PELLEGRINI, Antonio
PELLEGRINI, Antonio. – Nacque a Prato nel 1711 da una famiglia attivamente impegnata da generazioni nelle professioni dell’arte della lana. Il declino di tale arte e la consapevolezza degli scarsi sbocchi occupazionali e redditizi dell’attività famigliare spinsero il giovane Pellegrini a continuare gli studi, invece che dedicarsi all’attività paterna. Grazie a un ‘legato’ pratese, nel 1727 egli ottenne un posto gratuito per studiare giurisprudenza; nel 1731 conseguì una laurea in diritto civile. Dopo un triennio di praticantato, nel 1734 fu accettato nel Collegio dei giudici e notai della città di Prato in qualità di notaio.
Praticò la professione forense nella città toscana per circa un ventennio, riuscendo però a impegnarsi anche in altri incarichi nell’amministrazione locale, particolarmente nel settore delle finanze, attività – queste – che gli torneranno utili nel suo futuro professionale al servizio degli Asburgo. Il legame con il finanziere romano Ottavio Cataldi lo spinse verso scelte di vita importanti che lo indussero a lasciare la Toscana per Vienna con il fratello Stefano. Cataldi, infatti, attivo in operazioni finanziarie e probabile direttore del Lotto romano, nel 1739 aveva ottenuto l’appalto del Lotto «all’uso di Genova» in Toscana e qui era entrato in contatto con i fratelli Pellegrini. Nel 1752 vinse l’appalto della privativa del gioco del Lotto nei Länder centrali della Monarchia; ottenne direttamente l’incarico dall’imperatrice Maria Teresa e introdusse il gioco a Vienna, trasformandosi così nel più importante appaltatore del Lotto della Monarchia asburgica. La realizzazione di tale impresa, però, richiedeva capitali, abilità e status tali da rendere necessaria la creazione di consorzi, i cui partner appartenevano all’eterogeneo mondo della finanza, del commercio e delle manifatture. I fratelli Pellegrini, Stefano e Antonio, entrarono a far parte di questa impresa e partirono per Vienna in quell’anno.
Stefano fu incaricato di ricoprire la carica di segretario dell’Ufficio del Lotto, mentre Antonio, al momento, non occupò alcun ruolo ufficiale. La notizia che egli fosse stato spinto a partire per Vienna da alcuni guai amministrativi, emersa in anni successivi, non è suffragata dalle fonti. I fratelli seppero approfittare della loro lunga permanenza a Vienna non solo per stringere importanti legami con gli ambienti della corte, ma anche per rendersi edotti della situazione economica della Monarchia e di tutti i meccanismi che ne regolavano il funzionamento. Stefano, in particolare, grazie al suo ruolo di segretario, era riuscito ad allacciare contatti con l’entourage della famiglia imperiale, tanto da diventare «maestro di lingua toscana nella real famiglia» (Arch. di Stato di Milano, Greppi, c. 263). Il fortunato sodalizio dei due fratelli con Cataldi si incrinò nel giro di qualche anno, complici non solo gli enormi profitti derivanti all’appaltatore dal gioco del Lotto da cui essi erano in parte esclusi, ma anche la crescita professionale da loro maturata e che li aveva trasformati in personaggi dotati di una certa autorevolezza negli ambienti finanziari della corte e ormai autonomi dal finanziere romano.
La mancanza di un patto di società che permettesse ai Pellegrini di uscire dal loro ruolo di subalterni rispetto a Cataldi, provocò la fine traumatica del loro rapporto e l’ingresso nella loro vita di un uomo che si sarebbe rivelato vitale per entrambi, ma soprattutto per Antonio, il fermiere lombardo Antonio Greppi, uomo chiave della finanza asburgica. A quest’ultimo, all’inizio del 1756, i Pellegrini prospettarono la possibilità di subentrare al finanziere romano nella gestione del Lotto nei Länder asburgici offrendogli la loro esperienza e il prestigio delle referenze guadagnate nella loro lunga permanenza a Vienna. Il momento in cui il fermiere lombardo decise di impegnarsi attivamente nell’impresa rappresentò anche l’inizio dell’ascesa di Antonio, uomo di legge e con una matura e qualificata esperienza in campo finanziario, che divenne uno dei principali collaboratori di Greppi a Vienna e poté così ampliare il suo bagaglio professionale e la sua rete di conoscenze.
Nella primavera del 1757 era ormai al servizio di Greppi e si attivò per la preparazione di un contratto che garantisse al fermiere il controllo del gioco del Lotto nei territori della Monarchia asburgica e che lo difendesse anche dall’attacco di Cataldi che gli fece causa. Al tempo stesso, la sua trasformazione in uno dei referenti fiduciari di Greppi gli consentì di intraprendere numerosi viaggi nei Länder, dalla Boemia alla Stiria, da Praga a Graz, allo scopo di ispezionare le ricevitorie del Lotto e verificarne il funzionamento per suo conto. Insieme con il fratello Stefano, egli divenne anche una sorta di agente diplomatico della Ferma nei paesi ereditari della Monarchia e ciò gli consentì di entrare in contatto con un ambiente finanziario molto stimolante e di maturare conoscenze sulla realtà economica della Monarchia asburgica che si sarebbero rivelate fondamentali nella costruzione della sua carriera amministrativa.
Si avventurò anche nella formulazione di alcuni progetti finanziari, come ad esempio la Tontina, descritta nel carteggio con Greppi nel giugno del 1757 come una specie di pensione vitalizia riformulata su un modello toscano e francese da introdurre in Austria e Boemia. Egli propose di allargare gli interessi della Ferma anche al di fuori della Lombardia austriaca e di impegnarsi ad affittare i beni allodiali dell’imperatore in Toscana. Il suo attivismo e il suo rapporto con Greppi lo resero molto noto agli ambienti della cancelleria di Stato, sia al cancelliere, il principe Wenzel Anton von Kaunitz, ma soprattutto al ministro plenipotenziario della Lombardia austriaca, il conte Carlo di Firmian, il quale nutrì un profondo interesse per i suoi progetti di ‘politica economica’, utili anche alla pubblica amministrazione, tra cui la ridefinizione del Banco di S. Ambrogio, tanto che nell’estate del 1759 lo considerava già uno dei suoi consiglieri finanziari.
L’interesse degli ambienti governativi per i suoi progetti di politica economica erano da inquadrare nel contesto del Cameralismo e sembra fossero stati motivati anche dalla elaborazione di un Trattato di commercio, dedicato all’imperatrice Maria Teresa, che aveva incontrato il particolare gradimento della corte. Si trattò con ogni probabilità, di una delle prime stesure del suo famoso Osservazioni sopra lo stato attuale del commercio della Monarchia austriaca, suoi prodotti naturali, arti, manifatture, l’opera di suo maggior prestigio e pubblicata solo di recente.
Lo stretto rapporto con Firmian lo condusse a intraprendere una carriera amministrativa a Milano, dove giunse agli inizi di settembre del 1759 e assunse il ruolo di consigliere del ministro plenipotenziario per le Finanze, il commercio e l’agricoltura, ottenendo anche una pensione di 1000 fiorini che gli fu conferita fino al 1781, quando Giuseppe II decise di abolire le pensioni concesse alla corte. Il 12 novembre 1759 Pellegrini venne infatti nominato questore forestiero nella nuova giunta del Censo con un dispaccio imperiale. Tale carica gli consentì di entrare, insieme con gli altri due questori forestieri Giuseppe Forziati e Giuseppe Schreck, nel Magistrato camerale milanese, tra i cui compiti vi era anche quello di velocizzare le procedure di attuazione del nuovo sistema censuario teresiano.
Nell’avvio del Censimento del 1760, Pellegrini giocò un ruolo fondamentale ed ebbe il merito di ottenere i primi successi nell’organizzazione del nuovo sistema censuario, forte del fatto di non appartenere ai ceti locali e di non essere quindi influenzabile dalle forti resistenze alla riforme censuarie espresse dal patriziato milanese e dai proprietari terrieri. Il suo diretto collegamento a Firmian e Kaunitz lo trasformò in uno dei protagonisti di quella importante stagione riformista della Lombardia austriaca, tanto che quando il ministro plenipotenziario decise di recarsi a Vienna, allo scopo di concordare direttamente con il cancelliere le strategie per contenere il malcontento e la resistenza dei ceti milanesi, lo portò con sé, a riconoscimento del suo fondamentale ruolo in quella fase politica. Pellegrini rimase nella capitale asburgica per sette mesi, dall’ottobre 1760 al maggio 1761, perfezionando i suoi contatti diretti con l’ambiente finanziario e riformista della corte.
In quei mesi riuscì a portare a termine anche la stesura del suo Trattato di commercio; tuttavia gli occorsero altri due anni per predisporre l’edizione definitiva del manoscritto che venne donata a Kaunitz nel 1763, affinché la facesse pervenire direttamente all’imperatrice Maria Teresa cui l’opera era dedicata. La diffusione del Trattato negli ambienti di corte contribuì ad accrescere la fama del suo autore; lo stesso cancelliere apprezzò la carica propositiva e innovativa dell’opera, sebbene ne criticasse alcuni aspetti della politica economica ivi contenuti perché eccessivamente utopici ai suoi occhi.
La carriera amministrativa di Pellegrini proseguì ancora con estremo successo. Nel gennaio del 1764, infatti, Kaunitz lo scelse per far parte di una nuova giunta che avrebbe dovuto occuparsi delle questioni finanziarie della Lombardia austriaca e, in particolare, della rettifica delle tariffe daziarie. Si trattava di una magistratura nella quale il cancelliere voleva fossero collocati, oltre agli esperti in diritto, anche i cultori della scienza economica e finanziaria. La capacità dimostrata da Pellegrini nel coniugare teoria e prassi all’interno dell’attività amministrativa, gli fece guadagnare altri incarichi di prestigio nelle istituzioni milanesi; il 25 giugno 1764, infatti, un decreto imperiale gli conferì l’incarico di procedere alla rettifica delle tariffe riguardanti l’appalto della futura Ferma generale. Sempre nel giugno del 1764, si assunse il compito di esaminare la possibilità di individuare vie alternative nell’approvvigionamento del sale che evitassero il ricorso alla Repubblica di Venezia, la quale importava il sale nel mercato lombardo in regime di monopolio a costi esorbitanti. Il suo progetto, messo in atto nel 1766, ottenne l’appoggio di Kaunitz, ma non riscosse successo, perché il nuovo sale importato dalla Toscana si rivelò di qualità inferiore rispetto a quello introdotto da Venezia, pertanto, dopo nove anni di sperimentazione, le autorità asburgiche decisero di tornare alla situazione precedente.
In quegli stessi anni, Pellegrini lavorò a un altro importante progetto che mirava a ristrutturare globalmente il sistema finanziario vigente nella Lombardia austriaca, proponendo la gestione diretta delle imposte da parte dello Stato e il conseguente abbandono della Ferma. In quel frangente numerose furono le critiche al suo operato, soprattutto da parte di chi vedeva in tale proposta una sorta di tradimento nei confronti di Antonio Greppi e il tentativo di accrescere eccessivamente i profitti personali, che sarebbero notevolmente aumentati nel caso in cui il progetto fosse andato in porto ed egli fosse stato chiamato a coordinarlo in qualità di ideatore. Il piano non si realizzò e feroci furono le critiche da parte degli ambienti milanesi; ciò nonostante, la stima che i personaggi della corte, tra cui lo stesso imperatore Giuseppe II, nutrivano nei suoi confronti non venne mai meno, tanto che nel 1765 Pellegrini entrò a far parte del Supremo Consiglio di economia, il quale si assunse il compito di elaborare un nuovo piano annonario, di compilare un nuovo codice mercantile, di realizzare la riforma monetaria, di incrementare la produzione interna e di formare gli operatori economici. Due furono le giunte in cui venne chiamato a far parte: quella per l’esame in prima istanza delle cause fiscali e quella bancale, incaricata di dirigere le operazioni di consolidamento del debito pubblico e di svolgere presso gli istituti di credito i controlli. La professionalità di Pellegrini all’interno di questo Consiglio venne rilevata dallo stesso imperatore Giuseppe II in visita a Milano, il quale nel suo diario di viaggio ne lodò l’abilità teorica, sebbene giudicasse intraducibili in pratica molti dei progetti da lui proposti.
Il 17 dicembre 1771, fu chiamato a far parte di una nuova giunta incaricata di gestire le cause fiscali, mentre già da un anno aveva ricevuto il compito di organizzare il gioco del Lotto, campo in cui aveva maturato una solida esperienza. Sempre nel 1771 la sua carriera raggiunse l’apice con la nomina all’interno del Regio Ducal Magistrato camerale nel Dipartimento del censo, avvenuta dopo la chiusura del Supremo Consiglio di economia di cui però rappresentava la naturale continuazione. In tale contesto, vivacizzato da numerosi suoi scontri con Pietro Verri, propose di unificare il debito pubblico in un unico contenitore, direttamente controllato dallo Stato, cui il Tesoro avrebbe potuto attingere in caso di bisogno e a seconda delle esigenze imposte dalla politica economica del governo. Sempre in quel periodo intervenne anche nel dibattito sulla politica monetaria da impostare in Lombardia, collocandosi su posizioni opposte a quelle di Pietro Verri, Cesare Beccaria e dello stesso Antonio Greppi, ma coerenti con quanto espresso nel suo Osservazioni sopra lo stato attuale del commercio.
Gli ultimi anni della sua vita lo videro sempre impegnato nell’attività di pubblico funzionario, ma con un occhio particolare rivolto ai problemi di natura famigliare, in particolare quelli del figlio Giuseppe che necessitava di una sistemazione. Grazie ai suoi legami con Kaunitz, riuscì a farlo inserire nell’amministrazione asburgica con il ruolo di sindaco fiscale.
Morì a Milano il 22 ottobre 1782.
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