PELACANI, Antonio
PELACANI, Antonio. – Medico e filosofo, nacque probabilmente a Parma, nella seconda metà del Duecento.
È probabile che Biagio Pelacani da Parma appartenesse alla sua medesima casata, così come altri due medici e filosofi (Francesco Pelacani e un omonimo Antonio; cfr. G. Robolini, Notizie appartenenti alla storia della sua patria, Pavia 1836, p. 220).
Come in molti casi analoghi, la carriera di Pelacani fu itinerante, e lo condusse in diverse città. Figura naturalmente tra i membri del collegio dei medici di Parma (U. Gualazzini, Corpus statutorum almii studii Parmensis, Milano 1978, p. LXV); nel 1306 è invece a Bologna, in qualità di magister: proprio nell’anno nel quale la maggioranza degli studenti e dei docenti bolognesi migrò temporaneamente all’Università di Padova. Lo spostamento coinvolse probabilmente anche Antonio, che è menzionato come docente a Padova nelle note manoscritte apposte a due suoi testi (la questio Utrum idropsis asclites e la questio De unitate intellectus).
La sua attività a Bologna è testimoniata con certezza dal commento alla prima ‘fen’ del primo libro del Canone di Avicenna, composto tra il 1310 e il 1323. Non c’è invece alcuna prova, nonostante diverse ipotesi siano state avanzate al riguardo, di insegnamento di Pelacani a Pavia oppure a Parigi.
Pelacani sposò, in data imprecisata, Mabilia Pallavicino, appartenente alla celebre famiglia marchionale radicata nel territorio tra Cremona, Parma e Piacenza. Questo matrimonio così altolocato consente di definire adeguatamente la sua posizione nel contesto sociale e politico italiano del primo Trecento. Sin dai tempi di Oberto Pallavicino (m. 1148), che aveva ottenuto privilegi imperiali (dal Barbarossa), i Pallavicino seguirono una tradizione ghibellina e antipapale; Mabilia discendeva dal ramo di Oberto II Pallavicino (m. 1269), vicario generale di Federico II, figura eminente del ghibellinismo italiano. Ai primi del Trecento, i Pallavicino appaiono più volte alleati dei capi della lega ghibellina, Matteo Visconti e Cangrande I della Scala. Gli stretti rapporti tra Pelacani e questi due grandi signori si spiegano dunque tanto con i legami familiari quanto con gli ideali politici. Non a caso il 19 agosto 1319 Pelacani è menzionato al primo posto, insieme con altre personalità di rilievo, come testimone al testamento di Guglielmo Castelbarco il Grande, amico di Cangrande I della Scala e mecenate della costruzione della chiesa di S. Fermo a Verona (ove si trova il sepolcro di Antonio). Nell’aprile 1292 Giuseppe della Scala, figlio illegittimo di Alberto, dunque fratellastro di Cangrande, compare come abate della chiesa. Negli atti del celebre processo intentato da Giovanni XXII contro i capi della lega ghibellina, Pelacani è inoltre menzionato come consigliere e medico di Matteo Visconti, signore di Milano.
Stando alle deposizioni rese nel febbraio e settembre 1320 dal sacerdote milanese Bartolomeo Cagnolati, Pelacani aveva preso parte attiva ai sortilegi eseguiti per procurare la morte del papa. Matteo Visconti avrebbe chiesto al Cagnolati di fare dei suffumigi su una statua d’argento raffigurante il papa, ma egli rifiutò, non avendo a disposizione la sostanza necessaria, ovvero il «succum de mapello» (si trattava dell’estratto di una pianta tossica, l’aconito, chiamata in dialetto lombardo mapell: D. Olivieri, Dizionario di toponomastica lombarda, Milano 2001, p. 335). Al rifiuto del Cagnolati, Matteo Visconti cercò di ricorrere a Pietro Nan da Marano (Petrus Nani), un personaggio di rilievo della corte di Cangrande I della Scala.
Pelacani fu pertanto incaricato di recarsi a Verona ove si trattenne dal 18 novembre 1319 sino a Natale, allo scopo di trattare con Pietro Nan. Il processo, negli atti del quale è menzionato anche Dante Alighieri, terminò con l’accusa di eresia rivolta dal papa a Matteo Visconti, a Cangrande I e a Pelacani.
Dopo la morte di Matteo Visconti (1322), Pelacani cercò probabilmente rifugio alla corte di Cangrande I ove, se è lecito avanzare ipotesi sulla base della ricchezza e del lusso della sua tomba, ebbe fortuna e fama. Morì dunque a Verona, nel 1327.
Il suo imponente sepolcro, infatti, si trova nella chiesa francescana della città veneta, S. Fermo Maggiore. Si compone di tre parti. Sul catafalco, Pelacani è raffigurato una volta in abito da insegnante (pelliccia, guanti, cappello), mentre fa lezione ex cathedra a quattro studenti che tengono di fronte a sé dei libri aperti; e un’altra volta disteso accanto alla moglie, «Mabilia marchionisa Pelavicina». Ambedue sono sontuosamente vestiti. L’epitafio menziona le nobili origini, la brillante carriera del filosofo e del medico, la data di morte, e i due nomi. Sul lato sinistro della tomba, figura un’arma aristocratica (probabilmente quella dei Pelacani).
Pelacani fu autore di testi medici e di testi filosofici, che ebbero, nel Trecento e Quattrocento, una notevole rinomanza. Tuttavia la loro cronologia è oggi difficilmente ricostruibile.
Le opere mediche sicuramente autentiche sono il Commentarius super primam fen primi Canonis Avicenne (tradito da due manoscritti, parzialmente edito nell’edizione quattrocentesca [1477] della Expositio super tertio Canonis Avicenne del suo avversario Gentile da Foligno); alcune questiones (cfr. Questiones super librum Galieni De accidenti et morbo; Questio Utrum idropsis asclites; Questio disputata Utrum febris ephemera; Quaestio Utrum sit dare virtutem inedite; e infine alcuni consilia (Consilium contra sanguinis mictum; Consilium contra visus debilitatem pro domino episcopo Vercelensi).
Nella letteratura secondaria gli sono attribuiti tre trattati di medicina, ma la loro autenticità resta ancora da provare: Commentarius super De morbo et accidenti; Compendium medicinae Quoniam de melioribus amicis (Giovanni da Parma?); De mania et melancolia.
Questi invece i testi filosofici di Pelacani: Dubia et remotiones circa intellectum possibilem et agentem; Questio de unitate intellectus; Questio disputata Utrum primum principium sive Deus ipse sit potentie infinite; Questiones super De generatione et corruptione; Questiones super III Metheororum. Altri testi, perduti, sono citati nei cataloghi antichi: «Antonii de Parma questiones seu tractatus aliqui videlicet: Utrum omne mobile etc.; De intellectu agente et possibili; de modo motus corporum coelestium; de modo intelligendi» (cfr. M.-H. Laurent, Fabio Vigili et les bibliothèques de Bologne au début du XVIe siècle d’après le ms. Barb. lat. 3185, Città del Vaticano 1943, p. 34).
Nei testi filosofici, Pelacani mostra una conoscenza eccellente delle discussioni parigine sull’intelletto umano: si riferisce esplicitamente ai testi di Sigieri di Brabante (il De anima intellectiva), Tommaso d’Aquino (il De unitate intellectus e De spiritualibus creaturis) ed Egidio Romano (il De plurificatione intellectus), e ne copia paragrafi interi (D. Calma, études sur le premier siècle de l’averroïsme latin. Approches et textes inédits, Turnhout 2011, pp. 318-330). Allo stato attuale delle ricerche, queste citazioni presenti nelle opere di Pelacani sono la sola prova concreta della ricezione dei testi noetici parigini nell’ambiente intellettuale frequentato da Dante. Sigieri di Brabante e Boezio di Dacia erano infatti conosciuti, nella Bologna di fine Duecento, per testi diversi da quelli utilizzati da Pelacani (L. Gargan, Biblioteche bolognesi al tempo di Dante. Libri di logica, filosofia e medicina, in Aevum LXXXVI (2012), pp. 667-690.
Dopo la morte, i trattati filosofici e medici di Pelacani conobbero una certa rinomanza, e continuarono a essere trascritti. La questio Utrum febris ephemera, ad esempio, fu copiata il 16 luglio 1351; la Questio de unitate intellectus il 2 settembre 1451. Nel Trecento, il prestigio di Pelacani nel campo della filosofia è paragonabile a quello di Egidio Romano (cfr. Ch.J. Ermatinger, Gilles of Rome and Anthony of Parma in an anonymous question on the intellect, in Manuscripta, XVII (1973), pp. 91-114). Nel campo della medicina, egli è citato – e avversato – da Gentile da Foligno (m. 1348), autore di un celebre commento al Canone di Avicenna. Tommaso del Garbo (m. 1370) cita il commento di Pelacani, e forse la quaestio Utrum sit dare virtutem nella Summa medicinalis (Venise 1506, cc. 9vb, 27vb, 54rb, 65vb). Il commento di Pelacani al Canone di Avicenna era utilizzato ancora a fine Quattrocento (S. Caroti, I codici di Bernardo Campagna. Filosofia e medicina alla fine del sec. XIV, Manziana 1991, p. 39). Alcuni mss. vaticani (Palatino lat. 1093, cc. 30ra-32rb; Palatino 1125, cc. 27ra-159ra) ospitano note marginali con rinvii a opere di Pelacani.
Fonti e Bibl.: Manoscritti delle opere di Pelacani: Commentarius super primam fen primi Canonis Avicenne (Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat. 4452, cc. 1ra-47vb; München, Bayerische Staatsbibliothek, Clm 13020, cc. 226ra-267vb; frammenti di questo commento si leggono in parecchie note marginali del ms. Paris, Bibliothèque nationale de France, latin 6921; Questiones super librum Galieni De accidenti et morbo (Vat. lat. 4450, cc. 73ra-93vb); Questio Utrum idropsis asclites (Vat. lat. 3144, cc. 11ra-rb; Vat. lat. 4445, cc. 240v-241r); Questio disputata Utrum febris ephemera (Vat. lat. 3144, cc. 11rb-vb; El Escorial, Real Biblioteca del Escorial, Codex latinus f. I. 4, cc. 40vb-41rb); Quaestio Utrum sit dare virtutem (Paris, Bibliothèque de la Sorbonne, 128, cc. 111va-113va, probabilmente citato come Tractatus de virtutibus da Tommaso del Garbo, Summa medicinalis, Venetia, 1506, cc. 54rb, 65vb); Consilium contra sanguinis mictum (Leipzig, Universitätsbibliothek, 1216, cc. 164r-165r); Consilium contra visus debilitatem pro domino episcopo Vercelensi (Leipzig, Universitätsbibliothek, 1216, cc. 165r-166v). I testi filosofici di Pelacani sono i seguenti: Dubia et remotiones circa intellectum possibilem et agentem (Vat. lat. 6768, cc. 165ra-167rb); Questio de unitate intellectus (Budapest, Eötvös Loránd Tudományegyetem, Egyetemi Könyvtár, latinus 17, cc. 164va-167rb); Questio disputata Utrum primum principium sive Deus ipse sit potentie infinite (Vat. lat. 2712, cc. 55rb-57rb); Questiones super De generatione et corruptione (Vat. lat. 4452, cc. 49ra-58va, citato da Taddeo da Parma nella Questio an elementa maneat sub propriis formis in mixto conservato nella Biblioteca apostolica Vaticana, Ottobon. lat. 318, c. 200rb); Questiones super III Metheororum (Ravenna, Biblioteca Classense ms. 409, cc. 129va-132vb). In cataloghi antichi, sono menzionati testi perduti di Pelacani («Antonii de Parma questiones seu tractatus aliqui videlicet: Utrum omne mobile etc.; de intellectu agente et possibili; de modo motus corporum coelestium; de modo intelligendi», cfr. M.-H. Laurent, Fabio Vigili et les bibliothèques de Bologne au début du XVIe siècle d’après le ms. Barb. lat. 3185, Città del Vaticano 1943, p. 34).
Trattati di medicina attribuiti a Pelacani dalla letteratura secondaria: Commentarius super De morbo et accidenti (Vat. lat. 4450, cc. 57r-72v; Vat. lat. 4466, cc. 157r-169v; München, Bayerische Staatsbibliothek, Clm 13020, cc. 88v-94r; cfr. N.G. Siraisi, Taddeo Alderotti and his pupils. Two generations of Italian medical learning, Princeton 1981, p. 102, n. 17); Compendium medicinae Quoniam de melioribus amicis (Giovanni da Parma?; Roma, Biblioteca Angelica, 562, cc. 68r-69r; Jena, Thüringer Universitäts- und Landesbibliothek, Prov.o. 231, cc. 45r-47v; Universitätsbibliothek Marburg, Mscr. 595, cc. 138va-140vb; Saint-Quentin, Bibliothèque municipale Guy de Maupassant, 107, cc. 206r-209v; Marseille, Bibliothèque municipale L’Alcazar, fol. 149, cc. 149r-151r; cfr. P. Glorieux, La Faculté des arts et ses Maîtres au XIIIe siècle, Paris 1971, pp. 93 s.; E. Wickersheimer, Dictionnaire biographique des médecins en France au Moyen Age, II, Genève 1979, p. 453; De mania et melancolia (attribuito semplicemente a un «magister Antonius»; München, Bayerische Staatsbibliothek, Cgm. 809, cc. 10r-11r).
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