NERLI, Antonio
NERLI, Antonio. – Nacque probabilmente a Mantova nella seconda metà del Trecento da una famiglia toscana esiliata.
I Nerli, fiorentini d’origine, si erano trasferiti a Siena, da dove secondo gli eruditi mantovani sarebbero giunti a Mantova ai tempi di Guido nel 1354.
La prima menzione di Nerli risale con ogni probabilità al 1381 e si trova nel nutrito dossier documentario prodotto in occasione delle nozze di Francesco di Ludovico Gonzaga, IV capitano della città, con Agnese Visconti. Fra le decine di cittadini eminenti, aristocratici, officiali e membri della corte gonzaghesca mobilitate nella complessa organizzazione del fastoso ingresso in città della sposa milanese, nelle nozze e nella successiva celebrazione degli sponsali nei palazzi gonzagheschi, compare un Antonio de Nerlis che già Piero Torelli (1911) identificò nel nostro. Insieme ad Antonio, in altri punti della documentazione, e con altri compiti, vengono citati un dominus Nerlus e i due fratelli Giovanni e Matteo, evidentemente uomini fatti, con mogli e figlie a loro volta citate fra le dame che dovevano attorniare la sposa. Il solo Antonio non pare avere famiglia, né obblighi analoghi. Carlo D’Arco, nelle sue Annotazioni genealogiche di famiglie mantovane, reputa che Antonio fosse figlio di Biancozzo di Guido e nipote di un altro Antonio, filiazione di fatto accettata da Torelli, che giustamente sottolinea come l’Antonio menzionato a proposito delle nozze gonzaghesche è senz’altro giovane, dato il ruolo e la posizione che riveste nella cerimonia. Indicazioni contrarie a questa ricostruzione genealogica provengono da un minor gruppo di documenti, prodotto in occasione del passaggio per Mantova di Valentina Visconti nel 1378, dove fra i giovani incaricati di prendere parte ai festeggiamenti sono citati Antonio e Coppo de Nerli, figli di Matteo. Se Antonio è – come parrebbe – effettivamente il futuro abate e cronista, il padre era un Matteo di cui D’Arco non reca traccia, forse quello stesso Matteo fratello di Giovanni che compare, maturo, nel dossier del 1381, e che potrebbe essere, lui sì, figlio di Biancozzo. Del resto, lo stesso D’Arco dovette nutrire qualche dubbio sulla filiazione di Antonio, se nel manoscritto dedicato agli scrittori mantovani, di redazione più tarda delle Genealogie, tracciò un rigo sopra la dicitura «Antonio filius quondam Blancotio». In ogni modo, il ritratto che dell’abate e cronista mantovano dà il redattore delle ultime note del Breve chronicon monasterii mantuani sancti Andree restituisce l’immagine di un uomo di piacevole aspetto e grande cultura («et hic formosus atque pulcherrimi aspectus, et multe eloquentie et poeta preclarus»), tale da ritenere non azzardata l’ipotesi di Torelli che il cronista abbia vissuto, in gioventù, «altra vita che non fosse quella dell’austero prelato».
Le notizie sicure riguardanti Nerli si moltiplicano a partire dalla fine degli anni Ottanta del Trecento: sappiamo infatti che in questo torno d’anni divenne arciprete della cattedrale di Mantova e si recò a Lucca tra il 1386 e il 1387, allorché papa Urbano VI si fermò nella città toscana sulla via da Genova a Roma. Nel 1392, in un quaterno di spese dell’oratore mantovano in curia di Roma, Giovanni della Capra, è menzionata la spesa di 493 ducati d’oro corrisposti a Nerli per il suo soggiorno a Lucca, quando Urbano era in città, al fine di risolvere di fronte al pontefice una questione non meglio specificata con un arcidiacono di Volterra. Il contenzioso avrebbe avuto un precedente, sfociato nell’arresto comminato a Nerli in occasione di una sua non meglio precisata ambasceria a Roma per conto del Gonzaga. Quel che è certo a questa data è che Nerli era ormai un ecclesiastico di una certa reputazione, e che – probabilmente grazie alle sue risorse retoriche e culturali, e alle sue capacità politiche – iniziò a essere utilizzato da Francesco Gonzaga in modo regolare come ambasciatore in Curia. Lo ritroviamo con certezza in questo ruolo a due riprese nel 1392, nel gennaio e tra settembre e ottobre, per perorare la possibile elezione del vescovo di Mantova, Antonio degli Uberti, alla porpora cardinalizia, nonché per curare gli interessi del suo signore in materia di istituzioni ecclesiastiche. Le lettere rimaste di Nerli, di mano propria e assai dettagliate, mostrano un uomo di buone capacità negoziali e sicura autorevolezza.
Il risultato personale più eclatante dell’attività diplomatica romana di Nerli fu la nomina ad abate del prestigioso monastero benedettino mantovano di S. Andrea, di fondazione canossiana, nel novembre 1393. Da quel momento iniziò per lui un periodo di grande fervore spirituale e politico: infatti fra il 1393 e il 1410 fu uno dei protagonisti della vita pubblica mantovana, sia nelle vesti di abate, sia in quelle di membro dell’élite politica gonzaghesca.
Come abate, si sa dal continuatore del Breve chronicon che intervenne sulla facciata della chiesa di S. Andrea, anche se non restano tracce del rifacimento da lui proposto a causa del massiccio intervento di quache decennio dopo; promosse anche la riqualificazione della piazzetta di fronte al monastero, fra la facciata della chiesa e la torre del sale. Le tracce più numerose della sua attività vengono però dai documenti gonzagheschi: la sua sottoscrizione («Ant. Abb.») appare in calce a numerosi decreti e il suo nome compare nei registri e inventari di gioielli e beni preziosi dei signori di Mantova. Quest’ultima funzione non inerisce soltanto all’inventariazione e alla custodia dei preziosi, ma al loro uso negli scambi finanziari sia interni alla corte e alla signoria gonzaghesca sia esterni (in particolare sulla piazza veneziana): si tratta dunque di un ruolo delicato e di fiducia.
A partire dal 1404 entrò a fare parte del Consiglio di Francesco Gonzaga. In qualità di consigliere si trovava molto spesso ad agire tanto in città quanto come procuratore del Gonzaga in atti e trattati esterni, come i negoziati con il potente consorzio signorile dei Cavalcabò, radicati a Viadana e a Cremona.Torelli riprende anche da un vecchio catalogo alfabetico d’archivio la notizia che nello stesso 1404 fu inviato in qualità di ambasciatore alla corte imperiale, anche se nelle serie estere non v’è traccia di questa missione.
Tra il gennaio e il giugno 1406 Nerli venne eletto abate di S. Benedetto di Polirone, il maggiore cenobio benedettino rurale del mantovano, anch’esso di fondazione canossiana, lasciando la carica di S. Andrea a Giovanni Cumi. Nel 1407 gli venne affidato da Gonzaga il compito di riformare gli statuti del principale consorzio assistenziale della città, S. Maria della Cornetta, operazione che si inserì in una più vasta iniziativa legislativa di Francesco capitano, comprendente la redazione di una più ampia e definitiva raccolta degli statuti cittadini a opera di Raffaele Fulgosio (fra 1396 e 1404) e la riforma degli statuti dell’Università maggiore dei mercanti, l’organo collegiale che coordinava l’attività dei paratici cittadini e fungeva da corte di giustizia mercantile (1406). Nerli, a giudicare dall’abbondanza delle sue sottoscrizioni agli atti signorili di questo torno d’anni, faceva parte della ristretta élite dei consiglieri gonzagheschi al cuore di questa complessa fase di costruzione e consolidamento delle strutture formali della Signoria.
Con il 1410, però, le sue tracce nei documenti della cancelleria mantovana cessano e si hanno su di lui solo le notizie tramandate dall’anonimo continuatore del Breve chronicon, il quale conclude la breve nota sull’abate dicendo: «Interea vero loci exulavit ac Brisie sub Pandulpho domino carceri longo tempore mancipatur». Libero dalla prigionia malatestiana in data imprecisata, sembra essersi recato a Roma, dove concluse i suoi giorni presso l’abbazia di S. Giovanni al Verano. Certo è che dal 1412 venne sostituito come abate polironiano da Giacomo Maliverni e che la sua ultima sottoscrizione in un documento mantovano risale al maggio 1410. La vicenda rimane oscura: non un cenno si è ritrovato nei documenti dell’archivio gonzaghesco in merito alle ragioni della sua andata a Brescia, forse per motivi diplomatici, o della sua incarcerazione da parte di Pandolfo Malatesta, o infine, ancora più oscuramente, del suo non fare ritorno a Mantova (non abbiamo motivi di crederlo coinvolto, per esempio, nella congiura dei conti Albertini da Prato contro Gian Francesco nel 1414).
Rimangono ignoti la data della sua morte e il luogo della sua sepoltura.
Dell’attività storiogafica e della produzione letteraria di Nerli restano solo il citato Breve chronicon monasterii mantuani sancti Andree, probabilmente scritto negli anni in cui si trovava a S. Benedetto di Polirone, e la notizia che, ultimata la cronaca, si accinse a scrivere – o scrisse: ma non se ne ha traccia – una storia di Mantova nell’età di Matilde di Canossa in esametri («scribere disposui egregia facta Matildis», cita il continuatore). Il Breve chronicon tratta della storia del monastero benedettino urbano di S. Andrea di Mantova, fondato nel 1017 per accogliere le reliquie del sangue di Cristo, e copre gli anni che vanno dall’anno 800 al 1418. Il testo è diviso in 19 capitoletti, di cui la paternità di Nerli arriva sino al penultimo (1393): i primi tre narrano del rinvenimento a Mantova in età carolingia della reliquia del sangue di Cristo, portata in città da s. Longino, della fondazione del monastero e della sua dotazione successiva da parte di Bonifacio e Beatrice dopo la seconda ‘rivelazione’ del sangue di Cristo; la narrazione prosegue di abate in abate sino al 1393. Un anonimo continuatore ha aggiunto al testo nerliano gli ultimi due capitoli, dedicati all’abbaziato dello stesso Nerli (1393-1406) e ai primi anni del suo successore, Giovanni Cumi (1406-31), giungendo sino al 1418 poiché la narrazione si interrompe con una frase incompiuta.
La cronaca venne pubblicata una prima volta da Ludovico Antonio Muratori (Breve chronicon monasterii mantuani sancti Andree ord. benedict. aa. 800-1431, inRer. Ital. Script., XXIV, Milano 1723-51, col. 1071); nella seconda edizione dei Rer. Ital. Script. ( XXIV, p. XIII, Città di Castello 1908-10, pp. 3-15) comparve a cura di Orsini Begani fra il 1908 e il 1910. L’edizione più recente si appoggia sul testo contenuto in un codice miscellaneo attualmente conservato alla Biblioteca Teresiana di Mantova (il 909/H I 35), in cui la cronaca, scritta in una gotica posata con splendida K iniziale sviluppata in globetti d’oro e motivi vegetali e ornata da iniziali in rosso e blu (cc. 70r-76v), segue una prima sezione in umanistica corsiva scritta da Bartolomeo Sanvito e composta da quattro orazioni di Bessarione e da un’epistola di Niccolò Perrotti (cc. 1r-66v) raccolte per Giovan Pietro Arrivabene, il cui stemma è miniato in calce al termine della prima carta. Il codice, nelle sue due parti, risale con buona probabilità al quarto decennio del XV secolo. Giancarlo Schizzerotto (1974) riconduce il codice non alla biblioteca del monastero polironiano, come credevano Orsini Begani e Torelli, ma a quella del monastero domenicano urbano di S. Luca. La questione è risalente: Muratori lavorò su un manoscritto conservato presso i benedettini ferraresi, e poi perduto, di cui questo è stato a lungo creduto un esemplare, prodotto a S. Benedetto in Polirone e da lì giunto alla Teresiana di Mantova. Secondo Schizzerotto, invece, il manoscritto della Teresiana sarebbe un terzo testo (il polironiano, perduto, solo una copia di quello su cui lavorò Muratori, finito già nel 1738 nelle mani del benedettino modenese Cassiodoro Montagioli). In ogni caso, il codice mantovano, di cui non sappiamo dire, con Orsini Begani, che sia l’archetipo in mancanza di prove più conclusive, rimane l’unico testimone quattrocentesco del testo nerliano, e le note tergali apposte da fra Cherubino da Suzzara durante l’inventariazione della biblioteca di S. Luca intorno al 1587 ne lasciano dedurre che fosse conservato e facesse parte della biblioteca dei domenicani e da qui sia poi confluito nei fondi della Teresiana.
Pur nella sua brevità, il Breve chronicon si segnala sia per la nitidezza e la sobrietà della composizione, in cui le vicende del monastero sono strettamente correlate con gli eventi della storia maggiore in cui si collocano, sia per l’attenzione alle basi documentarie della ricostruzione storica: Nerli infatti dice chiaramente di lavorare sui documenti conservati nell’archivio monastico, pervenuti sino a lui inviolati e incorrotti. Il testo non è inoltre privo di sapienza narrativa e di ricercatezze stilistiche.
Esiste un volgarizzamento di Paolo Orioli, Breve cronaca del monastero mantovano di S. Andrea dell’ordine di S. Benedetto di Antonio Nerli dall’anno 1017 all’anno 1418. In occasione di festa cinquantennale in riparazione al sacrilego furto dei sacri vasi nella basilica di S. Andrea in Mantova, Mantova 1898).
Fonti e Bibl.: Mantova, Archivio di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, bb. 8, 14, 42-43, 197, 326, 389, 396, 833, 839, 2003, 2184, 2390, 3136, 3277, 3302, Decreti, 1; Ibid., Fondo D’Arco, 104: M.A. Zucchi, Genealogia di molte nobili et cittadine famiglie di Mantova; Ibid., C. D’Arco, Annotazioni genealogiche di famiglie mantovane, V, 312 ss.; Id., Mille scrittori mantovani, V, 202; Lo statuto del consorzio di S. Maria della Cornetta, a cura di R. Navarrini, Mantova 1996. P. Torelli, A. N. e Bonamente Aliprandi cronisti mantovani (a proposito della nuova edizione delle loro opere), in Archivio storico lombardo, s. 4, XXX (1911), pp. 209-230; C. de Tourtier, Un mariage princier à la fin du XIV siècle. Les noces d’Agnès Visconti et de François de Gonzague aux archives de Mantoue (1375-1391), in Bibliothèque des Chartes, CXVI (1958), pp. 107-135; E. Faccioli, Mantova. Le lettere, I, La tradizione virgiliana e la cultura nel Medioevo, Mantova 1959, pp. 480-486, 505-511; G. Schizzerotto, Biblioteche monastiche mantovane, in Tesori d’arte nella terra dei Gonzaga, Milano 1974, pp. 36 s., 134 (scheda 198); I. Lazzarini, Mantova 1404. Gli statuti gonzagheschi e la struttura normativa della signoria, in Atti e memorie dell’Accademia nazionale Virgiliana di scienze lettere e arti, n.s., LXX (2002), pp. 132 s.; Id., Fra un principe e altri stati. Relazioni di potere e forme di servizio a Mantova nell’età di Ludovico Gonzaga, Roma 1996, ad indicem.