accademia conservata oggi alla Pinacoteca di Brera, destinato a perfezionare gli studi dei giovani artisti a Roma. In quell’occasione fece richiesta di passare il primo semestre a Parigi, per poi proseguire a Roma come previsto dal premio (Previtera, 1994, p. 547); accolta la sua istanza, Piatti si trasferì a Parigi nell’aprile del 1905.
Lì riuscì a esporre al Salon il dipinto L’affronto (Milano, Pinacoteca di Brera), tipico soggetto aneddotico e melodrammatico della sua produzione. Durante il soggiorno parigino ebbe l’opportunità di conoscere Giovanni Boldini e apprezzò l’arte moderna francese al Musée du Luxembourg, realizzò alcuni schizzi di vita parigina e dipinse Sorriso sulla Senna. Il quadro, conservato nel Museo Civico di Cuneo, è verosimilmente identificabile con la «giovane donna sulla Senna che spero potrà riuscire opera più forte [de L’affronto] e che avrò l’onore di presentare come saggio» (in Previtera, 1994, p. 548). Si riferiva qui al saggio del premio Oggioni all’Accademia di Brera, che in realtà non riuscì a portare a termine per quell’occasione.
Subito prima della partenza, il 6 marzo 1905, sposò a Milano la marchesa Virginia Tango (1869-1958), nota scrittrice conosciuta con lo pseudonimo Agar, vicina agli ambienti femministi e socialisti, amica di Sibilla Aleramo e Dino Campana e sorella di Eleonora, moglie di Tallone. Dal matrimonio nacquero quattro bambini, dei quali sopravvissero solo la prima e l’ultimo: Rosabianca (1905) e Sanzio Pio Vincenzo detto Rori (1914).
Tra il 1905 e il 1906 si stabilì a Roma, ospite alla Villa Cardelli in via Nomentana. Nella capitale fu ben accolto dalla regina Margherita (che visitò il suo studio e in seguito confermò il favore nei suoi confronti acquistando alcune sue tele) e da papa Pio X; entrò inoltre in contatto con Antonio Mancini, vecchio amico del suo maestro Tallone e realizzò il dipinto Goethe e l’origine delle sue ‘Elegie romane’ (1906, Milano, Galleria d’arte moderna) che pensava di presentare come saggio finale del premio Oggioni.
L’opera, esibita all’Esposizione internazionale di Milano del 1906, fu acquistata dalla duchessa Josephine Melzi d’Eril Barbò (Previtera, 1994; entrò nelle collezioni d’arte moderna del Comune di Milano in seguito alla donazione di quest’ultima nel 1910), sicché Piatti presentò come saggio L’affronto, acquistato per le collezioni di Brera nel 1907 all’Esposizione permanente di quell’anno, dove era in mostra con il titolo L’abbandonata (p. 548).
Nel 1906, dopo essere rientrato a Milano e aver preso uno studio in via Annunziata, soggiornò per qualche tempo a Chioggia, dove realizzò vedute di canali e ritratti di pescatori; lì eseguì il Ritratto del Vescovo Ludovico Marangoni, ora alla Basilica del Santo a Padova, dove Marangoni era generale dell’Ordine del convento.
La partecipazione di Piatti alla VII Biennale di Venezia del 1907 con il pastello Stornellando diede il via a una fortunata serie di presenze alle rassegne lagunari (fino al 1930) dove espose alcune delle sue opere più apprezzate: Mia! (1909, Galleria d’arte moderna di Udine, esposta alla VIII Biennale), Fremiti (1910, IX Biennale insieme a Ponticello dei sospiri), Carezza buona (1912, X Biennale), Inverno nel cuore di Milano (1914, XI Biennale). Partecipò inoltre a numerose rassegne internazionali estere come quelle di Basilea (1902), Monaco di Baviera (1905, 1909), Barcellona (1911).
Nel 1910 Piatti compì un viaggio nei Paesi Bassi dove, oltre a studiare l’arte olandese del Seicento, realizzò L’Olandesina che presentò all’Esposizione Internazionale di Roma del 1911 assieme a Canale della Giudecca (riprodotte in Marescotti, 1917, pp. 384, 389), quest’ultimo (1909) acquistato dalla regina Margherita. La partecipazione di Piatti alle esposizioni romane fu intensa: oltre alla presenza alle annuali mostre degli Amatori e Cultori, fu presente alle tre Biennali romane (1921, 1923, 1925) e alla prima Quadriennale del 1932.
Nel 1913 eseguì per il Comune di Cuneo il Ritratto di Giovanni Giolitti, ora conservato al Museo Civico della città piemontese. Durante la Grande Guerra si arruolò come aviatore; ferito, passò la convalescenza a Taormina, il ricordo della quale è confluito nel libro L’isola del sole (1931).
Nel 1927 eseguì il Ritratto di Pietro Mascagni per il Museo teatrale della Scala di Milano.
Le opere di Piatti in collezioni pubbliche sono quasi a Milano: la Pinacoteca Ambrosiana conserva un Bambino del 1917; l’Ospedale Maggiore (Ca’ Granda) possiede numerosi ritratti di benefattori; la Galleria d’arte moderna conserva, oltre alle opere già menzionate, La Senna al Pont Neuf (1905); Ritratto del padre (1906), Signora che legge (1911), Chioggia (1913), Ascoltando la radio (1934).
Sempre legato al paese natio, dedicò a quest’ultimo e ai suoi personaggi più illustri il volume Viggiù terra d’artisti, e lì morì il 29 agosto 1962 e fu sepolto.
Opere. L’Isola del sole: impressioni siciliane illustrate, Milano-Genova-Roma-Napoli 1931; Viggiù terra d’artisti: da Pompeo Marchesi a Enrico Butti. Note e ricordi dell’autore, Milano 1942; Vita d’artista, Milano s.d. [1957].
Fonti e Bibl.: L. Callari, Storia dell’arte contemporanea italiana, Roma 1909, pp. 322 s.; E.A. Marescotti, Artisti contemporanei: A. P., in Emporium, 1917, n. 45, pp. 379-398; Artisti viventi. A. P.,Torino 1921; Mostra individuale di A. P., 9-24 dicembre 1929, (Milano, Galleria Micheli) testo di V. Piccoli, Milano 1929; G. Marangoni, A. P., Bergamo 1938; A. P. (1875-1962). Mostra retrospettiva (catal., Varese), a cura di G. Bottarelli - W. Guerra, Varese 1980; S. Rebora, in Ospedale Maggiore/Ca’ Granda. Ritratti moderni, a cura di M.T. Florio, Milano 1987, nn. 443, 459, 553, 752, 768, 771, 779, tavv. 509, 527, 622, 824, 840, 843, 851; M.A. Previtera, in Pinacoteca di Brera. Dipinti dell’Otto-cento e del Novecento. Collezioni dell’Accademia e della Pinacoteca, a cura di C. Pirovano - F. Mazzocca, II, Milano 1994, pp. 546-548; P. Thea, in Milano Brera, 1859-1915. I premi Brera dalla Scapigliatura al Simbolismo (catal., Codogno e Milano), a cura di M. Quadraroli - L. Mosconi - P. Thea, Milano 1994, p. 188; G. Bottarelli - W. Guerra, A. P. (1875-1962), Varese 1996; F. Gardinali, in Civiche Collezioni d’Arte a Cuneo. Dipinto, Sculture e Grafica dell’Ottocento e del Novecento, a cura di C. Conti, Cuneo 1999, pp. 99, 101, 110, 387; M. Degl’Innocenti, in La Pinacoteca Ambrosiana, IV, Dipinti dell’Ottocento e del Novecento. Le miniature, a cura di C. Pirovano, Milano 2008, p. 219.