OREFICE, Antonio
OREFICE (Arefece, Orefici), Antonio (Antonicco). – Scarse sono le notizie biografiche di questo musicista, che dovette nascere intorno al 1685 e la cui attività è documentata a Napoli tra il 1708 e il 1734.
Nulla si sa altresì circa la sua formazione musicale. La prima notizia di un’apparizione sulle scene risale al dicembre 1708 col «drama per musica» Il Maurizio di Nicolò Minato, rimaneggiato dall’abate Giuseppe Papis, rappresentato nel teatro di S. Bartolomeo «posto nobilmente in musica dal dott. Antonio Orefici napolitano». Nell’autunno 1709 diede a palazzo reale L’Engelberta (dramma di Apostolo Zeno e Pietro Pariati), composta a mezzadria con Francesco Mancini, vicemaestro della cappella reale (ms. a Vienna, Österreichische Nationalbibliothek, ms. 18057), e nell’autunno 1710, di nuovo al S. Bartolomeo, La pastorella al soglio (dramma di Giulio Cesare Corradi).
Accanto a questi allestimenti di opere serie, acclamati dalla Gazzetta di Napoli, già nell’ottobre 1709 Orefice fu scritturato al teatro dei Fiorentini per Patrò Calienno de la Costa, testo di Francesco Antonio Tullio (alias Agasippo Mercotellis): prima sortita sulle scene cittadine di un genere, la commeddia pe museca, sino a quel momento coltivato solo in dimore aristocratiche. L’opera, «tutta in lingua napoletana», risultò «graziosa e piaciutissima» (Gazzetta di Napoli, 8 ottobre 1709; cfr. Magaudda - Costantini, 2009) e dovette segnare la carriera del musicista, che si votò poi in prevalenza alla scrittura di tali commedie. Di questo nuovo genere, apprezzato anche da un vivace milieu di artisti e intellettuali che in siffatte chéllete (coserelle) videro una cornice propizia alla sperimentazione di idiomi e stili teatrali innovativi, Orefice fu un pioniere. Per più di vent’anni dette ampia prova della propria versatilità nella drammaturgia comica sulle tavole dei teatri minori orbitanti intorno ai palcoscenici vicereali del S. Bartolomeo e di Palazzo. Musicò da un lato commedie interamente tessute nella «lingua napoletana» – colta nei suoi molti registri idiomatici – inscenate perlopiù nel teatro dei Fiorentini: commedie o tragicommedie di Tullio (come Lo finto armeneio, primavera 1717; Le fente zingare, autunno 1717; La Locinna, autunno 1723; al teatro Nuovo La vecchia trammera, 1732) o Nicola Gianni (L’annore resarciuto, Fiorentini, 1727). Dall’altro lato compose sia commedie miste di ‘lingue napoletane’ e ‘toscane’ (come La Camilla, Fiorentini, estate 1710; La Rosilla di Tullio, Nuovo, autunno 1733; La finta pellegrinadi Antonio Oliva, Nuovo, carnevale 1734, in collaborazione con Domenico Sarro), sia infine quelle interamente in italiano tentate nella stagione 1718-19 ai Fiorentini, in cui Tullio offrì i suoi versi, oltre che a Orefice con Il gemino amore (autunno 1718), ad Alessandro Scarlatti e Francesco Feo.
Proprio al Gemino amore, il titolo col quale si aprì questa breve esperienza teatrale toscaneggiante, il librettista appose un’eloquente premessa: «In altra foggia compaiono in quest’anno le Commedie nel picciolo Teatro de’ Fiorentini. Sono esse passate dall’idioma napoletano al toscano, non già con azioni eroiche e regali, ma con successi domestici e familiari, ne’ quali, fra i personaggi sodi e ridicoli, si spera che riesca egualmente piacevole e la sodezza e la lepidezza».
Nell’ottobre 1724 Orefice fu chiamato a inaugurare il teatro Nuovo sopra Toledo con Lo simmele, testo di Bernardo Saddùmene (pseudonimo di Andrea Belmudes). Questa commedia, insieme con Li zite ngalera di Saddùmene e Leonardo Vinci (1722), fu la prima a varcare i confini del Regno di Napoli: nel carnevale 1729 il teatro Capranica di Roma ne diede delle versioni parzialmente toscanizzate, col titolo mutato (La somiglianza e La costanza) e rimaneggiate nella musica da Giovanni Fischetti. Retrospettivamente, in questo episodio romano si è potuto ravvisare il vero trampolino di lancio dell’opera buffa italiana settecentesca.
Sulle qualità della scrittura musicale di Orefice – delle sue composizioni, oltre la citata collaborazione all’Engelberta, rimangono alcune arie d’opera sciolte (mss. 5.B.12 e 6.D.8 nell’abbazia di Montecassino) e alcune cantate da camera (mss. a Milano, Conservatorio, Noseda N.22.1 e O.43.34; Münster, Diözesanbibliothek, Santini, mss. 866 e 2828; Napoli, Conservatorio, Cantate 197; Roma, Accademia di S. Cecilia, Mario, A.Ms.3710) – si pronunciò Tullio nella prefazione a Le fente zingare, mettendo in luce la capacità del compositore nel trovare il giusto connubio tra parola e musica non solo nelle «arejelle» (ariette), «incrostate di armoniose filigrane» e intrise di una dolcezza «da leccarsene le dita», ma ancor più nei recitativi, in cui «va chiacchierando come un merlo» e sa mettere in risalto con acume «il giusto sentimento di ciò che si dice».
Orefice dovette essere un modello e un maestro per le nuove generazioni. Al suo fianco di sicuro lavorò Leonardo Leo, pro-vicemaestro della cappella reale, in alcune produzioni del teatro Nuovo.
Da un lato, nell’autunno 1733 Leo rielaborò una tragicommedia di Orefice del 1723, La Locinna, rinominata La Rosilla (la partecipazione materiale di Leo è provata dal saldo di 20 ducati effettuato dall’impresario Giacinto de Laurentis al compositore «a complimento di d[ucati] 25 […] in conto del suo onorario per l’opera intitolata la Rosilla» (Napoli, Archivio storico del Banco di Napoli, Banco di San Giacomo, matricola 817, partita estinta 26 ottobre 1733); Leo compose la maggior parte delle arie in ‘toscano’ di Fileno e Rosilla nonché due pagine in napoletano destinate a Silvia); dall’altro, collaborò alla stesura della già citata Vecchia trammera del 1732: ma Leo, impiegato solo per alcune ariette, ebbe un ruolo secondario rispetto ad Orefice.
Dopo il 1734 di Orefice si perde notizia: si presume che si sia spento in quell’anno o poco dopo.
Fonti e Bibl.: M. Scherillo, L’opera buffa napoletana durante il Settecento: storia letteraria, Napoli 1883, passim; B. Croce, I teatri di Napoli, secolo XV-XVIII, Napoli 1891, passim; G.A. Pastore, Le «arielle co’ violine» di Antonicco Arefece, in Studi salentini, XX (1965), pp. 249-262; H. Hucke, Alessandro Scarlatti und die Musikkomödie, in Colloquium Alessandro Scarlatti Würzburg 1975, a cura di W. Osthoff - J. Ruile-Dronke, Tutzing 1979, pp. 177-190; P. Weiss, La diffusione del repertorio operistico nell’Italia del Settecento: il caso dell’opera buffa, in Civiltà teatrale e Settecento emiliano, a cura di S. Davoli, Bologna 1986, pp. 241-256; F. Cotticelli - P. Maione, «Onesto divertimento, ed allegria de’ popoli»: materiali per una storia dello spettacolo a Napoli nel primo Settecento, Milano 1996, ad ind.; P. Maione, «Tanti diversi umori a contentar si suda»: la ‘commeddeja’ dibattuta nel primo Settecento, in Leonardo Vinci e il suo tempo, a cura di G. Pitarresi, Reggio Calabria 2005, ad ind.; F. Cotticelli - P. Maione, Le carte degli antichi banchi e il panorama musicale e teatrale della Napoli di primo Settecento: 1732-1733, inStudi pergolesiani. Pergolesi Studies, 5 (2006), pp. 47-49, con cd-rom allegato; P. Maione, The «Catechism» of the «commedeja pe’ mmuseca» in the Early eighteenth century in Naples, in Genre in eighteenth-century music, a cura di A.R. Del Donna, Ann Arbor 2008, pp. 3, 16, 27-33; Storia della musica e dello spettacolo a Napoli. Il Settecento, a cura di F. Cotticelli - P. Maione, I, Napoli 2009, ad ind.; A. Magaudda - D. Costantini, Musica e spettacolo nel Regno di Napoli attraverso lo spoglio della «Gazzetta» (1675-1768), Roma 2009, con cd-rom allegato, ad ind.; P. Maione, «La museca è na nzalata mmescata»: la commedia ‘pasticciata’ nel primo Settecento a Napoli, in Responsabilità d’autore e collaborazione nell’opera dell’Età barocca: il Pasticcio, a cura di G. Pitarresi, Reggio Calabria 2011, ad ind.; Enc. dello spett., VII, coll. 1397 s.; Diz. Encicl. della musica e dei musicisti. Le biografie, V, p. 455; The new Grove dictionary of music and musicians (ed. 2001), XVIII, pp. 553 s.; Die Musik in Geschichte und Gegenwart. Personenteil, XII, coll. 1390 s.; per i testi delle commedie si veda www.operabuffa.turchini.it.