PALOMBA, Antonio
PALOMBA, Antonio. – Nacque a Napoli il 20 dicembre 1705.
Scarse le notizie biografiche accertate. Le fonti lo designano come ‘notaro’: apparteneva cioè al ceto forense, classe colta e agiata che coltivava come attività collaterale la scrittura di drammi. È attestato in atti notarili sin dal gennaio 1736, in associazione col notaio Pietro Trinchera, di poco più anziano (con Palomba il più fecondo commediografo napoletano della sua generazione), presso la cui curia dovette sostenere nel 1736-37 il praticantato. Nel 1738 veniva definito esplicitamente «Notaro de Neap. [Napoli]», essendosi evidentemente concluso il percorso di abilitazione professionale (Cicali, 2002, p. 142).
Esordì probabilmente al teatro della Pace o del Vico della Lava nell’inverno 1735, col Creduto infedele, musica di Nicola Logroscino; qui mise in scena almeno tre commedie per musica nel biennio 1747-48 (cfr. Capone, 2007, p. 81).
Nello stesso teatro è segnalato come «concertatore» nel 1749, anno in cui questa sala d’infimo livello, sorvegliata dalla polizia, fu chiusa per motivi d’ordine pubblico.
Nel carnevale 1748 Trinchera, assunta l’impresa del teatro dei Fiorentini (che avrebbe conservato fino al 1755), affidò a Palomba l’apertura della stagione con L’amore in maschera, musica di Niccolò Jommelli. Oltre che per la sala secentesca del teatro dei Fiorentini, lavorò anche per quella più elegante e modernamente attrezzata del teatro Nuovo sopra Toledo, aperta nel 1724.
Strettamente collegata alla scrittura di drammi fu l’attività di concertazione, ovvero la responsabilità dell’allestimento scenico. Palomba dovette eccellervi, come testimoniano la prefazione di Carlo Fabozzi alla Donna di tutti i caratteri, in scena ai Fiorentini nell’autunno 1762, e prima ancora quella di Trinchera al Tutore nnamorato (Pace, 1749), in cui si prevede la buona riuscita della commedia per la qualità della musica «e pe lo concierto de lo Sio Donn’Antonio Palomba, che ogge non ave lo paro» (Cicali, 2002, p. 143; Id., 2005, p. 103).
Rientrava tra i compiti di Palomba l’allestimento e l’adattamento di drammi altrui, come nel caso del Nuovo Don Chisciotte, tratto dal Fantastico dello scomparso Gennarantonio Federico (Fiorentini, autunno 1748, Leonardo Leo e Pietro Gomes). Nella prefazione Palomba apre così un’articolata excusatio: «Essendoci stato addossato il carico di dirigere la presente Commedia, ultimo parto del lepidissimo ingegno del fu Gennaro Antonio Federici […] noi, per mancanza del di lei Autore, abbiamo accettato l’impegno; avendo avuto però il riguardo di non alterarla punto, se non se in quello, a cui siamo stati astretti dalla pura necessità».
Nella seconda metà degli anni Cinquanta, sul finire del regno carolino, sembra che Palomba sia dovuto riparare fuori del Regno, non si sa se a causa di scandali personali o d’incaute opinioni manifestate nei propri testi («I suoi infortunii lo rimossero per alcuni anni dal teatro»: Napoli-Signorelli, 1810, p. 324). Non interruppe però l’attività drammaturgica, poiché riuscì ad assicurare l’allestimento a Napoli delle proprie commedie, sovrintendendovi a distanza tramite persone di fiducia restate in patria, come Carlo Fabozzi (Martorana, 1874, p. 320).
La notizia – in oltre trent’anni di attività, solo nel 1739, 1746, 1757 e 1765 non si videro a Napoli drammi nuovi di Palomba – è confermata dalla citata prefazione alla Donna di tutti i caratteri: «il celebre Sig. D. Antonio Palomba», che «da molto tempo si ritrova assente da questa Città», nel trasmettere la sua commedia «ultimamente in Napoli per porsi in musica e rappresentarsi […] nel presente Autunno non ha dubitato, per mezzo di sue lettere inviatemi, raccomandarne a me la direzione, sul riflesso dell’antica amicizia che passa tra di noi» (cit. in Lattanzi, 2007, p. 203).
Forse in relazione con l’insediamento del nuovo sovrano, Ferdinando IV, ma non prima del 1763, «si permise al Palomba di tornare» (Napoli-Signorelli, 1810, p. 325). Prossimo alla sessantina, Palomba si avvalse della collaborazione del nipote Giuseppe nella stesura dei nuovi drammi (cfr. Parenti, 2009, p. 43), cosicché l’ultimo lustro della produzione del più anziano venne a coincidere col primo del più giovane, sulle scene comiche napoletane e ben oltre i confini del regno. La concomitanza dell’attività dei due congiunti ha fatto erroneamente attribuire a Giuseppe alcuni lavori dello zio (per es. La donna di tutti i caratteri, Lo sposo di tre e marito di nessuna e Le quattro malmaritate), che si credeva scomparso nel corso dell’epidemia del 1764.
Il giudizio dei contemporanei e dei posteri, pur con eccezioni – per es. Cimaglia (1817A, p. 380), che definisce Palomba «uno dei più armonici, fecondi e graziosi poeti della nostra patria», e prima ancora Ferdinando Galiani (1779, p. 143) che lo include tra gli autori dei «pochissimi» libretti dell’epoca in cui «trovansi osservate le regole drammatiche almeno nel più essenziale» – è caratterizzato da un’ambivalenza di fondo: se si condanna l’incongruenza dell’invenzione drammatica e l’ineleganza della veste linguistica, si ammettono tuttavia la vivacità dell’azione e il meritato successo. Così Napoli-Signorelli (1810, p. 323, ripreso quasi alla lettera da Martorana, 1874, p. 320): «Più artificioso e più vario del Trinchera […] La sua locuzione non è né sì salsa come quella del Trinchera, né sì pura e graziosa come quella del Federico; ma egli pose tutto lo studio a rendere l’azione rapida e popolare colla copia de’ colpi teatrali ancorché inverisimili, onde seppe chiamare il concorso».
Attivo dal citato Creduto infedele del 1735 all’Incostante del 1766 (Roma, teatro Capranica, carnevale; Piccinni), Palomba contribuì alla fase cruciale dell’affermazione, nazionale e poi internazionale, del genere dell’opera buffa a partire dalla fine degli anni Trenta, proponendo un modello drammaturgico destinato a rapida fortuna e che sarebbe stato usato dallo stesso Goldoni, il quale realizzò il prototipo dei propri drammi giocosi, La scuola moderna o sia La maestra di buon gusto (Venezia, S. Moisè, autunno 1748; Vincenzo Ciampi), rielaborando La maestra di Palomba e Gioacchino Cocchi (Nuovo, primavera 1747: cfr. Bellina, 1987 e Polin, 2007, pp. 46-50). Altro titolo cruciale nella diffusione dell’opera buffa napoletana fu L’Orazio (Nuovo, carnevale 1737), commedia di soggetto metateatrale scritta in origine per la musica di Pietro Auletta: variamente rivista e sotto titoli diversi, approdò prima a Venezia nel 1743, e viaggiò poi in tutt’Europa con musica di differenti autori; nel 1752 raggiunse Parigi (Il maestro di musica), e ancora nel Novecento fu avventatamente pubblicata negli opera omnia di Pergolesi (cfr. Walker, 1949 e 1952).
Sulle commedie di Palomba si fecero le ossa molti compositori provenienti dai conservatori napoletani (la consuetudine prevedeva che le nuove leve esordissero nel genere comico): Logroscino (il citato Creduto infedele), Jommelli (L’errore amoroso, Nuovo, primavera 1737), Cocchi (La Matilde, Fiorentini, inverno 1739: Charles de Brosses ne riportò il libretto dal suo viaggio italiano), Davide Perez (I travestimenti amorosi, Giardino di Palazzo Reale, luglio 1740, poi Nuovo, autunno 1740), Antonio Palella (L’Origille, Nuovo, autunno 1740), Girolamo Abos (Le due zingare simili, Nuovo, primavera 1742), Michelangelo Valentini (La villana nobile, Fiorentini, primavera 1748), Antonio Corbisiero (Monsieur Petitone, Nuovo, autunno 1749), Tommaso Traetta (La costanza, Fiorentini, inverno 1752), Giovanni Paisiello (Il Ciarlone, Bologna, Marsigli-Rossi, primavera 1764, seguito da Madama l’umorista, Modena, Rangoni, carnevale 1765, revisione di La donna di tutti i caratteri, in collaborazione con Pietro Alessandro Guglielmi: cfr. Lattanzi, 2007), e Domenico Cimarosa (La donna di tutti i caratteri, Nuovo, inverno 1775).
Palomba ebbe un ruolo di spicco negli esordi di Niccolò Piccinni, che tra il 1754 e il 1766 intonò una decina di suoi lavori, tra cui Le donne dispettose (Fiorentini, autunno 1754, opera del debutto), La scaltra letterata (Nuovo, inverno 1758; cfr. Di Benedetto et al., 2009, pp. 560-562), L’Origille (Fiorentini, primavera 1760), L’astuto balordo (Fiorentini, inverno 1761; poi rivisto come Il cavalier parigino, Nuovo, inverno 1762: ibid., p. 564), Il finto turco (Fiorentini, inverno 1762: cfr. Mioli, 2013, pp. 427-433) e L’incostante (Roma, Capranica, carnevale 1766). Lo stesso dicasi d’altri compositori napoletani: Logroscino (nove titoli tra il 1735 e il 1760), Cocchi (sei, 1739-50), Gaetano Latilla (cinque, 1747-74), Leonardo Leo (Il Giramondo, Firenze, Cocomero, autunno 1743, poi ben accolto a Parigi col titolo I viaggiatori; La fedeltà odiata, Fiorentini, primavera 1744; e Il Nuovo Don Chisciotte, Fiorentini, autunno 1748, con musica anche di Gomes).
Florimo (1871, p. 2198), pur non stimando Palomba, ammette la singolare varietà nelle fonti, novellistiche e romanzesche, utilizzate dal commediografo, al quale riconosce una spiccata originalità nell’ultima stagione, citando tra gli altri Lo sposo di tre e marito di nessuna (Nuovo, 1763, Pasquale Anfossi - P.A. Guglielmi) e Il curioso del suo proprio danno e La donna di tutti i caratteri (cfr. Cicali, 2005, pp. 140-144). L’ispirazione di Palomba spazia effettivamente con vorace curiosità dall’Ariosto (L’Origille) a Cervantes (Il nuovo don Chisciotte, Il curioso del suo proprio danno) a Goldoni (La ricca locandiera, Roma, Capranica, 1759, P.A. Guglielmi; La donna di tutti i caratteri; La giocatrice bizzarra, Nuovo, primavera 1764, Gaspare Gabellone; Il finto medico, Nuovo, inverno 1764, Anfossi: cfr. Parenti, 2009, p. 153), senza trascurare la tradizione napoletana cinquecentesca (La Gismonda, Fiorentini, primavera 1750, Cocchi: cfr. Capone, 2007, 134).
Morì a Napoli nel 1769.
Il nipote di Antonio, Giuseppe Palomba – nato presumibilmente negli anni Quaranta – fu attivo a Napoli tra il 1765 e il 1825. Pressoché nulla si sa della sua biografia all’infuori di ciò che si desume dai paratesti delle sue opere. Attorno al 1763-64 dovette intraprendere l’apprendistato di librettista assistendo lo zio Antonio. Alcune delle ultime commedie di questi, rielaborate da Giuseppe, vennero proposte sotto il nome di quest’ultimo, ingenerando conflitti di attribuzione che si sono protratti talvolta per decenni: è il caso per es. della Donna di tutti i caratteri, intonata in origine al teatro dei Fiorentini da Pietro Alessandro Guglielmi nel 1763, ricomparsa nel 1818 al S. Benedetto di Venezia come Donna di più caratteri sotto il nome di Giuseppe e con la musica di Pietro Carlo Guglielmi. Nel 1765 firmò i primi lavori in proprio: La vedova capricciosa (Nuovo, carnevale, Giacomo Insanguine e Carlo De Franchi) e Il corsaro algerino (Fiorentini, autunno, Gennaro Astaritta; corrisponde in realtà a un modello del 1726 che, come si legge nel libretto, «si è fatto accomodare dal signor D. Giuseppe Palomba napoletano»).
La carriera teatrale di Giuseppe Palomba futra le più longeve e feraci dell’intera storia dell’opera: 60 anni esatti separano i primi lavori dall’ultimo, L’ombra notturna (teatro Nuovo, inverno 1825; musica di Carlo Assenzio); e se non trova conferma il numero di 313 libretti riportato da Scherillo (1916, p. 451), lo stesso Palomba nel 1813 si dichiarò autore di «dugento e nove libri» (cit. in Parenti, 2009, p. 44). Allo stato attuale se ne possono individuare circa 150.
I lavori di Palomba andarono in scena ai Fiorentini, al Nuovo e al più recente teatro del Fondo, inaugurato nel 1779. All’avvio della carriera seguì un lustro di silenzio (1770-75). Tra il 1779 e il 1816 la produzione si attestò su un ritmo frenetico, spesso fino a otto drammi annui, mentre nell’ultimo decennio i titoli nuovi dell’anziano commediografo si contano sulle dita d’una mano. Palomba si dedicò quasi completamente al genere comico (pochissime le eccezioni: la ‘composizione per musica’ L’apparizione di san Michele Arcangelo nel Monte Gargano, Napoli, S. Carlino, quaresima 1788, e il dramma sacro Il ravvedimento del figliuol prodigo, ivi, quaresima 1790, con tre parti in napoletano; Admeto, musica di P.A. Guglielmi, Fondo, primavera 1794; il ‘melodramma semiserio’ Paolo e Virginia, Fiorentini, carnevale 1816, P.C. Guglielmi, ripreso alla Scala di Milano ancora nel 1830). La tipologia spazia dalla ‘commedia per musica’ (di gran lunga prevalente) a varie definizioni contigue: ‘dramma buffo per musica’, ‘dramma giocoso per musica’, ‘opera buffa in musica’. Significativa la comparsa, a partire dal 1813, della dicitura ‘melo-dramma’ per indicare spettacoli misti di canto e prosa, su influsso del teatro francese e su misura di interpreti dalle straordinarie doti attoriali: rientrano nel genere L’audacia delusa (Fiorentini, 1813, Luigi Mosca: nella prefazione Palomba attribuisce alla ritardata composizione della musica la scelta di mantenere alcune sezioni in prosa), La diligenza a Joignì (Fiorentini, 1813, Giuseppe Mosca) e gli ultimi tre titoli di Palomba, La poetessa errante (Nuovo, 1822, G. Mosca), La caccia di Enrico IV (Fondo, 1822, Pietro Raimondi) e la citata Ombra notturna (1825), concepiti tutti per il grande buffo Carlo Casaccia (‘Casacciello’).
Fondamentale nei drammi di Palomba la presenza di una o più parti in dialetto napoletano, affidate al talento istrionico di bassi buffi specialisti nel genere. In particolare la carriera di Palomba fu legata a filo doppio con una delle più cospicue dinastie attoriali napoletane, quella dei Casaccia (Giuseppe, Antonio e Carlo) e della loro compagnia, così come stretta fu la collaborazione con un quarto, formidabile basso buffo, Gennaro Luzio. Giuseppe e Antonio compaiono per esempio nel Fanatico per gli antichi romani (Fiorentini, primavera 1777, Cimarosa); nella farsa Li sposi per accidenti a conclusione dei Finti nobili (Fiorentini, carnevale 1780, Cimarosa) Gennaro Luzio interpreta Pulcinella, sopravvivenza della tradizione della commedia dell’arte; Le nozze in commedia (Fiorentini, 1781, P.A. Guglielmi) sono interpretate da Luzio nel 1781 e riprese, sempre ai Fiorentini, da Antonio Casaccia; Carlo Casaccia è accanto al collega Giovanni Codecasa nelle Astuzie femminili (Fiorentini, 1794, Cimarosa); infine nella Gazzetta (Fiorentini, autunno 1816, Gioachino Rossini), unica opera rossiniana a contemplare il dialetto, la parte di Don Pomponio Storione venne concepita apposta per Carlo Casaccia, indipendentemente dalle fonti del dramma (cfr. Rossi, 2005, pp. 230 s.).
La critica, antica e moderna, ha sempre addebitato a Palomba juniore (senza appello la sentenza di Cimaglia, 1817 B, p. 96, pur tra i rari estimatori dello zio: «Gl’infiniti libretti e caratteri nazionali posti in scena dall’attual signor Giuseppe Palomba, all’infuori dell’eccellenti musiche che vi si sono adattate, a nulla conducono») la scarsa originalità nell’invenzione, l’abuso di espedienti come il travestimento, le carenze nella concezione drammaturgica e nella versificazione, sia in lingua sia in dialetto, negandogli infine attenuanti e pregi riconosciuti allo zio. Già i primi critici accreditarono al talento istrionico dei cantanti-attori e all’invenzione musicale l’efficacia di molte commedie musicali di Palomba, cui il librettista avrebbe contribuito soltanto con canovacci zeppi di situazioni stereotipate desunte dalla tradizione. Così per esempio Napoli-Signorelli (1810, p. 111) giudica il «favore del pubblico accordato non a torto agli attori comici Casacciello, Luzio, Pellegrini, la Miller. Di maniera che avviene spesso che qualunque scempiaggine del libretto in grazia loro vien tollerata». Lorenzo da Ponte (1829, p. 24) includeva Palomba tra i «ciabattini teatrali, che non hanno mai saputo un principio di poesia, nonché di quelle infinite regole, leggi e cognizioni, che per fare un buon dramma s’esigono». Oggi una valutazione più equilibrata ha messo in evidenza le qualità di Palomba nel modulare i propri testi rispetto alle condizioni date, ovvero la capacità di far risaltare le doti sceniche dei diversi interpreti con cui collaborò tanto a lungo, offrendo al contempo ai musicisti meccanismi buffi destinati a grande fortuna. La padronanza del mestiere è ben esemplificata dalla tarda realizzazione della Gazzetta per Rossini (1816): Palomba vi dovette integrare ampie porzioni di pezzi già scritti, di cui seppe abilmente riprendere il testo originario (cfr. Gossett-Scipioni, 2002, p. XXVII).
Le commedie di Palomba conobbero una straordinaria eco internazionale in particolare grazie ai successi di Cimarosa e Giovanni Paisiello, ma anche ad alcuni di Pietro Alessandro Guglielmi: innanzitutto La quakera spiritosa (Fiorentini, primavera 1783; per l’allestimento a Eszterháza nel giugno 1787 Haydn scrisse l’aria sostitutiva «Vada adagio, signorina», Hob. XXIVb:12; nel 1790 l’opera fu rimaneggiata a Vienna da Da Ponte con musica aggiuntiva di otto compositori, tra cui Paisiello, Cimarosa, Haydn e Mozart), ma anche L’inganno amoroso (Nuovo, primavera 1786) e Le due gemelle (Monza, autunno 1788; i due titoli furono forse collegati: cfr. Ricci, 2008, p. 659) e Amor fra le vendemmie (Nuovo, primavera 1792).
Cinque i drammi scritti per Paisiello tra il 1785 e il 1798: La grotta di Trofonio (Fiorentini, autunno 1785: riscrittura del recentissimo dramma di Giambattista Casti e Antonio Salieri dato a Vienna), Le gare generose (Fiorentini, primavera 1786), L’amor contrastato (noto anche come La molinara, Fiorentini, autunno 1788: offrì il destro a uno dei capolavori di Paisiello, rimasto in scena fino al 1828; in occasione della ripresa al teatro di Corte a Vienna nel 1795 Beethoven compose due note serie di variazioni, WoO 69 e 70), i fortunati Zingari in fiera (Fondo, autografo datato 1789) e L’inganno felice (Fondo, inverno 1798).
Per Cimarosa, conosciuto probabilmente nel 1775 per la riscrittura della Donna di tutti i caratteri di Antonio Palomba, Giuseppe scrisse undici pièces, tra cui la coppia Il fanatico per gli antichi romani e L’Armida immaginaria (Fiorentini, primavera ed estate 1777), I finti nobili, che per terz’atto ha la farsa Li sposi per accidenti (Fiorentini, carnevale 1780; ed. in Parenti, 2009, pp. 155-176), Il falegname (Fiorentini 1780; nell’estate 1789 andò in scena a Vienna rivisto da Da Ponte e Salieri; cfr. Michtner, 1970, p. 500), L’amante combattuto dalle donne di punto (Fiorentini, 1781), I due baroni di Rocca Azzurra (Roma, Valle, 1783; rivisto per Napoli, Fondo, 1793; nell’agosto 1789 Mozart scrisse l’aria sostitutiva «Alma grande e nobil core» K 578 per una ripresa viennese), Chi dell’altrui si veste presto si spoglia (Fiorentini, 1783).
Nell’agosto 1794 trasse dalla farsa in un atto di Cimarosa Amor rende sagace (Vienna 1793, libretto di Giovanni Bertati) la commedia per musica in due atti, Le astuzie femminili, che reimpiega una porzione consistente del testo e della musica originari (l’opera, ripresa nel 1871, andò in scena nel 1920 all’Opéra di Parigi in uno spettacolo di Sergej Djagilev, revisione di Ottorino Respighi, coreografia di Léonide Massine).
Le fortunatissime, metateatrali Cantatrici villane andarono in scena ai Fiorentini nel 1798 con musica di Valentino Fioravanti, furono date di fronte a Napoleone a Schönbrunn nel 1809, allestite da Goethe a Weimar nel 1813 e proposte in tutt’Europa anche in traduzione francese, tedesca e russa. Sul finire della carriera Palomba poté collaborare con Rossini nella citata Gazzetta (1816), libretto tratto dall’Avviso al pubblico di Gaetano Rossi per Giuseppe Mosca (1814), a sua volta basato sul Matrimonio per concorso di Goldoni (1763).
Come già per lo zio, anche la drammaturgia di Giuseppe Palomba è aperta alle sollecitazioni più diverse. S’incontrano retaggi della fabula del convitato di pietra (I ladri di spiriti, Fiorentini, inverno 1769, Vincenzo Curcio: cfr. Di Benedetto et al., 2009, p. 576), debiti goldoniani (La locandiera di spirito, Nuovo, autunno 1768, Piccinni), casi lampanti di popolarismo scenografico napoletano (La villana riconosciuta, 1989), parodie della moda antiquaria (Il fanatico per gli antichi romani), impieghi parodici della tradizione letteraria colta (cfr. Parenti, 2009, pp. 68-74), caute aperture al più avanzato pensiero politico d’Oltralpe (L’inganno amoroso; L’astuta in amore, Nuovo, 1795, Fioravanti). Singolari e significativi due titoli di ambientazione nordamericana (cfr. Polzonetti, 2006): le citate Gare generose, ispirate ad Amiti e Ontario di Raniero de’ Calzabigi, e La quakera spiritosa.
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