PICCINNI, Antonio Nicola Donato
PICCINNI, Antonio Nicola Donato. – Discendente dalla famiglia del musicista barese Niccolò Piccinni, nacque a Trani il 14 maggio 1846 da Giacinto, droghiere, e da Adelaide Lopane (Bassi, 1978, p. 19). A causa di un’infezione tifoidea molto grave, Piccinni perse quasi del tutto l’udito nei primi anni di vita, menomazione che incise significativamente nello sviluppare sin dall’infanzia una capacità di osservazione precocemente espressa attraverso la forma grafica del disegno.
Ancora quattordicenne, nel 1860 si trasferì a Napoli, ospite dello zio Ettore, affinché potesse essere avviato all’arte: Bassi riporta che tale decisione fu sollecitata dal pittore e scenografo Biagio Molinaro, suo concittadino trasferito a Napoli. Questi, mentre era a Trani per dipingere il sipario del teatro Comunale, sollecitò i genitori di Piccinni a tale scelta, avendo notato le sue qualità di abile disegnatore. A Napoli Piccinni frequentò lo studio privato di Molinaro per tre anni, benché dal 20 giugno 1861 risultasse già iscritto ai corsi del Reale Istituto di belle arti (Lorenzetti, s.d. (1953), p. 201).
Nel 1864 Piccinni esordì con due pastelli all’Esposizione della Società promotrice di Napoli, il primo tratto dalla Danae di Tiziano, il secondo da un dipinto non identificato di Federico Maldarelli (Pastore, s.d. (1997), p. 20). Nello stesso anno concorse per il Pensionato della provincia di Bari e, nonostante un’iniziale esclusione per essere stato «giudicato facoltoso», dietro le insistenze di alcuni membri del Consiglio provinciale e degli stessi docenti dell’Istituto di belle arti di Napoli, nel gennaio 1865 riuscì a ottenere il sussidio necessario a proseguire i suoi studi (lettera del direttore del R. Istituto di belle arti in Napoli, 30 agosto 1864, Napoli, Archivio dell’Accademia di belle arti, 151: Pensionato di Bari. Qui Piccinni ebbe come maestri per il disegno e la pittura Domenico Morelli, Raffaele Postiglione, Gennaro Ruo e Giuseppe Mancinelli, dal cui dipinto San Carlo Borromeo somministra il sacro crisma ad un appestato trasse una pregevole copia in formato ridotto databile agli inizi degli anni Sessanta (Bari, Pinacoteca provinciale); mentre per l’incisione Francesco Pisante e Tommaso Aloysio Juvara (notevole è il ritratto inciso da Piccinni in una duplice versione del 1874; Messina, Museo regionale), rispettivamente direttori delle cattedre ‘d’intaglio in rame’ e ‘delle varie tecniche d’Incisione’ su acciaio e legno.
Sebbene volto alla pittura, il suo apprendistato accademico fu improntato anche al disegno e all’uso dell’acquaforte di traduzione, affiancati fuori dall’Accademia dall’esercizio dell’acquaforte d’invenzione, per la quale il giovane Piccinni seguì in privato le lezioni di Filippo Palizzi nel laboratorio del Museo d’arte industriale. L’abilità presto raggiunta nell’ambito grafico è testimoniata da Pisante che, in una lettera inviata al Consiglio provinciale della Terra di Bari, certificò nel 1868 la qualità dei lavori all’acquaforte eseguiti da Piccinni fino a quel momento e la scelta di tradurre all’acquaforte anziché a olio il disegno del dipinto di Micco Spadaro, La rivoluzione di Masaniello. Con l’incisione il giovane ottenne nel 1877 il diploma di merito all’Esposizione nazionale di belle arti di Napoli.
Nel 1870 Piccinni partecipò all’Esposizione di arti belle del Primo congresso artistico italiano di Parma con due disegni – La toeletta, dal dipinto di Federico Maldarelli (Bassi, 1978, tav. 4) e La partenza di Coriolano, dal dipinto di Raffaele Postiglione – e due acqueforti: il Ritratto del Senatore Tomasi non ancora identificato e L’orfana dell’Annunziata (Bassi, 1978, tav. 5). Quest’ultima fu ispirata dal romanzo Ginevra o l’orfanella della Nunziata dello scrittore e patriota napoletano Antonio Ranieri, intimo amico di Giacomo Leopardi, presso la cui casa il poeta trascorse gli ultimi anni fino alla morte. Oltre a due disegni a matita – Busto di Leopardi del 1873 (Bari, Pinacoteca provinciale), copia del busto marmoreo al Pincio di Ugolino Panichi realizzato l’anno precedente, e uno studio a mezzo busto di Leopardi morente (Bassi, 1978, tav. 96) – Piccinni mostrò un’attenzione peculiare al poeta e dedicò alla morte di Leopardi due dipinti di un certo rilievo, Leopardi morente, degli anni Sessanta (Bassi, 1978, tav. 107), e Le ultime ore di Leopardi, del 1919 (Bari, Pinacoteca provinciale), che si pongono anche stilisticamente in apertura e chiusura della sua attività artistica.
In seguito al successo ottenuto al concorso di pittura figurativa per il Pensionato nazionale di belle arti con sede a Roma, tra la fine del 1872 e l’inizio del 1873 Piccinni si trasferì nella capitale (in via Sistina 121), dove frequentò per tre anni il corso di perfezionamento all’Accademia. Tuttavia non interruppe i rapporti di amicizia con l’ambiente artistico napoletano, mantenendo la collaborazione con la Promotrice partenopea (dal 1864 al 1906).
Oltre alla presentazione di sue opere, per la Società eseguì numerose traduzioni incise dei quadri premiati (1874: Thalita Cumi - Gesù resuscita la figlia di Jairo, di Morelli, rieditata nel 1878 con il mercante ed editore parigino Adolphe Goupil; 1875: Clemente VII, di Gioacchino Toma; 1877: Schiavo e padrone, di Gaetano De Martino; 1878: la versione all’acquaforte di un suo stesso dipinto, L’Avaro, premiato dalla Promotrice e presentato all’Esposizione universale di Parigi di quell’anno; 1879: Orazio in Villa, di Camillo Miola; 1880: Salve Regina, di Morelli; 1885-86: Il Cantastorie del molo, di Vincenzo Montefusco). In queste opere Piccinni muove dalla riproduzione del dipinto nei suoi tratti essenziali (avvalendosi più tardi anche della fotografia nel riporto dell’immagine sulla lastra), per approdare a un’interpretazione di personalissima sensibilità ottenuta grazie all’uso della cosiddetta acquaforte a tratto libero.
Nel contesto dei lavori di riproduzione si inserisce il rapporto di collaborazione con la Regia calcografia romana iniziato nel 1877 e portato avanti, con alterne vicende, sino all’anno della sua morte. Il legame con il suo maestro Juvara (divenuto direttore nel 1871) e con alcuni dei suoi compagni della ‘scuola napoletana d’incisione’ portata a Roma dal maestro, come Francesco di Bartolo e Saro Cucinotta, favorì Piccinni nell’ottenere il suo primo incarico per la copia in disegno della Madonna delle Arpie di Andrea del Sarto (Roma, Istituto nazionale per la grafica) intagliato da Di Bartolo. Fecero seguito altri sei disegni preparatori tratti dai capolavori di Raffaello (La cacciata di Eliodoro, 1879; La Trasfigurazione, 1880) e del Michelangelo della Cappella Sistina (le sibille Libica e Delfica, 1885; i profeti Geremia, Giona e Zaccaria, 1886-88).
Fu soprattutto nelle acqueforti originali che Piccinni espresse le sue migliori capacità anche nell’invenzione del soggetto rendendosi acuto interprete della realtà. Sua principale fonte d’ispirazione è la figura umana, colta nel proprio contesto ambientale per lo più popolare, della strada, della chiesa, della scuola, del teatro o del porto, e analizzata nel profondo dei sentimenti dell’animo rivelati dalla mimica dei volti e degli sguardi.
Sin dalla prima giovinezza Piccinni produsse una serie innumerevole di disegni e schizzi tratti dal vero quasi sempre meticolosamente datati (diversi fogli sono conservati alla Pinacoteca provinciale di Bari). Dal vasto repertorio Piccinni trasse varie serie di incisioni, la più fortunata delle quali è quella dei ‘ricordi romani’, prime acqueforti d’invenzione realizzate già dal suo arrivo a Roma.
Nel 1878, anno dell’apice del successo, Piccinni fu nominato professore onorario all’Accademia di Napoli e approdò sul suolo parigino (ma non si possiede alcun documento che attesta un suo viaggio oltralpe) sia come pittore, presentando all’Esposizione universale L’avaro (Bari, Pinacoteca provinciale), sia come incisore, pubblicando presso l’editore parigino Alfred Cadart una cartella di dodici fogli dal titolo Souvenirs de Rome introdotta da un’encomiastica prefazione dello scrittore e giornalista Jules Claretie, a quel tempo grande amico e assiduo frequentatore del salotto di Giuseppe De Nittis. Non sono ancora chiare le circostanze nelle quali Piccinni entrò in contatto con Cadart, ma è più probabile che furono il pittore barlettano suo corregionale e Giuseppe Palizzi a giocare un ruolo fondamentale nell’instaurare con l’editore parigino un rapporto privilegiato (Dinoia, 2005, p. 25) anziché Goupil, la cui fugace conoscenza fu occasionata quattro anni prima dal passaggio nel suo studio a Roma per visionare il dipinto Thalita Cumi di Morelli, lì presente per la traduzione incisa che stava compiendo (Scaloni, in Antonio Piccinni incisore, 2005, p. 21). Con la maison Cadart Piccinni pubblicò anche altre lastre: Un Ricordo della via Appia (Souvenir de Rome), Pendant l’office à Rome (Salon de 1879) e Un Amphithéâtre à Rome, 1878, edite rispettivamente negli album de L’Eau-Forte del 1879 e del 1880 e de L’Illustration nouvelle del 1879.
Il 27 giugno 1879 Piccinni propose alla Regia calcografia l’acquisto del disegno e l’affidamento d’incarico per l’incisione del ritratto del re Umberto I, ma l’istituto, mediante delibera del ministero della Pubblica istruzione, gli contropropose la realizzazione di tutta la serie dei ritratti a stampa dei re d’Italia iniziando dal disegno e incisione di Vittorio Emanuele II, che Piccinni eseguì all’acquaforte e bulino su base fotoincisa nel 1886 (Scaloni, in Antonio Piccinni incisore, 2005, cat. 6.1). Per questa Piccinni ebbe in dono da casa Savoia una spilla in oro e pietre preziose conservata in un inedito fondo documentario dell’artista, recentemente donato da Emilia di Renzo alla Pinacoteca Ivo Scaringi di Trani.
Dal 1886 Piccinni iniziò la sperimentazione di tecniche a stampa fotomeccanica, come l’heliogravure (Ritratto del Re Umberto I; Scaloni, in Antonio Piccinni incisore, 2005, cat. 6.2) e il riporto del disegno sulla lastra attraverso l’uso di repliche galvaniche di matrici fotoincise, alcune delle quali rinvenute nei depositi della Calcografia di Roma. Tale uso s’intensificò sotto la direzione di Alberto Maso Gilli, che lo volle come consulente esperto per l’allestimento del laboratorio di fotoincisione in calcografia (Scaloni, in Antonio Piccinni incisore, 2005, pp. 18 s.).
Nell’aprile del 1889 fu proprio l’abilità acquisita nell’uso dei procedimenti fotomeccanici che spinse l’ammiraglio Magnaghi, direttore dell’Ufficio idrografico della Marina con sede a Genova, ad affidare a Piccinni l’incarico di disegnare dal vero i rilievi delle coste italiane e nordafricane per uso cartografico. I due si erano conosciuti durante un viaggio a bordo del Washington già prima del maggio 1888. La garanzia di uno stipendio mensile fisso di 375 lire e altre indennità spinsero Piccinni a firmare la convenzione con la qualifica di disegnatore capo tecnico rinnovabile annualmente. Le campagne idrografiche furono condotte a bordo del Washington (dal 1890 al 1894) e dell’Eridania (1895) e toccarono le coste di Campania, Sicilia e Sardegna, oltre che del Mar Rosso (di questo viaggio non sono stati rintracciati disegni, ma solo fotografie scattate da Piccinni a Dogali e Massaua; Bassi, 1978, pp. 71 s.). Accanto ai rilievi tecnici, Piccinni non mancò di eseguire disegni dal vero di soggetti ricorrenti, alcuni dei quali incisi, come paesaggi costieri e marinai, presentati assieme a dipinti e acquerelli di soggetti di genere alle esposizioni nazionali e internazionali (Monaco, Berlino, Leningrado, Parigi, Londra e persino Rio de Janeiro, dove nel 1896 vinse la medaglia di prima classe con una raccolta di acqueforti all’Esposizione generale; Pastore, s.d. (1997), pp. 20 s.).
Nel maggio 1905, in seguito alla morte dell’ammiraglio Magnaghi, Piccinni fu esonerato dall’incarico per poi essere riassunto il 28 giugno 1809 in qualità di artiere disegnatore con l’obbligo di trasferimento a Genova fino al 1917, anno in cui fu collocato a riposo d’ufficio per anzianità di servizio e infermità. Deluso e amareggiato dal misero trattamento economico riservatogli dal ministero della Marina, Piccinni trascorse gli ultimi anni a Roma in ristrettezze economiche, anche se ciò non gli impedì di partecipare alle esposizioni romane e partenopee.
Il 26 gennaio 1920 morì nella sua abitazione romana.
Tutte le sue opere presenti nello studio furono portate a Trani e vendute. Il 5 febbraio 1922, per iniziativa dei suoi corregionali il pittore Giuseppe Pastina e l’avvocato Andrea Malcagni, gli fu dedicata una mostra retrospettiva nella Galleria Giosi con 155 opere tra tele, acquerelli, disegni e incisioni, tutte di proprietà di Michele Chieco di Napoli (Bassi, 1978, pp. 94-96).
Fonti e Bibl.: Catalogo delle opere esposte nella mostra italiana d’arti belle in Parma, Parma 1870, pp. 24 s., nn. 499, 500, 512, 513; A.M. Comanducci, P. A., in I pittori italiani dell’Ottocento: dizionario critico e documentario, Milano 1945, pp. 603 s.; C. Lorenzetti, L’Accademia di Belle Arti di Napoli (1752-1952), Firenze s.d. (1953); G. Bassi, A. P. incisore, Fasano di Puglia 1978; L.R. Pastore, A. P. (Trani 1846 - Roma 1920). Proposte di rilettura di una singolare vicenda artistica, Trani s.d. (1997); R. Dinoia, Tra invenzione e traduzione: ancora qualche riflessione su A. P. acquafortista (1846-1920), in Prospettiva, 2004, n. 115-116, pp. 184-192, in partic. p. 185; Ead., A. P. (1846-1920): eaux-fortes chez Cadart, in Nouvelles de l’Estampe, 2005, n. 199, pp. 23-39; A. P. incisore. Catalogo ragionato dell’opera grafica. Catalogo della mostra, a cura di F. Fiorani, testi e catalogo di G. Scaloni, Roma 2005; La Pinacoteca Provinciale di Bari, II, Opere dell’Ottocento e della prima metà del Novecento, coordinamento tecnico-scientifico di C. Farese Sperken, Roma 2005, pp. 67-156, catt. 65-157.