OLIVA, Antonio
OLIVA, Antonio. – Figlio di Francesco e Giovanna de Ditto, nacque a Reggio Calabria nel 1624 (Spanò, 1857, p. 195), o forse nel 1623, se è vero che nell’anno di morte (1691) aveva 68 anni (Crescimbeni, 1698, p. 259).
Sugli anni della formazione non è dato sapere nulla di certo. Nei Mémoires (1676, p. 158) attribuiti a Maria Mancini, nipote di Mazzarino, si dice che aveva una sorella e che all’età di 19 anni si trovava a Roma come teologo di Francesco Barberini; che avesse seguito le lezioni di Benedetto Castelli e avesse preso gli ordini è ipotetico. Nelle fonti successive è detto abate e i Mémoires riferiscono che era stato costretto a scappare da Roma, forse dopo la disgrazia dei Barberini, a causa di un reato da lui commesso. Tornato nel Vicereame (1648) fu partigiano dei francesi, partecipò alla rivolta antispagnola, fu arrestato e venne incarcerato a Reggio Calabria fino al 1652. Seguirono anni di esilio, finché non si inserì nella corte medicea a Firenze, membro dell’Accademia del Cimento: la sua presenza è registrata sin dalla seduta inaugurale del 19 giugno 1657 (Baldini, 1977, p. 24).
Oliva era entrato nelle grazie del principe Leopoldo e di Ferdinando II e in quel contesto, segnato dall’eredità galileiana, contribuì a preparare e partecipò a vari esperimenti, si interessò di idraulica (progettando un’opera sui liquidi rimasta allo stadio di abbozzo: Firenze, Bibl. nazionale centrale, Gal. 268, cc. 173 s., Tavola sinottica d’un trattato dell’acqua, edita in G. Targioni Tozzetti, Notizie degli aggrandimenti delle scienze..., II, 2, Firenze 1780, pp. 698-702); scrisse un commento a Euclide (Firenze, Bibl. Medicea Laurenziana, Ashburnham 1806) e conobbe personalità quali Marcello Malpighi, Giovanni Alfonso Borelli, Lorenzo Magalotti, Francesco Redi, Anton Francesco Marmi, Alessandro Segni e Carlo Rinaldini, mostrandosi di ingegno vivace e scostante. Inoltre, il favore del granduca gli ottenne una cattedra di ostetricia nello Studio pisano (1663-1667), dove insegnò in modo saltuario ed ebbe per allievi Alessandro Marchetti, l’editore di Lucrezio, Tommaso Rospigliosi e Lorenzo Bellini. A quest’ultimo (secondo la testimonianza di uno scolaro discussa in Baldini, 1977, p. 35) nel 1667 Oliva avrebbe dettato l’abbozzo di un trattato di stampo atomistico in 20 fogli oggi perduto (come perduta è gran parte della corrispondenza).
La sua audacia – non esitava a parlare del vuoto e di spiriti – finì per mettere in difficoltà gli scienziati suoi amici, che negli scritti e nelle lettere manifestarono riserve o lo criticarono. Del resto, Oliva non ebbe l’approccio metodico degli altri membri del Cimento e si occupò di scienze della natura spinto forse da un habitus libertino maturato negli anni della giovinezza passati a Roma (senza contare la probabile influenza degli scritti del conterraneo Tommaso Campanella).
Si interessò di biologia, escogitò un mezzo per stroncare il contrabbando di sale volterrano che danneggiava le casse granducali (quello di colorarlo di rosso con il verzino, 1664) ed entrò in conflitto con Francesco Redi perché si attribuì il primato degli esperimenti sulle vipere e di quelli sugli insetti delle galle che portarono alla confutazione della teoria della generazione spontanea (cfr. lo scambio di lettere dal 10 settembre al 1° ottobre 1664 in Redi, Opere, VIII, 1809-11, pp. 59-82; e le missive di Oliva, accompagnate da illustrazioni, oggi conservate in Bibl. apostolica Vaticana, Chigi F.VI.205 e descritte in Favino, 2009). Così, se in una lettera del 9 maggio 1660, indirizzata a Carlo Dati, Redi definì Oliva «più bizzarro che mai, e più virtuoso che mai» (Opere, V, p. 55), più tardi preferì tacere schierandosi contro di lui al punto che lo si ritenne il mandante di due attentati orditi per assassinarlo. Redi diede man forte ai nemici di Oliva, tra i quali spiccavano Vincenzo Viviani, Bruto Annibaldi della Molara e la granduchessa Vittoria della Rovere.
In una lettera inviata a Segni il 25 ottobre 1665 Magalotti riferì che Oliva intendeva occuparsi di una materia pericolosa come il rapporto tra la scienza e la Scrittura: «dà ad intendere d’aver in pronto tutto il sistema della sua fisica, nella quale si fa dalla creazione [...]. Si crede che convinca la Genesi in parecchi luoghi di falsità. Fuori di burle, bisogna che questa volta dica da vero perché il Sig.r P[rincipe] L[eopoldo] lo crede» (cit. in Massai, 1917, pp. 125 s.). Oliva forse non completò il trattato, ma la sua posizione e quella di Borelli si fecero sempre più delicate. Il secondo decise di lasciare Firenze nella primavera del 1667, e in dicembre, dopo l’elezione a papa di Giulio Rospigliosi, zio di Tommaso, anche Oliva partì per Roma. Qui, per qualche tempo esercitò il mestiere di medico; ma quando Tommaso Rospigliosi morì, fu accusato di averne provocato il decesso con l’uso dell’antimonio. Più fortunate furono le cure che somministrò a Clemente IX, che gli guadagnarono la fama di guaritore.
Nel 1669 il papa gli concesse un beneficio e il nuovo protettore, Lorenzo Onofrio Colonna, conestabile di Napoli, gli procurò le rendite di un’abbazia, servendosi di lui per un incarico delicato.
Maria Mancini, moglie di Colonna, aveva deciso di lasciare il tetto coniugale e la ‘fuga’ da Roma (1672) divenne un affare eclatante, con tanto di scritture piccanti. Insieme con il marchese di Borgomanero, Carlo Filiberto d’Este, Oliva raggiunse Torino, dove Maria si era messa sotto la protezione del duca di Savoia. Nell’ottobre 1673 la convinse a recarsi nelle Fiandre, dove fu messa sotto protezione e portata a Madrid. I Mémoires, le lettere e l’Apologie di Maria (1678) riportano informazioni su Oliva e il primo testo ne delinea un ritratto infamante (come tutti i calabresi – si legge – l’uomo sarebbe stato abile nei tranelli).
Tornato a Roma Oliva frequentò l’Accademia di Giovanni Ciampini, si legò a Innocenzo XI, divenne bussolante pontificio e fino alla morte del papa e di Colonna (1689), del quale amministrò il feudo di Marino, poté vivere da cortigiano senza alcun incidente.
Alla fine del 1689 le cose mutarono bruscamente. Il 30 dicembre, nella sede inquisitoriale di Milano, Francesco Picchitelli, detto Cecco Falegname, denunciò che a Roma, a palazzo Taverna, dimora del colto monsignor Pietro Gabrielli, avevano luogo da tempo gli incontri di una conventicola che prendeva il nome dei Bianchi «per haver dato di bianco alla fede» (cit. in Frajese, 2011, p. 99).
Ne facevano parte, tra gli altri, Filippo Alfonsi e Giuseppe Pignata (famigli del monsignore), Vitale Giordano, Pietro Antonio Capra, Pietro Pieroni, Simone de Silvis, medici e speziali, donne e frati, l’abate Paolo Boselli e il suo servitore Petruccio. Non si trattava di un gruppo di quietisti, come alcuni hanno inteso in passato, ma di una setta di miscredenti che da circa 18 anni si facevano beffe dei riti e delle devozioni e che furono accusati di stupro e pratiche sessuali disinvolte.
‘Ateisti’ e libertini, convinti che le religioni fossero imposture, che l’anima morisse con il corpo, che i racconti biblici (a partire dalla creazione) fossero favole, che l’aldilà non esistesse, i Bianchi – influenzati dalla tradizione ermetica e averroistica, dal cartesianesimo e dall’atomismo – avevano come loro guida Oliva, che aveva conosciuto Gabrielli tramite Giordano (alcune deposizioni conservate nell’Archivio della Congregazione per la dottrina della fede sono pubblicate in Frascarelli-Testa, 2004, pp. 171-183). Inoltre il medico Sulpizio Mazzuti era in contatto con l’archiatra pontificio Giovanni Maria Lancisi, che conosceva le idee di Oliva (il «profeta» di Mazzuti, Archivio della Congregazione per la dottrina della fede, Sanctum Officium, Stanza storica, UV 60, c. 149r) e fu anch’egli oggetto di indagini per ateismo.
Data la gravità del caso sin dal 25 gennaio 1690 la Congregazione del S. Uffizio prese in mano il processo e il 4 agosto ordinò l’arresto di Oliva. Carcerato in un primo tempo a Castel S. Angelo egli fu interrogato più volte fino a quando non decise (fu spinto?) a gettarsi disperato da una finestra, morendo poche ore dopo nel cortile delle prigioni del S. Uffizio.
Per Giovanni Maria Crescimbeni la morte avvenne il 14 aprile 1691, giorno di Pasqua, data confermata da una nota del S. Uffizio del 3 maggio (Archivio della Congregazione per la dottrina della fede, Sanctum Officium, Decreta 1691, c. 142v).
La notizia del suicidio si sparse presto (è riportata in due avvisi del 21 aprile 1691, Frascarelli-Testa, 2004, pp. 37 s. nota) e da Urbino Orazio Albani ne informava Francesco Bianchini: «La resolutione dell’Oliva di gettarsi dalla finestra mi fa credere che le cose di mons. Gabrielli comincino molto male» (23 aprile, Roma, Bibl. Vallicelliana, U.15, Carteggio di Monsignor Francesco Bianchini, cc. 134v-135r). Ma da Firenze non si registrarono commenti significativi. Qualche anno dopo il caso di Oliva incuriosì Gottfried Wilhelm vonLeibniz e il suo nome comparve nel diario-romanzo di Giuseppe Pignata (1725), che dopo la fine del processo riuscì a evadere, a rifugiarsi Oltralpe e a raccontare le sue Avventure. A suo parere era stato Oliva a compromettere i Bianchi con le sue opinioni contrarie alla fede cattolica. Due secoli più tardi Oliva fu compreso nella serie dei medaglioni degli allievi di Galileo scolpiti per la tribuna dedicata allo scienziato e inaugurata a Firenze nel 1841.
Fonti e Bibl.: Per gli anni fiorentini e l’attività di scienziato si rinvia a U. Baldini, Un libertino accademico del Cimento: A. O., suppl. di Annali dell’Istituto e Museo di storia della scienza, Firenze 1977, f. I. Per il processo inquisitoriale cfr. Città del Vaticano, Bibl. apostolica Vaticana, Urb. lat. 1654, Eresia insorta l’anno 1690..., cc. 54r-66v; Arch. della Congregazione per la Dottrina della Fede, Sanctum Officium, Decreta 1690, cc. 30v, 46r, 48v, 249v, 372v; 1691, cc. 142v, 382v, 393v; Stanza storica, UV 6, Processo contro la setta... de Bianchi, cc. 1r-234v; UV 60, Sommario del processo contro... Lancisi, 12 agosto-4 ottobre 1690, cc. 146r-160v; I 4-i, Setta dei Bianchi, carte Bottini, cc. n.n.; Les Mémoires de M.L.P.M.M. [Madame la Princesse Marie Mancini], Cologne 1676, pp. 157-161; G.M. Crescimbeni, L’Istoria della volgar poesia, Roma 1698, p. 259; G.B. Nelli, Saggio di storia letteraria fiorentina..., Lucca 1759, pp. 11-16, 114-118 ; A. Fabroni, Historiae Academiae Pisanae, III, Pisa 1795, pp. 613-617; F. Redi, Opere, Milano 1809-11, V, p. 55; VIII, pp. 59-82; D. Spanò, Storia di Reggio di Calabria, II, Napoli 1857, pp. 195-198; F. Massai, Sette lettere inedite di Lorenzo Magalotti al cav. Alessandro Segni, I, in Rivista delle Biblioteche e degli Archivi, XXVIII (1917), pp. 121-139 (in part. le pp. 125 s.); Le avventure di Giuseppe Pignata..., trad. O. Guerrini, con un saggio di A. d’Ancona, Palermo 1991, pp. 10, 161-165; M. Mancini, I dispiaceri del cardinale (Apologie), a cura di D. Galateria, Palermo 1991, pp. 99-107; E. Graziosi, Lettere da un matrimonio fallito: Maria Mancini al marito..., in Per lettera, a cura di G. Zarri, Roma 1999, pp. 535-584 (in part. le pp. 550, 562 s.); M.P. Donato, L’onere della prova. Il S. Uffizio, l’atomismo e i medici romani, in Nuncius, XVIII (2003), pp. 69-87; D. Frascarelli - L. Testa, La casa dell’eretico. Arte e cultura nella quadreria romana di Pietro Gabrielli..., Roma 2004, pp. 31-42, 171-183; W. Bernardi, Il paggio e l’anatomista..., Firenze 2008, pp. 125-142, 167; F. Favino, On the Cimento’s «Oak Academies»: an unknown contribution by A. O., in The Accademia del Cimento and its European context, a cura di M. Beretta - A. Clericuzio - L.M. Principe, Sagamore Beach 2009, pp. 91-109; C. Carella, L’aetas galileiana in Sapienza, in Galileo e l’acqua, a cura di L. Ubertini - P. Manciola - A. Pierleoni, Perugia 2010, pp. 47-81 (in part. le pp. 69-79); V. Frajese, Giovanni Maria Lancisi e i Bianchi..., in Per Adriano Prosperi, I, a cura di G. Dall’Olio - A. Malena - P. Scaramella, Pisa 2011, pp. 98-111.