PETRUCCI, Antonio
PETRUCCI, Antonio. – Nacque a Siena, dove fu battezzato il 29 aprile 1400, da Francesco Petrucci detto Checco Rosso, un politico accreditato presso i Visconti e in Curia pontificia, e da Gabriella de’ Marzi, discendente come i Petrucci da antichi banchieri del potente Monte dei Nove.
Nel 1414 sposò Nicoluccia Benintendi e, in seguito, una Francesca di cui s’ignora il casato (Pertici, 2012, p. 56 n. 88). Fu noto, al tempo suo, anche come Antonio di Checco Rosso.
Il primo fra i molti suoi scritti pervenuti è una lettera del 1423 a Marco Strozzi, che lo rivela legato a cenacoli fiorentini antimedicei e interessato alla letteratura. Prima di orientarsi alle armi e alla politica, infatti, si dilettò di scrivere in versi e prosa, avendo avuto una formazione umanistica e le stesse frequentazioni del cugino Andreoccio Petrucci, il suo alter ego.
Ancor giovane, iniziò una brillante carriera pubblica ed ebbe un fittissimo cursus honorum. Fu infatti podestà a Perugia, Ancona e Bologna tra il 1424 e il 1425 (incontrando in quest’ultima città i sodali del primo Umanesimo senese: Andreoccio, il Panormita, Enea Silvio Piccolomini; contemporaneamente, Jacopo della Quercia lavorava a S. Petronio). Nel 1428 fu ambasciatore del Comune di Siena presso il papa (per questioni con Pitigliano), quindi a Firenze (Archivio di Stato di Siena, Concistoro, 2411, cc. 27r-27v, 30v-31v).
In quella congiuntura l’obiettivo della politica fiorentina era la conquista di Lucca per sbarrare la via Francigena e isolare Siena: e Petrucci si trovò a essere, da allora, il paladino della Toscana antifiorentina. Era infatti podestà di Lucca quando la città fu assalita da Niccolò Fortebracci istigato da Firenze (novembre 1429); e dopo un vano tentativo diplomatico, contrapponendosi agli orientamenti del governo senese che voleva evitare la guerra, arruolò milizie nel Patrimonio e conquistò alla causa il duca di Milano, Filippo Maria Visconti. Questi inviò a Lucca Francesco Sforza, assoldato con altri capitani dallo stesso Petrucci per conto del signore di Lucca, Paolo Guinigi, che gli affidò la gestione del conflitto. Ma il 15 agosto 1430 fu proprio Guinigi, sospettato di tradire, a essere arrestato da Petrucci e dallo Sforza con la collaborazione di alcuni notabili lucchesi, e a Lucca fu ripristinato il governo repubblicano.
Ormai considerato un eroe per aver difeso Lucca e la patria, nel primo bimestre del 1431 con procedura straordinaria fu eletto a Siena capitano del Popolo, la massima carica, e da allora fu per trent’anni il primo cittadino del reggimento.
A parte i contrasti con gli Orsini di Pitigliano (1431; qui ebbe un ruolo importante il fratello di Antonio, Guglielmo, anche lui soldato), tra il 1430 e il 1431 Petrucci promosse la coalizione antifiorentina che coinvolse Milano, Genova, il papa, Piombino, Siena stessa oltre a Sigismondo di Lussemburgo che ebbe verso i Petrucci riguardi speciali (Piccolomini, Storia di due amanti e Rimedio d’amore, a cura di M.L. Doglio, 1973, p. 33). Durante la guerra cospirò per liberare Arezzo, guardò con simpatia ai rivoltosi di Volterra e fu in contatto con gli Ufficiali della libertà di Pisa, ma fu frenato dal duca di Milano, che lo aveva nominato commissario generale. Sconfitto a San Romano, con l’appoggio di fedeli alleati ‘noveschi’ (Cinughi e Bellanti) nel dicembre del 1432 occupò d’arbitrio Bibbona, che dovette lasciare per le pressioni del duca e del governo (Archivio di Stato di Siena, Concistoro, 2412, cc. 53r-54v). Dopo la pace di Ferrara (26 aprile 1433), fu ambasciatore da Eugenio IV (2412, cc. 63v-65r; Petro Russio, Historia Senensis, col. 46). Quanto alla dialettica interna a Firenze, fu fautore del regime albizzesco, ma quando Cosimo de’ Medici tornò dall’esilio, Petrucci, forse d’accordo con i proprietari, occupò il castello dei Ricasoli a Brolio; e per scongiurare un’altra guerra, il governo senese lo bandì dalla città (13 ottobre 1434). Nel frattempo, Petrucci non aveva mancato di operare in ottica antimedicea anche su un altro e ben diverso piano: con Andreoccio e l’umanista Barnaba Pannilini si attivò per condurre allo Studio Francesco Filelfo. Si trattava della definitiva consacrazione a Siena degli studia humanitatis.
Insieme al fratello nel 1435 fu al servizio di Piccinino, che combatteva contro il papa presso Fighine, dove Guglielmo morì, ma alla fine del 1436 Petrucci ruppe con il capitano (Cronaca della città di Perugia..., a cura di A. Fabretti, 1850, p. 411), che lo accusò di progetti eversivi contro la patria (Archivio di Stato di Siena, Concistoro, 1937, n. 80). Revocato il bando il 14 aprile 1437 (Archivio di Stato di Siena, Consiglio generale, 218, c. 130r), lo stesso anno sposò Marietta Salimbeni, da cui ricevette in dote Perignano in Val d’Orcia e altri castelli strategici, che sottopose a censo perché non si dicesse che «s’era formato tiranno» (219, c. 264r-v); del resto, nella principesca residenza cittadina dei Salimbeni mantenne un fasto insolito per un privato.
Petrucci era dunque rientrato da protagonista sulla scena politica senese. Nel luglio 1437 i priori raccomandavano al papa: «virum certe magne extimationis» (218, c. 130r), e per alcuni anni rappresentò in effetti il tramite con la Curia romana e con la sua politica.
Nel 1439 persuase il governo ad accettare il vescovo imposto da Eugenio IV a Massa contro la volontà dei senesi di nominarvi un concittadino (220, c. 89v). Nel 1440 dopo la battaglia di Anghiari (nella quale Firenze sconfisse il Visconti), Petrucci spinse Siena ad accostarsi al papa e fu commissario per definire i confini e per l’aggressione di Baldaccio d’Anghiari (2413, cc. 6v, 11r).
Nel frattempo teneva Acquapendente come luogotenente di Francesco Sforza (dal 1439 si firmava de Attendolis, Fabroni, 1789, II, pp. 161 ss.). Tuttavia il governo, per timore di Eugenio IV allora in lotta con Sforza, nel settembre del 1443 lo indusse a restituire Acquapendente alla Chiesa (Archivio di Stato di Siena, Concistoro, 2413, c. 55v).
Negli anni successivi l’attivismo politico di Petrucci (che nel 1444 fu nuovamente capitano del Popolo) si volse invece verso lo scacchiere tirrenico. Dal 1442 alcuni luoghi della costa senese erano affidati a un corsaro, Agnolo Morosini da Siena viceré di Amalfi, e con lui Petrucci guidò la spedizione di Alfonso d’Aragona in Toscana del 1447-48, quando fu assediata Piombino; ma il governo disapprovava le sue scorrerie da Perignano. «Quello che lo’ faceva guerra era misser Antonio et non il re», protestavano a Firenze (2415, cc. 35r-35v; Consiglio generale, 224, c. 127r, 25 aprile 1448).
Sino a questa altezza cronologica non si ha notizia di contrasti interni e di opposizioni al ruolo politico svolto da Petrucci; e non c’è dubbio in effetti che egli avesse largo seguito e l’appoggio della numerosa consorteria, soprattutto Andreoccio e Bartolomeo di Giacoppo Petrucci, padre di Pandolfo futuro signore di Siena, Ghino Bellanti, Barnaba Pannilini e Francesco Patrizi, l’umanista senese allora più famoso. Ma negli anni Cinquanta crebbero i contrasti civili alimentati dagli abusi dei Petrucci e seguaci, che controllavano cariche e votazioni; e inoltre i danni ai commerci e all’agricoltura recati dalla continua belligeranza resero impopolare la seconda spedizione aragonese guidata dal duca di Calabria e il governo sconfessò l’occupazione di Valiano da parte di Petrucci (Scarton, 2011, p. 99).
Tuttavia era ancora ascoltato (Archivio di Stato di Siena, Concistoro, 2416, cc. 14r-15r) e, pur fra dissensi, sostenne la lega tra gli Aragonesi e Venezia contro la Repubblica fiorentina (1451). Entrò in azione il conte di Pitigliano e la nuova guerra con Orsini, quando Petrucci fu commissario (1454-55), risultò fallimentare e segnata dalla defezione di Sigismondo Malatesta comandante delle truppe senesi, nelle quali era arruolato il meglio della milizia italiana. Fu Petrucci stesso, che era stato personalmente sconfitto nella battaglia di Sorano (dicembre del 1454), a patteggiare la pace. È del 7 marzo 1454 la sua ultima ambasceria, in cui tentò di convincere Ferdinando d’Aragona a trattenere il suo esercito presso Siena (c. 24r).
La pace di Lodi (9 aprile 1454) e il conseguente asse Medici-Sforza mise in difficoltà gli Aragona e i loro sostenitori, e tra questi Petrucci, che si trovò in una posizione debole anche all’interno dell’agone politico senese. Nel luglio, egli faceva ancora parte della Balìa (Archivio di Stato di Siena, Consiglio generale, 226, c. 243b), ma quando fu estratto capitano del Popolo per il primo bimestre del 1455, gli fu revocata la carica, e fu sostituito con il rivale Giovanni Bichi (226, c. 281b). In estate arrivò nel Senese un esercito guidato da Jacopo Piccinino che con un pretesto, dopo aver assediato Cetona (19 giugno 1455), occupò Orbetello, dove era rifornito da navi aragonesi. Le vicende che seguirono diedero il colpo di grazia alla posizione politica di Petrucci.
Gli ufficiali della Balìa, che ebbe da allora durata e poteri eccezionali, reperirono prove dell’intesa fra Piccinino e Giberto da Correggio, amico di Petrucci e subentrato a Malatesta a capo dell’esercito. Il 6 settembre 1455 Giberto da Correggio fu giustiziato dopo processo sommario. Convinto anche dal papa, re Alfonso si decise ad avvicinarsi a Sforza e ritirare Piccinino (maggio 1456) e a Siena si scatenarono le rappresaglie contro gli «emergenti di re Alfonso», Petrucci, Tancredi, Bellanti, Bargagli, Placidi e molti altri ‘noveschi’. Gli ufficiali di Balìa, per gran parte membri di famiglie non meno antiche e importanti degli antagonisti e spesso con radicati rapporti in ambito mediceo e sforzesco (Bichi, Benvoglienti, Petroni e altri), presero provvedimenti durissimi, accusando gli avversari di abuso di potere, estorsioni, illeciti elettorali e d’aver trascinato Siena in guerre continue tramite accordi privati con potentati esteri.
Nell’estate del 1456, decretato lo stato d’emergenza e incoraggiate le delazioni (227, cc. 234v-237v), fu intercettata una lettera di Petrucci al segretario di Piccinino e fu autenticata con altri da Bartolomeo, figlio di Petrucci, e dal genero Francesco Luti, che diceva il suocero «petra scandali et lapis offensionis».
Nella missiva, pervenuta in copia e tradotta ad verbum dallo storico Sigismondo Tizio in un ampio e ben documentato resoconto della congiura e delle sue cause, Petrucci offriva Perignano a Piccinino, istigandolo a impadronirsi di Siena e riunire l’Italia sotto la corona aragonese. Su questo evento, un vero e proprio spartiacque nella storia senese, rimane una ricca documentazione.
Dopo le prime esecuzioni capitali (31 agosto 1456; si trattò di una repressione cruenta come mai nella storia cittadina, che ebbe conseguenze fino agli ultimi del secolo), il 13 ottobre 1456 Petrucci fu dichiarato ribelle in perpetuo, poi condannato a morte in contumacia, su di lui fu posta una taglia e Perignano fu demolito da quasi un migliaio di uomini tra cavalieri, fanti e balestrieri. Bandite molte famiglie illustri, le condanne proseguirono per circa due anni e varie località del dominio tentarono di ribellarsi.
Costretto da Callisto III a lasciare il Patrimonio nonostante nel 1455 fosse stato al soldo del papa, respinto dal re che pure a suo tempo lo aveva fatto conte di Paterno, Petrucci militò con Jacopo Piccinino ed Everso dell’Anguillara. Morto Alfonso, combattendo contro Ferdinando d’Aragona e l’antico sodale Piccolomini, divenuto papa Pio II, fu catturato da Federico di Montefeltro a Castelluccio (30 ottobre 1461). In carcere a Urbino scrisse uno Zibaldone sulla scia delle esperienze giovanili, che lo indicano come il più probabile autore del novelliere attribuito a un mai esistito Gentile Sermini, nel quale si riconoscono la mentalità spregiudicata, il gusto degli intrighi e l’anticlericalismo che furono suoi. Fu scarcerato a fine ottobre 1465 contro la volontà del governo senese timoroso di una guerra civile (Archivio di Stato di Siena, Concistoro, 2416, cc. 110v-111r): «cum is esset et bello et armis clarus, egregia pro republica facinora gessisset […] pluribus quidem carus erat» (Historia adiecta per Franciscum Thomasium, 1731, col. 55). Petrucci tentò ancora invano la sorte nel 1467 al seguito di Colleoni, che voleva rovesciare l’ordinamento della Toscana (Barnaba Senese, Epistolario, a cura di G. Ferraù, 1979, p. 52).
Petrucci visse gli ultimi diciotto mesi infermo presso una confraternita a Forlì, dove morì il 18 febbraio 1471.
Unico uomo di governo senese ricordato oltre i confini patri da storici e cronisti del Quattrocento e Cinquecento, fu alieno alla tradizione comunale, attestando la tendenza al principato teorizzato da Piccolomini e Patrizi, entrambi a lui solidali, benché il papa, per fugare non infondati sospetti di complicità, ne desse un giudizio severo che ha fatto storia, smentendo elogi precedenti (Piccolomini, I commentarii, a cura di L. Totaro, 2005, passim; Id., Historia Australis, a cura di M. Wagendorfer, 2009, I, p. 57).
Fonti e Bibl.: Historia adiecta per Franciscum Thomasium, in RIS, XX, Mediolani 1731, col. 55; Historia Senensis Petri Russi, ibid., coll. 27-48; A. Fabroni, Magni Cosmi Medicei vita, II, Pisa 1789; Cronaca della città di Perugia, dal 1309 al 1491, nota col nome di Diario del Graziani, a cura di A. Fabretti, in Archivio storico italiano, XVI, (1850), 1, pp. 69-750; E.S. Piccolomini, Storia di due amanti e Rimedio d’amore, a cura di M.L. Doglio, Torino 1973; Barnaba Senese, Epistolario, a cura di G. Ferraù, Palermo 1979, pp. 51 s.; F. Senatore, Dispacci sforzeschi da Napoli, I, 1444 - 2 luglio 1458, Napoli 1997, pp. 118, 123, 130 e passim; S. Tizio, Historiae Senenses, III, IV, a cura di P. Pertici, Roma 1998, pp. 272-274, 419-445; E.S. Piccolomini, I commentarii, a cura di L. Totaro, Milano 2005, pp. 709, 789, 993-1003; Id., Historia Australis, a cura di M. Wagendorfer, Hannover 2009.
N. Mengozzi, Paolo II ed i senesi, Siena 1918; Tra politica e cultura nel primo Quattrocento senese: le epistole di Andreoccio Petrucci (1426-1443), a cura di P. Pertici, prefazione di R. Fubini, Siena 1990, pp. 167-177; S. Ferente, La sfortuna di Jacopo Piccinino: storia dei bracceschi in Italia, 1423-1465, Firenze 2005, pp. 54, 57, 71; P. Pertici, Il capitano e uomo politico senese A. P. (1400-1471) e un suo ritratto fin qui sconosciuto, in Atti e memorie dell’Accademia Toscana di Scienze e Lettere La Colombaria, n.s., LXII (2011), pp. 203-215; E. Scarton, Giannozzo Manetti commissario in campo: le istruzioni dei Dieci di balìa (agosto-novembre 1453), ibid., pp. 99, 106, 119, 125, 157; P. Pertici, Siena quattrocentesca. Gli anni del Pellegrinaio nell’Ospedale di Santa Maria della Scala, prefazione di R. Fubini, con un saggio di M.A. Rovida, Colle di Val d’Elsa 2012, pp. 132-154.