NIBBY, Antonio
− Nacque a Roma il 14 aprile 1792, da Vincenzo Nibbi (questa la forma regolare del cognome, ancora oggi attestata; solo Antonio si firmava con la y finale), di origine abruzzese, di professione salumiere con bottega in via di Pescaria 4 (oggi via del Portico d’Ottavia 7), e da Maddalena Gianni, romana, di famiglia di origine lombarda.
Gaspare Nibbi, nonno di Antonio, nativo di San Giorgio (frazione di Amatrice, all’epoca nel Regno di Napoli), dimorava a Roma già nella seconda metà del ’700, nella scomparsa piazza Montanara, dove possedeva una bottega di salumiere. Destituita di qualsiasi fondamento, alla luce di recenti ricerche, l’origine della famiglia da Illica (frazione di Accumoli, Rieti), riferita nel 1843 da Agostino Cappello.
Dopo le scuole primarie, seguì (1803-07) gli insegnamenti di grammatica, ‘belle lettere’, retorica latina e lingua greca al Collegio Romano. Negli anni seguenti compì gli studi di filosofia e teologia, mentre dal 1810 frequentò i corsi di Lorenzo Re, professore di archeologia nell’Archiginnasio romano (di cui fu supplente nel 1812), ma senza conseguire alcuna laurea, come si evince dai titoli presentati al concorso alla cattedra di archeologia del 1820.
Ai fini della sua formazione e impostazione culturale fu importante la presenza francese a Roma (maggio 1809-maggio 1814), durante la quale fu testimone della vivace stagione di sistemazioni urbanistiche e scavi archeologici promossi dal governo e strinse relazioni personali e rapporti di amicizia con personaggi politici e della cultura d’Oltralpe. Fra questi vi fu Albino Millin, direttore del Cabinet des médailles, des antiques et des pierres gravées della Biblioteca Nazionale di Parigi, che Nibby seguì come segretario nel suo viaggio a Napoli (marzo-aprile 1812), annotando le proprie considerazioni e impressioni in un succinto diario (Roma, Biblioteca Angelica, ms. 2324, cc. 79-86).
Il 28 dicembre 1809, con alcuni compagni di scuola, e forse dietro esortazione di Re, fondò l’Accademia Ellenica per promuovere gli studi sulla lingua e letteratura greca, compilandone lo statuto. Inizialmente connotata da un indirizzo prevalentemente erudito, l’accademia – facendone parte personaggi legati al mondo culturale e amministrativo francese – presto divenne strumento di controllo della cultura da parte dell’Impero.
A causa di ciò, nell’adunanza del 9 aprile 1813 si verificarono forti dissidi tra i soci e, vista l’impossibilità di giungere a un accordo, 26 di loro (tra cui Antonio Coppi, il tipografo Filippo De Romanis e Giuseppe Gioacchino Belli, che ne faceva parte dal 1811) se ne distaccarono, fondando il medesimo giorno una nuova accademia, denominata Tiberina, che già nel nome mostrava di volersi ricollegare, in netta contrapposizione con l’Ellenica, alla tradizione culturale romana. Dopo il distacco, l’Ellenica fu riformata (25-26 aprile 1813), acquisendo la denominazione di Accademia Ellenica di Scienze e Belle Lettere, con la redazione di un nuovo statuto, per il quale fu suddivisa in diverse classi (Re era il presidente e Nibby segretario di quella di Storia e Antiquaria), accogliendo altri membri, divenuti rapidamente più di cento (Leggi ed elenco dell’Accademia Ellenica, Roma 1813).
L’11 gennaio 1813 fu nominato scrittore soprannumerario di lingua greca nella Biblioteca Vaticana; il 1° maggio 1813 subentrò come scrittore latino in luogo di Mauro Coster, ormai inabile (morì nel 1814), ma il 30 dicembre passò nuovamente alla lingua greca in luogo di Girolamo Amati, nominato conservatore della Biblioteca. Ristabilito il governo pontificio (24 maggio 1814), fu obbligato a dimettersi e al suo posto fu nominato scrittore di lingua greca Leonardo Adami. Analogamente, mentre all’Accademia Tiberina fu concesso di proseguire le adunanze, l’Ellenica fu soppressa, perché ritenuta troppo compromessa con il passato governo.
Nibby, costretto a cercare nuove occupazioni, fu dapprima al servizio, in qualità di segretario, di Luigi Bonaparte, fratello di Napoleone ed ex re di Olanda, stabilitosi a Roma nel settembre 1814. Entrò poi (luglio 1815) come minutante nella segreteria della Congregazione economica, di cui era segretario mons. Nicola Maria Nicolai, il quale si avvalse della sua collaborazione per la trascrizione delle epigrafi greche e romane conservate nella basilica di S. Paolo fuori le mura, da inserire nell’opera Della Basilica di S. Paolo [...] con piante e disegni incisi, Roma 1815.
Il 2 dicembre 1815 sposò nella chiesa di S. Lorenzo in Lucina Maria Valburga Viviani (n. 1797) – figlia di Giovanni Viviani, originario di Lucca, e della romana Virginia Petrelli – dalla quale ebbe undici figli, di cui sette sopravvissuti.
Il 1° agosto 1816 divenne membro dell’Accademia Romana di Archeologia – circostanza che gli consentì di entrare in contatto con molti studiosi di archeologia e antiquaria – negli Atti della quale pubblicò cinque Dissertazioni e di cui dal 1826 rivestì la carica di censore.
Dal 1817, definitisi i suoi ambiti di ricerca e ormai inserito nella vita culturale romana, iniziò la sua fitta e ininterrotta produzione letteraria. A parte la traduzione della Descrizionedella Grecia di Pausania (1817-18) – che ebbe diversi consensi e lo pose all’attenzione del mondo culturale italiano e straniero, ma non gli risparmiò le severe critiche di Giacomo Leopardi in merito alle sue capacità di tradurre il greco – i suoi due principali filoni di ricerca furono da una parte l’archeologia e la topografia, discipline per le quali pose solidi fondamenti scientifici, coniugando il rigoroso esame delle fonti classiche e medievali con lo studio dei monumenti e l’attenta indagine sul terreno, dall’altra, l’attività ‘divulgativa’ sotto forma di guide e ‘viaggi antiquari’.
Dopo la quarta edizione della Roma antica di Famiano Nardini arricchita di note ed osservazioni critico-antiquarie (1818-20) e la Raccolta de’ monumenti più celebri di Roma antica (1818), con testo in italiano e francese, pubblicò l’Itinerario istruttivo di Roma antica e moderna [...] e delle sue vicinanze del cavaliere M. Vasi antiquario romano, riveduta, corretta ed accresciuta da A. Nibby (1818), con illustrazioni di Luigi Canina, trasferitosi proprio quell’anno da Torino a Roma. L’Itinerario ebbe molto successo e, defunto Vasi (1820), Nibby lo rielaborò totalmente, al punto che «se voglia eccettuarsi la divisione e il metodo, quella poté dirsi opera nuova». A questa nuova edizione del 1824 ne seguirono numerose altre con continui aggiornamenti, sino all’undicesima del 1894.
La versione francese, anch’essa edita più volte, fu molto apprezzata da Stendhal e da tutti coloro che venivano a Roma nel corso del grand tour.
Nel 1818-19 uscì il Viaggio antiquario ne’ contorni di Roma in due volumi, primo di una lunga serie di scritti dedicati alla Campagna romana, col dichiarato scopo di «servire di guida a coloro che bramano rintracciare i luoghi celebri, che sono intorno a Roma», descritti secondo i principali assi viari che si dipartono dalla città.
Numerosi altri ‘viaggi’ andarono in stampa negli anni seguenti (sulla via Portuense, su Villa Adriana, sulla villa di Orazio e su Subiaco nel 1827; su Ostia nel 1829).
Nel dicembre 1820 vinse con regolare concorso la cattedra di archeologia nell’Archiginnasio romano, resasi vacante per morte di Re, che tenne sino alla morte. Organizzò la didattica in corsi monografici su vari temi, integrando – come già il suo predecessore – quelle in classe con un certo numero di lezioni ‘locali’ effettuate sul campo (monumenti, siti archeologici, musei, basiliche cristiane), in stretta attinenza con gli argomenti trattati nel corso. Scrisse anche un testo universitario a uso degli studenti (Elementi di archeologia ad uso dell’Archiginnasio romano, Roma 1828), che seppur largamente incompleto, fornisce un’immagine chiara del suo metodo d’insegnamento: scolastico e conciso, ma rigoroso, sistematico e ricco di dati.
Nel 1822 fu richiamato quale scrittore di lingua greca alla Vaticana in luogo di Adami, pensionato, venendo ufficialmente nominato il 16 marzo 1825. Il 6 aprile del medesimo anno fu ammesso a far parte della Commissione generale consultiva di antichità e belle arti presso il Camerlengato, un incarico importante, in seno a una magistratura cui era demandata la tutela del patrimonio artistico e archeologico, che lo impegnò con continui sopralluoghi in città e fuori a sorvegliare gli scavi, ispezionare danni arrecati a monumenti, esprimere pareri sugli interventi, riferire circa fortuiti ritrovamenti di antichità.
Nel settembre 1825 divenne membro del Collegio filologico, eretto quello stesso anno in seno alla facoltà di lettere. In quegli stessi anni fu anche il fondatore, insieme con altri eruditi e letterati, di alcune importanti riviste letterarie quali il Giornale Arcadico di scienze, lettere ed arti (inizi del 1819) e poi, distaccatosene quasi subito per diversità di orientamenti culturali, le Effemeridi letterarie di Roma (1821-23).
Da novembre 1827 sino ad agosto 1832, insieme con Giuseppe Valadier (cui spettò la redazione tecnica del piano generale), diresse i lavori di scavo della valle del Colosseo e di parte del Foro Romano, che portarono alla luce l’originaria pavimentazione della piazza tra il Colosseo, gli archi di Costantino e Tito (con l’isolamento delle basi della Meta Sudante e del colosso di Nerone) e il tempio di Venere e Roma con le due gradinate laterali e i lati lunghi. Gli scavi proseguirono poi verso il Foro Romano, passando per la basilica di Massenzio, dove, a partire dalla zona dei templi della Concordia e di ‘Giove Tonante’ (erronea attribuzione del tempio di Vespasiano), furono dissotterrate tutta la pendice del Campidoglio e la sostruzione del Tabularium; e furono ampliati gli scavi effettuati una ventina di anni prima da Carlo Fea intorno all’Arco di Settimio Severo, presso la colonna di Foca e la Via Sacra, estendendoli al tempio dei Dioscuri, di cui fu isolato il podio, e alla Fonte di Giuturna.
A Nibby si devono anche alcune importanti identificazioni, rimaste definitive: la basilica di Massenzio, poi di Costantino, precedentemente ritenuta essere il Templum Pacis fatto erigere da Vespasiano (1818); la statua del cosiddetto Gladiatore morente, riconosciuta invece in un Galata morente, copia di una delle statue facenti parte del monumento eretto da Attalo I di Pergamo per commemorare la sua vittoria contro i Galli (1821); l’attribuzione a Massenzio del circo precedentemente ritenuto di Caracalla (1825) e ai fratelli Quinitili dei resti della grandiosa villa sulla sinistra del V miglio dell’Appia antica (1828-29), entrambi nella tenuta di Roma Vecchia, di proprietà del duca Giovanni Torlonia, per il quale Nibby effettuò scavi sistematici.
Una delle opere di più impegnative di quegli anni, preparata dalle minuziose ricognizioni topografiche e archeologiche nella Campagna romana annotate nei suoi Taccuini e dai ‘viaggi antiquari’ pubblicati sino a quel momento, è la Carta de’ dintorni di Roma secondo le osservazioni di Sir William Gell e del Prof. A. Nibby, incisa da Filippo Troiani e data alla luce nel 1827 con lo scopo – che Nibby non perdeva mai di vista – «di offrire una guida sicura a coloro, che essendo amanti delle memorie antiche vanno in traccia delle vestigie sparse nel circondario di Roma». La preparazione della carta costò ai due autori cinque anni di intenso lavoro, di cui la parte più impegnativa, con continui sopralluoghi nelle impervie zone montane, nelle selve dei Colli Albani, nella spiaggia da Ostia a Nettuno, fu eseguita esclusivamente da Nibby, in quanto Gell era in precarie condizioni di salute. A questi spettarono la triangolazione – applicata per la prima volta in una carta archeologica del Lazio – per posizionare correttamente le varie emergenze orografiche, i centri abitati e i monumenti da inserire nella Carta, e la realizzazione grafica della stessa, di cui disegnò a mano la bozza.
A partire dal 1837 Nibby dava alle stampe le sue due ultime fatiche, le più importanti e che costituiscono la summa delle ventennali ricerche nelle fonti classiche e medievali, edite e inedite (quest’ultime rintracciate negli archivi dei grandi enti religiosi e famiglie romane), e delle sistematiche indagini archeologiche e topografiche della Campagna romana. La prima, l’Analisi storico-topografico-antiquaria della carta de’ dintorni di Roma (1837), a commento della Carta pubblicata nel 1827 (allegata nel primo volume), è opera di grande importanza per la storia e la topografia dei luoghi della Campagna romana, descritti in stretto ordine alfabetico, e nonostante alcune imprecisioni rimane ancora oggi uno dei testi di riferimento per gli studiosi del settore. La seconda, Roma nell’anno 1838, in quattro volumi (1838-41) – i primi due dedicati allo studio topografico e archeologico della Roma antica, gli altri a quella moderna – nelle linee generali, pur con i successivi progressi e scoperte archeologiche, può ritenersi quanto di meglio sia stato scritto su Roma nella prima metà del XIX secolo.
Oltre che dell’Accademia romana di archeologia, fu socio, effettivo, corrispondente e onorario di numerose istituzioni italiane ed europee: fu accolto nell’Arcadia col nome di Cleomante Samio (1819), membro dell’Accademia Reale Ercolanese (1820) e dell’Accademia delle Scienze di Monaco (1822), accademico di onore nell’Accademia di S. Luca (1823), corrispondente dell’Istituto reale di Francia (1827), uno dei primi ad aderire (gennaio 1829) all’Istituto di corrispondenza archeologica (facendo parte della direzione del Bullettino sin dal primo numero, incarico che lasciò l’anno seguente a causa dei troppi impegni, mantenendo quello di revisore filologico), socio corrispondente dell’Accademia di Belle Arti di Firenze (1833), professore di archeologia nella reale Accademia di Francia in Roma (1836), corrispondente dell’Accademia reale delle Scienze di Torino (1838-39), socio onorario della Congregazione dei Virtuosi al Pantheon.
Morì, probabilmente a causa di una polmonite o febbri malariche contratte nel corso delle sue esplorazioni nella Campagna romana, il 29 dicembre 1839 a Roma, nella sua casa di via di Ripetta 210, dove viveva sin dal 1824.
Lasciò in precarie condizioni economiche (assillo pressante e costante per tutta la sua vita) la numerosa famiglia, cui vennero in aiuto, anche per le spese del funerale, il governo, il principe Marcantonio Borghese e la moglie Guendalina Talbot, l’Accademia di archeologia e l’Istituto di corrispondenza archeologica, che aprì una sottoscrizione pubblica, e molti esponenti italiani e stranieri del mondo culturale romano. Fu sepolto nel cimitero del Verano, nella piccola cappella del Suffragio.
Nel 1840 fu venduta all’asta la sua «scelta libreria» (Diario di Roma, 21 aprile 1840).
Fonti e Bibl.: Manoscritti di Nibby si conservano a Roma, Biblioteca dell’Istituto di Archeologia e Storia dell’Arte, Lanciani 63, ff. 1-27, 34-64;, Biblioteca Angelica, ms. 2324; la British School at Rome possiede una decina di manoscritti, tra cui tre Taccuini contenenti i resoconti delle ricognizioni topografiche condotte nella Campagna romana tra il 1822 e il 1828. S. Campanari, Biografia del professor A. N., in Album. Giornale letterario e di Belle Arti, VI (1840), 49, pp. 385-387; A. Cappello, A. N., in Giornale Arcadico di Scienze, Lettere ed Arti, XCVIII (1843), pp. 338-341; A. Coppi, Memoria sulla fondazione e sullo stato attuale dell’Accademia Tiberina, Roma 1840, pp. 3-5, 11-12; P.E. Visconti, Necrologiodi A. N., in Dissertazioni della Pontificia Accademia Romana di Archeologia, XI (1852), pp. V s.; A.T.F. Michaelis, Storia dell’Instituto Archeologico Germanico (1829-1879), Roma 1879, pp. 7, 22-25; Id., Un secolo di scoperte archeologiche, trad. it., Bari 1912, p. 348; M. Maylander, Storia delle Accademie italiane, II, Bologna 1930, pp. 272 s.; A.M. Colini, Basilica di Massenzio o basilica di Costantino?, in L’Urbe, II (1937), 6, pp. 5-7; L. Huetter, A. N. e la “Roma del 1838”, in L’Osservatore Romano, 5 luglio 1938; G.Q. Giglioli, Un grande archeologo romano: A. N., in Scienza e Tecnica, IV (1940), 12, pp. 597-604; G. Lugli, N., A., in Enciclopedia Italiana di Scienze, Lettere ed Arti, XXXIV, Roma 1949, p. 747; A. Muñoz, Roma nel primo Ottocento, Roma 1961, pp. 173 s., 232; P. Pelagatti, N., A., in Enciclopedia dell’Arte Antica, V, Roma 1963, p. 447; R. Peliti, Breve biografia di A. N., Roma 1966 (con elenco degli scritti); G. Orioli, Belli, Giuseppe Gioacchino, in Dizionario biografico degli italiani, VII, Roma 1970, pp. 661 s.; A.M. Colini, La tomba di A. N. al Verano, in Strenna dei Romanisti, XXXII, Roma 1971, pp. 110-113; A.P. Frutaz, Le carte del Lazio, I, Roma 1972, pp. 117-121; J. Bignami Odier, La Bibliothèque Vaticane de Sixte IV à Pie XI. Recherches sur l’Histoire des collections de manuscrits, in Studi e Testi, 272, Città del Vaticano 1973, pp. 125, 187, 188, 208, 213, 225, 311; M.I. Palazzolo, Arcadi e stampatori. I De Romanis nella Roma dei papi, in Tre secoli di storia dell’Arcadia, Roma 1991, pp. 62-66, 71; F. Brioschi - P. Landi, G. Leopardi. Epistolario, I, Torino 1998, pp. 497 s., 541-550, 767-770, 780-782, 877; M.A. De Angelis, Un documento di A. N. sulla schedatura dei beni culturali, in Bollettino dei Monumenti, Musei e Gallerie pontificie, XVIII (1998), pp. 95-103; E. Mattioda, Lo studio dell’antichità classica: Angelo Mai e A. N., in Storia della letteratura italiana, a cura di E. Malato, VII, Roma 1998, pp. 365-367; F. Coarelli, Belli e l’antico (con 50 sonetti di Giuseppe Gioacchino Belli), Roma 2000, pp. 33-36; M.P. Donato, Accademie romane. Una storia sociale, Napoli 2000, pp. 213 s., 220; L. Capo - M.R. Di Simone, Storia della Facoltà di Lettere e Filosofia de “La Sapienza”, Roma 2000, pp. 389-391; R.T. Ridley, The Pope’s archaeologist. The life and times of Carlo Fea, Roma 2000, ad ind.; M.T. Schettino, Le charme des ruines et le voyage archéologique dans le Latium entre XVIIIe et XIXe siècles: A. N., in Anabases, V (2007), pp. 77-99; A. Ruggeri, Le origini “amatriciane” di A. N., in Fidelis Amatrix, VII , 36 (2009), pp. 13-17; 38 (2010), pp. 8-14; M. Valenti, I Colli Albani nell’Ottocento. Dal vedutismo ai progetti di carta archeologica, in Colli Albani. Protagonisti e luoghi della ricerca archeologica nell’Ottocento (catalogo della mostra), Frascati 2011, pp. 45-54; Id., A. N., ibid., pp. 61-63.