MONTANARI, Antonio
– Nato a Meldola (presso Forlì) il 13 ott. 1811 da Giulio e da Antonia Bandi, fin da piccolo mostrò notevole propensione agli studi letterari e, appena quattordicenne, compose versi in endecasillabi dedicati al visitatore apostolico Lanfranco Matteo (Clerici Antonii Montanari Meldulensis Hendecasillabi), giunto nel paese per visitare il santuario di S. Ruffillo e i luoghi pii. Terminato il percorso scolastico medio nella sua città, andò a Bologna, dove si iscrisse alla facoltà filosofica e di scienze sotto la protezione del cardinale C. Oppizzoni che, avendone intuite le notevoli capacità intellettuali, lo esortò a continuare gli studi e a intraprendere la carriera ecclesiastica. Pur continuando a vestire l’abito sacerdotale – le scarse possibilità economiche della famiglia non gli consentivano altro guardaroba – e creando in tal modo quell’equivoco appellativo di «abate» che a lungo lo accompagnò, il M. scelse la strada degli studi letterari e politici, cui lo avviarono gli insegnamenti di P. Costa, docente di lettere e filosofia e maestro della nuova intellettualità bolognese da M. Angelelli a M. Ferrucci, a R. Audinot, a M. Minghetti.
Nel 1830-31 il ventenne M. visse a Bologna la stagione rivoluzionaria che portò alla costituzione del governo delle Provincie Unite e ne subì il fascino emotivo, attratto dalle parole libertà, democrazia, lotta allo straniero. Si limitò però ad allinearsi sulle posizioni di Costa, senza mostrare un pensiero autonomo. L’esito infelice del moto e i momenti tumultuosi che seguirono portarono il M. su posizioni più conservatrici e lo indussero a rientrare a Meldola (non è certo se per obbligo di polizia o per misura prudenziale), dove continuò i suoi studi di storia e filosofia morale. Tornò a Bologna sul finire del 1836, poco prima della morte del suo maestro, cui dedicò uno studio laudativo nel quale sorvolò sugli aspetti politici e insistette sulle sue idee filosofiche e letterarie, ma soprattutto lodando l’integrità del carattere (Cenni intorno alla vita di Paolo Costa, Bologna 1837). Sempre nel 1837 pubblicò un opuscoletto sulla nascita della Cassa di risparmio, in cui mostrava l’utilità sociale di simili istituzioni bancarie cogliendone l’aspetto di passaggio dal mondo della filantropia a quello della moderna vitalità economica, attenta a incrementare la raccolta finanziaria attraverso mille rivoli, compresi quelli provenienti dagli ambienti sociali più umili (Dei vantaggi che le Casse di risparmio arrecano al consorzio civile, ibid. 1837).
Nei primi anni Quaranta collaborò al Giornale ecclesiastico di Bologna, nel quale pubblicò dissertazioni poi stampate come opuscoli separati, quali Della responsabilità, vigilanza e carità dei ricchi verso i famigli e dei capi bottega o di fondachi verso i subalterni e gli operai (ibid. 1841) e Del rispetto della benevolenza e delle sollecitudini dei famigli, dei garzoni, degli operai verso i padroni e i capi di bottega (ibid. 1842), in cui offriva un quadro della società precapitalistica, analizzata nei suoi elementi costitutivi e nel loro vario andamento quotidiano, sul quale esercitò una critica costruttiva mettendone in evidenza quanto risultava dannoso alle varie parti e quanto si sarebbe dovuto fare per il bene generale. Nello studio Dei fondamenti della civiltà. Discorsi sette (ibid. 1842) affrontò temi economici e sociali, partendo dall'idea che lo sviluppo produttivo di una società si accompagna sempre a quello delle scienze, delle arti, della morale, ma anche al presupposto di un’equa ripartizione delle ricchezze. Il M. proseguiva sviluppando un discorso in difesa degli operai, teorizzando la necessità di politiche volte a frenare gli eccessi dei più ricchi e i loro abusi nei confronti degli operai. Erano ancora evidenti in quelle parole gli influssi della Rivoluzione francese, ma la soluzione che proponeva aveva una deriva moderata, riformatrice, e voleva condurre verso un’era di conciliazione tra cultura moderna e cattolicesimo.
Se per il M. apparivano esemplari in tal senso il Granducato di Toscana e il Piemonte, i cui sovrani avevano dato inizio a un promettente processo di riforme, ancor più lo era il nuovo pontificato di Pio IX nei cui territori la libertà, penetrando armoniosamente nella Chiesa cattolica e nello Stato, avrebbe segnato l’accordo tra il progresso moderato e la tradizione cattolica con notevoli vantaggi per entrambi.
Prendeva intanto consistenza l’inserimento del M. negli ambienti del nuovo liberalismo bolognese, quello di Minghetti, di C. Berti Pichat, di L. Tanari, delle conferenze economiche e della Società agraria, del giornale Il Felsineo, di cui il M. divenne direttore nel 1847 e nel quale pubblicò vari testi, tra cui cinque articoli sulla Pubblica Istruzione nei quali sostenne la necessità di un sistema di scuola elementare pubblica, a spese dello Stato, obbligatoria per ogni fanciullo (maschio o femmina) fra i sei e i dodici anni. Per il M. la scuola elementare aveva lo scopo di liberare il popolo dall’ignoranza, causa di rivolte dovute principalmente all’indigenza, e portarlo verso una costruttiva emancipazione. La funzione della scuola nel progresso dei popoli rimase una costante del pensiero e dell’agire del M., che caldeggiò per tutta la sua vita l’importanza delle scuole serali per adulti e si battè per l’istruzione delle donne. Ancora nel Felsineo apparvero i saggi Della letteratura pagana e della letteratura cristiana e delle controversie tra i classici ed i romantici (poi raccolti in opuscolo, Bologna 1844), nei quali il M. ripercorreva il rapporto tra religione e letteratura arrivando ad affermare che i romantici esprimevano l’intima essenza cristiana della letteratura moderna, che vedeva esaltata soprattutto in S. Pellico e A. Manzoni, mentre i classici, adoratori della forma contro il contenuto, non si erano accorti della morte dell’intima essenza dell’arte antica, di cui rimaneva solamente la vuota forma, ridotta a involucro di una realtà ormai spentasi da secoli.
L’amnistia politica, il riordinamento delle leggi, i provvedimenti intorno alla costruzione delle strade ferrate, quelli tendenti all’abolizione del monopolio e alla libera circolazione dei cereali, al pronto dissodamento delle terre incolte sia appartenenti allo Stato sia ai privati, all’estinzione del debito pubblico; la creazione di ricoveri di mendicità, l’adattamento delle leggi di polizia alle necessità dei tempi, le leggi di censura sui testi scritti, furono materia di argomento degli interventi del M. nel giornale da lui diretto.
Si sviluppò anche, sul finire degli anni Quaranta, il dialogo tutto intellettuale tra il M., V. Gioberti e A. Rosmini, attraverso un confronto di idee condotto sul terreno prettamente speculativo dei rapporti tra la religione e la politica, di cui si trova traccia nell'opuscolo A Vincenzo Gioberti. Lettera di A. M. (Torino 1847). Il M. attribuiva una funzione di grande importanza ai filosofi italiani suoi contemporanei, in particolare Gioberti, Rosmini e Mamiani i quali, a suo giudizio, avevano saputo legare «ai principi ontologici, all’idea del giusto assoluto ai sensi istintivi e generosi del cuore i dogmi immutabili del cattolicesimo» (Pensieri di A. M. sulla pubblica istruzione 1847-1898, Meldola 1898, art. IV [1847]).
Sempre in questi anni si consolidò il rapporto d’affetto del M. con Rosina Zaccarelli, che da Meldola lo teneva informato delle condizioni dei suoi familiari. Donna intelligente destinata a divenire sua consorte, Rosina ne condivise le idee liberali e collaborò sempre al suo fianco nell’impegno filantropico e politico.
Il 12 ott. 1847 il M. fu chiamato a insegnare storia antica e moderna presso lo Studio bolognese, insegnamento che tenne fino al 1859. Le sue lezioni raccolsero largo successo tra gli studenti e il plauso di illustri colleghi come N. Tommaseo e Mamiani, che contribuirono ad alimentare la fama dello studioso e del politico in campo non solo nazionale. Le sue idee a sostegno dei principi di libertà e di indipendenza, lo additavano all’ammirazione dei patrioti e degli uomini di cultura.
Protagonista attivo della politica il M. lo divenne nel 1848, trovando il modo di esprimere in quei momenti il suo disegno di cauto rinnovamento delle strutture materiali del paese all’interno del quadro istituzionale rappresentato da uno Stato pontificio dotato di una costituzione. Eletto deputato alla prima assemblea dello Stato pontificio, fu ministro del Commercio nel governo retto da P. Rossi, incarico che gli consentì di operare per l’istituzione di un ufficio centrale di statistica e di riformare le Camere di commercio. Nei giorni drammatici che seguirono l’assassinio di Rossi (15 nov. 1848), Pio IX affidò al M., uno dei pochi componenti del governo a non essere fuggito, l’incarico di ministro dell’Interno in una città in tumulto. Il M. cercò di assolvere quella funzione con dignità e fermezza, pur in un clima che rendeva quell’incarico anacronistico per il distacco creatosi tra la popolazione e la Curia romana. Al momento della fuga del papa per Gaeta, il M. lo seguì sperando di riuscire a riportarlo alla linea giobertiana del riformismo e del coordinamento con le altre parti della penisola. La sua illusione si infranse di fronte alle chiusure di Pio IX e nella primavera del 1849 il M. tornò quindi in Romagna per riprendere poi, a fine anno, le sue lezioni all’Università di Bologna.
Nel 1859 il M. fu nuovamente protagonista degli eventi politici, prima come membro della giunta provvisoria di governo, nominata a Bologna alla caduta del governo pontificio, poi come ministro dell’Interno nel breve commissariamento di d’Azeglio e ancora nel governo di L. Cipriani, governatore delle Romagne. Eletto nell’agosto del 1859 deputato all’Assemblea delle Romagne, quando a novembre dello stesso anno l’intera regione emiliano-romagnola fu unificata nelle mani di L.C. Farini, il M. fu incaricato di reggere il ministero della Pubblica Istruzione. In tale veste si impegnò per la diffusione delle scuole tecniche, istituì due scuole normali femminili a Bologna e a Parma, nominò una commissione artistica per la conservazione dei lavori pregevoli, formò i provveditorati scolastici, fondò le tre deputazioni di storia patria di Bologna, Modena e Parma, dette vita a una commissione per la raccolta dei testi di lingua italiana dei secoli XIV e XV. Particolare attenzione, inoltre, riservò al rilancio dell’Ateneo bolognese con l’istituzione di nuove cattedre (economia pubblica, chimica organica, chimica mineralogica ed analitica, filologia indo-germanica, lingue italiche antiche, dialettologia dell’Italia moderna, filosofia semitica) e chiamando a insegnarvi docenti di fama nazionale e internazionale. Nell’Ateneo, di cui fu reggente dall’agosto del 1861 al 3 sett. 1868, il M. assunse la cattedra di filosofia della storia, che conservò fino al pensionamento nel 1893.
Le sue lezioni, raccolte dall’editore Zanichelli in un volume di 465 pagine, volevano essere una sorta di storia universale del genere umano, condotta nazione per nazione. Secondo il M. «la filosofia della storia ci manifesta che lo scadere della civiltà, il corrompimento degli uomini e delle nazioni anzi che procedere da leggi di natura ha luogo invece quando gli uomini, e le società tengono una via diversa e contraria all’ordine e al piano di Provvidenza. Perciocché secondo l’ordine provvidenziale e le leggi di natura si è, che gli uomini antepongono il sostanziale, e i principii supremi del vero, della giustizia, della virtù, all’accessorio e all’accidentale; ed è secondo il piano di natura che le ricchezze e le cose esteriori si stimino e si amino come mezzo al perfezionamento umano: non già come fini di voluttà e di prepotenza; e siano largamente ripartite mediante la libera circolazione per tutte le membra sociali; non ristrette col monopolio in poche mani» (Lezioni sulla filosofia della storia che precedono lo studio comparativo delle tre grandi civiltà mondiali, Bologna 1897, pp. 360 s.).
Cessato nell’incarico di reggente, il M. diradò molto la sua presenza all’Ateneo, facendosi sostituire nelle lezioni da altri studiosi. Ciò suscitò nel tempo largo scontento e portò, negli anni Ottanta, ad uno scontro con il rettore F. Magni, il quale più volte chiese al M. di dimettersi, ricevendo però sempre una risposta negativa e motivata in parte dagli impegni al Senato, dove era stato nominato nel 1860, e in parte da ragioni di salute. La diatriba proseguì anche con i rettori che succedettero nell’incarico a Magni, fino a quando, il 1° luglio 1893 venne firmato l’atto ufficiale di pensionamento.
Dal 1870 il M. visse quasi sempre a Meldola, dove accettò prima l’incarico di consigliere comunale e, nel 1873, quello di sindaco.
In quella funzione operò largamente per il miglioramento strutturale e sociale del paese natale. Rimodellò l’asse viario attraverso strade che congiungevano Meldola con Bertinoro e Predappio, costruendo in consorzio con quest’ultimo Comune il ponte sul Rabbi, e successivamente in consorzio con il Comune di Teodorano fece aprire la strada della Guaina, che metteva in comunicazione diretta con le popolazioni del Voltre e della Valdinoce; fu inoltre protagonista attivo dell’avvio del progetto di tramvia per collegare Meldola con Forlì. Fece allargare il borgo cittadino e ne rimodernò il centro secondo le norme igieniche più avanzate, prese provvedimenti per migliorare l’illuminazione notturna, si impegnò attivamente per la costruzione di un teatro.
Il M. morì a Meldola il 6 luglio 1898.
Fonti e Bibl.: Bologna, Arch. storico dell’Università, Posizione Antonio Montanari; Ibid., Museo Civico del Risorgimento, Lascito di Paolo Mastri; Ibid., Biblioteca comunale dell’Archiginnasio, Fondo manoscritti, Storia e politica, cartt. I-III; Carteggio, cartt. IV-VII; Una pagina di storia meldolese, Forlì 1886; N. Malvezzi, Commemorazione di A. M. senatore del Regno, in Atti e memorie della Deputazione di storia patria per le provincie di Romagna, s. 3, XVI (1898), pp. 458-486; G. Albini, A. M., Meldola 1900; A. Sorbelli, L'opera di A. M. dal '47 al '60, in La Romagna, III (1906), 6-8, pp. 251-272, 307-327, 355-371; Id., Notizie intorno ad A.M. e a manoscritti di lui che si conservano nella Biblioteca comunale dell’Archiginnasio, in L’Archiginnasio, III (1908), pp. 21-34; Id., La giovinezza operosa di A. M., in Felix Ravenna, 1917, n. 18, pp. 1127-1133; Id., A. M. nel giornale e nella cattedra, in L’Archiginnasio, XVI (1919), pp. 138-157; Id., L’ultimo ministro costituzionale di Pio IX (A. M.), ibid., XXI (1927), pp. 95-101; L. Rava, A. M. nella sua vita politica. Discorso commemorativo, Meldola 1912; A. M., in Dizionario del Risorgimento nazionale, III, pp. 621 s.; Enc. biografica e bibliogr. «Italiana», A. Malatesta, Ministri deputati e senatori d’Italia dal 1848 al 1922, II, p. 675; L. Simeoni, Storia della Università di Bologna, II, L’età moderna, Bologna 1947, ad indicem; L. Pasztor, Le prime esperienze politiche di A. M. Contributi all’idea dell’Unità d’Italia nel ’31, in Studi romagnoli, VII (1956), pp. 193-249; A. Varni, Profilo di A. M., in Padania, VII (1993), 14, pp. 160-167; U. Marcelli, Momenti del pensiero e dell’azione di A. M. (1811-1898), in Atti e Memorie della deputazione di storia patria per le province di Romagna, n.s., L (1999), pp. 309-327.